-Lah?- chiese intimorita Bulma fissando il paesaggio che le si
presentava sotto gli occhi e deglutendo rumorosamente.
-Si?- fece lui di rimando.
-Non credo che questo sia il modo giusto- fece lei adirata in un
misto tra scocciata, per essere stata rapita e portata a qualche metro
di
troppo dal suolo, e impaurita; timorosa per la sua sorte una volta che
il
piccolo avesse messo in atto il suo piano, che lui riteneva geniale e,
infallibile.
-Si invece, sono sicuro che prenderai un tale spavento che volerai
pur salvarti la pelle- disse lui con aria esperta, sicuro dei suoi
metodi
educativi.
-Ma se davvero poi non funziona? A questa altezza non ce la
farò a
rimanere intera- disse sperando di persuaderlo a desistere dal suo
intento.
-Se continuerai ad agitarti così cadrai prima del tempo,
andrà
tutto bene, se non ci riesci ti vengo a recuperare io prima che tocchi
terra-
disse barcollando un po’ salendo ulteriormente, quotando bene
quale fosse
l’altezza giusta da cui far precipitare Bulma.
Lei fissò di nuovo il tratto boschivo che stavano sorvolando
valutando bene le parole del piccolo, ponderando la sua decisione per
stabilire
se fosse il caso di fidarsi.
“Assolutamente no!”
-Ci ho ripensato- disse aggrappandosi al collo di Lah e stringendo
più che poteva la presa sulle sue spalle – Non
voglio imparare a volare, mi
porterai tu sulle spalle ogni volta- continuò in preda a una
vertigine mentre
cercava di non guardare più la coltre verde sotto di loro.
-Bulma staccati- la incoraggiava tentando di levarsela di dosso.
-Bulma mi fai perdere l’equilibrio. Bulma!!! Bulma,
staccati!!!
Per tutta risposta lei cominciò a piangere
–No!!!Io non salto.
Sono troppo giovane e bella!Voglio tornare a casa!-
piagnucolò lei.
Lah stava pericolosamente perdendo quota e stabilità, oltre
che
alla poca pazienza di cui un bambino di otto anni è munito
In oltre, per lui, il peso di Bulma non era indifferente e
già era
un prodigio se era riuscito a salire fin là su trascinandosi
dietro la ragazza.
-Smettila di agitarti- imprecò lui tentando di calmarla
mentre
scalciava, si dibatteva, piangeva e implorava -Lah! Portami
giù!Portami giù!-
-Se non la smetti finiamo giù tutti e due-
Bulma ignorò le sue raccomandazioni continuando a
sbracciarsi in
preda al panico.
-Bhuaaaaahaha voglio scendere. Fammi scendere-
-Bulma basta- si
ritrovò a
urlare lui.
In quel momento caddero: Lah aveva perso forze ed equilibrio.
-Lah fa qualcosa- strepitò lei.
-Non posso! Pesi troppo- le urlò di rimando lui con un tono
che
sapeva fin troppo di insulto.
-Cosa!? Come ti permetti brutto…- e mentre nelle frazioni di
secondi seguenti Bulma esponeva al piccolo Lah ciò che
pensava di lui con
appellativi poco lusinghieri, la loro caduta venne interrotta.
Bulma cacciò un urlo che echeggiò per tutto il
bosco: era stata
afferrata per la coda, riprese i suoi mugolii sommessi
poiché non voleva dare a
vedere al suo salvatore che stava piangendo.
-Ahia mi fai male, fammi scendere, lasciami- inveì lei
riprendendo
a scalciare, il che ebbe, come unica conseguenza, quella del rafforzare
la
stretta sulla sua protuberanza per evitare che cadesse.
E quindi: più dolore.
-Sta zitta altrimenti ti lascio per davvero- la riprese una voce
femminile.
Bulma guardò la sua salvatrice che ora si rivolgeva al
piccolo
Lah, il quale era saldamente tenuto per
l’estremità della tunica rossa che
indossava, e veniva guardato con rimprovero.
-Lah!Ma che cosa ti è saltato in testa?-
Il piccolo abbassò lo sguardo colpevole, non vedendo come
sottrarsi alla paternale alla quale la madre, ne era certo,
l’avrebbe
sottoposto.
