Ino camminava zoppicante lungo il campo di battaglia, senza badare a ciò che calpestava, troppo intenta a cercare una persona, gli occhi saettanti verso ogni angolo, ogni viso dei caduti per la salvezza di Konohagakure.
Sulla collinetta che si stagliava al centro della strage vi era un sottile riverbero di luce che illuminava i due veri vincitori della guerra: Naruto e Sasuke. Uniti come fratelli fino all’ultimo. Ino non sapeva chi dei due fosse ancora vivo, ma in quel momento poco le importava: aveva un’altra missione da compiere. Un altro sopravvissuto avrebbe controllato.
Il panico e la nausea le afferrarono lo stomaco come gelide tenaglie. Era sul punto di vomitare.
Le lacrime minacciavano di scendere lungo le gote e bagnarle il volto coperto di pulviscolo e sangue. Un lungo taglio le attraversava il viso dalla gote sinistra al lato destro del mento, brillante di sangue; sapeva che il suo volto non sarebbe stato più lo stesso: quella ferita, anche se rimarginata, avrebbe lasciato impresso il suo spettro, in una pallida cicatrice che le avrebbe ricordato quei momenti fino alla fine dei suoi giorni.
The Call
[I’ll come
back when you call me]
a
It
started out as a feeling [cominciò come un
sentimento]
Which then grew into a hope [che poi divenne
una speranza]
Which then turned into a quiet thought [che poi si trasformò in un pensiero
quieto]
Which then turned into a quiet word [che poi si trasformò in una parola
quieta]
And then that word grew louder and louder [e poi quella parola crebbe più alta e più
alta]
'Til it was a battle cry [finché
non fu un grido di battaglia]
I'll come back [Tornerò]
When you call me [quando mi chiamerai]
No need to say goodbye
[non c’è bisogno di dire addio]
(Regina Spektor, The
Call)
a
Aveva visto morire velocemente amici, compagni, persone che non aveva mai incontrato se non nel momento in cui avevano chiuso gli occhi per sempre. Nella sua tenda di medic-nin era riuscita a salvare un gran numero di shinobi il cui destino le era tuttora sconosciuto. Sotto le sue mani erano passate le ferite di Rock Lee, Tenten, Chouji, Kakashi-sensei, Kankuro, Kiba, Hinata e molti altri di cui non ricordava nemmeno il volto, troppo coperto di sangue per essere riconosciuto.
Qualcosa si ruppe sotto il suo passo frettoloso, frantumandosi in mille pezzettini. Ino si chinò a raccogliere i resti di ciò che un tempo doveva essere la montatura di un paio di grossi occhiali dalla lente rotonda, alla sua destra giaceva il precedente portatore: Yakushi Kabuto, il più fedele servo di Orochimaru, che era stato brutalmente ucciso da una potente combinazione di pugni di Shizune-sempai e Sakura. Il ventre era stato trapassato da parte a parte ed Ino pensò subito che fosse stata Sakura a compiere un tale squarcio: Fronte Spaziosa non era mai stata famosa per la sua delicatezza.
Yamato e Sai la salutarono, uscendo allo scoperto da dietro gli alberi, probabilmente alla ricerca di sopravvissuti.
«Tsunade-sama sta radunando i sopravvissuti delle due fazioni in un unico luogo. Ti consiglio di raggiungerla: ha un gran bisogno di ninja medici.» la informò Yamato, con voce roca, tentando di non fissare troppo a lungo il taglio della ragazza. Sai, dietro di lui, abbozzò ad un sottile sorriso, uno dei pochi sinceri. Ino ricambiò, scostandosi il ciuffo biondo da davanti gli occhi. Nel farlo sfiorò appena la ferita e gemette dal dolore. Gli occhi le si riempirono di lacrime, forse non solo per il bruciore.
«Promettimi che tornerai, Chouji.» disse Ino
con voce soffocata, abbracciando il compagno di squadra. Entrambi erano sul
punto di piangere, ma la ragazza era troppo orgogliosa per darlo a vedere e si
nascose affondando il viso nelle spalle di Chouji. «Buona
fortuna.»
Quando si allontanarono l’Akimichi aveva gli
occhi rossi e lucidi e si stava mordendo il labbro inferiore, trattenendo almeno
i singhiozzi, che non sarebbero sembrati per niente
virili.
