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Autore: Clockwise    16/07/2014    3 recensioni
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?»
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hello people!
Sono tornata prima del previsto, con un capitolo piuttosto discorsivo e sconclusionato, temo, ma mi sembrava necessario. 
Un grazie sentito a chi legge, in particolare alle meravigliose ragazze che hanno recensito e preferito - siete un motivo per continuare.
Spero di non deludervi, a presto!
-Clock




 
 
 
 
Capitolo 7
Echi di voci di amici
 
 
 
Sabato 6 aprile.
Matisse fece capolino nel soggiorno, saggiando l’aria, guardingo. Se i suoi muscoli facciali glielo avessero consentito, avrebbe storto il naso.
Cartoni di pizza giacevano a terra accanto a lattine solitarie. Erano sparse qua e là una borsa, giacche, scarpe, un pacchetto vuoto di sigarette, il blocco da disegno. Mel dormiva sul divano: originariamente doveva essere stata seduta, ma era scivolata in basso, allungando le gambe e finendo con le testa poggiata sul petto dell’uomo che, a sua volta, le aveva poggiato la testa in grembo e dormiva supino con le gambe ben oltre il bracciolo del divano. La televisione era ancora accesa, senza volume.
Il gatto voltò sdegnosamente le spalle alla scena desolante e se ne tornò nella camera di Mel quando il campanello squillò, oltraggiante.
Mel si tirò su grugnendo, cercando, per quanto potesse, di non disturbare Benedict, apparentemente sordo al trillo del campanello. Ruotò il collo indolenzito, strizzando gli occhi, scacciando gli ultimi brandelli dei sogni agitati che l’avevano perseguitata fino a quel momento.
Si alzò, infilò un cuscino sotto la testa di Benedict e si trascinò fino alla porta, maledicendo chiunque fosse che arrivava alle…
Controllò l’orologio.
Undici di sabato mattina. Ok, l’orario era ragionevole, erano loro due i pigri che meritavano di essere puniti.
Aprì la porta stropicciandosi gli occhi miopi, ma la persona che attendeva oltre questa, con un sorriso sghembo e i capelli arruffati ad arte, la svegliò di colpo meglio di una doccia fredda.
« Bruce? Porca miseria!»
«Buongiorno, Mellie, vedo che non hai perso le buone abitudini» sorrise il ragazzo, rivolgendole un’occhiata inquisitoria da capo a piedi. «E sei sempre più bella.»
Mel si irrigidì, la faccia una maschera di pietra. Gli sbatté la porta in faccia.
Chiuse gli occhi e strinse i denti mentre un altro trillo le trapanava le orecchie. Sentì Benedict muoversi nella stanza accanto, quindi riaprì la porta di scatto.
«Sparisci» sibilò. Lui sogghignò.
«Altrimenti? E perché parli a bassa voce, chi c’è? Il tuo nuovo ragazzo?» fece, beffardo.
«Quanto vorrei prenderti a schiaffi, adesso…»
Lui rise, innervosendola ancora di più.
«Chi ti ha fatto entrare? La signora Hemingway?» chiese lei.
«Chi, la vecchietta con gli occhiali?»
Mel roteò gli occhi.
«Dovevo immaginarlo. Be’, non è stato un piacere rivederti, ora puoi andartene.»
«Ma io non voglio andarmene!» rise lui, appoggiandosi con una mano allo stipite della porta, guardandola sempre con il suo sorriso ammaliante. Non era cambiato di una virgola.
«E che sei venuto a fare?»
Si strinse nelle spalle.
«Non si può salutare una vecchia amica?»
«Io non sono tua amica, e ora fammi il favore di andartene dalla mia porta. Non voglio più vederti, Bruce, mai più. Vattene» disse, guardandolo negli occhi, estremamente seria. Lui indietreggiò di un passo, sollevando i palmi della mani.
«Come vuoi, non insisto. Volevo chiedere il tuo perdono e dimostrarti che sono cambiato e inizierò lasciandoti il tuo spazio e comprendendo il tuo stato d’animo.»
«Oh, ti sei messo a fare psicologia, adesso?» lo schernì lei, incrociando le braccia. Lui abbassò la testa.
«Mi trovi al 47 di Partington Road, Camden Town, in caso cambiassi idea.»
«Aspetta e spera. Addio» disse, secca, chiudendogli la porta in faccia. Attese davanti alla porta, il petto che si alzava e si abbassava affannosamente, finché non sentì i suoi passi allontanarsi giù per le scale. Allora tirò un respiro di sollievo e tornò in soggiorno da Benedict, che continuava a dormire.
