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Autore: ilrumoredeipensieri    14/07/2014    3 recensioni
E non c’è bisogno di altro che i loro respiri spezzati dalla cornetta, delle mani che forse tremano, che vorrebbero cercarsi e trovarsi. In quel silenzio pendono domande che Luke non ha il coraggio di fare e risposte in cui Diana non è certa di credere davvero, ma forse è così che cominciano le cose importanti, con piccoli passi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sei -  Un po' più vicini

L’orario del lunedì è fortunatamente il più leggero della settimana: prima ora inglese; seconda e terza educazione fisica; la quarta invece è religione, che per Diana è sinonimo di ora buca. Inoltre, è in classe con Sunnie, il che è una vera benedizione perchè Dio solo sa come farebbe Diana senza le sue chiacchiere vuote a riempirle le orecchie quando non ha voglia di ascoltare il resto del mondo e le regole della scuola le impediscono di introdurre in classe apparecchi come cellulari o iPod.
Comunque, malgrado il regolamento che sembra ispirarsi all’epoca vittoriana e la divisa scolastica che castigherebbe chiunque, il Primrose High School non le dispiace più di tanto. I professori sono tutti sulla sessantina, piuttosto competenti e decisamente elastici, ad eccezione di Miss Lorane che ha trent’anni, dovrebbe insegnare matematica ma passa le ore di lezione a sfogliare rotocalchi e sbavare sulle immagini del principe Harry immaginando la vita a Buckingham. Gli studenti sono pressoché tutti di ceto medio, figli di liberi professionisti quando si tratta dei più ricchi e popolari e di lavoratori stipendiati nel resto dei casi. Una come Diana si confonde perfettamente nello strato intermedio. Niente abiti appariscenti che denotino ricchezza, né libri di terza mano per far saltare all’occhio la carenza di risorse. E’ assolutamente ordinaria. Può permettersi la retta della scuola grazie al sussidio di sua madre, ha un rendimento altalenante e un paio di note disciplinari di poco conto sul curriculum. Eppure Sunnie, figlia di un noto commercialista e della proprietaria di un negozio d’abiti nei pressi di Baker Street, l’ha scelta come amica. Sempre che ‘amicizia’ sia il termine adatto a definire il loro rapporto. Diana ascolta i suoi gossip, la accompagna a fare shopping, le consiglia lo smalto adatto e la mette in guardia quando si spinge troppo in là con ragazzi che non ne valgono la pena, sempre troppi. Con i capelli corvini e gli occhi da cerbiatta, Sunnie è la persona più egocentrica del quartiere, parla decisamente troppo e non è in grado di ascoltare ma in fondo è una persona genuina, solare e sa sorprenderti proprio quando meno te lo aspetti. A Diana mette il buonumore, cosa di cui ha quanto mai bisogno.
Ora sono sedute una accanto all’altra nei banchi in fondo all’aula, sono le 9.08 e la lezione d’inglese è agli sgoccioli.
Sunnie guarda Diana da dietro le lenti dei suoi occhiali da riposo rigorosamente griffati e dice:“D, stamattina ho visto James…”
“Mmh”
“Mi ha chiesto di te…”
Diana sbuffa.
“Vorrebbe parlarti”
“Ah”
“Ma che è successo fra voi due?” domanda Sunnie e la sua ignoraranza è giustificabile dato che Diana non le ha mai raccontato nulla, ammesso e non concesso che ci sia qualcosa da raccontare.

