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Autore: Spensieratezza    15/07/2014    6 recensioni
da quando il piccolo principe era tornato nel suo pianeta, soffriva di solitudine...la rosa che lui amava tanto, è morta, ma ben presto forse avrebbe conosciuto un nuovo amico...
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jared Padalecki, Jensen Ackles
Note: AU, OOC, Otherverse | Avvertimenti: Incest
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- Questa storia fa parte della serie 'Altri mondi, infinito amore'
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“Ciao, io sono quello che ti ha salvato dalle stelle” esordi Jensen, emozionato.

Il ragazzo lo fissò con tanto d’occhi, sbattendo poi le ciglia più volte.

Forse lo stava spaventando, pensò Jensen con apprensione.
 

“Ehi, non avere paura, io….” Disse, muovendosi per toccargli il braccio, che istintivamente il ragazzo ritrasse.

Nel momento in cui gli toccò il braccio, Jensen chiuse gli occhi per via della forza della visione che lo colse alla sprovvista con una forza inaudita.
 



Vide nero. Lo spazio. Un infinito cosmo  che si espandeva milioni e milioni di anni luce, tutt’intorno milioni di stelle, milioni di pianeti e satelliti.
 
 


Riapri gli occhi, e si accorse di avere il fiato grosso come se avesse fatto una corsa a piedi. Il ragazzo lo fissava ancora più spaventato, arretrando ancora di più.
 

"Perdonami, non volevo spaventarti. Come ti chiami?” chiese cercando di tranquillizzare il ragazzo.

Il ragazzo non rispose, fissandolo con curiosità.
“Non ti fidi di me?” gli chiese ancora, dolcemente.

Il ragazzo lo fissò e poi riprese a fissare in basso, poi sembrò farsi coraggio e apri la bocca, ma poi la richiuse.
 

D’un tratto un pensiero che lo colpi con tristezza prese forma nella mente di Jensen.

“Sei muto, ragazzo?”
 

Jensen andò a chiamare delle infermiere per dire loro che il ragazzo si era svegliato, e che era meglio fargli delle analisi per capire se era muto o aveva un qualche problema alle corde vocali, le infermiere lo guardarono un po’ torvo, forse chiedendosi come si permettesse quel ragazzino a cercare di insegnare il loro lavoro, poi gli suggerirono di tornare a casa. Avrebbero pensato loro a lui, ora.
 

Jensen acconsenti a tornare a casa, anche perché doveva raccontare a suo padre cosa gli era successo.
 
 
 
 
 



*



Nei giorni seguenti, era tornato a trovare il ragazzo, che comunque sembrava non avere identità. Nessuno aveva reclamato la sua scomparsa, non aveva documenti, telefono cellulare. Niente. Chiamarono la polizia, si fecero dare una lista delle persone scomparse negli ultimi tempi, per il resto non potevano fare che aspettare.

In particolare, le infermiere erano contente di vederlo ultimamente, perché dicevano che era l’unico da cui era disposto a farsi toccare.
 

Jensen arrivò quel pomeriggio, mentre il ragazzo stava vomitando sul pavimento.
 

“Oddio….” Sussurrò, sgomento, cercando di farsi forza per non guardare il vomito e concentrarsi sul ragazzo. lo fece sdraiare nuovamente a letto. Aveva la fronte sudata.
 

Chiamò un’infermiera e si fece dare delle spiegazioni.
 

“Mi dispiace, è da giorni che va avanti cosi. Sembra rigettare tutto il cibo che gli diamo. Sembra intollerante a tutto. Abbiamo provato anche con la pastina. Le uniche cose che sembra non rigettare sono la verdura e la frutta, ma non può sopravvivere mangiando solo quello…ha bisogno di vitamine…” disse affranta l’infermiera.

“Per il resto come sta fisicamente?”