Si sedette accanto a lui, sul bracciolo del divano, prendendosi la testa fra le mani. Cosa diamine ci faceva Bruce Gallagher davanti alla sua porta? Come aveva avuto il suo indirizzo, perché l’aveva cercata? Cosa voleva da lei? Erano passati quasi dieci anni, perché adesso, proprio adesso, saltava fuori di nuovo? Tutta una serie di ricordi le sfilò davanti agli occhi, impietosa. Li chiuse forte e scosse la testa. Non voleva, non doveva pensarci, era una storia passata, finita. O forse no? (Era venuto a bussare alla sua porta. E il petto le faceva curiosamente male.)
Si voltò verso Benedict e gli passò una mano fra i capelli ondulati. Il gesto la calmò completamente. Osservò il suo viso addormentato e le sembrò di essere a un passo dal Paradiso – se mai esisteva, doveva essere qualcosa del genere.
Bruce probabilmente usciva adesso dal palazzo e, chissà, magari si era voltato indietro verso la sua finestra, se si fosse affacciata sarebbe stato lì… Scosse la testa, tornando ad accarezzare Benedict, sentendosi improvvisamente in colpa. Forse non meritava di stare lì, sicuramente qualcun altro era degno più di lei di godere della compagnia di un uomo simile, tanta fortuna non era per lei, ma era così confortante, per quanto egoistico, averlo lì accanto a lei… Gli era così grata.
Benedict sorrise.
«Buongiorno» mormorò, senza aprire gli occhi.
«Buongiorno a te. Dormito bene?»
Lui aprì gli occhi e si tirò su, lasciandole un bacio veloce sulle labbra.
«Benissimo» mormorò, con l’aria di chi è reduce da una battaglia. Mel lo guardò scettica.
«Ero sarcastica.»
Benedict lasciò cadere le spalle che aveva raddrizzato con immenso dolore dei suoi muscoli e si massaggiò la base della schiena.
«Ok, ho la schiena a pezzi. Ma non importa» disse sorridendo, sempre con quella voce bassa e morbida che Mel suppose fosse normale appena sveglio. Si appoggiò allo schienale del divano, chiudendo gli occhi.
«Che ore sono?»
«Le undici.»
«Le undici?» spalancò gli occhi e si drizzò. «Dovevo andare a pranzo da Martin, con tutta la famiglia... A che ora ci siamo addormentati ieri?»
«Tu alle due, io un po’ più tardi.»
Non riuscì a dirgli che nemmeno la sua presenza era riuscita a calmarla, ad allontanare i brutti pensieri dalla sua mente e che si era svegliata e riaddormentata innumerevoli volte.
Benedict scosse la testa, ricordando la stanchezza, la rabbia, la paura e la frustrazione che li avevano accompagnati la sera prima e spinti ad addormentarsi abbracciati davanti alla televisione.
Che tristezza. Martin ha ragione a dire che sei vecchio.
«Io invece erano secoli che non mi alzavo così tardi e dormivo nove ore filate. E stavo anche su un divano scomodo.»
Mel sorrise, alzandosi.
«Hai tempo di fare colazione? C’è della frutta, dei cereali e forse un po’ di pane e marmellata…»
«Certo, qualsiasi cosa andrà benissimo. Dovevo andare verso l’una, farò in tempo.»
Usarono a turno il bagno e Mel si cambiò i vestiti stropicciati della sera prima, per poi dedicarsi alla colazione. O almeno, ci provò.
«Ti taglierai un dito, sta ferma!»
Benedict le tolse gentilmente il coltello e la pera di mano.
«Fatti in là, prendi i cereali. Hai dello yogurt?»
Mel controllò nel frigo e trovò due vasetti di yogurt bianco.
«Perfetto» sorrise Benedict, sbucciando la pera e tagliandola a spicchi. «Ora prendi due tazze o due ciotoline e mettici lo yogurt e i cereali.»
Mel eseguì in silenzio, concentrata.
«McConaghan ha scritto che possiamo passare in centrale verso le tre, comunque, per lasciare una dichiarazione sulla storia dei messaggi e del dipinto.»
Mel annuì, posando le due ciotoline accanto a lui. Benedict vi lasciò cadere dentro i pezzetti di pera, passando poi ad occuparsi delle prugne e di una mela.
«Chi era prima alla porta?»
Mel sussultò.
«Hai sentito?»
«Il campanello mi ha svegliato» rispose Benedict con semplicità, guardandola. Lei abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
«Nessuno, avevano sbagliato piano.»
Benedict corrugò le sopracciglia.
«Mi sembrava che aveste…»
«Ehi, dov’è Matisse? È da ieri sera che non lo vedo» lo interruppe precipitosamente la ragazza.
«L’ultima volta l’ho visto che entrava nell’altra stanza.»
«Sì, in camera, vado a vedere, torno subito.»
Benedict continuò a guardarla, sospettoso. Perché gli mentiva? Chi era alla porta, perché non voleva parlargliene? Tornò alle sue prugne, accigliato.
 
