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Autore: Allie_Carrots    15/07/2014    15 recensioni
Siamo cresciuti ascoltando innumerevoli racconti di fate e di mostri, principi e stregoni, incantesimi e maledizioni; poi ci hanno insegnato a non credere a niente di tutto questo.
Si sbagliavano.
Da dove credete provengano tutte quelle storie? La mente umana è dotata di grande immaginazione, è vero, ma tutto s’ispira alla realtà.
Coloro di cui nessuno narra sono i Guardiani, che da millenni proteggono la Barriera, la sottile linea che divide la Terra dagli Inferi e che è ormai prossima a frantumarsi.
Cheryl ha diciassette anni e una vita noiosa e ordinaria, con pochi amici e una zia troppo protettiva; ma soprattutto, non ha la minima idea di cosa si celi dietro l’apparente normalità della sua famiglia.
Benvenuti in un mondo dove demoni, streghe e vampiri non sono mai stati più veri.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1

 

Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Genesi (2, 16-17)

* * * 

 
 

«Sei completamente fuori di testa? Questa è violazione di domicilio.»

Il ragazzo avvertì un improvviso prurito nella parte alta della schiena, ma quando si allungò per grattarsi urtò un ramo troppo vicino, e il cespuglio dietro al quale erano nascosti si mosse in maniera innaturale. «Lo sai che in prigione i poliziotti praticano abuso di potere? Non voglio diventare il sacco da boxe di cinquantenni sessualmente frustrati».

«Se non smetti di piagnucolare diventerai il mio sacco da boxe» sibilò Cheryl dando un pizzicotto sul braccio dell’amico. «Stai facendo un casino colossale!»

 «Ahi! Scusa, se penso di essere ancora troppo giovane per finire in gattabuia.»

 «La vuoi piantare? Non finiremo da nessuna parte.» Sbirciò tra le foglie ancora una volta, poi lanciò un’occhiata al ragazzo che si massaggiava ancora il punto dolorante. «Ora devi soltanto dare questo ad Hector e tornare qui, aspetteremo che si addormenti e poi entreremo.»

 Il poveretto fissò il biscotto che Cheryl gli porgeva, diventando sempre più pallido in viso.

 «Avanti Kay, è solo un cane.»

Lui deglutì rumorosamente. «Già, un pitbull di quaranta chili alto quasi come te.» replicò, ma dal tono poco convinto che aveva usato Cheryl sapeva che stava per cedere. D’altronde, quando lo chiamava con quel nomignolo era difficile che le dicesse di no. 

Così sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi furbeschi e lasciò cadere il biscotto nella mano aperta di Kyle. 

«Allora ti basterà immaginare che sia io». 

Kyle borbottò qualcosa tra i denti ma si alzò lentamente, e Cheryl dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. Il cappuccio della felpa che lo aveva convinto a indossare per mimetizzarsi, si appoggiava sui suoi occhiali facendoli scivolare continuamente sulla punta naso. 

«Okay, dov’è la belva?»

Cheryl ispezionò il giardino attentamente. Aspettò che la sua vista si abituasse all’oscurità, bastò volerlo perché accadesse. Era qualche mese che le sue stranezze – come le chiamava Kyle – erano cominciate. In realtà alcune c’erano da quando Cheryl era nata, altre erano comparse man mano. 

Come le succedeva ogni volta, il buio venne illuminato da una luce violacea che le permise di distinguere meglio le figure. 

«Non lo so, non riesco a trovarlo.» bisbigliò. «Magari dorme già…» 

«Ehm, Cheryl?» 

Sollevò la testa di scatto, ma dalla sua posizione accovacciata tutto ciò che vide fu il viso preoccupato di Kyle. «Cosa?» 

«Credo di averlo trovato. O meglio, lui ha trovato noi.» 

Come per sottolineare le parole del ragazzo, un profondo ringhio le arrivò alle orecchie, che ben presto si trasformò in un abbaiare forte e minaccioso. 

Cheryl si mise in piedi e poté vedere da sé il grosso cane osservarli con i denti scoperti. 

