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Autore: LondonRiver16    13/07/2014    3 recensioni
Adam si voltò verso di lui per poterlo guardare in faccia.
- Da cosa stai scappando, TJ? Noi due ci siamo sempre detti tutto, perché questa volta parlarmi ti risulta così difficile?
Per una manciata di secondi Tommy non fece altro che perdersi negli occhi del suo ragazzo, che quel giorno e con quel sole splendente erano di un irresistibile color acquamarina, quindi li abbandonò per sistemarsi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, fissare l’oceano che avevano di fronte e confessare tutto in un mormorio che per un soffio non si perse nel vento.
- Perché stavolta riguarda te.
(Seguito di "I'm gonna make this place your home")
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Grazie infinite a Sunset_Lily, and soon the darkness_, kissky, Eclipse of Flame e pansy_laugh per aver recensito lo scorso capitolo :*

Eeee, last but not least, a chiunque segua questa mia silly little story

La canzone di questo capitolo è Strong (One Direction) *incolpate o date il merito alla mia amica, che mi ha trascinato al loro concerto… e così facendo mi ha fatta divertire un mondo! A morte i pregiudizi*

Avvisi finiti, buona lettura ^-^

 

 

 

 


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Il giorno dopo, quando si svegliò, Adam evitò di aprire subito gli occhi. Rimase invece a bearsi nelle sensazioni che lo pervasero lievi come nebbia mentre riprendeva coscienza di se stesso e del mondo attorno a lui, lente ma inarrestabili, sempre più concrete man mano che il suo respiro abbandonava il ritmo attenuato del sonno.

Al tatto sentiva il materasso sotto di sé, le lenzuola morbide che invece gli coprivano fino all’ombelico il corpo altrimenti nudo. Era sdraiato su un fianco, la posizione anelante a quella di un feto e addosso a sé, contro il torace e parte delle gambe, sentiva il calore inconfondibile di un altro corpo, la schiena di Tommy, che gli si era raggomitolato contro durante il sonno o forse ancora prima di addormentarsi. Lo sentiva vicino anche perché il ripetersi leggero del suo respiro lo stava cullando in quella dimensione indefinita fra sonno e veglia e perché il suo odore familiare gli riempiva le narici ogni volta che inspirava. Quando infine socchiuse le palpebre, trovò conferma alle proprie deduzioni: la stanza era semibuia a causa delle tende tirate lungo la porta-finestra, ma la figura di Tommy rannicchiata addosso a lui era chiara, colpita dai pochi raggi di sole che riuscivano a scampare al velo di protezione, e i capelli che si arrampicavano sul cuscino e solleticavano il naso di Adam apparivano più biondi che mai con quella strana luce.

Adam sorrise intenerito a quella vista e al ricordo di ciò che era successo la notte precedente e che alla fine li aveva stancati così tanto da farli addormentare prima di poter dire qualsiasi cosa, l’uno nelle braccia dell’altro. Dopo tanto tempo che non stavano assieme in modo talmente intenso da abbandonarsi completamente l’uno all’altro, Adam era contento che quella notte avessero ritrovato l’essenza della propria intimità, ma soprattutto che a dare il via a quel connubio di emozioni – che lo aveva trascinato con sé al punto di permettergli di mettere da parte il fantasma ridestato di Sanders – fosse stato Tommy.

Tommy che lo aveva ascoltato, consolato, scosso da una delle trance più dolorose a cui si fosse lasciato andare negli ultimi tempi, amato fino a non poterne più nonostante l’iniziale resistenza del più grande. Tommy che era cresciuto e maturato così tanto e gliene aveva dato prova.

Mentre lasciava che il ricordo di ciò che avevano avuto solo poche ore prima gli allietasse il risveglio, Adam portò la mano sinistra ad accarezzare il fianco di Tommy laddove la stoffa fine del lenzuolo incontrava la sua pelle pallida e, vedendo che non si muoveva, percorse con tocco leggero il suo intero profilo, riuscendo ad arrampicarsi lungo la linea della spalla e cominciare a massaggiargli la guancia col pollice prima che il ragazzo iniziasse a mugolare, dimostrando che le attenzioni del maggiore stavano pian piano raggiungendo lo scopo desiderato.

Il sorriso di Adam si accentuò quando sentì l’altro mugugnare una debole e incomprensibile protesta che si disperse in uno sbadiglio esagerato.

- Buongiorno, micetto – cantilenò, spostandogli un ciuffo di capelli da davanti al viso per poter allungarsi a baciargli la tempia. – Sognato qualcosa di bello?

- Hmm… ma che buongiorno e buongiorno, è troppo presto anche per chiamarla alba – brontolò Tommy, serrando le palpebre come se la luce nella stanza fosse stata accecante. - Torna a dormire.

Stuzzicato dal dubbio, Adam lo lasciò un attimo a crogiolarsi nel proprio cantuccio caldo per allungarsi oltre il diciassettenne, afferrare la sveglia e voltarla verso di sé, così da rendersi conto dell’ora e alzare le sopracciglia, sbalordito.

- Alla faccia dell’alba, è quasi mezzogiorno! Dai, poltrone, in piedi – esclamò, tornando a punzecchiare Tommy sul fianco, uno dei suoi punti più sensibili, ma il ragazzo allontanò le sue dita con una manata insofferente e un piagnucolio che suonò tremendamente infantile, per poi afferrare il lenzuolo alla cieca e tirarselo su fino alle spalle.

- Piantala… il giorno non è ancora vicino* - recitò, pescando naturalmente da una delle ultime lezioni di letteratura inglese che aveva studiato.

- Se dormi troppo ti verrà mal di testa – considerò Adam, senza nascondere il sorriso che si era ritrovato in volto al momento del risveglio.