Bruce, dalla strada, si voltò verso quella che supponeva la finestra di Mel, pensieroso. Poi salì sull’autobus verso Camden.
 
°°°
 
Strofinò il dischetto di cotone sull’occhio, eliminando gli ultimi rimasugli di trucco. Sbatté le palpebre, gli occhi leggermente irritati per colpa dello struccante, e incrociò il suo riflesso allo specchio. Abbassò subito gli occhi, riponendo le sue cose nella borsa e alzandosi.
«Ci vediamo lunedì, splendore!» le urlò dietro Pedro, dalla sua postazione dietro la macchina fotografica, alle prese con una nuova ragazza. Lei sventolò una mano nella sua direzione, sforzandosi di sorridere.
«A lunedì, bellezza, e non fare tardi, mi raccomando» ghignò Dan, dandole una pacca sul sedere mentre passava. Ruth lo fulminò con lo sguardo, scansandosi, ma non poté fare altro – era il suo capo. Si chiuse la porta lasciandosi alle spalle la risata viscida dell’uomo, assaporando il tepore della tarda mattinata.
Camminando verso la fermata dell’autobus, si accese una sigaretta, cercando di non pensare a quanto fosse squallido il suo lavoro: posare per un fotografo messicano gay che tentava di svendere i suoi scatti banali a un viscido grassone che giocava a fare il playboy, direttore di una rivista di moda da quattro soldi.
Soffocò una risata amara.
Mel aveva passato un’adolescenza da cani, aveva iniziato a dipingere tardi, si era diplomata in un’accademia prestigiosa, aveva vinto una borsa di studio, avrebbe allestito una mostra e usciva con un attore famoso.
Lei aveva avuto un’infanzia e un’adolescenza splendide, aveva vinto concorsi di disegno da quando era bambina, si era diplomata senza difficoltà, aveva avuto decine di ragazzi, e adesso si ritrovava a fare la modella sottopagata. Ah, l’ironia.
Si sedette sulla panchina sotto la tettoia della fermata, accanto a una coppia di turisti tedeschi, tirando fuori il cellulare.
«Mel? Ciao, come va? Bernie mi ha detto di ieri, mi dispiace così tanto…» Gettò la cicca a terra e osservò il suo piede calpestarla.
«Sei da sola? Ti va se andiamo a pranzo insieme? Soho? Ok, ci vediamo lì, a dopo.»
Un autobus si fermò davanti a lei.
 