«Vado a prendere le mie cose. Ci vediamo
presto, promesso.» soffiò appena, correndo verso la tenda dove avevano dormito
quella notte.
«Ciao.» lo salutò con un cenno, alzando il
braccio timorosa.
Ino si girò verso Shikamaru. Il ragazzo
guardava la terra, il prato ancora bagnato di rugiada mattutina, con sguardo
neutro. Nessuna espressione attraversava quel volto
imperturbabile.
Shikamaru non si sarebbe mai scomposto per
niente.
«Niente nuvole, questa volta?» mormorò la
bionda, accostandosi a lui e mettendogli una mano sulla spalla, stringendola con
vigore eppure tremante nel farlo.
«No, le nuvole sono così lontane, ormai. È
il momento di vivere la realtà, non di aggrapparsi al nulla.» rispose spontaneo,
stringendo i pugni. La sua schiena era leggermente ingobbita a causa
dell’improvvisa crescita di quell’ultimo anno.
«Stai diventando gobbo, sai?» sospirò Ino,
dandogli un colpetto leggero alla schiena, che rimbombò sonoramente. «È
antiestetico.» continuò, trasformando quell’ultima parola in un singhiozzo
sommesso.
I due ragazzi si guardarono negli occhi:
l’uno sottomesso al proprio destino, l’altra fragile ed intoccabile. La Yamanaka
tentava di reprimere le lacrime e la disperazione del vedere andar via i suoi
migliori amici, senza contare che i suoi genitori erano partiti di mattina
presto.
«Noiosa, Ino.» disse Shikamaru,
accogliendola in un abbraccio e sentendo il collo bagnarsi delle lacrime
dell’amica. Un grande nodo alla gola lo prese. Deglutì la saliva rumorosamente,
stringendo più a sé la ragazza e sentendola tirare su col naso, commossa. Gli
pizzicavano gli occhi e diede la colpa ai lunghi capelli di Ino, che l’avevano
quasi accecato.
Spostò lo sguardo verso l’orizzonte scuro a
causa del tramonto che si stava avvicinando troppo velocemente e vide la prima
stella della sera fare capolino da dietro un piccolo arbusto
bruciacchiato.
Sciolse l’abbraccio con Ino e rimase a
guardarla sistemarsi la coda color oro pallido ed asciugarsi le gote umide e
salate.
«È ora di andare.» sussurrò dopo pochi
secondi, carezzandole una guancia, senza domandarsi il perché di un tale gesto
estremo.
«Ciao,
Shikam-»
«Non c’è bisogno di salutarmi. Quando la
guerra sarà terminata, chiamami.» soffiò dolcemente il ragazzo, mettendosi lo
zaino in spalla e scomparendo, correndo nei boschi seguito da
Chouji.
Ino rimase ferma immobile in mezzo al campo, sola come una vedova ad attendere il marito. Una folata d’aria le scosse gli abiti e le fece muovere i lunghi capelli, mentre un brivido freddo le attraversava la schiena. Davanti a sé non vi era altro che il buio del bosco oltre al quale sarebbe presto imperversata battaglia.
«D’accordo. E…
Yamato-daichou?» lo richiamò, e il maestro si fermò di scatto. «Ha per caso
qualche notizia di Shikamaru, Chouji, Sakura… qualcuno?» domandò titubante,
fissando lo sguardo verso ciò che si trovava
davanti.
«Sakura è sana e salva da
Tsunade-sama. Te l’ho detto che c’è bisogno di ninja medici!» le sorrise Yamato.
«Di Shikamaru e Chouji non si sa ancora niente, ma fossi in te non mi
preoccuperei.»
«Oh, non sono preoccupata.»
sospirò Ino, stringendosi nelle proprie spalle. «Mi fido di loro, ma Chouji non
è proprio una persona con un gran senso dell’orientamento, e Shikamaru se la
prende sempre comoda… quei due insieme mi fanno prendere un infarto ogni volta.»
ridacchiò, alleggerendo la tensione del momento.
«Ah, Yamato-daichou?»
aggiunse all’improvviso. «Là ci sono Naruto e Sasuke.» aggiornò, riprendendo a
camminare. L’ANBU la ringraziò
mentre Sai era già sparito a controllare la gravità della
situazione.
Si salutarono con un cenno
della mano ed ognuno continuò sulla sua strada. Ino camminò per circa due ore
prima di raggiungere il campo dove si trovava
Tsunade-sama.