- Era l'usignolo, e non l'allodola, quello che ti ha ferito col suo canto l'orecchio trepidante* - insistette però la voce smorzata del più piccolo, voltandosi lentamente verso l’altro per poterlo guardare attraverso le palpebre appena dischiuse e fargli notare il suo sorriso furbo, e questa volta Adam non ebbe difficoltà a riconoscere la citazione e a replicare di conseguenza, orgoglioso della propria memoria.

- Era l'allodola, messaggera del mattino, non l'usignolo* - Fiero di averlo fatto ridacchiare, gli prese il viso fra le mani e lo baciò dolcemente sulla bocca, facendo scivolare il labbro inferiore del ragazzo fra i suoi e indugiando sul sapore amaro del mattino prima di separarsi e tornare ai suoi occhi assonnati. – Allora, preferisci che prepari la colazione o il pranzo?

Ma tutto ciò che Tommy gli concesse in risposta fu un altro lamento indistinto.

- Credi, amor mio, era l'usignolo* - s’impuntò, strascicando la voce, per poi infilargli una gamba tra le sue e allacciargli le braccia al collo, costringendolo ad affondare di nuovo nel cuscino assieme a lui. – Torna a dormire con me, ti prego… non essere crudele.

Ma Adam lo prese per gli avambracci e si liberò gentilmente dalla sua presa, portandosi i palmi delle sue mani alle labbra.

- Tommy, io sto morendo di fame e tu devi mangiare qualcosa. Colazione o pranzo, fa’ la tua scelta.

- Voglio un brunch dolce – pretese allora il più giovane, avvicinando il viso al suo per sorridergli con astuzia. - E per quello non mi serve neanche andare in cucina.

Poggiandogli le mani appena sotto gli zigomi per trattenerlo, lo baciò con lenta passione e aggiungendo un sapiente gioco di lingua che Adam sapeva di avergli insegnato e che ripropose al maggiore un assaggio della smania di possederlo che Tommy gli aveva incollato addosso la notte prima. Se riuscì a separarsi da lui dopo aver risposto a quel bacio solo per il tempo strettamente necessario per porvisi a capo fu solo perché era passato troppo poco tempo da quando aveva dato tutto se stesso per accontentare il proprio desiderio e quello del suo ragazzo.

- È tutto squisito, ma un uomo non vive di solo amore – dichiarò, sorridendo con quel fare che lo faceva sembrare un insegnante, e senza dare a Tommy il tempo di trattenerlo oltre sgusciò via dal suo abbraccio svogliato, si alzò in piedi e cominciò a perlustrare la stanza alla ricerca del paio di boxer che la sera prima il più piccolo gli aveva sfilato senza tanti complimenti.

Lamentandosi dell’improvviso vuoto lasciato dal suo corpo sul materasso, Tommy si rotolò un po’ fra le coperte, gemendo per la delusione.

- Chi ha detto questa colossale stronzata? – bofonchiò poi, spalmandosi sul letto a braccia e gambe aperte come un bambino, e a quel punto, mentre saltellava in giro per recuperare una maglietta e un paio di pantaloni, Adam non seppe trattenersi dall’assestargli una sonora pacca sul sedere e ridacchiare del suo strillo e di come il ragazzo si raggomitolò subito su se stesso in cerca di protezione.

- Sicuramente non tu, visto che sei pelle e ossa – commentò solo a quel punto il più grande, allacciandosi un paio di pantaloni corti color kaki.

A quell’affermazione il volto di Tommy risbucò immediatamente dall’involto di coperte in cui si era rifugiato, un’espressione offesa, infantile, ma anche in qualche strana maniera assassina sul volto arrossato. – Con questo intendi forse insinuare che non rientro nei tuoi canoni estetici?

A quel punto Adam si bloccò e, in piedi davanti al letto, incrociò le braccia, impossibilitato a resistere a uno slancio di teatralità, ma nascondendo il tutto dietro un’ineccepibile maschera di serietà.

- Be’, dato che me lo chiedi così, a cuore aperto, ti dirò come stanno le cose e la verità è… - Si fermò, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, fingendo un’immensa amarezza. - Che mi fai schifo. Infatti, se ricordo bene, la scorsa notte mi hai fatto un pompino da urlo, ho insistito per farti una sega e per finire in bellezza abbiamo fatto l’amore per due volte, per due volte ti ho fatto venire e Dio, ho avuto due orgasmi che mi hanno lasciato praticamente cieco! Quindi, date queste premesse, devo dire che hai perfettamente ragione, non posso più permettermi di nascondere i miei veri sentimenti per te: mi fai cagare. Che ci fai ancora nel mio letto?

Solo in quel momento, appena ripresosi dalla sorpresa di sentirsi indirizzare un discorso che almeno a primo avviso gli era sembrato serio e dalle risatine compiaciute che ne erano seguite nel momento in cui Adam aveva cominciato a elencargli tutti i sollazzi della notte precedente, Tommy trovò la forza di afferrare il primo cuscino che gli capitò sottomano per tirarglielo dritto in faccia senza risparmiarsi, il viso ancora illuminato dalle risate.

- Quanto sei stronzo!

Liberatosi del guanciale e scoppiato a ridere a sua volta, Adam tornò a chinarsi su di lui per baciarlo sulle labbra con una galanteria squisita, incapace di circuire il bisogno di confortarlo per ogni minimo sgambetto.

- Voglio solo dire che vorrei tanto facessi almeno tre pasti al giorno, tesoro – gli mormorò sul mento, per poi salire piano con le labbra e posargli sul naso un bacio a stampo che fece sorridere il diciassettenne. - Perché sono costantemente preoccupato che non mangi abbastanza. Non è normale per un diciassettenne nutrirsi come un passerotto, sai?

A quel punto il sorriso gentile dell’adolescente si trasformò in un sogghigno e le sue mani corsero a stringersi attorno al sedere di Adam senza alcun tatto, riuscendo a prendere il più grande abbastanza alla sprovvista da farlo sussultare.