Sunnie, James e Diana erano amici sin dal primo anno di superiori. Si erano conosciuti quasi per caso fuori dai cancelli del liceo, accomunati dall’aria spaurita tipica del primo giorno di scuola. Avevano legato senza difficoltà scoprendo di avere gusti simili e opinioni concordanti.
James era bello già allora nonostante fosse poco più che un bambino ed è inutile dire che riscuotesse successo fra le ragazze, ma né a Sunnie né a Diana importava: da quel punto di vista nemmeno loro passavano inosservate.
Non condividevano le materie di lezione ma si vedevano spesso nel dopo-scuola e nei fine settimana;  il “Q”, un pub poco distante da Oxford Circus era il loro punto di ritrovo e “Shut Up!” dei Simple Plan la loro canzone.
Diana allora poteva dire di sentirsi serena e, perché no?, felice. Suo padre aveva divorziato da sua madre da meno di un anno e questa, firmati i documenti, era caduta vittima della sindrome post separazione coniugale non riuscendo a superarne il terzo stadio, ossia la depressione. Possedeva e possiede tuttora un lavoro in un ufficio pubblico ma sono più i giorni che trascorre sul letto imbottita di tranquillanti che non quelli spesi dietro alla scrivania, ma il sistema statale provvede a stipendiarla comunque. Dio salvi la Regina, no?
Dei suoi primi due anni di liceo Diana si sforza di ricordare solo i momenti con Sunnie e James, le sere nel portico dell’amica a parlare di tutto e niente o i pomeriggi umidi a casa di James dedicati a videogames esageratamente cruenti.
Il terzo anno era cominciato esattamente come i precedenti, loro tre e le uscite a Piccadilly il venerdì  o la discoteca del sabato. Diana non chiedeva di meglio: sembrava che tutto non potesse far altro che migliorare, che lei fosse su una montagna russa diretta solo verso l’alto.
Purtroppo, ad ogni ascesa corrisponde un declino e declino di Diana è stato così repentino da sembrare inverosimile.
Era un venerdì qualunque e l’uscita a Piccadilly era d’obbligo, ma Sunnie aveva la febbre alta e sua madre non le permetteva di uscire. La ragazza era desolata, ma non voleva che i due stessero a casa per colpa sua così li aveva convinti ad uscire comunque. Diana e James l’ avevano assecondata, non che l’idea li rattristasse.
Avevano passato la serata al “Q”, qualche birra e della bella musica, i mozziconi delle loro sigarette stavano sparsi sul marciapiede all’entrata del pub. A mezzanotte erano di nuovo a passeggiare per Piccadilly, un po’ brilli ma non abbastanza da non essere consapevoli di ciò che li circondava.
Era novembre inoltrato e ormai la sera il freddo si faceva sentire. Diana aveva le guance rosse mentre si strofinava le mani fra loro per scaldarle. James aveva sempre pensato che fosse carina, eppure in quel momento la trovava decisamente bella. Notava come i capelli chiari non stonassero con la carnagione pallida e come le ciglia fossero lunghe e dritte. Realizzava quanto fosse cambiata rispetto alla ragazzina acerba che aveva conosciuto al primo anno.
“D, vieni qui. Fa un freddo cane” le aveva detto, facendole cenno di avvicinarsi.
Diana aveva sorriso appena e gli si era avvicinata, lasciando che lui la stringesse per scaldarla. L’ abbracciava forte, la teneva al sicuro fra le sue braccia dai muscoli delineati. Diana aveva la testa contro il suo petto e anche attraverso il montgomery pesante riusciva a sentire l’odore della sua colonia. Muschio e pino.
Voleva ringraziarlo perché era un buon amico e un ottimo compagno d’avventura. Allora aveva sollevato appena la testa per guardarlo negli occhi chiari, illuminati dalle luci della città.
“Grazie, Jamie”  gli aveva detto semplicemente e lui non le aveva risposto, lasciandosi guardare e guardandola.
Ma un attimo dopo le loro labbra si sfioravano. E nessuno dei due opponeva resistenza.
Sorridevano e si baciavano ancora e ancora e ancora senza pensare a nulla fuorchè loro stessi e il loro essere giovani.
Da Piccadilly avevano preso la linea marrone della metro fino a casa di James, vuota per un piacevole scherzo del destino. E poi erano fra le coperte. James l’accarezzava esperto e Diana non aveva nulla di meglio a cui pensare se non a quelle mani su di sè. E il mattino dopo si era risvegliato con lui al suo fianco e la sensazione del suo sguardo addosso a scaldarla. Ed era stato così anche il sabato dopo.
Di quei giorni ora ricorda gli sguardi rubati, i baci sugli spalti del campo da calcio del liceo e gli incontri segreti perché così era tutto più emozionante.
Andava tutto così schifosamente bene che Diana pensava che se l’amore era quello allora le piaceva, cazzo se le piaceva. James le aveva detto che era la sua unica stella, allora che le importava dei segreti, dei problemi? Era sicura come mai prima, non vacillava più.
E sbagliava.
Perché poi eccola alla festa di Ryan Watts a cui lei non sarebbe voluta andare, con Sunnie che sparisce di punto in bianco e James che bacia un’altra davanti ai suoi occhi allibiti e forse anche lucidi. Ed eccola sui gradini di una orribile villa da ricconi a piangere sulla propria ingenuità, un paio di sigarette e un ragazzo che appare dal nulla e sembra capirla anche se di lei sa solo il nome.
Oh, e tutto che va a rotoli.
Quindi, cosa c’è da raccontare?
“Niente, Sun, non è successo niente.”