Aveva paura. Era raro che
provasse il vero e proprio terrore, ma questa volta non poteva tirarsi indietro.
Non vedeva Shikamaru e Chouji da quasi tre giorni e ovunque si girasse non
trovava altro che cadaveri inermi di shinobi che potevano essere della Foglia,
della Sabbia, traditori o nemici. Non gl’importava, finché nessuno aveva il
volto dei suoi amici.
I suoi genitori erano
rientrati quella mattina, un po’ malmessi ma vivi, questo era l’importante.
Aveva visto Neji e Tenten di sfuggita mentre rientrava nella tenda per curare
l’ultimo ferito dalla battaglia: Genma-sensei. Aveva perso l’uso dell’occhio
sinistro, e si aggirava per il campo con una benda in stile corsaro che lo
rendeva ancora più tenebroso, se sommata al senbon che teneva sempre in
bocca.
Pochi degli shinobi che
aveva curato erano riusciti a cavarsela senza danni permanenti, le tecniche
dell’Akatsuki e quelle dell’Uchiha erano davvero estreme, che puntavano
direttamente alla morte dell’avversario.
Pensò a Shikamaru con una
benda nera a coprirgli un occhio e si chiese che cosa avrebbe pensato lui
vedendola con il viso deturpato da quel taglio. Probabilmente l’avrebbe presa in
giro, per poi tranquillizzarla dicendo che non era cambiata dall’ultima volta
che l’aveva vista.
Chouji invece si sarebbe
preoccupato più che delle sue ferite e le avrebbe consigliato, sofferente, di
conservare del chakra curativo per lei stessa, e non per delle stupide ferite
come le sue.
Gli occhi le si inumidirono
subito, e se non fossero affatto tornati?
L’erba scricchiolava sotto
i suoi passi pesanti. Aveva sorpassato la parte più sanguinosa del campo e
l’acre odore di morte aveva cominciato a scemare, sostituito dal profumo
dell’erba, della terra e del muschio presente sugli alberi che stava
oltrepassando.
L’unica cosa che la
manteneva ancora in piedi, ancora capace di muoversi, era la speranza. La
speranza che non l’avrebbe tradita, non questa
volta.
«Non c’è bisogno di
salutarmi. Quando la guerra sarà terminata,
chiamami.»
«Shikamaru?» mormorò a
denti stretti. Pronunciare quel nome le dava un inspiegabile senso di
nervosismo, le si impastava in bocca come una caramella troppo dolce, era
stranamente difficile da pronunciare perché le sembrava essere troppo lontano.
Troppo effimero.
«Shikamaru?» ripeté,
alzando di poco la voce. Nessuna risposta, l’unico rumore udibile era il
fastidioso silenzio intorno a lei, che le ronzava nelle orecchie come il
peggiore degli insetti.
Si trovò presto al campo
dell’Hokage, senza sapere com’era riuscita ad arrivarci. Non si sentiva più le
gambe, che avanzavano come governate da una forza immaginaria che non era quella
della sua mente. Una ragazza le venne incontro e l’abbracciò, sprigionando
felicità da tutto il corpo.
«Ino! Ino! Sei viva! Come
sono contenta!» urlava Sakura, stringendola sempre più a sé. La bionda non
capiva, a stento riconosceva i lineamenti del viso della persona che l’aveva
abbracciata.
Perché Shikamaru non aveva
risposto? Perché? La guerra era conclusa, e allora perché non aveva risposto
alla chiamata?
Sakura non l’aveva ancora
lasciata, ma ormai Ino non udiva più la sua voce. Era spossata, la testa le
girava ed ogni figura si confondeva in un’unica immagine
confusa.
Si accasciò con la
delicatezza e l’eleganza di una principessa, perdendo i sensi e concedendosi,
finalmente, il meritato riposo dopo cinque giorni di
veglia.
La giovane aprì gli occhi, ancora intontita
dalla svenimento. Si trovava comodamente sdraiata su una brandina. Era stata
coperta con un pastrano marrone e pesante che sembrava tenerle davvero caldo,
era infatti un toccasana per le sue membra
distrutte.
«Ben svegliata, principessa.» la salutò una
voce suadente e profonda proveniente dalla sua destra. Si rialzò, ancora
acciaccata dalle fatiche di quei giorni, e vide chi aveva
parlato.
