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Autore: dilpa93    16/07/2014    3 recensioni
"La speranza è un essere piumato che si posa sull'anima e canta melodie senza parole e non si ferma mai"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Martha Rodgers, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Il bene più grande



 
Non sa cosa sia accaduto. Uscito dall’ufficio del capitano si è guardato intorno, poggiando la schiena al bordo della scrivania. Beckett sembra abbastanza agitata e presa dalla conversazione, mentre quell’uomo in completo scuro resta in un angolo, quasi intimorito, in silenzio.
Maledette le veneziane alle finestre che gli impediscono anche solo di provare a leggere il labiale, permettendogli, invece, solo una vista parziale e spezzata dei loro corpi nella saletta.
Istintivamente volta il capo al suo fianco. La bocca è già schiusa, pronta a parlare, ma tristemente si accorge che non c’è nessuno pronto ad ascoltarlo, nessuno che riderà con lui o che tenterà di aiutarlo a capire per quale motivo mamma e papà stiano parlando così vivacemente.
Deluso da quell’improvvisa sensazione di vuoto che non aveva ancora avuto il tempo di elaborare, sospira sonoramente fino a che una mano amica non gli si posa sulla schiena.
“Ho pensato avresti gradito.”
Lanie gli porge il brico del caffè. Dalla bocchettina esce veloce il fumo, che si condensa altrettanto rapidamente lasciando una debole patina sul tappo in plastica bianca.
Legge il nome stampato sul cartone caldo, non si è più soffermato a guardarlo da anni, ma adesso, leggendolo, gli tornano alla mente tanti ricordi.
Era da un paio d’anni nella squadra di Montgomery. Lui è Kate si erano conosciuti tempo prima, quando erano solo delle matricole schiavizzate, spedite a svolgere i lavori più scomodi. Nell’ultima settimana, dato l’inaspettato trasferimento del loro collega, si erano trovati sommersi di lavoro nell’attesa che arrivasse il nuovo detective. Le ore, per quanto assurdo fosse, sembravano essere più lunghe e passare molto più lentamente del solito. Il caso stava prosciugando ogni loro risorsa e la stanchezza si faceva sentire sempre più sovente. Bisognoso di aria fresca, si era ritrovato sull’altro lato della strada in coda, sulla soglia del piccolo bar, deciso a prendere un paio di caffè e magari qualche ciambella per l’apporto quotidiano di zuccheri.
Sporgendosi di poco alla sua sinistra riusciva a vedere solo teste davanti a sé, come fluttuanti nell’aria. Quella coda, associata al caldo infernale della stagione, riusciva ad essere peggio dello starsene chiuso tra le mura del dodicesimo.
Finalmente arrivato il suo turno, si era messo, come un bambino voglioso di dolciumi, con il naso premuto contro la vetrinetta indicando con precisione alla commessa cosa desiderasse. Fu in quel momento che, senza rendersi conto del come, si era ritrovato a terra con una macchia di caffè enorme sulla camicia. Davanti a sé, un ragazzotto dai lineamenti gentili e la pelle incredibilmente chiara gli stava porgendo la mano per aiutarlo a rialzarsi, scusandosi in mille modi per l’incidente ed essergli andato addosso in modo tanto maldestro. Stanco com’era non aveva voglia, né tanto meno intenzione, di mettersi a discutere per quel po’ di caffè che gli aveva rovinato la camicia. Nonostante i suoi tentativi di persuasione, il ragazzo aveva però insistito per pagargli la colazione e poi era corso via, mormorando un ‘oddio è tardissimo’, dopo che lo sguardo gli era caduto sul grande orologio del locale.
Lo aveva ritrovato al suo ritorno al distretto ad occupare la scrivania accanto alla sua.
Detective Kevin Ryan, novellino, pasticcione e ritardatario.
Da quel momento la colazione al Barney’s caffè era diventata una sorta di rituale che aveva contribuito, negli anni, a rafforzare ancora di più la loro partnership.
“Grazie”, mormora rigirando ancora un paio di volte il cartone tra le mani per poi abbandonarlo sullo spesso legno della scrivania.
L’anatomopatologa sospira. Sarà difficile, lo sarà sempre. 
Delle sere, abbracciati tra le lenzuola Esposito le raccontava delle sue avventure quando aveva servito le forze speciali in Iraq. Non lo faceva spesso, ed era lieta di conoscere, nonostante gli anni passati insieme, nuovi aspetti di lui e della sua vita.