«Va tutto bene.» il ragazzo sembrava parlare più a se stesso che a lei. «Basta solo qualche passo alla volta, indietreggiamo lentamente, così…» mormorava senza spostarsi di un millimetro. 

«Dagli il biscotto.» sbottò Cheryl. 

«Che cosa?» 

«Il biscotto.» ripeté più lentamente.

Kyle sembrò ricordarsi il quel momento del piccolo oggetto a forma di osso che stringeva in mano, e come attraversato da una scarica elettrica, lo lasciò andare bruscamente. Il biscotto fece un piccolo arco nell’aria e colpì l’animale dritto sul testone nero. «Merda»

 «Ma che accidenti combini?» Ma prima che Kyle potesse dire qualsiasi cosa, la ragazza gli afferrò la mano nel momento esatto in cui il cane faceva uno scatto in avanti. «Corri!» gridò trascinandolo con sé.

Lui inciampò e quasi cadde, ma la presa di Cheryl glielo impedì. Superarono rapidamente il quartiere di villette a schiera, ma il cane sembrava aver abbastanza fiato per inseguirli e continuare ad abbaiare. Attraversarono la strada di corsa, attirando gli sguardi delle poche persone rimaste in giro a quell’ora di notte.

Finalmente l’insegna dalle luci mezze fulminate del Queen’s Bee comparve nel loro campo visivo. Nonostante il pitbull si fosse già fermato diversi metri più indietro, non rallentarono il passo finché non furono all’interno, seduti al loro solito tavolo – abbastanza vicino al bancone perché i camerieri potessero vederli, ma non così tanto da far sì che la signora Marshall udisse i loro discorsi.

Cheryl si abbandonò contro lo schienale della sedia e chiuse gli occhi, a corto di fiato. Tutto a un tratto si lasciò andare in una fragorosa risata.

Kyle, che sembrava sull’orlo di una crisi respiratoria, le lanciò un’occhiata torva.

«Spero» disse. «Che quando mi vedrai morto almeno avrai la decenza di non chiedere nulla della mia eredità.»

 Se possibile, Cheryl rise più forte di prima, arrossendo leggermente quando si accorse che delle persone la fissavano apertamente. Si ricompose. «Non credo che prenderei comunque niente…» si fermò un attimo a riflettere. «Forse tuo fratello».

«Chi, Gordon?» domandò con un sospiro rassegnato. Afferrò il contenitore del sale e ne sparse distrattamente un po’ sul tavolo, cercando inutilmente di creare un disegno. «Guarda che è mentalmente sottosviluppato per i suoi vent’anni.»

«Ma no, parlavo di Mick.»

 Kyle fece una smorfia, ma parve sollevato. «Oh, non ti facevo quel tipo.»

 Cheryl alzò gli occhi al cielo, in parte per le sue parole, in parte per il pasticcio che aveva fatto sul tavolino. Una donna bassa e robusta si avvicinò a loro, e Kyle si affrettò a coprire tutto con il menù di carta. 

 «Ciao ragazzi» li salutò allegramente la signora Marshall. 

 Kyle le rivolse un sorriso tirato. «Ciao mamma, ci porti il solito?» 

 «Ti sembra che io abbia in mano il foglietto delle ordinazioni? Va’ di sopra a mettere a letto Mick. Cheryl cara, a te porto subito il tuo veggie burger.» 

Quando Cheryl alzò il viso per sorriderle, come sempre si ritrovò di fronte alla copia femminile e più tondeggiante del suo migliore amico, ma ormai la cosa non le faceva più alcun effetto. «Grazie signora Marshall ma stavo giusto per tornare a casa.» 

Kyle non riusciva a capacitarsi di come soltanto Cheryl riuscisse a sciogliere un po’ quell’iceberg che sua madre si ritrovava al posto del cuore. «Come preferisci, e tu fa quello che ti ho detto.» ricordò al figlio. «E con metterlo a letto non intendo infilarlo sotto le coperte come un sacco di patate, raccontagli qualcosa per farlo addormentare», aggiunse prima di sparire in cucina. 

 «Quindi vai via?» le chiese Kyle. Lei era troppo concentrata sui microscopici granellini bianchi che sbucavano da sotto il menù per accorgersi che il ragazzo la fissava con delusione.