-Volevi gettarla da questa altezza? Dovresti vergognarti-
Bulma aveva dipinta in volto un espressione da povera vittima di
uno sbaglio altrui provando un sottile piacere nel vederlo in
difficoltà.
Decise di intervenire per vendicarsi per averla esposta ad un
simile pericolo.
-Io te l’avevo detto- disse con un sorrisetto appagato.
Lo sguardo inclemente di Maya si andò a incrociare con gli
occhi
azzurri della ragazza che ancora fissavano Lah.
-E tu signorina- la richiamò Maya.
-Più tardi discuteremo del modo in cui ti dimenavi
lassù
rischiando la tua vita e quella di mio figlio e delle parole poco
carine che
gli hai rivolto-
L’immaginaria aureola dell’innocenza si
spostò dalla testa
foltamente coperta di capelli azzurri di Bulma a quella viola e munita
di
antenne del piccolo Lah, il quale non perse tempo a deridere Bulma
facendole la
linguaccia.
Maya sospirò –Siete proprio impossibili! Coraggio
Bulma! Conosco
un metodo migliore per farti imparare a volare-
Quest’ultima frase venne pronunciata guardando
significativamente
Lah che di nuovo abbassò umilmente lo sguardo sentendosi,
nuovamente,
responsabile e intrecciando le dita delle manine dietro la schiena.
Maya scese lentamente di quota andandosi a posare nel mezzo di uno
spiazzo erboso.
Bulma si massaggiò la radice della coda azzurra lamentandosi
sommessamente.
Lah intanto, una volta liberatosi dalla presa di Maya, si era
alzato in volo e si era andato ad appollaiare sul ramo di un albero per
osservare la lezione della sua mamma.
-Bulma per favore alzati- disse facendole segno con la mano di
avvicinarsi.
Una volta vicina le afferrò la coda e le alzò la
gonna.
Indispettita Bulma si divincolò dalla presa di Maya, ma
questa
l’ammonì con uno strattone che la fece gemere.
-Sta ferma!Vuoi che la coda ti sia di intralcio mentre ti
eserciti? Bada che ci vuole molta concentrazione- la avvisò
mentre le legava la
striscia di pelo azzurro in un nodo e lo nascondeva sotto le tulle
della gonna.
Bulma si girò con le braccia incrociate e un aria piuttosto
stizzita e indignata.
-Non sarà poi così difficile, io sono la grande
Bulma Brief, non
sarà un impresa per me-
Maya portò le braccia incrociate al petto e la
guardò con aria di
sfida.
-Allora potrai benissimo imparare da sola- intimò lei
avviandosi
verso l’albero sul cui ramo più grosso si era
accovacciato suo figlio.
-Ehi aspetta! E io che dovrei fare qui?- disse allargando le
braccia per indicare il piccolo spiazzo verde.
-Sei tu la grande Bulma… come hai detto che ti
chiami…ah si…
Brief, non sarà un impresa per te capire come si impara- la
canzonò lei.
Bulma strinse i pugni; non aveva voglia ne tempo di discutere o di
essere garbatamente presa in giro.
-Va bene! Scusami! Adesso mi puoi insegnare?- fece lei tentando di
essere il più umile possibile, ma dando a vedere di essere,
solo, molto
seccata.
-Va bene- disse con un sorrisetto soddisfatto lei, riavvicinandosi.
-Mettiti qui al centro della radura- disse indicandole un punto
indefinito nel centro della piccola piazza verde.
Bulma le obbedì e si posizionò dove le aveva
indicato.
-Bene- fece lei.
-Per cominciare- e le mise una mano sulla spalla – devi
essere
molto concentrata e rilassata, distendi i muscoli, devi solo rimanere
qui,
respirare e cercare di non pensare a null’altro se non a
volare, sentiti
leggera- disse lei come se si trattasse davvero di una cosa semplice.
Bulma sbatte un paio di volte le palpebre prima di formulare una
frase di senso compiuto –Tutto qui?-
Si pentì subito di quel che aveva proferito e
puntò gli occhi
verso il basso per dare ad intendere che si era ravveduta, ma Maya
rimase calma
e addirittura le sorrise.