Le aveva parlato di quel bombardamento inaspettato all’accampamento, di come avevano dovuto lasciare tutto, cercare riparo. Lui e il suo compagno, Marko Velasquez, stavano correndo. Terra, sassi e fango schizzavano alle loro spalle, la polvere si alzava seguendo il fumo dovuto alle esplosioni. Le gambe si muovevano quasi involontariamente, andava avanti ad inerzia. Si era lanciato nella trincea, uno slancio permesso dall’adrenalina in corpo e, sentendosi temporaneamente al sicuro, si era girato verso il campo. Il suoi occhi, oltre alla baraonda, all’accampamento distrutto, alle fiamme, avevano incrociato quelli del suo compagno rimasto indietro.
Preso dal volersi mettersi al sicuro non si era accorto di non averlo più al suo fianco.
In un secondo lo aveva visto frantumarsi, andare in pezzi e l’elmo con inciso il suo nome era rotolato fin dentro alla trincea, ai suoi piedi.
Quell’episodio aveva contribuito, al suo ritorno, allo sviluppo e la comparsa della PTSD.
Quante volte aveva rivisto gli occhi di Velasquez, consapevole che la morte stava arrivando a prenderlo. Li rivedeva in quelli dei bambini iraniani spaventati ripresi dai giornalisti, negli incubi ad occhi aperti quando il rombo di una marmitta lo riportava con la mente e con il corpo a quel momento, facendolo sobbalzare e correre a nascondersi anche in mezzo alla folla, in quelle che per gli altri erano comunissime e soleggiate giornate estive.
Marko era stato con lui dall’inizio dell’addestramento, si erano ritrovati nello stesso reggimento. Avevano condiviso notti insonne passate a tenere sotto controllo il confine, cercando di non addormentarsi quando la stanchezza sembrava prendere il sopravvento.
La sua morte lo aveva segnato, ma, come aveva detto a Kate anni addietro, aveva cercato di fare di quella rabbia, causata dal sentirsi responsabile per la prematura dipartita del suo compagno e amico, un punto di forza e non di debolezza. Con il tempo ci era riuscito, e adesso avrebbe dovuto fare lo stesso con l’impotenza che provava per la scomparsa di Ryan, chiudendola in uno scomparto segreto della sua mente e liberandola quando si sarebbe rivelata utile.
“Cosa sta succedendo là dentro?”
“Non  ne ho idea, ma credo che non ci metteremo molto a scoprirlo.”
 
Rick prende tra le mani quella minute di Kate.
Dall’esterno pare supplicarla, invece, a seguito delle sue parole, ad uscire dalla sala con un appena accennato movimento del capo è l’avvocato newyorkese.
“Kate, possiamo farcela. L’altra notte parlavamo di avere un secondo bambino... Vedrai che andrà tutto bene e in un certo senso potrebbe essere come un piccolo test, vedere se riusciremo a cavarcela con due bambini.”
“Ti prego, non scherzare, non adesso.”
Lui abbassa gli occhi, colpevole, non voleva sminuire la faccenda, ridurne l’importanza, solo a volte non riesce a tenere a freno la lingua.
“So che ce la faremo, ne sono sicura. Ma il punto è proprio un secondo bambino. Dio, voglio bene a Sarah Grace e mi sento una completa egoista per quello che sto per dire. Ma prenderci cura di lei non penso sarà così semplice e l’idea di avere un altro bambino adesso mi sembra impensabile. Ed io non voglio accantonare questa possibilità, non voglio rinunciare all’avere un altro figlio con te. Oddio, sono una persona orribile.” Si gira verso la macchina del caffè, le dita si stringono al banco mettendosi poi a giocare con la tazza in ceramica blu che Rick si era premurato di ricomprarle dopo che, non tanto accidentalmente, gliela aveva rotta.
“Non sei orribile, sei umana.” Libera la tazza dalla sua stretta, posandole poi le mani sulle spalle. “Hai dei sogni e dei desideri, come tutti. Anche Jenny e Ryan li avevano, sicuramente progettavano di passare ancora tanto tempo con la loro bambina, di poterle offrire l’istruzione che merita e che magari loro non hanno potuto avere, e lo dico perché è esattamente quello che io volevo per Alexis e che voglio ancora. Voglio che sia felice, che abbia tutto quello che io non ho avuto. Loro hanno scelto noi per far si che questo diventasse reale per Sarah, e conoscendoli non penso che lo abbiano fatto solo per una questione economica. Si fidano di noi, di noi come genitori. Facendo questa scelta non hanno certo voluto ostacolarci nel costruirci una famiglia. Noi possiamo fare entrambe le cose Kate.”