Si domandò quale effetto avrebbero avuto se fosse riuscita a disporli in un'unica distesa, senza che ce ne fosse nemmeno uno accavallato sull’altro. Chissà quanti ne sarebbero occorsi per ricoprire l’intera superficie del tavolo. Si sarebbe poi divertita a creare delle figure in negativo, come quando alle elementari le facevano usare i pastelli bianchi sui fogli neri. 

 «Ah, e tra parentesi la signora Phindler era uno schianto oggi in topless, dovremmo spiarla di nuovo dalla finestra.» Cheryl catturò solo un piccolo frammento dello sproloquio di Kyle.

«Hai ragione, dobbiamo tornarci domani, visto che oggi non abbiamo concluso niente.» disse con un punta di accusa nella voce. In fin dei conti era colpa di Kyle, coi suoi schiamazzi aveva attirato Hector.

«Cosa? No! Non dicevo sul serio, cercavo di attirare la tua attenzione.» 

 Cheryl sospirò e levò lo sguardo verso un cliente che, aprendo la porta, aveva fatto suonare il campanello. Era un bel ragazzo dai capelli biondo cenere, frequentava la loro stessa scuola ma non ci aveva mai parlato. D'altronde, perchè un tipo del genere avrebbe dovuto rivelogere la parola a lei?

«Sembra che qualsiasi cosa riesca ad averla, a parte me.» pensò Kyle rendendosi conto troppo tardi di aver parlato a voce alta.

La ragazza sbuffò, sforzandosi di portare gli occhi su di lui. «Beh, ora ce l’hai.» La verità era che Cheryl avrebbe passato ore intere a guardarsi intorno, ora che riusciva a vedere tutto più nei dettagli. Tutto le pareva nuovo e migliore, si accorgeva sempre più che fino a quel momento si era persa un mucchio di cose. «E in ogni caso ci torneremo, dovrai rubare un’altra pillola da mettere nei biscotti dalla scorta di tua madre.» 

Cheryl lo vide roteare le pupille da dietro gli occhiali. «Questa storia finirà male, me lo sento.» 

 «Non fare il pessimista. Ti ho già detto che quella donna non mi convince, nasconde qualcosa che…» 

«Sì, hai ragione.» acconsentì Kyle «Probabilmente tiene una collezione di capelli umani che strappa alle sue vittime e usa per fare corde di violino o pettini per le sue belve. In effetti quel pitbull ha un pelo straordinariamente lucido…» 

Cheryl si alzò in piedi non appena il cellulare nella tasca dei suoi jeans prese a vibrare. «Io la scoprirò.» concluse, in un tono che non ammetteva repliche. 

«Oh cielo, speriamo di no.» Kyle rabbrividì, ma ormai la ragazza era troppo lontana per rispondergli. Guardò in basso, dove il menù nascondeva ancora il disastro di sale che aveva fatto. Lo sollevò per pulire prima che sua madre tornasse, e per poco il foglietto non gli cadde dalle mani. 

Linee di vuoto in mezzo ai granellini bianchi formavano un pentacolo inscritto in un cerchio perfetto. 

Cheryl sentì di essere nei guai ancora prima di varcare la soglia di casa. Lo aveva capito dalla luce spenta nello studio di sua zia Leanne, mentre il soggiorno e la cucina erano illuminati. 

Di solito a quell’ora era impegnata a lavorare al suo romanzo, perciò spegneva tutte le altre luci. Era una che credeva nella salvaguardia dell’ambiente e degli animali e se avesse dovuto scegliere tra il mangiare una bistecca o morire di fame, probabilmente avrebbe scelto la seconda. 

Sgattaiolò in corridoio a piccoli passi e salì le scale in punta di piedi, maledicendosi ogni volta che il legno scricchiolava sotto il suo peso leggero.

«Ferma dove sei.» Cheryl trattenne il fiato e si fermò, come se qualcuno avesse premuto stop su un telecomando invisibile. Si voltò lentamente, nonostante sapeva già cos’avrebbe visto in fondo alle scale.