«Shikamaru!» gridò, gettandosi tra le
braccia del giovane, che sembrava non stesse aspettando che quello. «Sei davvero
tu. Sei vivo.» continuò, accarezzandogli la nuca con dolcezza, come per
accertarsi che non fosse una falsa visione.
«Mi dispiace contraddirti, ma non sono
davvero io.» fu la risposta calma del Nara. Ino, al sentire quelle
parole, si allontanò bruscamente, osservandolo con tanto d’occhi,
incredula.
«Questo è un tuo sogno, Ino. Io non dovrei
esserci, ma tu mi hai chiamato.»
«Tu mi avevi detto che se ti avessi chiamato
alla fine della guerra saresti venuto.»
«Forse non eri abbastanza sicura che fossi
vivo. Lo Shikamaru che hai chiamato è un’entità a cavallo fra il vero e
l’immaginario.» spiegò il ragazzo, guardandosi intorno leggermente
spaesato.
«… cosa?» domandò Ino, non avendo compreso
che cosa volesse significare. Era vero che l’aveva chiamato senza essere sicura
se fosse o no in vita, e allora? Voleva dire che se l’avesse chiamato sicura
della sua morte, le sarebbe apparso uno Shikamaru morto? Non
capiva.
«L’amore che provi nei miei confronti è
talmente forte che ti ha permesso di creare una perfetta controparte di me nei
tuoi sogni. Ciò che io ti dico, è ciò che tu, inconsapevolmente, vuoi sentirti
dire.
Ogni essere umano crea diverse copie della
vera persona che ama, e ognuna di queste ha una peculiare caratteristica che lo
differenzia. Io devo essere il cinico ed innamorato Shikamaru Nara. Sono un
controsenso, diamine!» sbottò la proiezione di Shikamaru, incrociando le braccia
al petto ed assumendo un’espressione
imbronciata.
«Tu come fai a sapere che lo amo?» domandò
la bionda, irrequieta.
«Mi hai creato tu. Ma non è questo il punto,
Ino. Shikamaru, il vero Shikamaru, è vivo. Chiamalo.» esclamò il ragazzo,
cominciando lentamente a dissolversi.
«No! Aspetta! Io l’ho già chiamato, ma mi
hai risposto tu!»
«Si vede che non lo desideravi
abbastanza.»
Quelle furono le ultime parole del fantasma,
prima di scomparire davanti agli occhi lucidi della Yamanaka. La ragazza tirò un
potente pugno contro la brandina, che si scosse
sinistramente.
«Svegliati!» rimbombò una voce lontana,
echeggiante e profonda. La stessa del suo compagno di
squadra.
Ed Ino si svegliò.
«Eccola! Si è svegliata,
Sakura!» la voce di Shizune si sostituì a quella di Shikamaru, nel momento in
cui la bionda aprì gli occhi, stordita.
Sakura si precipitò al sua
capezzale, stringendole la mano con affetto. «Ino! Avevo paura non ti svegliassi
più! Mi sei crollata tra le braccia e non sapevo che fare. Fortunatamente
Tsunade-sama ti ha visitata e ha assicurato che era stata soltanto un po’ di
stanchezza accumulata.» sospirò la rosa,
abbracciandola.
«Sakura…» cominciò Ino,
lasciando la frase in sospeso. Temeva di chiederle se aveva visto Shikamaru o
Chouji, se sapeva se erano già tornati, se aveva anche la più piccola
informazione sul loro conto.
Ripensò alle parole del
sogno:
«Forse non eri abbastanza sicura che fossi vivo. Lo
Shikamaru che hai chiamato è un’entità a cavallo fra il vero e
l’immaginario.»
Se Sakura le avesse
risposto che non sapeva nulla, cosa avrebbe fatto? Non sarebbe riuscita a
sopportare l’idea di vuoto che aleggiava intorno ai suoi migliori
amici.
Sentì un forte rumore di
passi in corsa, pesanti e irrequieti; la tenda si aprì di scatto e, insieme ad
una folata di vento, apparve Chouji. Era scarno, magro e longilineo come l’aveva
visto poche volte: evidentemente aveva usato le pillole della famiglia Akimichi
per la battaglia. Ma era vivo, e le stava sorridendo, aprendo il viso incavato
in un sorriso sincero e felice.