“Come? Come possiamo con il lavoro che facciamo? Siamo sempre indaffarati con qualche caso, già adesso fatichiamo a goderci Madison. Non voglio perdermi dei momenti importanti dei nostri figli e... con tre bambini. Trascureremmo certamente qualcosa.”
“Kate, avremo tempo per prepararci, organizzarci, conta poi i nove mesi di gravidanza. Il bambino non arriverà domani. E non dovresti preoccuparti del fatto che non saremo a casa. Io sono uno scrittore, non un poliziotto. Tu hai provato così tante volte a farmelo entrare in testa... non ti davo ascolto, forse per egoismo, perché volevo passare con te più tempo possibile, perché ho sempre paura che possa accaderti qualcosa e, ingenuamente, credo che standoti accanto questa possibilità si riduca drasticamente, ma è arrivato il momento di farmi da parte. Se avremo un altro bambino, mi dedicherò esclusivamente alla scrittura. Continuerò a portarti il caffè la mattina e a rallegrare le tue grigie giornate la sera, con battute e congetture del tutto prive di fondamenti. E magari, tra qualche anno, tornerò a darti noia, ma non voglio che sacrifichi una parte di te. Né quella di madre, né tanto meno quella di detective.”
“E di quello che sacrifichi tu invece? Pensi che sia facile per me fare a meno di te qui, ogni giorno? Credi davvero che ti lascerei rinunciare a qualcosa solo perché io possa sentirmi realizzata?”
“Io non rinuncerei a nulla. Ho fatto tutto quello che sognavo nella vita. Ho trovato te, abbiamo messo su famiglia, progettiamo di allargarla, ho fatto del mio interesse per il crimine un lavoro. Ho avuto tutto quello che desideravo, la sola cosa che voglio ora è che lo abbia anche tu.” La mano si muove automaticamente verso la sua guancia, con il pollice le segna lo zigomo, lentamente.
Le dita di Kate incontrano le sue e vi si intrecciano. Sorride. A volte quell’uomo la esaspera, quella sua cocciutaggine, il suo essere ostinato, e capisce come debba sentirsi lui quando è lei a mostrare questi tratti caratteriali. Ma alla fine non può non apprezzare i suoi sforzi, quello che fa per renderla felice, per far concretizzare i suoi sogni.
“Abbiamo ancora un po’ di tempo per pensarci. Chiamerò Devis intorno alle sei, dopo essere passato in ospedale.”
“Va bene. Io chiederò un permesso alla Gates, solo un paio d’ore, non voglio lasciare l’intera incombenza del caso su Javi. Non farò in tempo a passare da Jenny, ti aspetterò a casa, così passerò un po’ di tempo con le bambine.”
“Porterò Sarah Grace con me, arrivano i nonni ed è giusto che la vedano e ho avvertito anche la sorella di Kevin. Potrebbe chiamarmi da un momento all’altro.” La bacia fugacemente sulle labbra. Arrivato davanti la porta le si rivolge nuovamente. “Ah, prima che mi dimentichi, ti ho portato un cambio e... mia madre è dovuta uscire, quindi Madison è rimasta con Alexis.”
“È un bene che tu abbia chiesto a lei di occuparsene.”
“Non sono stato io a farlo...” mormora mesto per poi uscire, non intenzionato a intraprendere, almeno in quel momento, tale conversazione.
“Rick aspetta! Castle!”
“Ci vediamo dopo a casa Kate.”
Non si volta nemmeno a guardarla. Si stringe di più nel cappotto e a capo chino entra nell’ascensore lasciandosi andare contro la parete.
“È tutto a posto?”
“Si, lui è solo...”, osserva le porte chiuse dell’ascensore, come se potessero fornirle le parole giuste da dire. “Nulla”, bisbiglia infine lasciando cadere la frase.
“Il tipo in giacca e cravatta chi era?”
Domanda Esposito più preoccupato da quel signorotto pomposo e fresco di colonia che non dall’umore non propriamente roseo dell’amico.