 Leanne se ne stava immobile, con le braccia incrociate sul petto, i lunghi capelli raccolti in un nodo disordinato dietro la nuca. Indossava una delle sue maglie extralarge che continuava a mettere sopra ai jeans nonostante le arrivassero quasi al ginocchio, come un abito. Cheryl pensò che quella era una delle rare volte in cui era lei a guardarla dall’alto verso il basso e non viceversa, ma anche dalla sua posizione la donna riusciva a mantenere un’aria severa. «Si può sapere dov’eri finita? Ti ho telefonato sette volte.»

«Ero con Kyle.» Con chi altro avrei dovuto essere?, avrebbe voluto aggiungere, ma decise di non peggiorare la sua situazione e si morse la lingua.

A quel nome Leanne parve rilassarsi un po’. «Lo sai che non voglio che resti fuori fino a tardi la sera.»

 «Ma non sono neanche le undici!» La ragazza non riuscì più a trattenersi. «Ho diciassette anni.»

 A quel punto Leanne fece quel gesto con la mano che mandava Cheryl in bestia, come se la stesse assecondando soltanto per metterla a tacere. «Non sono ancora diciassette, e poi…» 

 «E poi in questa città non si può mai stare tranquilli, lo so, lo so!» recitò a memoria. Prima che Leanne attaccasse con una delle sue interminabili lezioni di vita Cheryl coprì la distanza che la separava dalla sua stanza e ci si chiuse dentro. 

Era stanca di sentirsi ripetere le stesse cose ogni giorno, ma soprattutto ne aveva abbastanza degli assurdi coprifuoco che sua zia le aveva messo. Mai più tardi delle dieci, alle undici al massimo di venerdì e di sabato. Le ragazze della sua età uscivano, andavano alle feste e si divertivano, mentre per lei tutto ciò era indiscutibilmente vietato. Non che l’avrebbe fatto comunque, Kyle odiava le feste. 

Ne era quasi certa, era da quando aveva detto a Leanne di alcune cose che aveva imparato a fare. Quando le aveva mostrato di come poteva accendere una candela soltanto pensandolo, aveva serrato gli occhi terrorizzata e le aveva detto di non dirlo a nessuno. Ovviamente lei lo aveva già detto a Kyle, ma l’avrebbe fatto in ogni caso.

 

 Si distese a pancia in su sul letto e allargò le braccia, godendosi la brezza estiva che entrava dalla finestra. Il suo sguardo passò sulle innumerevoli scritte alle pareti, tutte di diverse dimensioni ma ognuna caratterizzata dalla sua calligrafia tondeggiante e leggermente infantile, con qualche spruzzo di quella più spigolosa di Kyle, qua e là. Era una delle poche cose su cui Leanne non aveva voce in capitolo, forse l’unica. 

 Naturalmente non sapeva nemmeno delle attività della nipote negli ultimi giorni, ma se Cheryl le avesse raccontato quello che faceva probabilmente l’avrebbe rinchiusa in una cella blindata.

Era da un po’ che aveva delle sensazioni, le capitava quando guardava le persone negli occhi. Non sempre, era del tutto casuale e non aveva alcun controllo sulla cosa. Era come una gelida scossa all’altezza dello stomaco, che l’avvertiva che la persona in questione nascondeva qualcosa. 

All’inizio Kyle l’aveva fissata con quella sua espressione da inguaribile scettico, ma poi era riuscito a convincerlo a fare un tentativo, che purtroppo non era andato come aveva sperato. Era però decisa a ritentare l’indomani, doveva scoprire cosa c’era dietro il sorriso glaciale della signora Phindler, che incontravano ogni mattina al Queen’s Bee. 

Doveva essere questo che terrorizzava Kyle, se sua madre avesse scoperto che pianificavano di intrufolarsi in casa di una sua cliente, l’apocalisse sarebbe parsa più allettante.

Quasi senza rendersene conto aveva preso il telefono in mano e aveva fatto partire la chiamata. Kyle rispose quasi subito. «Non riesci proprio a vivere senza di me, non è vero?»

«Mi è venuta un’idea.» annunciò lei, la voce scossa dall’adrenalina.