- Sei tu che mangi abbastanza per tutti e due, ciccione – insinuò Tommy, gli occhi brillanti d’aspettativa per una replica che il ventiduenne non fece tardare, dimostrandosi lesto a impadronirsi dei suoi polsi e a costringerli sul materasso.

- Piccolo sfacciato – disse tra i denti, non perdendo tempo a nascondere la nota di concitazione che gli permeava la voce, e con un colpo di reni costrinse anche il bacino del più piccolo sul letto, teso contro il suo. I suoi occhi color del cielo saettarono su quelli scuri di Tommy, trovandoli vibranti d’eccitazione. – Hai bisogno di una lezione. Vuoi una lezione?

Senza attendere una risposta, scese a mordere la porzione di pelle bianca appena sotto la clavicola sinistra del ragazzo e lui reagì lanciando un urletto deliziato al soffitto.

- Hai iniziato tu! – lo implorò di smettere, soffocando dalle risate e condannando Adam allo stesso destino. Nonostante fosse chiaro che la situazione lo intrigava, quella mattina sembrava essere votata alla delicatezza, infatti Tommy, le braccia ancora bloccate ai lati della testa, si sporse il più possibile verso il più grande per impadronirsi del suo labbro inferiore e succhiarlo finché il collo non gli fece troppo male e dovette lasciarsi ricadere sul materasso, un sorriso adorabile e specchio della felicità che gli illuminava il viso, rendendolo semplicemente radioso. - Allora, cosa devo fare per avere questo brunch? Pentole d’oro da cercare? Draghi da uccidere? Potrei morire per qualcuno dei tuoi pancakes.

Udendo quelle parole Adam sentì tutta la frenesia tramutarsi in un’ondata di calore che sapeva di affetto e riconoscenza e che gli invase lo stomaco. Fu mosso da quel sentimento che si chinò ancora una volta su Tommy, questa volta per premere le labbra sulla sua fronte e rimanervi un attimo più a lungo del dovuto.

- Hai già fatto più che abbastanza – disse poi, e dal sorriso dell’altro seppe che aveva capito che si riferiva al giorno prima. Quindi si alzò, pescò una maglietta pulita dalla valigia e se la infilò in fretta, spinto dalla fame. – Sonnecchia pure un altro po’, d’accordo? Ti chiamo quando è pronto.

Adam trascorse quasi un’intera mezz’ora tra i fornelli e il frigorifero dopo essersi concesso una doccia veloce per rimuovere il sudore, gli odori, i resti della sera prima dal proprio corpo finalmente rilassato e carico. Mentre cucinava, sbocconcellava qualcosa qua e là per placare i morsi della fame e apparecchiava, non smise un attimo di pensare a ciò che Tommy avrebbe preferito trovare in tavola, perciò finì per impilare una quindicina di pancakes su un piatto e procurarsi del succo d’arancia e del miele d’acacia da intervallare allo sciroppo d’acero. Però, quando infine si riaffacciò alla camera da letto, pronto a risvegliare Tommy con un’altra serie di baci, trovò il letto vuoto e sfatto.

Il ragazzo era seduto in veranda. Come il giorno prima, Adam lo trovò vestito con abiti puliti e seduto sulla piccola panchina di legno con i gomiti appoggiati appena sopra le ginocchia, le dita intrecciate fra loro e lo sguardo basso, perso a fissare il tavolino che aveva davanti senza realmente vederlo. Non c’era bisogno di un’immaginazione eccelsa per capire che la promessa suggellata il giorno prima gli era tornata alla mente.

- Ho i pancakes, ancora caldi – esordì allora Adam, attirando l’attenzione del più piccolo sul proprio sorriso, e Tommy ricambiò velocemente prima di sospirare e tornare a torturarsi il palmo della mano sinistra con le unghie.

- Mi sono ricordato che dobbiamo parlare.

- Prima mangiamo qualcosa – lo sviò Adam, e quando lo sguardo stupito del ragazzo tornò a concentrarsi su di lui il suo sorriso affettuoso si allargò fino a diventare quello di un migliore amico, con solo una punta di supplica. – Dai, c’è anche il caffè.

A quel punto Tommy si sciolse abbastanza da non poter rifiutare di seguirlo fino in cucina, ricambiando le premure del suo ragazzo durante il breve tragitto, quando Adam gli sfiorò un paio di volte le dita come in procinto di prenderlo per mano, se solo il più piccolo avesse dimostrato di averne bisogno. Quelle piccole cure erano sempre in grado di tirargli su il morale nella loro semplicità, così quando si accomodarono a tavola uno di fronte all’altro si sorprese a essere abbastanza tranquillo. Sebbene quella situazione assomigliasse in maniera imbarazzante a una delle prime volte in cui Adam lo aveva costretto ad affrontare le ombre della propria vita, si sentiva immensamente più a sicuro e a proprio agio a sedersi con il ventiduenne con la prospettiva di fare la stessa cosa, per quanto forte fosse la paura che in quel momento gli stava mangiando il fegato. Per quella che doveva essere la milionesima volta, Tommy si ritrovò a ringraziare un dio in cui non credeva per aver dato ascolto all’istinto che gli aveva detto di baciare le labbra di Adam quella notte di luglio dell’estate prima.

Mangiò in abbondanza, quasi quanto Adam, e non perse neppure tempo a protestare quando l’altro aggiunse una quantità esorbitante di sciroppo d’acero alla sua terza porzione di pancakes, sapendo che il suo unico scopo era prendersi cura di lui al meglio delle sue possibilità, per farlo sentire amato soprattutto in quel momento difficile. Come se a Tommy avesse potuto sorgere alcun dubbio dopo il sesso pazzesco della notte precedente.

- Ho un problema – ammise all’improvviso, spezzando il silenzio e appoggiando sulla tavola la tazza di caffè che aveva tenuto premuta contro le labbra per interminabili secondi. Al sentire quelle parole Adam lasciò perdere il cartone del succo d’arancia e appoggiò le mani davanti a sé, guardandolo negli occhi con tanta serietà che Tommy deglutì nervosamente. - E riguarda davvero te, ma non sei tu.