Urlò il nome dell’amico,
deglutendo il groppo che aveva in gola, scendendo di corsa dal letto e
gettandosi tra le braccia di Chouji, che la strinse a sé con un tale affetto che
la commosse, rendendola cieca e sorda a qualsiasi altra cosa stesse succedendo
intorno a lei.
Le lacrime cominciarono a
scendere da entrambi i ragazzi quasi spontaneamente e, senza accorgersene, si
trovarono a piangere di gioia succubi l’uno dell’abbraccio
dell’altra.
«Ino! Non hai idea di
quanto Shikamaru ed io temessimo per te.» esordì all’improvviso, alzandola da
terra e facendola volteggiare, guardandola come avrebbe guardato una sorella.
«Ogni notte, davanti al fuoco, pregavamo per te! E tu sai che Shikamaru non
crede in Dio, quindi cerca di immaginare quanto fosse angosciato. E poi fumava
almeno venti sigarette al giorno pensando a te; se non è morto in battaglia
morirà di cancro ai polmoni!» esclamò l’Akimichi, posandola a terra, lasciandosi
andare in un risata allegra.
Ino si asciugò le lacrime
con un veloce gesto della mano, nel farlo toccò il sangue ormai incrostato del
taglio e s’intristì.
«Che c’è?» le domandò
Chouji. «Se hai paura di non piacere più a Shikamaru con quel taglio ti sbagli,
sai?» le disse, sorridendo. Erano sempre stati legati da una forte empatia:
capivano alla perfezione lo stato d’animo dell’altro e facevano in modo di
essere sempre vicini affettivamente. Ino non si stupì, quindi, della domanda del
ragazzo, che aveva fermato Sakura dal medicarlo per preoccuparsi del problema
dell’amica.
La ragazza distese
l’espressione e si avvicinò a Chouji, le mani protratte verso le sue ferite. «E
ora sta’ fermo, baka. Devo curarti quelle ferite: se non
chiudo il buco che hai sul braccio dovremo amputartelo!» sbottò, riprendendo il
pieno controllo di se stessa.
«Ma non fa male!» esclamò
l’Akimichi intimorito, indietreggiando come se stesse affrontando un nemico: non
gli era mai piaciuta l’espressione di Ino quando era
determinata.
«Beh, adesso lo farà!»
ghignò la bionda, riversando il chackra curativo sul giovane, che prese a gemere
dal dolore. La sua mente, però, vagava oltre quella tenda in direzione di uno
dei tanti che mancavano all’appello.
«Tu sai dov’è Shikamaru?»
domandò Ino, pulendolo dal sangue in viso. Sakura le porse una benda e una
garza, con le quali medicò le ferite più
superficiali.
«Ci siamo divisi ieri
perché siamo stati attaccati di sorpresa da un tipo con una spada enorme. Era un
ragazzo che avrà avuto sì e no la nostra età, ma era davvero forte! Ad un certo
punto è arrivata ad aiutarlo una ragazza che si è fatta mordere dappertutto!
Shikamaru ha detto che probabilmente il suo chackra, se mangiato, era curativo,
dato che il tipo con la spada si è rialzato subito nonostante le ferite che gli
avevamo inflitto!» rispose Chouji, un po’ confusionario. «Il tipo con la spada
si è lanciato su di me e Shikamaru ha attirato la ragazza lontano così che non
potesse più curare il compagno. Era piuttosto debole, non credo sia
sopravvissuta. Il mio avversario è morto, invece.»
Ino sorrise sinceramente:
Shikamaru odiava combattere contro le donne, ma per ironia della sorte erano
spesso sue avversarie. Abbassò lo sguardo e represse il nodo alla gola,
mordendosi il labbro inferiore.
«Ehi,» Chouji sussurrò,
sereno, alzandole il mento con una mano. «tornerà di sicuro. Non è il tipo da
lasciare le cose a metà.» concluse con solennità, alzandosi dalla sedia e
facendo per uscire dalla tenda, in modo che il ferito dopo di lui potesse essere
curato.
«Le cose a metà? Chouji,
che significa?» chiese la bionda tentando di fermarlo, ma era troppo tardi: se
n’era già andato con un’espressione soddisfatta stampata sul
viso.