Ci fu un momento di pausa, Cheryl fu sorpresa nel non sentire alcun rumore di sottofondo. Di solito a casa di Kyle c’era sempre un gran chiasso, sia per via della caffetteria sia per la sua famiglia numerosa. «Adesso ho paura.» 

 «Prendiamo il taxi è andiamo al Lincoln Park?» 

 «Come pensavo, torno alla mia partita a Call of Duty, buonanotte.» 

Cheryl afferrò il telefono più saldamente e balzò giù dal letto. «Kay, aspetta! Non sei stanco di fare sempre quello che ti dicono? È solo qualche ora, non se ne accorgerà nessuno.»

Cheryl poteva quasi vederlo torturarsi le unghie mentre lottava contro la sua radicata moralità. «Io non credo che…» 

 «Ti lascerò fuori dalla questione con la signora Phindler! Per favore…» cinguettò Cheryl, giocando la sua ultima carta. 

«Va bene, d’accordo!» si arrese Kyle «Ma non andrai comunque, da sola in quella casa. Quel cane sembra uscito da un film horror di serie b.» 

 A Cheryl scappò un piccolo grido di gioia, mentre già allungava una gamba per scavalcare il davanzale della finestra. «Sto venendo a prenderti.» disse e riattaccò.

La ragazza compì la sequenza di movimenti che già altre volte aveva fatto, quando l’iperprotettività di Leanne diventava troppo soffocante. Usò la grondaia come appoggio per i piedi e tirò le tende dall’esterno, per far sembrare che stesse dormendo. Si voltò verso il giardino e guardò giù, aggrappandosi con le mani al cornicione. Erano poco più di due metri e pur non essendo la prima volta che faceva quel salto, le vertigini la rallentavano sempre un po’.

Chiuse gli occhi e contò fino a tre, poi si lanciò nel vuoto.

L’erba attutì il rumore della caduta quando le sue ginocchia attecchirono al suolo, seguite dai palmi delle mani. Si guardò intorno per accertarsi che Leanne non fosse affacciata alla finestra della cucina, l’unica fonte di luce proveniva dal suo studio. 

Non poté evitare di sentirsi un po’ in colpa, ma subito spinse la voce della sua coscienza in un angolo della mente e si tirò su, pulendosi le mani sui jeans. Camminò a passo svelto, leggermente curva e con il cappuccio sollevato come un ladro, finché la piccola casa in mattoni rossi non fu fuori dalla sua vista. 

Dovette riconoscere che nonostante la sua fosse una delle zone più tranquille della città, di notte metteva i brividi. Rimase sotto la luce dei lampioni, approfittando dell’assenza di automobili, spostandosi sul ciglio della strada quando ne arrivava qualcuna. 

Per poco non lanciò un urlo quando una piccola sagoma le comparve davanti, a pochi passi di distanza. Ci mise qualche istante a capire che si trattava solo di un gatto, un piccolo gatto nero che la fissava con gli occhi gialli spalancati. Cheryl inclinò la testa e gli rivolse un piccolo sorriso.  

Già, come se i gatti sapessero interpretare le espressioni degli uomini, pensò dandosi della stupida.  

Il gatto la fissava a sua volta, dritto negli occhi e lei avvertì quel tremolio alla bocca dello stomaco che ormai le era diventato familiare. Fece qualche passo avanti e si rannicchiò a un palmo dall’animale, che non aveva indietreggiato, ma non sembrava nemmeno aver voglia di darle confidenza. Emise un miagolio secco e sollevò una zampa anteriore, a indicare qualcosa aldilà degli alberi che costeggiavano la strada.  

A Cheryl non piaceva mettersi a parlare con gli animali o con i neonati, con quella vocina infantile e da rincretiniti che la gente assume, si sentiva ridicola. Così si alzò e seguì il gatto, che si era mosso quasi contemporaneamente a lei. Si addentrarono tra le piante dai tronchi sottili e nodosi, l’estate aveva reso le loro chiome fitte e verdeggianti, tanto da creare uno scudo d’ombra sulla sua testa. Cheryl sapeva che quello che stava facendo era stupido e imprudente, ma c’era una forza che non riusciva a spiegarsi che la spingeva a seguire quel gatto e scoprire dove voleva condurla.  

