Song For The Dead
Il villaggio è circondato da boschi scuri. Pare così piccolo e indifeso rispetto agli alti alberi, alle radici possenti che sembrano quasi sollevarsi da terra. Il villaggio è modesto e silenzioso e gli alberi sono così vicini che i loro rami bussano sulle finestre delle case di confine.
Toc toc
Quando c’è vento, c’è sempre qualcuno che sussurra “Chi è ?”
***
Per tre notti Aube sente la musica. Il padre le dice che è solo la sua immaginazione, il fratello ride di lei, la sorellina le dice di smetterla perché la sta spaventando, ma per tre notti Aube sente la musica.
***
Il villaggio è tetro. I bambini non urlano per le strade, rincorrendo un pallone. Questo non si addice a dei bravi bambini. E’ ora della preghiera perché le campane della chiesa lo annunciano. Le campane sono le messaggere di Dio. E suonano. Tre rintocchi bassi e vibranti. Congiungete le mani, peccatori. E’ l’ora della preghiera.
***
La quarta notte, Aube giace sul materasso opaco, coperta dalla trapunta cucita dalla madre. Ha gli occhi chiusi ma non dorme. Aspetta.. Aspetta che il silenzio si riempia. Di musica. Ed ecco le note, sconfiggono il silenzio, lo fanno scoppiare. Le campane sono messaggere di Dio. Perché questa musica non dovrebbe esserlo?
“Perché la senti solo tu!”
Lo schiaffo del padre segna crudelmente la guancia.
“Non te lo dirò di nuovo, Aube. Smettila con queste sciocchezze. Non ci sono violini che suonano di notte.”
***
E’ un villaggio di brava gente. Non sfidano il demonio raccontando strane storie. Perché spaventare i bambini? Sono le vite dei santi ad essere degne di ascolto. Non c’è leggenda o favola suggestiva che possa affievolire la luce di Dio e della ragione.
***
Il parroco dice al padre di Aube di lasciare in pace la bambina. Non è facile perdere la madre. E’ perfettamente comprensibile che la piccola si rifugi in strani sogni, corbellerie. Niente di strano, tutto spiegabile.
“Prega per la piccola, Thomas.” Prega per tua figlia.
***
I violini disturbano il quieto sonno di Aube. Ancora leggermente assonnata, la bimba si assicura di non sognare. No, è tutto reale. Quella bellissima musica proviene dall’esterno e suona solo per lei. Per la prima volta ha il coraggio di alzarsi e abbandonare il rifugio del lettino. Trema con la sola camicia da notte, i piedini nudi sul pavimento di legno. Si avvicina alla finestra con calma e circospezione. Non ha paura, semplicemente teme di rompere l’incantesimo. Di scatenare qualcosa che faccia scomparire la musica per sempre. Si affaccia, appoggia la fronte al vetro freddo, il contatto le infonde un senso di quieto benessere, eppure trema nell’aria invernale. Fuori è troppo buio, non riesce a distinguere nulla, c’è solo l’oscurità più completa. Torna sui suoi passi, cercando di fare il meno rumore possibile. Pensa alla sorellina che dorme tranquilla, pensa al padre che la sgriderebbe se la trovasse sveglia. Si siede sul bordo del letto e infila gli scarponcini che indossa durante il giorno. Sopra la camicia da notte mette un manto foderato di pelliccia.
Sa cosa deve fare.
Fuori sembra esserci solo musica e vento, non avverte nient’altro, Aube. S’incammina verso il bosco, reggendo una piccola lanterna per illuminare il cammino. Tra sé e sé pensa che potrebbe anche farne a meno, riuscirebbe a trovare la fonte di quella musica anche ad occhi chiusi.
E’ nel bosco, adesso. Ci sono rovi e rami dalle forme inquietanti, ma ci sono anche le stelle e i suoi violini.
I
suo violini.
Segue
la musica fino ad una radura, illuminata dalla luce della luna. Eccola
lì, la
violinista, sola. Eppure da quell’unico violino sembra uscire
la melodia di un’
orchestra intera. Le mani tremano sulle corde del suo strumento,
l’archetto
vola sicuro. La donna è bruna, con la pelle chiara come i
raggi della luna.
Tiene gli occhi chiusi, la fronte rivolta verso le stelle. Gli strati del suo abito
nero sembrano
stranamente leggeri, gravitano intorno al corpo esile, tulle contro il
cielo,
come una strana nuvola portatrice di pioggia.
Aube
non può far altro che osservarla, immobile, rapita.
Alla fine della sinfonia, la violinista apre gli occhi e sorride ad Aube.
E’ un sorriso terribile che stride nella notte, che urla nelle orecchie di Aube. La bambina cade in ginocchio e quasi griderebbe da quanto è doloroso quel sorriso. E improvvisamente Aube capisce che quella musica non è messaggera di Dio, che il suo Dio non abita in quella radura.