“L’avvocato, Castle lo ha chiamato questa mattina. Si tratta dell’affidamento di Sarah Grace, Ryan e Jenny avrebbero voluto che ad occuparci di lei fossimo io e Rick.”
L’ispanico inspira a fondo, passandosi le mani sulle cosce. “Adesso quindi sarà... ehm, vostra?” cerca di domandare senza lasciar trasparire alcuna emozione.
“Non abbiamo ancora dato una risposta.”
“Cosa aspettate a farlo?”
Kate percepisce un senso di accusa in quelle parole. Il capo prima basso si alza con lentezza e gli occhi si trovano a fissare quelli scuri del collega.
“Non è così semplice Javi, ci sono aspetti da prendere in considerazione. Abbiamo bisogno di qualche ora per pensare.”
“Cosa, cosa c’è da ragionare? Se lo avessero chiesto a me non ci avrei pensato due volte prima di dire di si.”
Ed ecco che per Lanie si fa chiaro cosa stia scatenando quel botta e risposta tra loro, cosa spinga Esposito ad ignorare la ragione che c’è nelle parole di Kate. Un risentimento, un moto di invidia che non ha impiegato più di qualche secondo a generarsi e diffondersi in lui.
“Non puoi capire”, la voce di Beckett è poco più di un sussurro al contrario di quella di Javier, sempre più alta.
“Perché? Perché non sono genitore?”
“Esatto!”
Si pente immediatamente di quella risposta, di aver permesso all’agitazione, alla stanchezza e al nervosissimo di prendere il sopravvento in quell’unica parola pronunciata con rabbia.
E come poco prima con Castle, anche Javier lascia il distretto con la voce di Kate a rimbombargli nelle orecchie.
“Lascialo andare, non fate pause dai ieri notte. Avete entrambi bisogno di un momento. Perché intanto non vieni giù da me, ho dei referti da mostrarti.”
Rigirando la fede tra le dita la segue al piano di sotto.
L’aria è fredda, un insolito brivido le percorre la schiena costringendola a fermarsi appena superate le porte dell’obitorio.
“Dolcezza, che ne dici di sederti, così parliamo un po’.”
“E i referti?”
“Oh, quelli possono aspettare. Loro qui non vanno da nessuna parte”, ammicca riferendosi, con un rapido movimento della mano, ai corpi rigidi, chiusi nelle celle, che aspettano di essere riportati alle famiglie o ancora in attesa dell’autopsia e delle analisi finali.
Kate si avvicina ad uno dei tavoli e vi ci siede. Le gambe a penzoloni dondolano dopo aver fatto incrociare i piedi. Le sembra ieri quando si ritrovava in quella stessa posizione, i capelli corti sbarazzini, l’aria annoiata, vestiti che a ripensarci erano semplicemente improponibili. Se ne stava lì, seduta, ad intrattenersi con Lanie o ad aspettarla, cosa che la patologa trovava alquanto irritante, specialmente di notte, specialmente se, nell’attesa, decideva di restare al buio, facendola morire di paura una volta accesi i neon. Invece sono passati già dieci anni e per quanto alcune cose sembrino sempre uguali ad una prima vista, pensandoci bene e guardandosi indietro sono cambiate così tanto che quasi fatica a crederci.
“Allora... dimmi tutto.”
“Cosa vuoi che ti dica Lanie? Che ho sbagliato a rispondergli così, che Espo ha ragione, che sono un’egoista? Da quali di queste cose vuoi che cominci?”
La dottoressa inclina il capo sorridendole bonariamente, “Ascoltami, Javi non è la persona più facile di questo mondo e tu lo sai bene, e credimi quando ti dico che non è il non essere genitore che lo ha fatto reagire in quel modo. Kevin era il suo migliore amico e in poche ore si è reso conto di essere all’oscuro di parecchie cose. Avevo già notato qualcosa quando Castle ha parlato dell’avvocato in ospedale, ma non gli ho dato peso. Ora il fatto che abbiano scelto voi come tutori di Sarah Grace... si sente escluso. Messo da parte. Lui avrebbe fatto di tutto per Kevin e per questa bambina farebbe altrettanto.”
“Ma Ryan non lo ha escluso dalla vita di Sarah.”