Improvvisamente si rese conto che erano entrambi fermi in mezzo agli alberi, da lì poteva ancora intravedere la strada e la luce intensa dei lampioni.  

Qualcosa le si attorcigliò alla caviglia così forte da toglierle il fiato e prima che riuscisse a battere ciglio cadde a pancia sotto. Se le fosse rimasta anche solo una piccola traccia d’aria nei polmoni avrebbe gridato, ma tutto quello che le riuscì fu contorcersi su se stessa.  

«Ottimo lavoro Dafne.» disse una voce femminile liscia come velluto.  

Si sentì afferrare per il colletto da una mano forte e salda, che la voltò facendole emettere un gemito di dolore. Si ritrovò un paio di occhi azzurro ghiaccio puntati addosso, che quando la scorsero si spalancarono per la sorpresa. «Ma che cavolo…?»  

«Oh, diavolo!» esclamò balzando all’indietro.  

«No, Liv» disse un ragazzo, Cheryl non riusciva a vederlo bene in volto a causa dell’oscurità. «Il diavolo è decisamente più alto, con un paio di buchi vuoti al posto degli occhi, forse. Questa è una ragazza» la sua voce era roca a profonda, con una cadenza lenta e troppo marcata per essere di quelle parti. «E può vedere Dafne.» aggiunse, con una punta di sorpresa.  

Cheryl si sollevò sui gomiti e li fissò incredula, ancora incapace di realizzare cosa stava accadendo. «Ma chi, il gatto?» quest’ultimo, sentendosi chiamato in causa, comparve strusciandosi tra le gambe della ragazza. «Certo che lo vedo!»  

Solo allora Cheryl riuscì a guardare meglio i due. La ragazza aveva lineamenti fini e sopracciglia sottili, incorniciati da corti capelli color grano che le ricadevano sul viso in ciuffi disordinati. L’altro aveva una chioma di ricci scuri, folti come la criniera di un leone. Entrambi non sembravano avere molti più anni di lei, ma era il modo in cui erano vestiti che la colpì. La ragazza portava una spessa mantella nera sopra a una tuta di quella che le parve pelle, nera anch’essa. Aveva legata alla vita una spessa cintura, a cui erano appesi strani arnesi che Cheryl non aveva mai visto. Lui portava la stessa cintura, ma l’unica altra stranezza erano i pesanti anfibi che aveva ai piedi in pieno giugno.  

Forse sono dark, pensò Cheryl. Poi però un brivido di terrore le corse lungo la schiena e decise di accantonare l’idea. Non aveva pregiudizi di quel tipo, ma il pensiero di essere sola, in mezzo al buio con dei tizi del genere non la rassicurava per niente.   

«Sì, è decisamente una ragazza.» concordò Liv osservandola.  

«Perché cos’altro dovrei essere?», chiese Cheryl, irritata dal fatto che i due parlassero di lei come se non fosse proprio lì davanti a loro.   

«Un mostro, sotto le sembianze di un essere umano» le disse il ragazzo in tutta serietà. «per esempio.» Cheryl si sentì in soggezione sotto il peso del suo sguardo, come una cavia da laboratorio che tutti si aspettano esploda da un momento all’altro.  

«Harry!» lo ammonì Liv a denti stretti. «Bada a quello che dici.»  

Questi sono degli squilibrati, pensò Cheryl con orrore. Doveva andarsene al più presto.  

«Ascoltate» disse, e i due tornarono a fissarla come se il solo fatto che stesse parlando fosse allarmante. Lei li ignorò. «È evidente che c’è stato un equivoco, quindi che ne dite di slegarmi e lasciarmi andare, magari?» Sperò che dal suo tono non trapelasse il terrore che provava, non era brava a nascondere le emozioni.  

«Mi sembra un’ottima idea.» intervenne Liv, e con uno scatto della mano che reggeva il manico di quella sorta di frusta chilometrica, la fece ritrarre come fosse stata animata. Quando anche l’ultimo centimetro fu rientrato nel manico, cacciò quello che era diventato un innocuo bastone in un inserto della cintura. 