Ed è troppo.
Improvvisamente tutto è troppo per la piccola Aube.
Scappa, graffiata dai rami, ma dietro ogni angolo, nel silenzio, c’è quel sorriso.
***
Thomas sa che sua figlia non
è nel suo letto.
Lo sa. Rimane sdraiato al buio, non ha alcun bisogno di alzarsi e
andare a
controllare. E allora rimane nel suo letto, gli occhi rivolti verso un
soffitto
inesistente, perso nell’oscurità. Thomas sa che
sua figlia sta seguendo quella
musica. La maledetta musica che la divide e la isola dal mondo intero.
“E’
pazza”
Lo
mormora nel buio, Thomas, e sente il cuore spezzarsi. Perché
voleva solo essere
un buon padre. Solo guadagnarsi un angolo di paradiso. Ma la piccola
è pazza e
lui non sa come aiutarla. Come non ha saputo aiutare sua moglie. La sua
bellissima, tormentata moglie.
“E’
pazza come sua madre”
Rapite
dalla musica. Da quei maledetti violini.
***
Aube
arriva casa e ha il fiatone. I battiti del suo cuore le sembrano
assordanti.
Sveglierà tutta la casa, ne è sicura. Invece
nessuno sembra accorgersi del suo
rientro. Nella piccola casa regna il silenzio. Aube si raggomitola
sotto le
coperte e sotterra la testa sotto il cuscino. Piange, piange, piange e
non sa
il perché.
***
Il giorno dopo Aube vaga nel villaggio. Guarda i più piccoli correre verso la scuola nel vento. Ascolta le campane, con attenzione, con devozione, ma non riesce ad amare la loro musica quanto quella dei violini. Si ritrova a desiderare le mani tremanti della violinista solitaria, pensa che forse il suo terribile sorriso non è altro che il prezzo da pagare.
***
La
sesta notte la musica non arriva. Aube attende, impaziente, ma intorno
a lei
c’è solo il silenzio. Si alza dal letto e apre la
finestrella, rimane in
ascolto ma non sente nulla, tranne le cicale.
Vuole
la sua musica.
Ancora una volta si
avventura nella notte. Non
prende neppure il mantello, neppure la lanterna o gli scarponcini. Si
trascina
nel gelo, contro il vento sferzante e doloroso, contro
l’oscurità. Alla radura
non c’è nessuno. La bambina siede contro un
albero, si raggomitola su se stessa
e cerca di controllare le lacrime. Ha tradito la violinista,
è scappata, ed ora
non potrà più sentire quella bellissima musica.
Alza lo sguardo, per vedere le
stelle, ma il cielo è basso, nuvoloso, portatore di neve. E
infatti, dopo poco,
fiocchi gelati cominciano a cadere pungendole il viso, le braccia nude,
i
piedi, che tenta di riparare sotto la camicia da notte. Vorrebbe
alzarsi,
correre a casa, nascondersi sotto le coperte e dimenticare per sempre
la
violinista, ma rimane. Pensa che forse, se dimostrerà di
essere forte, di non
avere paura, la musica tornerà da lei. Riavrà la
musica se ne paga il prezzo.
E’
ormai coperta dalla neve, non sente più nulla, quasi neanche
il freddo,
combatte contro il sonno ma le palpebre le si stanno chiudendo. Sta per
sprofondare nel buio quando da lontano, trasportata dal vento arriva la
melodia.
La piccola vorrebbe muoversi, andare incontro la musica, ma non ci
riesce.
Allora rimane distesa, con gli occhi ormai chiusi, ma un sorriso
crepitante si
fa largo su suo volto.
***
“Assiderata.
Morta assiderata”
Eccola
lì tua figlia, Thomas. Un mucchietto di ossa mezzo
sotterrato dalla neve. Il
medico del villaggio non smette di girarle intorno, controllando, dando
istruzioni, ripetendo la diagnosi, come se per aver indovinato gli
aspettasse
un premio.
Il
parroco parla a Thomas. La sua voce è bassa, elegante e
controllata. Ha le
risposte, tutte le risposte. Thomas guarda in avanti, vitreo, cercando
di
convincersi che sì, è così, che sua
figlia è una angelo adesso. Che sua figlia
è vicina alla musica dei cieli. Ma intimamente sa che non
è vero, lo vede dal
sorriso sbilenco che le illumina il volto pallido, lo stesso sorriso
che
indossava sua moglie in fondo a quel precipizio. Non è in
cielo, non è neppure
vicina al cielo.
Il
parroco continua a parlare ma l’uomo non lo bada neppure; ha
lo sguardo perso
tra gli alberi, le orecchie tese alle fronde, perché oltre
il fruscio delle
foglie può quasi sentirla: la melodia di mille violini.