Adam alzò un sopracciglio, l’unica reazione che si permise di far trasparire nello scoprire che a scatenare la lite di due giorni prima era stato un semplice malinteso, unito a tutta la tensione accumulata negli ultimi tempi. Per quel che riguardava l’ansia che poteva vedere nelle iridi del diciassettenne, invece, si strappò un sorriso per convincerlo che stava percorrendo la strada giusta.

- Un motivo in più per parlarmene.

Ma il giovane scosse la testa, portandosi le mani alle tempie come se avesse voluto mettere a tacere qualche voce causa di tremende emicranie. - Me ne vergogno così tanto.

- Questa frase non mi è nuova – osservò Adam con un sorriso pacato, grato che quegli occhi tornassero ai suoi con facilità, fiduciosi quanto curiosi di ricordare il momento preciso, ma il maggiore si limitò all’essenziale. Quella situazione ingestibile non poteva protrarsi oltre, nessuno dei due avrebbe retto. - Fidati di me, Tommy. Come hai fatto fin dall'inizio.

- Mi fido di te più di quanto mi fidi di me stesso – replicò il più piccolo, sbigottito da quell’osservazione. - Ho solo paura... una paura enorme di deluderti.

- Ma così non possiamo andare avanti.

- Lo so – Il ragazzo strinse i denti e la tazza, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo di colpo, disperando di riaggrapparsi a quello del più grande malgrado ciò che gli stava scivolando fuori di bocca. - Prometti di non prendermi a sberle?

- Se non hai ucciso nessuno non hai nulla da temere.

- Promesso?

- Promesso, amore.

- E promettimi che non mi lascerai.

- TJ, ora basta – concluse Adam, inflessibile. - Di’ quello che devi dire perché è la cosa giusta da fare, senza pensarci sopra un attimo di più. Tesoro mio – si addolcì un momento dopo, vedendo come Tommy si era irrigidito di fronte a tanta fermezza, e allungò una mano fino a carezzargli la guancia, fargli alzare il mento sotto la lieve pressione del suo indice e riavere quegli occhi scuri fissi su di sé. - Non ti sei già dannato abbastanza?

Quelle poche parole parvero risultare più incisive di tutti i discorsi precedenti. La consapevolezza di essere al limite, di non essere davvero più in grado di sopportare quel peso da solo sembrò farsi improvvisamente largo sul viso di Tommy e la sua mente realizzò quali avrebbero potuto essere le conseguenze negative della salvaguardia di quel segreto, quindi infine il ragazzo deglutì un mattone e assentì coscienzioso.

- Hai ragione, così non possiamo più andare avanti – s’arrese finalmente, in appena un sussurro. – Ti dico tutto.

 

Era l’undici marzo, un martedì qualunque che Tommy avrebbe dovuto trascorrere barcamenandosi fra lezioni di geografia, scienze della natura, francese, storia degli Stati Uniti d’America e tecnica del disegno, ma il semplice fatto che quella mattina Adam avesse trovato il tempo di raggiungere casa O’Reilly in tempo per accompagnarlo a scuola in auto bastava a renderlo uno splendido inizio di giornata ai suoi occhi. Quando la vecchia carretta del ventiduenne parcheggiò a pochi metri dall’ingresso del liceo, però, accanto a una ventina di altre vetture che appartenevano a professori e studenti, il diciassettenne seduto al posto del passeggero sospirò di rassegnazione perché l’ora di separarsi arrivava sempre troppo presto quando c’era la scuola di mezzo.

- Eccoci, in tempo per la campanella – annunciò Adam, spegnendo il motore e voltandosi verso di lui, la presenza degli occhiali da sole che in qualche modo rendeva ancora più abbagliante il suo sorriso furbo. - Non mi merito un bacio per essere il migliore autista di Finchley?

Tommy reagì a quelle parole allacciandogli le braccia al collo con naturalezza e brontolando mentre appoggiava la fronte a quella del suo ragazzo e strofinava il naso al suo.

- Ti meriteresti molto di più, se solo non ci fossero duecento persone qua attorno.

- Pazienza, vorrà dire che mi annoterò il tuo debito da qualche parte per il primo momento utile – ribatté Adam, impadronendosi delle sue labbra per dargli un bacio che il più piccolo avrebbe desiderato durasse per minuti interi e non solo la manciata di secondi che l’altro gli concesse prima di tornare a guardarlo e a sorridere allegro. - Buona giornata, amore.

- Anche a te – soffiò Tommy, rassegnato, e aveva già aperto la portiera quando si ricordò di aggiungere: - Ci vediamo all'uscita?

- Vorrei tanto, ma oggi non posso – rispose Adam, togliendosi gli occhiali da sole per mostrare gli stupendi occhi celesti afflitti da una piega di dispiacere. - Questo pomeriggio devo aiutare Jodie col rinnovamento del locale.

- Oh – esalò Tommy, deluso. - Peccato.

- Facciamo domani, d'accordo? Mi faccio perdonare portandoti a mangiare fuori.

- Indiano?

- E indiano sia – accettò il ventiduenne, allungandosi per lasciargli un rapido bacio a stampo sulla guancia prima di dargli un colpetto affettuoso sulla coscia. - Adesso vai o ti sgrideranno a causa mia.

Tommy ridacchiò, ma non tergiversò oltre per non far arrabbiare sul serio la professoressa di geografia. - Allora ciao.

- Ciao, dolcezza.

- A domani – lo salutò, un attimo prima di saltare giù dall’auto e richiudere la portiera. - Puntuale!