-Provaci- le disse con tutta la tranquillità di cui era
dotata e
si allontanò da Bulma per lasciarle lo spazio necessario,
raggiungendo il
figlio.
Si distese all’ombra dell’ albero che era diventato
la postazione
di osservazione del figlio e osservò la scena godendo del
fresco.
Bulma cominciò a dondolare le braccia avanti e indietro
insieme al
corpo e quando le parve che i muscoli delle gambe fossero
sufficientemente
distesi provò a rilassare anche la mente, come le aveva
consigliato Maya.
Si mise in punta di piedi, forse, attendendo che una forza
misteriosa la sollevasse dal suolo.
Più il tempo passava più si adirava vedendo il
piccolo Lah
rincorrere, volando, una farfalla dalle ali di un giallo acceso.
Un moccioso di otto anni volava come un uccellino e lei, la grande
Bulma Brief, non ci riusciva.
Rivolse un astioso sguardo a Maya che se ne stava pigramente
distesa a osservare le nuvole correre spinte via veloci dal vento che
fischiava
e sibilava tra gli alberi della foresta.
-Ehi- la richiamò.
Con tutta la pacatezza del mondo Maya alzò lo sguardo calma
e
sorridente, il che fece inasprire ancor di più Bulma.
-Hai intenzione di aiutarmi?Vorrei imparare a volare il prima
possibile- disse incrociando le braccia al petto imbronciandosi come
una bimba
capricciosa stanca di aspettare.
Maya raccolse una margherita prendendo a sfiorare i petali con le
affusolate dita violacee minacciando di strapparli e attorcigliandone
il gambo.
-Allora?-
Maya non staccò gli occhi dal fiore che aveva avuto la
sfortuna di
cadere tra le sue mani.
-Credevo che ci saresti riuscita da sola-
Bulma la fissò adirata, stava forse mettendo in dubbio le
sue
capacità?
-Come sarebbe a dire?-
Maya lasciò la margherita al suo destino e prese a
armeggiare con
la sacca che si era portata dietro.
-Ci vuole circa un anno per imparare a controllare la propria
energia- proseguì estraendo oggetti più o meno
inutile dal contenitore –per
volare è necessario avere un minimo di questo controllo,
forse esiste un modo
per aiutarti a concentrarti -
Estrasse dalla borsa in tela un oggetto lungo e lucido.
-Siediti e riprova-
Bulma si gonfiò di indignazione sbuffando scocciata e
obbedendo al
comando ricevuto.
Una volta seduta prese a torturare i fili d’erba con le dita
guardando di sottecchi Maya che continuava a brigare con
l’oggetto.
-Rimani concentrata- intimò lei senza neanche guardarla.
Bulma sbuffò sempre più seccata e decise che il
modo migliore per
rilassarsi; era imporsi di non guardare quella donna così
irritante e chiuse
gli occhi.
Tentò di distendere il suo volto crucciato in un espressione
più
rilassata, riuscendoci.
Respirò a pieni polmoni l’aria che le soffiava in
faccia svuotando
la mente e rilassandosi a tal punto che avrebbe potuto addormentarsi
con quel
silenzio.
La quiete fu rotta dal suono modulato di un flauto.
In uno stato in villico tra la consapevolezza e il torpore che
precede un sonno lungo e pesante schiuse infastidita una palpebra per
constatare che Maya soffiava in uno strumento lungo e sottile, muovendo
le sue
dita affusolate sopra i fori dell’arnese.
Ad ogni soffio un suono melodico riempiva l’aria e Lah
cominciò a
dondolare le gambe che penzolavano dal ramo al ritmo della musica.
Bulma richiuse l’occhi e smise di spiare l’ambiente
circostante,
lentamente la musica flemmatica cominciò a modificarsi,
divenne un continuo
trillare, un ritmo incalzante e orecchiabile.
Maya muoveva veloce le dita sui buchi dello strumento musicale e
cominciò a tenere il ritmo della musica battendo il piede
sull’erba umida.