°°°
 
La piccola creatura bionda in braccio a lui alzò il viso.
«Come si chiama la tua fidanzata?»
Benedict la guardò stupito, producendo un poco elegante «Eh?»
Amanda ridacchiò, mentre Martin riprendeva sua figlia con un irato «Grace!»
La bambina ignorò entrambi e non staccò gli occhi da quelli di Benedict.
«Ieri sera mamma e papà hanno detto che hai una fidanzata. Come si chiama?»
«Non avresti dovuto sentire!» protestò Martin.
«Be’, lei non è proprio una fidanzata…» iniziò Benedict.
«Vi sposerete? E farete tanti bambini?»
«Grace, adesso basta» disse Martin, serio, mentre Amanda rideva nascondendosi nel tovagliolo e Joe, il più grande, guardava la sorella minore con disgusto e Benedict quasi con delusione – pensava che lo zio Ben fosse troppo figo per tutta questa roba da ragazze, e invece...
Benedict si arrese.
«Si chiama Melancholia, ma tutti la chiamano Mel.»
Aveva sperato invano che avrebbero sorvolato sulla storia di Mel, quel giorno, ma apparentemente Martin aveva raccontato alla moglie quello che era successo il pomeriggio prima.
La bambina arricciò il naso.
«Che nome buffo. Come il tuo» affermò, per poi sistemarsi più comodamente sulle gambe dell’uomo e giocherellare con l’orlo della gonna.
Amanda aggrottò le sopracciglia.
«Melancholia? È di Londra?»
Benedict la guardò sorpreso.
«A quanto ne so, sì. Perché?»
Lei guardò Martin, come se potesse ritrovare la risposta sul suo viso perplesso.
«Non vorrei sbagliarmi, ma… Mia nipote ha fatto le superiori alla Acland Burghley, a Camden, e aveva sentito parlare di una ragazza che si chiamava Melancholia, se la ricorda per il nome particolare.»
Benedict corrugò le sopracciglia.
«E cosa aveva sentito dire?»
Amanda si mosse a disagio sulla sedia, sempre guardando Martin. Lui sembrò capire e si alzò da tavola, facendo cenno a suo figlio di imitarlo.
«Bambini, perché non andate a giocare in camera per un po’ e lasciate i grandi a chiacchierare?»
«No, io voglio stare con zio Ben!» protestò Grace, sbattendo i pugnetti sulle gambe.
«Se fai la brava, fra un po’ Ben giocherà con te, va bene?» promise Martin, tirandola giù dalle gambe dell’amico. Lei lo guardò sgranando gli occhi.
«Lo prometti, zio Ben?»
Lui le sorrise con tenerezza, sebbene una linea di preoccupazione per quello che Amanda aveva detto gli solcasse la fronte. Promise con tanto di mano sul cuore, ma la bambina non fu soddisfatta finché non ebbero suggellato la promessa stringendosi i mignoli. Amanda, intanto, aveva finito di sparecchiare e portato dentro il caffè.
«Ti adora, sai?» sorrise. Benedict le sorrise di rimando.
«È ricambiata, insieme al fratello. Adoro i bambini.»
«Dovrai giocare al detective con tutte e due, preparati» annunciò Martin, tornando nella sala da pranzo e chiudendosi la porta alle spalle. Benedict annuì, la mente altrove.
«Cosa stavi dicendo, prima?» domandò ad Amanda, mentre questa serviva il caffè. Lei finì di sistemare le tazzine e si risedette prima di parlare.
«Non voglio spettegolare, e non so quanto attendibile possa essere, è una specie di voce di corridoio, temo, ma, ecco… Mia nipote mi ha detto di questa ragazza che, circa dieci anni fa, quando mia nipote era al primo anno e questa ragazza all’ultimo, era, diciamo, famosa per, ecco…»
«Sei una racconta-storie pessima, lasciatelo dire, tesoro» commentò Martin, girando il cucchiaino nel suo caffè. Amanda gli diede una gomitata e lo rimproverò con lo sguardo, poi inspirò e riprese.
«Insomma, c’era questa ragazza, temo proprio la tua Melancholia, che a metà dell’ultimo anno aveva lasciato la scuola, per poi tornarci e ripetere l’anno in autunno. E dicevano che l’avesse fatto perché… Beh, ma sono soltanto voci, e forse non parliamo nemmeno della stessa persona…» tentennò, senza guardare Benedict negli occhi.
«Amanda» la esortò lui, il cuore che batteva nervoso. «Per favore.»
«E va bene.» Trasse l’ennesimo respiro. «Dicevano che fosse finita in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti.»
 
°°°
 
«Bernie mi ha detto…»
«Non voglio parlarne» disse, più aspramente di quanto avrebbe voluto. «Se non ti dispiace.»
«No, figurati.»
Mel abbassò lo sguardo sul menù, senza realmente vederlo. Lo posò irritata.
«Hai già scelto?» chiese Ruth, guardandola da sopra il suo menù.
«Spaghetti di soia con gamberi, come al solito. Tu?»
«Prenderò quelli con il pollo.»
Mel annuì, lasciando vagare lo sguardo sul resto dei tavolini esterni del locale in cui stavano pranzando.
«È venuto Bruce stamattina.»
Ruth spalancò gli occhi.
«Bruce Gallagher? E che voleva?»
Mel si strinse nelle spalle.
«Non lo so. “Salutare una vecchia amica”. Come no. Non lo so, non so che pensare. Sono dieci anni che non lo vedo, e mi va benissimo così. Adesso mi spunta fuori e c’era Ben nell’altra stanza…»
«Si sono incontrati?» chiese l’altra, giocherellando con il menù.
«No, per fortuna. Ben non sa niente.»
Ruth sollevò le sopracciglia sorpresa, guardandola.
«Non gli hai detto niente?»
«No, ed è meglio che non sappia mai niente.»
«Mel…»
«Sì, sì, va bene, le bugie avranno pure le gambe corte ma non voglio che Bruce mi rovini la vita un’altra volta! Le cose con Ben andavano così bene…»
Ruth abbassò lo sguardo e Mel la sentì muovere le gambe nervosamente e darle un calcio senza volere. Piegò il capo di lato e corrugò le sopracciglia.
«Ruth, va tutto bene?»
«Mh? Sì, perché non dovrebbe?» fece lei.
«Non so.» Abbassò lo sguardo, giocherellando con le bacchette. «Forse ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? C’entra Ben, magari?»
Si rendeva conto, dopo aver fatto un giro la notte prima su social network e siti simili, mentre Ben dormiva, che l’uomo aveva una nutrita cerchia di fan a dir poco assatanate e che era un bersaglio molto ambito da parte della popolazione femminile del pianeta. Era presunzione, da parte sua, pensare che anche a Ruth potesse piacere?
«Benedict? Non capisco, che vuoi dire?» disse Ruth, unendo le mani in grembo.
«Insomma, non è che… Boh, visto che è un attore noto, magari a te, non so, piace o qualcosa…»
«No» sorrise Ruth, sincera. «Puoi star certa che non mi piace, almeno non in quel senso, e sono felice per te.»
«Allora non sei... Boh, gelosa?»
Ruth sbatté lentamente le palpebre una volta.
«Puoi star certa di no.»
Anzi, aggiunse mentalmente.
Mel annuì, sollevata, mentre un cameriere si avvicinava per prendere le loro ordinazioni.
 