Perché aveva sempre la
strana impressione che Chouji sapesse qualcosa che lei, o Shikamaru, non
sapevano?
a
You'll come back [Tornerai]
When it's over [quando sarà
finita]
No need to say good bye [non c’è bisogno di dire
addio]
You'll come back [Tornerai]
When it's over [quando sarà
finita]
No need to say good bye
[non c’è bisogno di dire
addio]
a
Un forte tuono riecheggiò per il campo, mentre un fulmine illuminava a giorno il cielo nero privo di stelle. Era una serata perfetta per rimanere a casa a rilassarsi davanti al fuoco, eppure al campo di Konohagakure nessuno sembrava tranquillo. Gli shinobi correvano attraverso il prato, riportando di tanto in tanto dei feriti sulle spalle, che venivano subito curati in una delle tante tende mediche innalzate nelle ultime ore.
Il numero dei dispersi dopo quella guerra era troppo alto per sembrare credibile, nonostante fosse vero, e quello dei superstiti non contava nemmeno la metà. Su un foglio che le era stato consegnato quella mattina vi erano tutti i nomi dei deceduti, ma Tsunade-hime non aveva la minima intenzione di leggerlo.
I ninja medici lavoravano instancabilmente da due giorni su buoni e cattivi, senza distinzioni di alcun genere, per fare in modo che nessun’altra vita fosse perduta.
Ino s’impegnava come una professionista, raggiungendo il livello di Sakura, impegnandosi per superarla, per fare del suo meglio e non essere inutile. Chouji l’assisteva, distogliendole spesso l’attenzione dal pensiero di Shikamaru, che ancora non si vedeva all’orizzonte.
La lontananza del compagno di squadra aveva reso i due ragazzi insofferenti: Shikamaru era sempre stato l’elemento calmo del gruppo. La Yamanaka e l’Akimichi erano allo sbaraglio senza di lui, incapaci di pensare con razionalità, ma facendo qualsiasi cosa molto impulsivamente.
Ino aveva ormai cominciato a perdere la speranza. Se Shikamaru era vivo, si stava facendo attendere anche troppo. Guardava al fatto con occhi molto cinici, non volendo credere all’evidenza di aver perso la persona che amava.
La notte si trovava spesso a piangere tutte le sue lacrime, i singhiozzi attutiti dal cuscino nel quale vi aveva affondato il viso; la mattina si svegliava bagnata e sporca del sangue del suo stesso taglio, che si riapriva ad ogni gemito.
Chouji la osservava impotente, digrignando i denti e stringendo i pugni, sentendosi la persona più inutile sulla faccia della terra. Sibilava di tanto in tanto il nome dell’amico, come ordinando a lui di mostrarsi o dare un segno della sua presenza, ma rimaneva sempre deluso.
Quella sera, umida e tonante, Ino era sdraiata sul prato a fissare quella stupida macchia d’inchiostro che era il cielo. Tutti i feriti di quel giorno erano tra i più gravi, e quindi erano stati affidati alle cure di Shizune-sempai e Tsunade-sama, più un alto numero di infermiere e medici professionisti.
Imitare il comportamento di Shikamaru era come un modo per essergli più vicino, pensava la ragazza, stringendo tra le dita alcuni fili d’erba e bagnandosi le mani a causa dell’alta umidità che preannunciava l’avvento di un temporale.
«Immagino che se venisse qualcuno a parlarti che non sia io gli tireresti dietro tutto il tuo repertorio di insulti, vero?» irruppe Chouji in quell’istante, senza preoccuparsi di parlare a voce troppo alta.
«Mi conosci proprio bene.» rispose la bionda sospirando e muovendo una mano alla sua sinistra, invitando l’amico ad adagiarsi accanto a lei. Seguì un silenzio ponderato. «Sono quattro giorni, ormai.» bisbigliò, strappando con violenza un paio di fili d’erba.
«Io non ho perso la speranza.» mormorò il ragazzo con una punta accusatoria nella voce. «Kiba è tornato oggi, Shino ieri. Hinata era al settimo cielo, e lo saremo anche noi alla fine, vedrai.»
«La fine?» sbuffò Ino, voltandosi su un lato, dando la schiena al compagno. «Quando sarà la fine? Domani?, tra dieci giorni?, tra dieci anni? Quando pensi che Konoha si riprenderà da questa battaglia? Sono morte troppe persone e, ironia della sorte, tutti i team che si sono diplomati nel nostro anno sono usciti indenni. L’unico che manca è Shikamaru, che sia un segno? Nel team di Gai-sensei l’unico un po’ più acciaccato degli altri è Neji, ma per il resto stanno tutti bene. Mi viene quasi da ridere.» grugnì, osservando una formica girovagare spaesata tra l’erba davanti al suo sguardo.