 

A quel punto del racconto Tommy fece una pausa, ma Adam non si sognò neppure di chiedergli cosa lo avesse spinto a raccontargli qualcosa che lui stesso conosceva bene, avendolo vissuto. Che fosse stato per introdurre e spiegare meglio un avvenimento a cui quel breve scambio di effusioni mattiniere era seguito o solo per permettere al diciassettenne di abituarsi all’idea di confessargli qualcosa che aveva tenuto segreto tanto a lungo, Adam era sicuro ci fosse un motivo valido e aveva la piena intenzione di rispettare Tommy e i suoi tempi.

Il ragazzo, tra l’altro, sembrava già in discreta difficoltà, cambiava la direzione del proprio sguardo ogni volta che poteva e si concedeva respiri profondi ogni due per tre. Adam, ben lungi dall’interromperlo o spronarlo ulteriormente, ma semplicemente in attesa di fronte a lui nel cucinino di quell’appartamento per vacanze, lo prese come un segno che il racconto stava per farsi serio e preoccupante.

- La giornata andò bene – riprese Tommy dopo quello che parve un secolo, in poco più di un soffio stremato. - Fu all'uscita che scoppiò il casino.

 

Alle quattro e mezza del pomeriggio di quello stesso undici marzo il tanto agognato trillo dell’ultima campanella della giornata fece sospirare di sollievo tutti e ventuno i compagni di corso di Tommy, che però si attardò più di tutti gli altri nell’aula per chiedere all’insegnante di tecnica del disegno se avesse finalmente corretto le tre tavole consegnate un mese prima e, una volta ottenutele, per riordinare il proprio materiale grafico nell’armadio in fondo alla classe, caricarsi lo zaino praticamente vuoto sulla spalla destra e avviarsi per i corridoi con tutta la calma di questo mondo. Sapeva di aver ormai perso il primo autobus disponibile e gli sarebbe comunque toccato aspettare minimo un quarto d’ora alla fermata prima che ne arrivasse un altro diretto al suo quartiere, perciò non c’era motivo di affrettarsi come avevano fatto tutti i suoi colleghi.

Tommy sbuffò e si coprì la bocca con una mano per attutire uno sbadiglio. Aveva scorto dei voti discreti in fondo alle tavole che il professore gli aveva restituito, ma non era affatto un amante del disegno tecnico e quel corso lo stufava più di tutti quelli che non gli andavano a genio perché a renderlo particolarmente duro c’era l’assenza di una compagnia amichevole. Il martedì pomeriggio quel genio di Susie seguiva il corso avanzato di matematica, mentre Olive aveva scelto economia domestica e Dan entrava e usciva dalle sue sfortunate lezioni di arabo livello base senza farsi grandi problemi, come faceva con il resto della sua carriera scolastica. Tommy si era ritrovato solo a tecnica del disegno per colpa sua, perché aveva ritardato con l’iscrizione e a quel punto i posti rimasti erano pochissimi, ma certo quella consapevolezza non rendeva le lezioni del professor Connors meno pesanti.

Stava perdendosi dietro a pensieri che riguardavano la possibilità che l’insegnante lo promuovesse con una C a fine anno e passando davanti ai laboratori di chimica quando sentì quella voce chiamarlo, assordante all’interno del liceo ormai vuoto. Era eccitata, sogghignante, piena di aspettative e odiosamente familiare.

- Ehi, Ratliff! Tommy Joe! – aggiunse in tono canzonatorio, e qualcuno dei suoi sembrò trovare quel diminutivo profanato abbastanza spassoso da sghignazzare.

Tommy alzò gli occhi al cielo e bisbigliò un’imprecazione convinta, ma fermò i propri passi e si voltò. Non sarebbe mai scappato davanti a quei bulli, non per una questione di principio ma perché accettare le sfide piuttosto che fuggire faceva parte del suo carattere orgoglioso, perché negli anni aveva affrontato – e superato, si sarebbe premurato di aggiungere Adam se avesse potuto insinuarsi fra i suoi pensieri – prove molto più dure di qualche spinta violenta contro gli armadietti e prese in giro sul proprio look, prove che avevano compreso gli abusi di quattro uomini dai gusti e dalle perversioni appartenenti alle tipologie più diverse. E, in ultima istanza, perché tanto non c’era scampo. Se si fosse messo a correre, anche se avesse mollato lì lo zaino, per quanto agile e leggero fosse qualcuno di quegli idioti sarebbe comunque riuscito a raggiungerlo, placcarlo e farlo rovinare a terra faccia in avanti. Meglio evitare lividi inutili, giusto?

A pochi metri da lui, in avvicinamento lungo il corridoio, gli si presentò davanti la combriccola che si aspettava, la cui formazione ormai conosceva a memoria. Anzi no, notò Tommy dopo una rapida occhiata, c’era una faccia nuova nonostante il numero dei ragazzi fosse sempre pari a sei. Evidentemente uno dei vecchi compari aveva tradito la fiducia del capo – facendo la spia con qualche altra gang, saltando un allenamento di football o provandoci con la sua ragazza - e Shane aveva dovuto sobbarcarsi la fatica di trovare un altro decerebrato fidato che lo sostituisse degnamente. Per forza.

Ce n’erano cinque senza volto e senza nome, non perché Tommy non li avesse tutti stampati in mente con precisione svizzera, ma perché erano talmente insulsi da non meritare che qualcuno li considerasse o si ricordasse di loro, men che meno quando se ne stavano con quei ghigni stampati in faccia e le mani che prudevano dalla voglia di picchiare qualche povero disgraziato con l’unica colpa di essersi trovato sulla loro strada. Il sesto era Shane, Shane Lawson. In questo caso il cognome era la parte più importante, vista l’influenza di suo padre nella politica cittadina. Il giovane Shane, diciott’anni da compiere in un paio di settimane, pareva aver risucchiato tutta la bellezza della giovane madre e i difetti di carattere della linea paterna della famiglia: non molto più alto di Tommy, ma un biondo naturale con occhi di un verde limpido che non avrebbe potuto essere più ingannevole, qualche muscolo che gli derivava dalla presenza costante nella squadra di football della scuola, vanesio fino all’inverosimile e con quel ghigno perenne a sfregiargli il viso avvenente. E, particolare che lui stesso teneva a sottolineare, castigatore supremo di tutti coloro che non riteneva degni di frequentare il suo stesso liceo, i suoi stessi corridoi, il suo stesso bagno. Era Shane che aveva urlato il nome di Tommy per farlo fermare, sicuro di sé vista l’assenza di professori e la lontananza del preside, fu Shane ad avanzare verso la vittima per fermarsi a due metri da lui, i compagni ai lati pronti a dargli man forte, a scattare in caso Tommy avesse fatto la malcapitata scelta di tentare la fuga.