°°°
 
Benedict sentì il mondo chiuderglisi addosso. Deglutì a fatica.
«Tossicodipendente?»
Amanda si passò la lingua sulle labbra, sentendosi in colpa.
«Forse non avrei dovuto dirtelo, forse non è nemmeno vero…»
«Hai fatto bene, invece» interloquì Martin, scuro in volto. «Odio dovertelo dire, Ben, ma…»
«Non dire che me l’avevi detto» disse fra i denti l’altro. Amanda si stropicciò le mani, dimentica del suo caffè ormai freddo. Le mani di Ben tremavano impercettibilmente, chiuse a pugno; le nocche di Martin erano bianche.
«Mi dispiace, Ben…» iniziò la donna, ma lui la fermò con un cenno della testa.
«Va tutto bene, Amanda, non è mica colpa tua.»
Martin incrociò le braccia al petto, lasciandosi andare sullo schienale.
«Devi parlarle. Potrebbe essere davvero…»
«Va bene, ma in fondo non ha tanta importanza, no? Voglio dire, sono passati dieci anni.»
«Mh. E allora perché non te ne avrebbe parlato? Sono passati dieci anni, se fosse una storia vecchia e sepolta non avrebbe avuto problemi a parlartene, no?» disse Martin.
«Non è qualcosa che confidi al primo arrivato…»
«Ma tu non sei il primo arrivato, anzi. Vi conoscete da tempo, no?, state insieme, passi la notte da lei…»
«Non è come pensi…»
«Non ti sei rifatto la barba e i tuoi capelli fanno pena, hai le scarpe e i pantaloni di ieri e due occhiaie grandi così, non ci vuole tanto, Sherlock.»
«Non sai di che parli, smetti di credere di darmi lezioni…»
«Io sto solo cercando di guardarti le spalle, visto che tu sei così idiota da-»
«Nessuno ti ha chiesto niente, posso benissimo-»
«Lei ti sta usando per i tuoi soldi, non è difficile da capire-»
«Tu non sai niente di lei.»
«A quanto pare nemmeno tu!»
I due uomini si guardarono, ansimando leggermente. Amanda deglutì, spostando lo sguardo da uno all’altro.
La cosa peggiore era che non aveva ancora finito di parlare. Ma forse avrebbe rimandato ad un’altra volta.
 
°°°
 
La signora si sistemò il giacchetto color indaco, raddrizzando le spalle, e diede un’ultima aggiustata al fiocco della scatola di biscotti. Poi suonò il campanello. Benedict le aveva detto che nel primo pomeriggio Mel sarebbe stata alla centrale di polizia per gli avvenimenti del giorno prima, e che lui non avrebbe potuto accompagnarla perché aveva avuto un imprevisto in Sherlock – cosa che a sua madre puzzava molto di scusa –, ma supponeva che sarebbe stata in casa più tardi. Wanda non aveva voluto fare altre domande, perché Benedict sembrava piuttosto di malumore e quand’era così tendeva a chiudersi in sé stesso e parlare solo dopo un po’, quando aveva metabolizzato il tutto, se aveva voglia. Nel frattempo, Wanda, a cui non era mai piaciuto starsene con le mani in mano, aveva impastato e infornato una teglia di biscotti, per poi riporli in una scatoletta infiocchettata appena in tempo per l’ora del tè.
«’Sera. Come posso aiutarla?»
La donna alzò gli occhi verso la ragazza davanti a lei. Le rughe d’espressione intorno ai penetranti occhi azzurri divennero più marcate quando sorrise.
«Ti piace la cannella, cara?»
 






 
  
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