Bulma seguiva le note con attenzione e dopo l’ennesimo
ritornello
era in grado di prevederne il corso, inconsciamente cominciò
a canticchiarla
senza che le sue labbra si dischiudessero le sue corde vocali
cominciarono a
intonare le strofe e i ritornelli e ogni qual volta la canzoncina si
esauriva e
terminava con un suono lento e di volume decrescente riprendeva
dall’inizio.
Lentamente, quasi a millimetri cominciò a sollevarsi da
terra, i
fili d’erba le sfioravano le gambe nude e l’orlo del
vestito non si era ancora
completamente staccato dal suolo, ma… levitava anche se di
pochi millimetri
levitava, come sollevata da un vento che soffiava dal basso verso
l’alto.
I suoi capelli cominciarono a svolazzare verso il cielo e
ricadendole sul viso.
Questa brezza in grado di farle vincere la gravità sembrava
soffiare a intervalli, ogni volta che veniva a mancare per qualche
frazione di
secondo Maya e Lah sussultavano, pronti a scattare nella direzione di
Bulma.
L’orlo del suo vestito cominciò a staccarsi
dall’erba, umido per
il terriccio bagnato e la gonna cominciò a gonfiarsi del
vento che tirava.
Bulma aveva assunto un’espressione corrugata, come se fosse
alle
prese con il problema tecnico del motore più complicato che
suo padre avesse
mai costruito.
Le gambe incrociate, le mani serrate sulle gambe, gli occhi chiusi
e il vento che la trascinava in alto sempre più verso
una nube.
Ormai aveva superato l’altezza dell’albero dove si
era sistemato
Lah e Maya la osservava con il naso all’insù
sempre suonando il flauto.
La musica cominciava ad allontanarsi divenendo, con lentezza,
gradualmente più fievole fino a diventare un lontano
mormorare.
Il freddo cominciava a pungerle il viso come aghi di ghiaccio,
l’umidità a cui andava in contro tra le nuvole si
faceva sentire sulla sua
pelle e l’aria di fece più rarefatta.
Ormai era ad un’altezza non indifferente e la musica non
poteva
più essere distinguibile dalla voce del vento.
La presa con cui stringeva i lembi del suo vestito cominciò
ad
attenuarsi rilassò i muscoli del viso e lentamente
aprì gli occhi.
-Maya?-
Gli occhi adesso erano spalancati sul vuoto davanti a lei, solo
una fitta nebbia umida la avvolgeva senza lasciar intravvedere un
fazzoletto di
cielo azzurro.
Era finita nel bel mezzo di una nuvola.
Da lontano poteva sembrare qualcosa che aveva una consistenza,
morbida e fresca come un cuscino, un materasso accogliete dove
sprofondare per
fare un sonnellino, simile al coton fioc, alla morbida ovatta.
Da piccola molto spesso si era chiesta come sarebbe stato
toccarla, ma ora che c’era in mezzo capiva che si trattava di
una patina bianca
e grigia che impediva la vista, per niente morbida e comoda, solo
nebbia;
quella che contribuisce a dare una atmosfera lugubre e spettrale ai
film
dell’orrore, e, per di più, fredda.
Sussultò e sciolse le gambe che prima teneva incrociate
ritornando
in posizione eretta e irrigidendosi.
Il suo equilibrio già cominciava a vacillare, temeva che a
poco a
poco, la concentrazione, e la forza che la reggeva in aria, si
sarebbero
dissolte e lei sarebbe precipitata senza scampo.
La voce del flauto aveva del tutto smesso di intonare la canzone,
non si sentiva più quel mormorio così melodioso e
piacevole.
Si mise a canticchiarla di nuovo per farsi compagnia, per riempire
il silenzio, per non farsi prendere dal panico, per consolarsi.
-Bulma!-
La voce di Lah, una voce amica.
-Lah-
Pronunciato il nome Bulma vacillò, descrisse dei cerchi con
le
braccia per tenersi in equilibrio.
-Lah aiutatemi-
-Tranquilla Bulma ti recuperiamo- sta volta era la voce di Maya
-Rimani ferma dove sei e non provare a muoverti-
La stavano cercando, l’avrebbero portata giù, ma
perché ci
mettevano così tanto?