La preda, Tommy, rimase fermo sul posto. Indietreggiare lo avrebbe reso ancora più debole agli occhi di quei giovani sciacalli, avrebbe significato morte certa ancora prima che l’attacco iniziasse. Stringere i pugni lungo i fianchi, invece, si prestava a diverse interpretazioni e Tommy scelse quella che lo vedeva come tenace, resistente come in realtà non si sentiva affatto.

- Shane... amichetti di Shane – salutò sarcasticamente, cercando di mantenere la voce ferma, riunendoli tutti in una sola occhiata di disprezzo. - Che volete?

- Ehi, quanta mancanza di educazione – esclamò Shane, fingendosi offeso per raccogliere le risate dei propri adepti prima di tornare a rivolgere il proprio ghigno di figlio di papà verso Tommy, che rimase immobile. - Va bene che sei orfano, ma gli sfigati che ti hanno adottato non ti hanno insegnato niente su come si trattano le persone civili?

A quel punto Tommy sentì un moto di repulsione rivoltargli lo stomaco, ma si ficcò le unghie nei palmi delle mani, strinse i denti e si costrinse a rispondere senza ringhiare, senza avere scatti di alcun tipo. L’ultima cosa che desiderava era aizzare quella mandria di cretini dai muscoli abbastanza sviluppati da ridurlo in cenere, voleva solo trovare il modo di farli stancare di lui, di fargli venir voglia di proseguire la loro assurda ronda così da potersene tornare a casa senza segni sospetti addosso. Qualche volta in passato ci era riuscito, cavandosela con una manata che lo aveva fatto finire a terra, a osservare dal basso la loro trionfale uscita di scena.

- Che vuoi? – ripeté, questa volta fissando gli occhi cristallini di Shane, e solo a quel punto il ragazzo accorciò le distanze con un altro passo verso di lui.

- Oh, solo sapere come credevi di farla franca.

Per qualche motivo, sebbene ancora non ne conoscesse il significato, quelle parole mandarono una scarica di brividi a scuotere la spina dorsale di Tommy. Forse fu il tono di voce di Shane, così mellifluo e allusivo, allenato fino allo sfinimento all’unico scopo di mettere la preda all’angolo. Fatto sta che il giovane non si diede il tempo di rifletterci sopra, dato che sentiva di non averne molto prima che la situazione precipitasse, e impiegò invece i pochi millesimi di secondo a disposizione per gettarsi sul piano più promettente.

- Che lingua parli? – replicò, fingendosi indifferente alle provocazioni, ma quando voltandosi si trovò di fronte due degli scagnozzi che gli sbarravano la strada seppe che avrebbe venduto l’anima al diavolo perché la sua espressione intimidita passasse per insofferente. - Lasciatemi passare, ho fretta.

- Oh, certo, lasciatelo andare, ha fretta, deve correre dal suo ragazzo a farselo mettere in culo o stanotte dovrà trovarsi un manico di scopa per sfogare la foia – svelò solo a quel punto Shane, alzando la voce come un vero intrattenitore di folle, suscitando risate più tonanti e feroci della prima volta.

Tommy sentì le guance e le mani cominciare a bruciare come fuoco e il muscolo dello zigomo destro smettere di obbedirgli, preso da un tremore improvviso quanto incontrollabile, ma ebbe lo stesso la prontezza di girarsi di nuovo verso il capo della banda e fulminarlo con uno sguardo che trasudava puro odio, misto al panico che aveva cominciato a far scorrere più adrenalina che sangue nelle sue vene. Shane, d’altronde, non sembrò preoccuparsi e ne aveva tutte le ragioni. Con i suoi a fargli da spalla, da scudo, da mano complice, avanzò ancora verso la preda designata, bloccata dai due gorilla alle sue spalle, paralizzata dalla paura, l’afferrò per la maglietta e la strattonò, portando il viso cinereo del ragazzo a dieci centimetri dal proprio prima di cominciare a sputare veleno.

- Pensavi fossi così scemo da non notarvi? Due checche grosse come il mondo che si slinguazzano all'entrata di scuola, davanti a tutti? Quanta merda. Non so neanche dirti quanto mi fate schifo. Come ti sei permesso, per mesi, davanti alla mia scuola? – sibilò, gli occhi fissi in quelli dell’altro. - Ma pagherai per questa merda, finocchio. Pagherà, non è vero, ragazzi? – Gli altri cinque esultarono a quella richiesta e Tommy vide il sorrisetto compiaciuto di Shane allargarsi e il suo respiro accorciarsi in preda all’euforia. - Pagherà per sé e per quello che se lo scopa.

Tommy deglutì a fatica, quegli occhi verdi brillanti di eccitazione che parevano ardere di fuoco vivo che si godevano ogni stilla del suo terrore non gli davano tregua, ma il momento peggiore arrivò quando sentì i ragazzi alle sue spalle obbedire al cenno del capo, sottrarlo alla sua presa e bloccargli entrambe le braccia dietro la schiena per immobilizzarlo mentre Shane si scavava nella tasca della giacca con la mano destra. Quando ne riemerse con un coltellino intarsiato in oro bianco, il diciassettenne sentì la gola seccarsi di colpo mentre ogni goccia di sangue gli defluiva dal volto.