“No, non lo ha fatto, ma Javi la vede in questo modo. E il fatto che tu e Castle abbiate bisogno di tempo per decidere non fa altro che incrementare il suo risentimento. È come se Ryan non si fosse fidato a lasciare sua figlia nelle mani del suo migliore amico, come se per tutti questi anni lo avesse considerato uno screanzato e non avesse mai avuto il coraggio di dirglielo. Non è obiettivo in questo momento, non riesce a capire che la scelta di Jenny e Ryan sia ricaduta su voi due perché siete una coppia stabile. In famiglia fareste di tutto l’uno per l’altro. Avete dei genitori che vi aiuteranno se doveste avere bisogno. C’è Alexis che potrà sempre darvi una mano... credo che vi avrebbero scelto indipendentemente dal fatto che voi foste già genitori. Io e Javi abbiamo rimesso in piedi la nostra relazione, ma io stessa a volte ho dei dubbi sulla sua solidità.”
“Perché non me lo hai detto, perché non sei venuta da me, avremmo potuto parlarne…?”
“Non c’era niente da dire. Ho solo paura che tutto possa rompersi un’altra volta. Siamo andati avanti a tira e molla troppo a lungo. È come fare bungee jumping, saltare giù da un dirupo con una corda elastica. Ormai la nostra corda è vecchia e temo che finirà con lo spezzarsi. Con lui si vive alla giornata. È così ed ho imparato ad accettarlo. Ci sono giorni buoni, anche molto buoni, ed altri invece pessimi. Non abbiamo più menzionato il matrimonio e i figli... figuriamoci, neanche a pensarci. Lui ha me adesso, ma chi può dire che tra qualche anno, o tra qualche mese non sia di nuovo solo. E allora che ne sarà di Sarah Grace?
Tesoro, capisco che adesso sia difficile, che stia succedendo tutto in fretta, non c’è un attimo di respiro. Ma loro hanno scelto voi. Oh, vagliate le altre possibilità se volete, ma per loro, tu e Castle siete la migliore possibilità per quella bambina. A Javier passerà e alla fine sarà felice di poter continuare a fare lo zio Javi, quello tosto e spavaldo.”
Kate la osserva restando in silenzio.
Odia non saper cosa dire, come rispondere. Per anni lei è stata quella che ha avuto bisogno, bisogno di conforto, di una voce amica. Se ne era accorto subito Rick e aveva fatto di tutto per aiutarla. E che dire di Lanie, conosceva il problema prima che lei potesse esporglielo e aveva una soluzione a tutto. Lei invece non si era accorta del momento che l’amica stava passando e anche adesso non sa cosa dirle, come poter cercare di alleviare un po’ le sue sofferenze, perché le è chiaro, ormai, che per quanto cerchi di negarlo, le cose con Esposito non stanno andando nella direzione che lei aveva sperato.
Anche con Castle combina ancora guai delle volte. Quando si tratta di confortarlo con un abbraccio, con il semplice stare in silenzio tenendolo stretto a sé, sentendo la sua schiena possente a contatto con il suo seno, tutto le sembra semplice, ma quando si tratta di dar voce ai suoi pensieri spesso farebbe meglio a mordersi la lingua, esattamente come avrebbe dovuto fare prima, in sala break.
“Lanie...”
“Non serve che tu dica nulla. Ma pensa a quello che ti ho detto e sono sicura che alla fine tu e Rick prenderete la decisione giusta, qualunque essa sia.”
Lo sgabello, su cui è seduta l’anatomopatologa, cigola ruotando, poi torna il silenzio.
Le gambe di Kate dondolano avanti e indietro ancora un paio di volte. Deve trovare un modo per parlare con Esposito senza rischiare che le sue parole possano ferirlo più di quanto già non lo sia.
Ma lei non è la sola a doversi preoccupare dell’amarezza e lo sdegno scatenati dal possibile affidamento.

Rick stravolto, arrivato a casa, si precipita immediatamente a farsi una doccia. Gode del ristoro donatogli dall’acqua calda che gli scorre sul corpo. Vestitosi con velocità, torna in salone, si piega sulle ginocchia accovacciandosi a fianco di Sarah Grace nel tentativo di convincerla ad andare con lui e cercando in ogni modo di non incontrare lo sguardo di sua figlia. Ma Alexis sembra non essere del suo stesso avviso. Ha capito quanto abbia sbagliato a non parlargli subito della gravidanza ed è alla ricerca disperata di un, seppur minimo, contatto con lui.