In una nube non potevano certo affidarsi alla vista… se solo
avesse potuto parlare, ma ogni minimo movimento, persino il vibrare
delle corde
vocali, sembrava sbilanciarla.
Riprese a canticchiare la canzone ma per poco non perse del tutto
la calma, per un momento i fili invisibili che ancora la teneva
sollevata e
precariamente al sicuro vennero a mancare, scese vertiginosamente di
quota e
cacciò un urlo ma come se le corde invisibili si fossero
improvvisamente tese
lei ritornò stabile e ferma.
Con gli occhi serrati e la coda che si era sciolta e che ora era
irrigidita dietro di lei sfiorò qualcosa.
Ritrasse il prolungamento al tocco freddo di qualcosa che sembrava
metallo e per poco non cadde all’indietro.
Lentamente si voltò per appurare chi si nascondesse dietro
di lei,
non potevano essere Maya o suo figlio, la avrebbero afferrata, non si
sarebbero
nascosti.
Lah era solo un bambino, era vero, poteva aver deciso di farle uno
scherzo idiota, ma non pensava che arrivasse a volerla spaventare in
una
situazione del genere, era troppo importante.
Metri e metri la separavano dal suolo, e, a tenerla ancora in aria
era la debole energia che aveva imparato a sprigionare.
Un bip proveniente da un apparecchio meccanico le fece irrigidire
ancora di più i muscoli della schiena, mentre un brivido le
attraverso la
schiena dall’estremità della coda fino al collo.
Gli occhi sbarrati davanti a se si rifiutavano cocciutamente di
guardare chi ci fosse dietro.
Un ombra velocissima le si parò davanti a qualche metro di
distanza, era a braccia incrociate, come se si aspettasse una mosso da
lei, ma,
una volta che ebbe chiuso e riaperto le palpebre non’ era
più svanita come un
miraggio.
Sbatte ancora un paio di volte le palpebre ma non riapparve.
Si rassegnò a pensare che, con tutto quello che le stava
capitando, si stava suggestionando da sola quando sentì un
respiro caldo sul
suo collo.
Sbarrò gli occhi e si voltò di scatto, ma quel
movimento riflesso
fu sufficiente da far svanire completamente la forza che la salvava da
un salto
nel vuoto.
Scese di quota di alcuni centimetri quando senti una stretta forte
e dolorosa al suo polso.
Da li poteva distinguere le diverse sfumature di verde delle
colline che si stendevano sotto di lei che diveniva quasi marrone a
causa
dell’erba secca e gialla. Poteva vedere le nubi che si
facevano più rarefatte e
che venivano disperseda un vento gelido che aveva cominciato a soffiare.
La sua testa scattò in direzione del sostengo e della voce
che
disse.
- non sai neanche reggerti in volo sciocca bastarda mezzo sangue-
Quella parola la ferì più di quanto non avesse
potuto immaginare,
aveva sentito chiamare altra gente con quell’appellativo: a
scuola, per strada,
sull’autobus di ritorno a casa.
La fece sentire miserabile, cosa che non poteva mai aver provato a
casa sua tra tutte le comodità della sua ricca vita.
Lei una bastarda?
Per cosa?
Non era certo una figlia illegittima…o almeno non ricordava
di
esserlo…nessuno doveva insultare Bulma Brief nemmeno se
era…
Una volta girata vide un ragazzo.
Quanti anni poteva avere? Sedici? Diciassette?Aveva un bel viso
dai lineamenti duri e spigolosi, dei capelli ritti sulla testa, neri e
a forma
di fiamma con l’attaccatura dei a V e una fronte spaziosa e
ben disegnata.
Occhi neri tanto quanto i capelli, anzi più neri, quando
Bulma li
incrociò le sembro che silenziosamente la minacciassero di
morte, belli e
profondi.
Alla parola bastarda la stretta sul polso della ragazza si
rafforzò.
Bulma strinse i denti e affondò le unghie sui guanti dello
sconosciuto
sperando di raggiungere la carne.