- N- no – balbettò, il cuore a mille e gli occhi spalancati fissi sulla lama, i muscoli di pietra. – No, aspetta...

- Tenetelo fermo – ordinò però Shane, più aizzato che rabbonito dalle preghiere del ragazzo, colmando la brevissima distanza che li separava per potergli soffiare l’essenza del proprio potere sulla faccia, la punta affilata dell’arma già appoggiata un centimetro sotto le sue labbra. - Poi mi dici se ti piace di più questo o farti inculare a sangue dalla tua puttana, frocio di merda.

 

Solo allora Tommy smise di parlare e per parecchi secondi non si azzardò nemmeno a riprendere fiato. Quando infine dovette farlo fu rumoroso, forse risultò addirittura fragoroso nel silenzio assoluto che era calato nella cucina dell’appartamento, come se l’attenzione di tutto l’universo si fosse concentrata sul suo racconto. In realtà l’unico ad ascoltarlo era stato Adam, Adam che stava stringendo i pugni fino a farsi male per trattenere la rabbia e sfogarla su chi se lo meritava, Adam che si ostinava a fissare le unghie dell’altro che grattavano il tavolo e i suoi occhi bassi nella testarda speranza che si rialzassero a cercare i propri.

- Aveva un coltello e me lo teneva puntato contro la faccia – riprese la voce roca di Tommy dopo secoli. - Io ho avuto paura, stavo... stavo per pisciarmi addosso.

Il ventiduenne inghiottì bile e risentimento, ma i suoi occhi celesti rimasero fermi sulle palpebre calate del più piccolo. - Continua.

- Allora gli ho detto l'unica cosa che avrebbe potuto fermarlo, gli ho detto… - S’interruppe, prese un respiro profondo e deglutì, in preda all’ansia. Infine si convinse a fare il passo che sapeva Adam stava aspettando, tornando a far rispecchiare l’inquietudine e il profondo dispiacere delle sue iridi nocciola negli occhi del più grande, occhi pieni di tutto, prima di riprendere, umettandosi le labbra aride: - Gli ho detto che non è vero che sono gay. E che... che mi ha visto con te perché ho perso una scommessa con degli amici.

Quelle parole colpirono nel segno, come Tommy si era aspettato, ma non fecero così male. Forse perché Adam capì fin dal primo momento, senza nemmeno sentire il bisogno di accertarsene chiedendoglielo, che Tommy non era mai stato sincero nell’atto di pronunciarle, che era stato costretto a difendersi in quel modo dalle circostanze, o forse perché in quel momento era troppo infuriato con chi si era rivelato la causa della tremenda crisi delle ultime settimane. Ad ogni modo tutto quello che riuscì a cavarsi di bocca fu un sospiro, e una mano corse alla nuca in segno di esasperazione.

- Se ci ha creduto è ancora più idiota di quello che pensavo – commentò quindi, alzando le sopracciglia in direzione di Tommy, che alzò le spalle.

- Ci ha creduto, o ha fatto finta. Fatto sta che ha messo via il coltello e mi ha detto che avrei dovuto provare che fosse la verità – spiegò, deglutendo di nuovo.

- E come avresti dovuto dimostrarlo? – tenne duro Adam, continuando a guardarlo.

Non era arrabbiato con lui e avrebbe davvero voluto farglielo capire immediatamente, senza altri indugi, perché potesse tranquillizzarsi almeno su quel fronte, ma c’era qualcosa che glielo impediva ed era l’ira che lo consumava dentro alla semplice idea che un arrogante e vanaglorioso bulletto se la fosse presa con il suo ragazzo, osando maltrattarlo al punto da minacciarlo con un coltello. Quel bulletto di merda, insignificante figlio di puttana a cui Tommy aveva evitato di dare un nome mentre raccontava, ma la cui identità Adam si sarebbe premurato di scoprire al più presto.

Tommy Joe, comunque, che avesse compreso o no che il rancore del maggiore non era diretto contro di lui, sembrava ormai talmente rapito dall’esigenza di buttare fuori tutto in una volta sola che continuò a parlare senza farsi troppi problemi, debitamente incoraggiato dal suo ragazzo.

- Provando la mia mascolinità, secondo lui. Uscendo a ubriacarmi con lui e gli altri – rispose finalmente. - Disse che se non fossi riuscito a convincerlo avrebbe fatto giustizia prendendosela con tutti e due, sia me che te. Ha detto che sa come rintracciare chiunque e farlo rimpiangere di essere uno… uno scherzo della natura.

Adam dubitava fortemente che fosse stato quello l’epiteto usato dallo stronzetto, ma non ritenne opportuno né tantomeno utile insistere su quel punto quando era finalmente riuscito a spingere Tommy verso il centro nevralgico della questione.

- È quindi questa l'origine di tutti i problemi? – chiese, ancora una volta cercando di tenere a bada il fuoco che gli bruciava dentro, perché non era Tommy quello contro il quale aveva intenzione di sfogarsi. I suoi occhi nei propri erano stanchi, ma dolcissimi, e questo aiutò il maggiore a rivolgerglisi solo con l’infinito affetto che provava per lui in quel momento. - I ritardi, il ritorno all'alcol, il nervosismo, le preoccupazioni date a Rick e Julie, il tuo comportamento con me... tutto a causa di questi bulli?

- Sì – esalò Tommy, ora completamente privo di esitazioni. - Mi dispiace, Ad, sul serio, io...

- Lo so – annuì il più grande, pronunciando quelle semplicissime due parole sottovoce nella speranza che ciò lo confortasse, e la trovata parve funzionare, perché il diciassettenne gli rivolse un’occhiata stupita prima di inumidirsi ancora le labbra e andare più a fondo nel problema.