“e questo è un altro mistero…sembra che il suo corpo guarisca molto velocemente anche senza l’aiuto della medicina, e dei farmaci. Sembrava anche che avesse un discreto trauma cranico quando l’hai portato qua da noi, ma dopo pochi giorni è…..sparito…”

“è normale?” chiese Jensen.

“No, non lo è….e oltretutto essendo il suo corpo cosi imprevedibile, c’è stato anche il rischio che gli dessimo dei medicinali che poi di fondo sarebbero stati solo dannosi, visto che poi sarebbero risultati inutili, dal momento che il suo corpo guarisce da solo…”
 

L’infermiera sembrò scioccata dall’essersi lasciata sfuggire una dichiarazione cosi sincera e imbarazzante.

“Dio…non so perché lo sto dicendo a te, scusami, non volevo spaventarti.”
 

Jensen si era spaventato, ma finse di no…guardò l’infermiera ed era molto giovane, forse aveva 18, o forse 20 anni. Non di più.

“Non preoccuparti, per favore, dopo che hai pulito questa schifezza potresti portare un bicchier d’acqua per il nostro fanciullo?” chiese, sorridendo.

L’infermiera, disse goffamente di si, fini di pulire e andò a prendere e portare l’acqua.
 

Quando se ne fu andata, Jensen avvicinò la sedia al letto del ragazzo.

“Mi dispiace che non riesci a mangiare…” gli disse.

Il ragazzo lo fissò triste.
 

Jensen sapeva che il ragazzo non aveva problemi alle corde vocali, ma i dottori non erano riusciti a spiegarsi come mai non parlasse.
 

“Se tu mi parlassi, forse potrei aiutarti, potrei farti avere i migliori cibi del mondo…” insistette Jensen.

Il ragazzo aspettò che Jensen si avvicinò un po’ di più, e poi gli mise inaspettatamente entrambe le mani sul viso.
 

Jensen rimase fermo per la sorpresa, sentendo un calore quasi fuoriuscire dalle mani del ragazzo, o forse dalla sua stessa testa. Non riusciva a capire.

Quello che era certo, era il suono che senti poco dopo…come tante innumerevoli voci tutte insieme…che formavano una specie di  CANTO….
 

Quando il ragazzo tolse le mani, Jensen si senti sfinito, con le lacrime agli occhi, quasi.

“Che…che cosa mi hai fatto?” chiese lui, dimenticando che il ragazzo non poteva o non voleva parlare.
 

“Perdonami “ disse il ragazzo “ ma avevo bisogno di fare questo, per poter parlare la tua lingua”

“C….che cosa hai detto? Sei…una specie di sensitivo ora? O uno stregone?” chiese Jensen.
“quello che ho fatto io potrebbero farlo tutti….”

“Santo cielo. PARLI!” quasi gridò Jensen davanti a quella consapevolezza.

“Devo andare subito a chiamare il dottore” disse, e si era quasi alzato, quando il ragazzo lo trattenne per un braccio.

“No, non andare.”

“cos…perché no?” chiese supito.

“faranno tanto rumore, e io voglio restare ancora un po’ in silenzio con te…”
 

Jensen lo fissò allibito, poi, senza sapere perché gli stava dando ascolto, gli chiese:

“Come hai ripreso a parlare?”

“ho dovuto toccare il tuo chackra…” spiegò il ragazzo.

“Il mio cosa?”

“Tutti ne abbiamo uno, ma nessuno sa come si fa a raggiungerlo. Se lo sapessimo tutti, non ci sarebbe più gente che si odia perché non parlano la stessa lingua…”  disse il ragazzo

“Ragazzo….” Jensen era rimasto stranito da quella frase e gli sembrava una frase che aveva già sentito….

“Io sono capace di attingere al chackra del cuore, che poi è il mezzo che mi permette di attingere alla lingua universale"
 

Okay, perfetto, il ragazzo era pazzo. Jensen senti la tristezza invadergli narici, cuore, polmone, tutto.
 