Lo ravvisa rapidamente su Madison, sul fatto di aver cambiato Sarah avendo trovato dei suoi vecchi vestiti in uno scatolone in fondo all’armadio. Sono datati e fuori moda, ma per una bambina di tre anni, e finché lui non riuscirà ad andare a prenderle un cambio, andranno bene. In risposta lo sente solo grugnire. Più volte tenta di richiamare la sua attenzione, “papà” le esce quasi disperato dalle labbra, ma non ottiene nulla, se non un fugace sguardo che, posatosi sul ventre prominente, viene subito meno.
Eppure Castle, prima di uscire, si sofferma a guardarla. In quel viso preoccupato e spaventato ritrova la sua Alexis, quella di sempre. “Domani, a cena, noi potremmo... parlarne. Solo io e te.”
Un si mormorato in un sorriso è la sua risposta, guardandolo poi uscire e Sarah farle ciao con la manina.
Varca le porte scorrevoli dell’ospedale, Sarah è sempre stretta tra le sue braccia, la sua forma minuta si adatta perfettamente al suo corpo. Probabilmente non dovrebbe tenerla così tanto in braccio, sarebbe meglio farla camminare, ma viste le circostanze non sente rimorso nel viziarla un po’.
L’infermiera al banco dell’accettazione gli sorride spumeggiante, forse troppo dal momento che ciò che ha da domandarle non è nulla di allegro, ma la bambina sembra divertita e rasserenata da quel viso dolce e felice.
Prendono l’ascensore fino al terzo piano. Guardandosi attorno gli sembra di non essersi allontanato neanche di un metro dall’ingresso. Ogni corridoio è uguale all’altro, il linoleum, nel suo intreccio di sfumature, sembra essere stato appositamente sistemato nella medesima posizione di quello ai piani inferiori.
Si guarda intorno un po’ spaesato, lancia un’occhiata furtiva alla corsia alla sua destra. Stanza 411, 412, 413... Il corridoio pare essere quello giusto. La porta numero 417 è chiusa, non ci pensa due volte ad aprirla, non prima di aver ricordato a Sarah Grace che la mamma sta ancora dormendo ma che, anche se non potrà risponderle, sentirà tutto quello che avrà da dirle.
Nella stanza, seduta accanto al letto, una donna ricurva con la mano di Jenny stretta nella sua. Alle sue spalle un uomo che, con premura, le posa un bacio sul capo.
“Scusate, non sapevo ci fosse qualcuno.”
I due si girano di scatto, sorridendo alla vista della bambina.
“Tesoro mio”, sussurra l’uomo andando a prenderla dalle braccia di Castle. Anche la donna si alza, andandogli incontro. Sfiora le guance della bambina lasciandole poi un bacio sulla mano.
“Lo perdoni, mio marito Scott sembra essersi dimenticato le buone maniere. Io sono Mary, noi siamo...”
“I genitori di Jenny. Sono Richard Castle, ci siamo incrociati al matrimonio... è un piacere rivedervi, mi spiace solo per le circostanze.”
Mary sorride dispiaciuta di non essersi ricordata di averlo già incontrato, nonostante il viso le fosse in qualche modo familiare.
“Nonno, ho sete.”
Borbotta la bambina giocando con gli occhiali appesi al collo dell’uomo.
“Oh, dalla a me, ci penso io.” Si china verso di lei. Le sistema la maglietta coprendola bene allungandole poi la mano. “Vieni con la nonna, Sarah, andiamo a cercare qualcosa.”
Rick, una volta uscite, le segue con lo sguardo, per quanto gli sia possibile, attraverso l’inserto in vetro della porta fino a che una voce roca non richiede la sua attenzione.
“Mia moglie non vedeva l’ora di poter stare un po’ insieme a lei. L’ultima volta che nostra figlia è venuta a trovarci non l’aveva portata e... da nonni abbiamo sentito incredibilmente la mancanza di quella piccolina. Sarà bello potersene occupare per un po’.”
“Potersene occupare?” Chiede con cipiglio guardandolo avvicinarsi alla piccola finestra.
“Con Jenny in queste condizioni, qualcuno dovrà prendersi cura di Sarah Grace, almeno fino a che mia figlia non si sveglierà.”