 
***

Intervallo, per Sunnie e Diana, è sinonimo di sigarette. Fortunatamente, il retrogrado regolamento del Primrose non proibisce ai minori di approfittare del cortile interno per fumare e la cosa non può che giovare alle loro menti stressate o ai loro corpi ormai dipendenti dalla nicotina.
Il cortile è un punto di ritrovo di dimensioni abbastanza estese, abbellito da piante sempreverdi, il cui pavimento è disseminato di mozziconi più  o meno recenti. Ad ogni angolo vi sono studenti, alcuni in preda al panico per le interrogazioni ed altri presi dal discutere sulle voci di corridoio del momento, e professori frustrati dal mestiere ma legati al loro soddisfacente stipendio. Agli occhi di Diana sembra la fusione fra un’agorà greca o una giungla impazzita: lo trova irrimediabilmente divertente.
Meno divertente, invece, è James che la fissa insistentemente da due minuti buoni mentre annuisce distratto alle chiacchiere di Brianna Klein, seduta sulle sue ginocchia. Ancora meno esilarante è lui che fa alzare la ragazza interrompendone il discorso senza dubbio profondo e intelligente per dirigersi nella direzione di una infastidita Diana che, per il nervoso, getta a terra la sua sigaretta non ancora terminata.
“D che ti prende?” le chiede Sunnie, che sembra non aver notato nulla. “Mi sono rotta di stare qui, torno dentro. Finisci la cicca, ci vediamo dopo”
Sunnie resta interdetta ma annuisce e si dirige verso un gruppetto di suoi conoscenti: il suo totale disinteresse verso gli universi altrui è una manna dal cielo, in certi casi.
Nel frattempo, Diana rientra rapidamente nell’edificio percependo lo sguardo di James sulla schiena e i suoi passi poco più indietro.
Non fa caso alla direzione da prendere, cammina guidata dalla rabbia e dalla frustrazione fino a quando non si ritrova di fronte all’uscita della scuola, ovviamente chiusa.
“Finalmente ti sei fermata, D”
James l’ha raggiunta ed è esattamente alle sue spalle.
“Non chiamarmi ‘D’, James. Non ne hai il diritto” ribatte secca, fronteggiandolo.
“Oh andiamo, non fare così”
“Io non sto facendo né ho fatto niente, tu che mi dici?”
James sembra colto sul fallo, boccheggia in cerca delle parole adatte ma sembra non trovarle.
Diana sorride amaramente, “Non hai nulla da dire?”
“D, smettila di fare la stronza. Lo sai anche tu che fra noi era solo una cosa fisica, niente di più. E’ successo, è stato bello, ma ora finiamola con questo teatrino e rimettiamo a posto le cose. Funzioniamo meglio come amici.”
Solo una cosa fisica.
Finiamola con questo teatrino.
Rimettiamo a posto le cose.
Funzioniamo meglio come amici.

A Diana non sembra che le cose funzionino né che lei funzioni più, ma è solo colpa di James?
“Sai che c’è James? Sei un gran figlio di puttana e la mia vita in sé è già una merda di casino quindi rimetti a posto la tua cazzo di testa e trovati un’altra amica”
 E lo lascia lì, solo, prima che possa anche solo rispondere e un attimo dopo svanisce dalla sua vista, confondendosi con il mare di persone di rientro dall’intervallo ormai finito.

 
***

Sono le 14.30 di un lunedì qualunque quando il telefono di Luke, sveglio da poco più di due ore, comincia a squillare a ritmo di ‘American Idiot’ dei Green Day e lo schermo si illumina con un numero sconosciuto impresso a caratteri bianchi sullo sfondo nero.
Il primo pensiero va ai suoi tre amici e ad un eventuale scherzo telefonico. E’ una cosa possibile, ma loro avrebbero usato il numero privato, quindi scarta l’opzione. Nella mente gli balena l’idea che possa essere Philip o uno dei produttori, ipotesi più che plausibile. Trascina il pollice sul tasto verde nel touchscreen, aprendo la telefonata.
Ma non si tratta né di Philip, né dei produttori, né di uno scherzo telefonico pianificato male.
“Lo so che mi odi e che non vuoi avere nulla a che fare con me e davvero, ti capisco. Sono un gran casino. Ma non sono cattiva, è che non capisco. Come funzionano le cose, le persone, io. Magari è anche una cosa normale, ma io non ne posso più”
Diana ha la voce incrinata e parla confusamente, sembra sull’orlo delle lacrime.
Luke sospira e Diana, dall’altra parte della cornetta, trattiene il fiato.
“Ti… ti prego non riattaccare”
Luke aspetta, è quello che sa fare meglio. Riflette. Tace.  Ma poi capisce, perchè è quello ciò che stava aspettando, il suo salto nel vuoto, il rischio.
Chiude gli occhi e gli sembra di vederla di fronte a sé, finalmente libera dalle sue barriere e dalle sue maschere, rannicchiata al buio in un angolo della sua camera, con una mano impegnata a torturare l’orlo della maglietta o la manica di un maglione. Sono un po' più vicini.
“Non lo farò”
Silenzio, poi la sente espirare appena.
"Grazie"







 
ho aggiornato presto, visto? mi sono impegnata haha
allora, che ne dite? questo capitolo è una mega svolta per la storia, per Diana e soprattutto per Luke che finalmente si butta, daje.
e poi c'è il simil flashback per James e Diana e il loro """"passato""""" insieme. e l'immancabile Sunnie che a quanto pare piace molto a tutte voi hahaha
che altro dire? sono felice che seguite la storia nonostante i miei problemi con la puntualità e sto facendo del mio meglio per non deludervi. 
come sempre, vi ribadisco che adoro quando recensite e che vorrei tanto che mi faceste sempre sapere il vostro parere perchè è importante comunque. 
in ultimo, ringrazio chi ha recensito i capitoli precedenti, chi ha aggiunto la storia fra seguite/preferite/ricordate e anche voi, lettrici silenziose.
a presto,
Sara

 
   
 
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