«Forse tutti i compagni degli altri team speravano davvero nel ritorno del loro compagno, non si arrendevano dopo soli quattro giorni.»
«Non voglio finire come Sakura, Chouji. Ha aspettato Sasuke per tre anni, e quando pensava di averlo ritrovato… ha scoperto che non era più lo stesso. E ora l’ha perso.» sbottò, avvicinando le ginocchia allo stomaco come a proteggersi da una forza invisibile.
«Ino, Sakura ha ritrovato Sasuke. Sasuke è vivo. E pentito.» disse Chouji con ovvietà. Il suo tono ricordava brutalmente quello che gli adulti usano per parlare con i bambini.
«Sakura ha Naruto, ora.»
A quelle parole l’Akimichi non seppe come replicare. Le storie d’amore, a parte una, non l’avevano mai interessato più di tanto. Certo, era curioso vedere quanto strano potesse essere il modo di rapportarsi dei suoi amici, e soprattutto quanto strani fossero i gusti dei suoi amici, ma tutto si risolveva sempre con una battutina di circostanza e niente di più.
Il giovane si rialzò dall’erba, pulendosi i pantaloni troppo larghi per la sua nuova corporatura. Voleva lasciare Ino sola, a pensare e a sperare.
«La speranza è sempre l’ultima a morire, Ino.» le sussurrò come ultima cosa, andandosene. «Faresti bene a ricordarlo.»
La Yamanaka stette ad
ascoltare il passo soffuso dell’amico sulla terra, e quando fu abbastanza
lontano si rigirò, tornando a guardare il cielo. C’era una nuvola a solcare la
macchia color inchiostro della notte: una grande nuvola grigio scuro che
minacciava tempesta.
Un altro tuono rimbombò nel
campo silenzioso e presto le gocce di pioggia cominciarono a cadere, fredde e
veloci.
«Shikamaru.» soffiò
tristemente, ormai già zuppa. Un brivido le percorse la schiena quando percepì
il calore delle lacrime sul suo viso contrastare con il gelo della pioggia che
si abbatteva su di lei senza pietà.
E lei credeva in quel nome,
come credeva in quella persona. Come credeva nell’amore che provava per
lui.
Una punta azzurra aveva
fatto capolino dietro i nuvoloni neri che avevano infestato il cielo per due
giorni fino alle nove di quella mattina, privando Ino di vedere l’alba come ogni
giorno.
Il recupero da parte degli
ANBU era terminato quella notte: tutti i sopravvissuti erano stati salvati e la
lista dei dispersi era stata completamente spuntata. Molti erano morti,
altrettanti erano tornati vivi, sorreggendosi a malapena. Un solo nome era
rimasto inviolato: Shikamaru Nara.
Tutto il campo si stava
preparando per un ritorno in grande stile alle proprie case, dalle loro famiglie
sane e salve.
Chouji ed Ino non
riuscivano a trovare il coraggio di bussare alla casa dei Nara per informarli
che loro figlio era ancora disperso. Ogni sforzo degli ANBU era stato inutile.
Il commento di Yamato-daichou era stato: «È come se fosse scomparso nel
nulla.»
Molti avevano già tradotto
quella frase come: «È morto.»
Anche i due ragazzi si
stavano ormai convincendo che fosse impossibile vederlo tornare, magari persino
privo di alcuna ferita.
Ma era bello
sognare.
Chouji ed Ino erano
indaffarati a raccogliere tutti gli oggetti rimasti in tenda. Di lì a poco
l’avrebbero disfatta e si sarebbero accodati al gran numero di shinobi che stava
tornando a casa.
La Yamanaka stava giusto
ritirando i suoi attrezzi da medic-nin quando una voce roca e profonda la fece
sobbalzare. Gli utensili caddero a terra tintinnando come
monete.
«Mi hai chiamato.» disse la
voce misteriosa, lasciando la ragazza esterrefatta. Una forza invisibile la
spinse a voltarsi verso l’uscita, senza degnare l’espressione preoccupata di
Chouji di uno sguardo.