“P….perchè non potevi…parlare la mia lingua, normalmente, senza dover attingere al mio chackra?”

“Io non parlo la vostra lingua perché non vengo dal vostro pianeta…”
 

Jensen temeva che sarebbe arrivata questa dichiarazione.

“E da che pianeta provieni, allora?”
 

Il ragazzo sembrò confuso.

“Odio i numeri e le cifre….” Disse il ragazzo, piegandosi su sé stesso.
 

Jensen chiese ancora: “comunque ha…funzionato quando mi hai toccato…perché non l’hai fatto prima?”

Il ragazzo lo guardò ora con un cipiglio quasi offeso.

“perché tu non ti volevi avvicinare…”

“Come?” chiese Jensen sorpreso.

“Mi stavi sempre lontano e io allora non riuscivo a toccarti…”
 

Jensen riflettè su quanto diceva il ragazzo, cercando di capire se era la verità. In effetti era rimasto cosi turbato dalla reazione del ragazzo quando aveva cercato di tranquillizzarlo quella volta, che da allora aveva sempre cercato di toccarlo il meno possibile.

“Pensavo che non ti piacesse che ti toccavo.” Disse, dispiaciuto.

Il ragazzo non rispose a questa dichiarazione, ma disse:

“quando mi hai preso per portarmi in braccio quella notte…mi sono sentito cosi bene, era come essere cullati”

Jensen si imbarazzò.

“Pensi che potresti rifarlo?” chiese allegramente il ragazzo.

Jensen non rispose.

“Perché stai cambiando colore e diventando rosso?”

“beh…succede quando…”

Il ragazzo non lo lasciò finire, che disse ancora:

“Non sapevo che la gente come voi potesse cambiare colore. Puoi diventare anche verde?”

“Smettila. Adesso smettila.” Disse jensen.

Il ragazzo lo fissò perplesso.

“Sei spaventato. Perché? Sono io quello che ha rischiato di finire bruciato.” Constatò il ragazzo. non c’era ombra di rabbia nel suo tono, solo genuina curiosità.
 

Jensen lo abbracciò d’istinto, in maniera quasi disperata.

“E adesso perché fai cosi?” chiese il ragazzo, stranito.

Jensen non rispose, e lo strinse più forte.

“perché…ci si sente bene?” chiese ancora il ragazzo, chiudendo gli occhi, godendo della stretta di Jensen.
 


Jensen lo lasciò andare , cercando di ridarsi un tono.

“Perché hai fatto cosi?” chiese ancora il ragazzo.

“è cosi che…ci comportiamo quando temiamo di perdere qualcuno. Si chiamano abbracci.” Spiegò Jensen.
 

Il ragazzo sembrò rifletterci su e poi disse: “ma tu non mi hai perso…quindi perché l’hai fatto?”

Jensen cercò di cambiare le parole per spiegarsi meglio.

“però pensavo….che sarebbe successo…quindi il ricordo mi ha fatto prendere la paura di come mi sarei sentito se fosse successo…”

“Ma non è successo…” insistè il ragazzo.

“Si, ma quando pensiamo a qualcosa, e quel qualcosa è brutto, il pensiero rende la sensazione cosi intensa da sembrare reale, quindi il dolore che provi è reale.”

“Tu provavi dolore?” chiese il ragazzo.

“si, e ti ho abbracciato per….scacciare quella sensazione….”
 

Il ragazzo sembrò un po’ stordito e più confuso di prima.

“Forse ti ho abbracciato anche per ringraziarti di essere ancora vivo” pensò poi Jensen.

Quest’ultima frase, il ragazzo sembrò capirla meglio.

Sorrise più apertamente.

“Io adesso mi sento bene” disse poi
“E perché? Per quello che ho detto?”

“No. perché ho pensato a quando mi hai abbracciato e il ricordo ha reso la sensazione reale come allora” rispose genuinamente il ragazzo. “ehi, ma perché lo rifai?” chiese poi.
 
 
   
 
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