- Mi avevano già picchiato e fatto scherzi nei corridoi in passato, non ero l’unico e non era mai stato un problema gestirli. Si erano sempre accontentati di poco prima di togliersi di torno – spiegò. - Ma quella volta e tutte le successive in cui sono stato al gioco, li ho seguiti e ho bevuto tutto quello che mi hanno dato, l’ho fatto perché ero spaventato a morte che potessero prendersela anche con te.

Quelle parole meravigliarono Adam al punto da fargli sbarrare gli occhi e farlo indietreggiare un poco, quindi sulle labbra gli nacque un sorriso che Tommy non notò finché il ventiduenne non riprese la parola, dandosi da fare per restituire un po’ di intimità al silenzio fra loro.

- Dire che nessuno è mai stato così generoso e protettivo nei miei confronti sarebbe riduttivo. Esporti in questo modo e passare quello che hai passato per proteggere me – ponderò, per poi scuotere la testa quando Tommy lo guardò allibito dalla gioia del suo sorriso. – Sul serio, amore, come hai potuto credere anche solo per un secondo che tutto questo potesse farmi venir voglia di lasciarti? Mi viene voglia di spaccare il mondo, prima di tutto la faccia di quegli stronzi, ma credo di essermi appena innamorato per la seconda volta – Deciso a non darla vinta alla sua incredulità, gli afferrò entrambe le mani con decisione, non permettendogli di distogliere lo sguardo dai suoi occhi. – Ti sei sacrificato per me, ti rendi conto? Come potrei avercela con te per questo?

Tommy non scappò, ma prese un respiro esagerato prima di replicare con un filo di voce, serio e ancora teso.

- Pur di tirarmene fuori ho rinnegato me stesso. Gli ho detto che non sono...

- Frocio – terminò Adam senza esitare, né prima di pronunciare quella parola né dopo, quando il turbamento di Tommy cominciò a pesare. - Loro ti avranno chiamato così, scommetto. E tu avrai risposto usando lo stesso termine, per non tradirti usando un termine più delicato, più femmineo come gay. Mi sbaglio? – perseverò allora, determinato a tirarlo fuori da quella palude d’incertezza. - Ma mi dici come avresti potuto evitarlo? Quelli erano una banda, ti attaccavano e tu eri solo. Non voglio neanche pensare a cosa avrebbero potuto farti.

Tommy deglutì, una scintilla di fede negli occhi, finalmente, e come ogni anima in via di guarigione diede fondo a ogni dubbio per mettere alla prova la convinzione di Adam assieme alla propria.

- Resta il fatto che ho tradito ciò che sono.

- Ma puoi perdonarti quando vuoi – ribatté il più grande, saldo.

- Ho tradito te - proseguì Tommy, e solo in quel momento Adam si rese conto che aveva gli occhi pieni di lacrime. - Ho detto che non sei il mio ragazzo.

Intenerito dalla sincerità del suo rammarico, Adam sorrise con dolcezza, stringendogli le mani con affetto. - Lo sono ancora?

- Oh, Ad…

- Se tu mi giuri che, dovesse succedere di nuovo qualcosa del genere, verrai dritto filato a dirmelo, io ti perdono – giurò, più sincero che mai, allungando una carezza decisa al braccio del diciassettenne così da non permettergli di distrarsi. - Io ti perdono.

Tommy aprì la bocca per parlare, ma la prima volta non ne uscì alcun suono. Dovette accettare la necessità di sfogarsi attraverso il pianto e lasciare che qualche lacrima gli scivolasse lungo le guance prima di riuscire a mettere insieme le poche parole che gli servivano. - Io… io sono fiero di essere ciò che sono.

- E allora perdonati anche tu e va' avanti! – lo esortò Adam, entusiasta di quell’indispensabile passo avanti, e senza più trattenersi si alzò per raggiungerlo, accucciarsi davanti alla sedia sulla quale stava seduto e prendergli il viso tra le mani. Le due iridi color del cielo non abbandonarono un secondo gli occhi di Tommy mentre le parole fluivano direttamente dal cuore di Adam a quello del più piccolo, colpendolo in pieno e rinnovandone la voglia di vivere, e d’altra parte il più giovane si nutrì di quel discorso come di acqua fresca dopo settimane di arsura. - Ricordati questo, tesoro: chi sei rimane sempre, sempre, sempre più importante di ciò che fai. Perché di errori, stronzate e cose di cui poi ci si pente se ne fanno ogni giorno, ma nulla di tutto ciò potrà mai toglierci ciò che sentiamo di essere, hai capito? Sta a noi ritrovare la forza di continuare a proteggere chi siamo, mettendo una pietra sopra il passato e guardando avanti, sempre. Ricordi? È più o meno quello che mi hai detto anche tu ieri. È bello che ci rimbalziamo i consigli, no? – lo distrasse infine, scompigliandogli i capelli e aspettando di vedere uno dei suoi sorrisi prima di tornare a carezzargli gli zigomi con i pollici, nella voce il fremito di un vigore rinnovato, incrollabile. - La prossima volta sarai più forte.

Il sorriso che Tommy gli donò a quel punto, finalmente onesto e pronto al prossimo passo, gli diede nuove energie così come la sua domanda trasformò i suoi piani di rivalsa campati per aria in certezze senza difetti.

- E spaccherò la faccia a quegli stronzi?

Adam rifletté, sorrise e si mise di nuovo in piedi per potersi chinare a baciarlo sulle labbra con lenta dedizione.

- Magari la prossima volta sì – sussurrò una volta separatosi dalla bocca del più piccolo, ed ergendosi completamente lo circondò con le braccia per poterlo attirare a sé, facendogli appoggiare un lato del viso al proprio stomaco per poter crogiolarsi nell’illusione di poterlo proteggere, sempre e comunque, mentre siglava con parole di fuoco il suo trepidante desiderio di vendetta. - Ma questa volta sono miei.

 

 

 

 

 

 


 

 

* Dalla tragedia di Shakespeare “Romeo e Giulietta”.



   
 
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