Rick si passa una mano sulla fronte, suda freddo. Come ha precisato prima a Mary, si sono incontrati giusto un paio di minuti al matrimonio e non aveva mai parlato con Kevin circa il temperamento del suocero, un uomo ben piazzato, con braccia forti e robuste sicuramente più delle sue. “Vede Scott, la faccenda è leggermente più complicata di così.”
 
Il distributore del piano inferiore offre ora la possibilità a Sarah di godersi un fresco succo alle more. Mary le sorride vedendola divertita nel farle boccacce per mostrarle la lingua divenuta tutta viola.
Tornate verso la camera, la donna riconosce immediatamente la voce alterata del marito. Al suo ingresso incrocia lo sguardo di Rick, che cerca di inserirsi disperatamente nel monologo che Scott pare aver iniziato. Mary si schiarisce la voce facendo notare la loro presenza. Lasciando andare la piccola, posa una mano sul petto del compagno invitandolo a calmarsi se non vuole rischiare che la pressione gli salga alle stelle come era accaduto poche settimane prima.
“Cosa succede?”
“Chiedilo a lui!” sbotta aspramente puntando l’indice contro Richard, perdendo definitivamente quell’aria paciosa che aveva quando avevano iniziato a parlare garbatamente qualche minuto prima.
“Quello che stavo cercando di spiegare a suo marito è che...” viene  brevemente interrotto da Sarah che, allungando le braccia verso di lui, la incita a prenderla in braccio. “...che Kevin e vostra figlia si sono rivolti un po’ di tempo fa ad un avvocato. Ho parlato personalmente con lui questa mattina. Pare, date le circostanze, che Sarah Grace sia affidata a me e mia moglie. Si tratterebbe di un affidamento temporaneo, fino ad un miglioramento delle condizioni di Jenny.”
“Oh, ma per favore, queste sono un mucchio di sciocchezze!”
“Scott...” lo ammonisce con un semplice richiamo Mary, scostandosi dal viso quel ciuffo sfuggito allo chignon. Nonostante abbia superato da qualche anno la settantina, i capelli, ad esclusione di un paio di ciocche ingrigite, hanno mantenuto il loro colore naturale. Un biondo cenere che fa risaltare particolarmente gli occhi nocciola.
“Non sto cercando di scavalcare la vostra autorità, in quanto nonni di Sarah Grace avete tutto il diritto di venirla a trovare, certamente non ve lo impedirei mai. Sono disposto, se vorrete, a mostrarvi i documenti in cui si fa riferimento a questa faccenda, ma, in quanto desiderio di vostra figlia, non posso fare altro.”
Nella realtà dei fatti lui e Kate non hanno ancora preso una decisione in merito. Eppure lui sa esattamente cosa vorrebbe, rispettare il loro volere. Comprende le paure di Kate e che le difficoltà di cui hanno parlato potrebbero diventare reali, ma sa che se decidessero di non tenere con loro Sarah Grace se ne pentirebbe per il resto della sua vita ed è quasi completamente certo che anche per Kate sarebbe lo stesso.
“Lei come fa a dire che noi non saremmo il meglio per Sarah, è nostra nipote.”
“Scott, io non ho mai detto che voi non sareste la scelta migliore, sto solo riportando la loro decisione.”
“Lei non capisce cosa voglia dire questa situazione.”
“A dir la verità la capisco. Sono padre anche io e... a breve diventerò nonno.”
Che sensazione strana dirlo a voce alta. Ancora non ha accettato quell’inaspettata ed inattesa gravidanza. Definirsi tale rende il tutto molto più reale ed imminente. “Vi posso dire che anche io reagirei esattamente come voi, ma vi assicuro che non è intenzione mia, né di mia moglie, né tanto meno lo era di Jenny, di estromettervi dalla crescita di Sarah. Ci tengo a ripetervi che farò tutto il possibile perché possiate vederla crescere e starle accanto e che potrete venire tutte le volte che vorrete. Ma credo anche che in questo momento dovremmo concentrarci sui bisogni di Sarah Grace più che su i nostri.”
“Scott, il ragazzo ha ragione, bisogna pensare a lei.”
Entrambi la guardano, la testa poggiata nell’incavo del collo di Richard, tra le dita tiene saldamente la bevanda succhiandone avidamente il contenuto. Ridono quando del succo non resta più traccia, e l’aspirare solo aria produce quello strano gorgoglio.