Rise del suo patetico tentativo di fargli male, lesse nei suoi
occhi che l’offesa aveva sortito l’effetto sperato,
si era indignata a tal
punto da sfidarlo.
-Bastarda…-gli fece eco lei come se stesse analizzando la
parola
come per assimilarla, per non dimenticarla, per legarsela al dito, per
meglio
comprende il motivo dell’insulto
-Bastarda?- odio puro le passò negli occhi come
un bagliore improvviso
ed effimero, sibilò a bassa voce con la mascella serrata.
-Non osare mai
più…chiamarmi…così-Le sue
unghie stavano scavando
per ferirlo, rafforzò la stretta.
Il riso strafottente di Vegeta non era scomparso, anzi, si era
trasformato in una smorfia di intimo compiacimento e scherno.
-Cosa credi di fare? Mocciosa. Dovresti essermi grata, ti sto
salvando dal vuoto qui sotto- disse dando un occhiata al paesaggio- di
un’altra
parola e ti lascio andare.-
Bulma si morse il labbro livida di rabbia e inasprita.
Poteva leggerli in viso la soddisfazione di averla zittita.
La sollevò ancor di più in modo che i loro visi
fossero alla
stessa altezza, la fisso storcendo il naso.
-Mpf-
L’oculare che aveva fissato all’orecchio sinistro
segnalò un
numero scritto in giallo che risaltava sul vetro verde, Bulma lo lesse
al
contrario; era una cifra bassa.
Il congegno emise un suono
di allarme e una freccia sulla lente
segnalò la direzione alla sinistra dal ragazzo, subito
seguita da un altro
numero.
-Bulma!Bulma mi senti?-
“Lah”
-Il moccioso…-
Ebbe l’impressione che stessero salendo di quota, si
addentrarono
ancor di più nella nebbia, Bulma osservò prima il
basso, i prati che si
allontanavano che venivano ricoperti dalle nubi e poi la freccia sul
vetro
verde che ora, accano al numero segnava giù.
-Ti verremo a prendere- intimò il ragazzo, sembrava
più una
minaccia che una promessa-non sfuggirai alla luna-
Non riuscì a non farsi sfuggire una smorfia di terrore.
Il polso venne liberato dalla stretta e non ci fu più nulla
che
lei potesse fare per salvarsi.
Cadde nella nube osservando piena di rancore Vegeta che si godeva
la scena perfettamente immobile con il sorrisino che si
allargò ancor di più
sulla sua faccia.
Qualcosa la fermò, piuttosto lei cadde su qualcosa.
Si girò, sotto di lei c’era un sofferente Lah che
lottava per
resistere all’improvviso peso che gli era caduto in braccio.
-Bulma disse con la voce soffocata dallo sforzo.
-Lah!!!- esultò lei prima di rendersi conto che il ragazzo
poteva
ancora essere là, ma non c’era.
Se ne era andato, lasciandola con una minaccia.
Rabbrividì al pensiero della promessa che i suoi occhi
contenevano, rabbrividì al ghigno che aveva stampato in
faccia quando l’aveva
lasciata andare, rabbrividì al pensiero del piacere che
aveva visto nel suo
sguardo nel vederla impaurita,…rabbrividì.
“non sfuggirai alla luna...”
BulmaMiky:Lo so, lo so devo scrivere sopratutto per me stessa, in fondo è quello che fanno quelli di questo sito no? Scrivono principalmente per amore verso la lettura e verso i loro anime manga e tutti gli altri generi esistenti in questo sito, anche se un commentuccio fa sempre piacere riceverlo.
Umpa_lumpa 1:Grazie sono felice che ti piaccia sempre di più ( e naturalemnte sono felice che tu stia notando i miei miglioramenti, a detta tua, perchè questi "miglioramenti" io proprio non li vedo) mi fa piacere che tu abbia trovato comica la scena dove tentano di reciderle la coda, mi ha sorpreso perchè non era nata a scopo di far ridere ma doveva essere un semplice " intermezzo" ebbene si i guai ci saranno e sono presagiti anche da Vegeta in questo capitolo.
Umpa_lumpa 2: Non ti preoccupare mi
fa sl piacere ke tu recensisca (^^ancora resisto ai tuoi commenti)