Si precipitò fuori e si
fermò nel mezzo dell’accampamento, guardando fisso dove la voce le diceva di
volgersi. Vide un’ombra uscire dal bosco e il cuore prese a batterle
all’impazzata.
Non si chiese chi fosse la
sagoma tenebrosa, già lo sapeva, anche se nel profondo del suo animo non voleva
ancora crederci.
Shikamaru Nara uscì allo
scoperto, zoppicante, il fianco circondato dal braccio sinistro mentre il destro
era abbandonato. E Ino non ci vide più.
La corsa fu immediata. La
gioia incommensurabile. I singhiozzi sonori e detestabili: aveva pianto anche
troppo in quella settimana.
Non ci fu bisogno di
parole, né di gesti, né di qualsiasi altra cosa. Stavano lì, impacciati, a
guardarsi come se si incontrassero per la prima volta. Ad amarsi con semplici
sorrisi, o occhi lucidi.
«Hai chiamato, Yamanaka?»
domandò Shikamaru, commosso eppure dal volto imperturbato, accogliendo per la
seconda volta l’amata tra le braccia acciaccate e baciandola con
passione.
a
Let your memories grow stronger and stronger [Lascia che i tuoi ricordi diventino più
forti e più forti]
‘Til they’re before your eyes [finché non saranno davanti ai tuoi
occhi]
You’ll come back [Tornerai]
When they call you [quando ti
chiameranno]
No need to say good bye [non c’è bisogno di dire
addio]
You’ll come back [Tornerai]
When they call you [quando ti
chiameranno]
No need to say good bye
[non c’è bisogno di dire
addio]
a
A/N
No, ma
dico, ma quanto fa schifo questo finale? Brrr… sono
disgustata!
Rileggendo
questa fic mi viene da dire: Sì, okay… e allora? °°
Credo
che sia il lavoro più brutto che abbia mai scritto. °° Non vuol dire niente.
Niente. Però ho ricevuto commenti
positivi da Eleanor, Coco Lee e Rory_chan, quindi… bah,
dite voi! Io sono ipercritica per quanto riguarda le mie
fanfictions.
Doverose
spiegazioni:
Questa
fanfiction è nata dopo aver visto Le Cronache
di Narnia, il Principe Caspian al cinema. Alla fine del film c’è questa
canzone, davvero splendida, che vuole fare da epilogo. Ebbene, seguendo i
capitoli del manga di Naruto mi è venuta in mente questa canzone, ed ecco cosa
ne è uscito.
Erano
secoli che volevo scrivere qualcosa inerente alla guerra che Sasuke vuole
scatenare contro Konoha, e avevo altrettanto bisogno di ShikaIno… quindi eccoci
qua!
Cos’è
questa cosa? È una storia un po’ sovrannaturale. Ho toccato il tasto dei
fantasmi della mente, i ricordi, i sogni premonitori… e quel chiamare che si ripete in
continuazione…
E
Shikamaru che, alla fine, sa che Ino l’ha chiamato. Perché quel fantasma non era
altro che lui…
Dio,
come sono complicata.
… e
orripilata dalle stesse cose che scrivo.
La
chiamata si rifà sempre al Principe
Caspian, in quanto Lucy, involontariamente, mi ha dato l’idea di Ino che
chiama Shikamaru esattamente come lei che chiama
Aslan.
E mi
ricorderò sempre la frase:
Peter:
Perché io non ho visto Aslan?
Lucy:
Forse perché non stavi guardando.
**
adorabile!
A chi
la dedico nonostante non sia quello che mi aspettavo?
A
Lee, la mia geme biancaH come la neve che
si diverte a fare scherzi di cattivo gusto (no, non ho dimenticato! è.é) e che
l’ha betata con tanta pazienza e mi ha suggerito di modificare un po’ il
finale.
Alla
mia Ele-sensei, che mi manca tanto tanto!
T_T Torna presto, zia! La ringrazio anche per avermi dato dell’idiota quando le
ho detto che non mi piaceva.
Alle
deliziose MoscheH del forum di Shikamaru
ed Ino, che hanno sempre bisogno di questa coppia!
Alla
mia alter-ego SasuSakosa Rory_chan, che
mi sta traviando con la SasuSaku e i Nightwish!
XD
A
me stessa, perché non mi sono mai
dedicata un fic! ù_ù
Ja
ne.
Akami/AtegeV
P.S. Commentate, perché è cosa buona e giusta.