Un telefonino comincia a squillare, Rick si accorge immediatamente di essersi dimenticato di togliere la suoneria e spera con tutto se stesso che il trambusto non richiami l’attenzione di un’infermiera, con la stessa corporatura di un lottatore di wrestling, pronta a rimproverarlo e a sbatterlo letteralmente fuori dalla stanza per la sua mancanza.
La chiamata non dura più di qualche secondo.
Ripone il cellulare nella tasca dopo essersi assicurato di aver tolto completamente il volume della suoneria. Ripercorre ancora una volta i tre piani fino all’ingresso in ascensore, l’unico posto forse dove l’odore di disinfettante non sia così forte da far girar la testa. Le porte si aprono, lentamente e cigolando. La manutenzione non deve aver fatto poi un gran bel lavoro l’ultima volta, è il pensiero che fugace gli attraversa la mente prima di sostare per qualche secondo ad osservare la figura femminile che nervosa, seduta su di una delle poltroncine della sala d’attesa, tamburella con le dita su una busta bianca che tiene in grembo.
Parlando di sua sorella, Ryan aveva ribadito più volte quanto fossero uniti, un legame probabilmente rafforzato dal fatto che avessero poco più di due anni di differenza. Ma, vedendola ora, non ha alcuna difficoltà nel pensare che potrebbero essere gemelli. Se non fosse per i capelli lunghi, il velo di trucco che maschera il pallore e i lineamenti leggermente più fini rispetto a quelli di Kevin, non ci sarebbero dubbi a riguardo.
“Elizabeth?” domanda mestamente avvicinandosi a lei.
“S-si”, alzandosi lascia andare il sacchetto bianco sulla sedia, dedicandosi poi alle dovute presentazioni con lo scrittore. “Spero che la mia chiamata non l’abbia disturbata.”
“No, niente affatto. Ero di sopra, ho portato Sarah a trovare la mamma.”
“Come sta? Come stanno entrambe?”
“Jenny clinicamente sta bene, ma non ha alcun miglioramento per quanto riguarda la sua reattività. Potrebbe svegliarsi domani, come potrebbe farlo tra un mese, ma l’infermiera mi è sembrata ottimista. Sarah sembra star bene, è di sopra con i nonni se vuole andare a salutarla.”
“Oh, no io... sono ancora un po’ scossa. Mi hanno dato questo al mio arrivo”, il sacchetto bianco è gonfio, Elizabeth dà una rapida occhiata al suo interno per poi proseguire. “Sono gli effetti personali di mio fratello. Tutto chiuso qui dentro.” commenta amaramente, “Una persona si riduce a questo dopo la morte. Un mucchio di vestiti, un orologio rotto e foto di famiglia in un portafogli pressoché vuoto. Credo che... che dovrò pensare al funerale e ancora non so bene da che parte cominciare.”
“Se posso, credo potrebbe provare a sentire il capitano del distretto. Kevin non è morto durante un’operazione, ma ha servito per anni il paese. Una cerimonia ufficiale sarebbe il minimo.”
“Grazie, lo farò.”
“E per qualsiasi cosa non si faccia scrupoli a chiamarmi.”
Elizabeth annuisce dandogli poi le spalle dirigendosi verso le porte d’uscita. “Sa, in circostanze diverse, credo proprio che ci avrei provato con lei.” Abbassa lo sguardo puntandolo sugli stivali scamosciati e un risolino nervoso le esce dalle labbra, “Mi scusi, non ho idea del perché lo abbia detto.”
Le sorride affabile scuotendo di poco il capo, “è la tensione... in ogni caso, ne sono lusingato ma...” si porta la mano sinistra all’altezza del mento, scuotendo l’anulare per far risaltare la fede. Il sottile cerchietto argenteo luccica a contatto con la luce dei neon. “Sono sposato.”
“Già”, un’altra risatina nervosa, “i migliori lo sono sempre, non è così?” una domanda retorica per la quale non si aspetta certo una risposta. “Le farò sapere in che giorno si svolgerà il funerale. Arrivederci.”
Alza il colletto del cappotto, pentita di essersi dimenticata la sciarpa, ed esce affrontando il gelido vento invernale.





Diletta's coroner:

Esposito sembra non averla presa benissimo, e Lanie invece sa sempre come aiutare l'amica.
Scott è un tantino alterato, meno male che Rick sceglie sempre la via diplomatica e non sono arrivati alle mani :p
Buona serata!
Baci
  
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