«Ma non possiamo!» Harry sembrò risvegliarsi in quel momento. «Lei ci ha visti e ha visto Dafne! Nessun terrestre può vederla.»  

«Forse c’è qualcosa che non va nell’incantesimo.»  

«Può darsi, ma in ogni caso ora sa troppo.»  

Cheryl si sforzò di soppesare la situazione razionalmente. Era addirittura disposta ad assecondare le loro pazzie pur di andarsene il prima possibile.  

«Beh, se può aiutare non ho capito una sola parola, quindi…»  

Ma fu come se non avesse parlato, perché i due continuarono a fissarsi con aria dubbiosa. Harry si sfilò dal collo un laccio legato a modi collana, a cui era appesa una piccola pietra di un bell’azzurro mare. La sollevò verso Cheryl. Per un attimo non accadde nulla, poi all’interno della pietra prese vita una piccola luce che divenne sempre più intensa, finché non fu una vera e propria esplosione luminosa. 

Cheryl era a bocca aperta, letteralmente.  

«Guarda» ribadì Harry. «L’amazzonite non sbaglia mai. Come spieghi questo?»  

«D’accordo, ma non vedi che non sa nemmeno di cosa stiamo parlando?» Liv le rivolse uno sguardo insolente. «Non può essere una soprannaturale.»  

Cheryl avrebbe voluto chiederle che diamine era una soprannaturale, ma per qualche motivo non voleva provare che aveva ragione. Improvvisamente un cellulare prese a squillare, mandando in frantumi quell’inspiegabile atmosfera misteriosa che aveva avvertito fino ad allora. Sapeva con certezza che non era il suo, perché aveva l’abitudine di lasciare solo la vibrazione, ragion per cui perdeva la maggior parte delle chiamate. Harry ne estrasse uno molto simile al suo dalla tasca dei pantaloni e se lo portò all’orecchio.  

«Che c’è?» Immediatamente il suo sguardo corse verso Liv, che aggrottò le sopracciglia. «Va bene, arriviamo.» Riattaccò. Cheryl lo guardò, forse più ansiosa di Liv di conoscere il verdetto. Harry strinse la collana nel pugno e la fissò di rimando. «Gli altri hanno finito, andiamo.»  

«Quindi, che ne facciamo di lei?» chiese Liv. Ora che riusciva a pensare più lucidamente Cheryl dovette ammettere che era incredibilmente bella. Nonostante il taglio di capelli e il fatto che fosse alta quasi quanto Harry, la sua figura era aggraziata e femminile.  

Scrollò le spalle. «La portiamo alla Rocca.»  

«Cosa? Non se ne parla, Edward ci ucciderà!» 

Harry si accarezzò il mento con la mano, senza smettere di scrutare Cheryl. «Potrebbe raccontare qualcosa a qualcuno…»  

«Nessuno le crederebbe.» tagliò corto Liv. «Forza, andiamo.» Quindi sfilò un piccolo pugnale dalla cintura e tracciò una sequenza di linee immaginarie davanti a sé. Uno squarcio di luce bianca si aprì nell’aria, allargandosi a macchia d’olio finché non divenne una grossa ellisse bidimensionale, sospesa nel nulla. A Cheryl ricordò la consistenza dell’acqua, ma più densa e scintillante.   

Liv tirò Harry per una manica. «Andiamo?» ripeté.  

Lui rivolse a Cheryl un ultimo sguardo esitante, infine annuì. Poi entrambi fecero qualcosa che rischiò di far precipitare la mascella di Cheryl. Passarono attraverso l’ellisse d’acqua e scomparvero. 

La ragazza rimase come pietrificata per una manciata di secondi, senza smettere di fissare il punto in cui si trovavano appena qualche istante prima. 

Ogni traccia della loro presenza era svanita nel nulla, insieme a quella cosa che se li era portati via. 

* * *


SPAZIO AUTRICE: Ciao a tutti! Ed eccomi di nuovo qui, con un'altra storia. Dunque, non mi dilungherò molto, questa fanfiction è un po' diversa dall'altra che sto scrivendo e spero solo che vi piaccia. Fatemi sapere che ne pensate, se vi va. Un bacio!
A presto,
#Allie
 

 

  
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