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Autore: earlgreytea68    17/07/2014    3 recensioni
Le lettere sono state scritte, lette e discusse. Ma non significa che le cose si siano risolte. Ancora.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Letters [ traduzione di _opheliac ]'
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Capitolo 6

 

“Quando l’hai capito?” chiese John. Erano seduti sulla veranda, l’uno accanto all’altro consumando un pranzo a base di panini.  Sherlock mangiava più facilmente ultimamente. John aveva iniziato a desiderare di aver saputo prima che tutto ciò che gli sarebbe servito erano lunghe giornate di sesso. E poi aveva capito che non si sarebbe mai concesso delle lunghe giornate di sesso con Sherlock prima di perderlo, perché John non sapeva che lo desiderava in quel modo fino a che non lo aveva perso. John non si era permesso di pensare che poteva desiderarlo in quel senso.

“Quando ho capito cosa?” chiese Sherlock, leccando distrattamente via il sale delle patatine dalle dita.

“Quando hai capito che saremmo stati così, insieme?”

Sherlock lo guardò, sorpreso. Era vestito, ma a stento, con la camicia sbottonata e le maniche arrotolate, e i suoi capelli erano un disastro assoluto, e John pensava che non era mai stato attraente in maniera così devastante. “L’ho capito dal momento in cui ti ho visto. Non l’avevo già scritto nelle lettere?”

Fu la volta di John per essere sorpreso. “Sì, ma pensavo che tu fossi... pensavo che stessi esagerando. Pensavo che stessi, sai, utilizzando una figura retorica.”

“No.” Sherlock tornò al suo panino, come se questa fosse una cosa casuale da affermare. “L’ho capito appena sei entrato nel laboratorio. Con quel ridicolo e falso zoppicare.”

“Non era ‘falso’ “ corresse John “Era psicosomatico. C’è differenza.”

Sherlock si strinse nelle spalle e morse un cetriolino.

“Quindi sono entrato dentro il laboratorio del San Bart, e tu mi hai visto e…” incitò John, affascinato adesso.

“E ho pensato, ‘Eccellente. Mike mi ha portato il mio soldato personale.’”

“Smettila.” John rise e lanciò una patatina contro Sherlock.

Sherlock sorrise e diede un morso al suo panino, e John lasciò perdere perché era chiaro che l’altro non aveva voglia di discuterne seriamente.

Ma Sherlock, dopo aver ingoiato, continuò a parlare: “Quello che ho pensato, nel primo momento in cui ti ho guardato, è stato che eri un ex militare, ferito di recente. Che eri un tipo insolito e un po’ incerto. Che sembravi mite come un  bibliotecario, ma c’era dell’acciaio in quella spina dorsale che avrebbe preso in contropiede qualsiasi idiota che avesse cercato di sfidarti con spiacevole - mortale, si sarebbe poi scoperto - sorpresa. Che sembravi più vecchio di quello che eri, perché ti sentivi più vecchio di quello che eri. Che non sorridevi abbastanza, anche se sembravi essere piuttosto incline a farlo, quindi avevi bisogno di qualcuno che ti facesse sorridere di più. Che i tuoi capelli mi sarebbero piaciuti di più una volta  che fossero cresciuti un po’. Che eri annoiato dal tran tran della vita quotidiana. Che capivo quella noia. Che, se ti avessi fatto entrare nel mio appartamento, se ti avessi fatto entrare nella mia vita, non avrei mai voluto lasciarti andare. Questo è quello che ho pensato.”

John rimase in silenzio per un attimo, sentendosi un po’ stordito. “Hai pensato tutto questo. Durante quel primo sguardo.”

“Sì. E decisi di averti non appena mi hai offerto il tuo cellulare. ‘Mike non ha il suo cellulare,’ ho pensato. ‘Chiederò di usarlo, e Mike rifiuterà, e se questo nuovo medico militare permetterà ad uno perfetto sconosciuto di usare il suo telefonino, piuttosto che costringermi ad usare il telefono fisso o ad andare in un posto dove potrei avere un segnale migliore, allora gli dirò dell’appartamento.’ E tu ti sei offerto.”

“Era tutto un piano?”

“Certo che lo era. Mi conosci. Faccio mai niente senza un qualche motivo? Ho mai chiesto di usare il cellulare di un’altra persona?”

“Sì. Insisti sempre di usare il mio cellulare.”

“Insisto ad usare il tuo cellulare. Sei così sciocco. Continuavi a pensare che le cose che facevo con te dovevano essere messe in una categoria di Cose Che Sherlock Fa Con La Gente. Nonostante fossero sempre e solo, per me, cose che facevo con te. Mio Dio, sei così esasperatamente ottuso alle volte.” Sherlock disse con affetto, come se pensasse che anche quello era adorabile se riguardava John.  

“Così ho acconsentito a farti utilizzare il mio cellulare, e tu hai detto, ‘Grazie’ e sei ​​venuto a prenderlo, e non hai detto una parola sull’appartamento. Non in quel momento.”

Le labbra di Sherlock si contrassero. “No. Mi sono messo in mostra. Dovevo. Non potevo resistere. Sai cosa avresti fatto, se ti avessi semplicemente detto, ‘Oh, ho un appartamento nel centro di Londra, posizione ottima, vogliamo condividerlo?’”

“Sarei venuto a guardare l’appartamento con te. Ero alla ricerca di un appartamento, Sherlock.”

“No, non lo eri. Eri depresso, John. Stavi cercando un amico. Se ti avessi detto, ‘ti va di venire a vedere questo appartamento, possiamo essere coinquilini, sarebbe tutto molto pratico, avrebbe perfettamente senso.’, tu, che sei una persona gentile, avresti risposto: ‘Sì, potrebbe funzionare, perché no, mi segno il tuo numero sul cellulare, ti chiamo più tardi.’ e poi più tardi mi avresti mandato un messaggio e declinato l’offerta, perché l’idea ti avrebbe fatto andare nel panico, l’apatia di tutto ciò, di quell’uomo al laboratorio del San Bart che stava facendo esperimenti scientifici, Dio, che noia. L’idea di fare un qualcosa di pratico come il semplice trovare un coinquilino, un coinquilino pratico, non saresti mai stato in grado di farlo. Non potevi fare un passo verso un qualcosa che avrebbe cementato la noia della tua vita. Dovevo impressionarti. Dovevo essere sorprendente. Dovevo catturare il tuo interesse come niente aveva fatto da quando eri tornato. Dovevo essere l’idea più folle che avessi mai avuto. Quindi lo sono stato.”

John guardò fisso verso di lui, mentre diceva tutte quelle cose in maniera così semplice, e John aveva sempre pensato alla cosa quasi fosse stato destino. Aveva incontrato Sherlock quel giorno, e la sua vita era stata un turbinio da lì in avanti. Non aveva mai pensato che fosse così perché Sherlock l’aveva voluto. Sherlock si era messo in testa di farlo nell’istante in cui l’aveva visto, e Sherlock aveva fatto in modo che accadesse. E se non l’avesse fatto?

“Oh mio Dio.” disse John.

Sherlock lo fissò. “Non hai intenzione di arrabbiarti per questo, vero? Non ti ho realmente manipolato –”

“No. No, non sono arrabbiato. Sono... E se tu non avessi fatto tutto ciò? Cosa sarebbe successo se non avessi deciso di catturare il mio interesse? Cosa sarebbe successo se non avessi chiesto di usare il cellulare di Mike; cosa sarebbe successo se non ti avessi offerto il mio; cosa sarebbe successo se non mi avessi colpito? Cosa sarebbe successo se mi avessi guardato e non avessi capito in quel momento che mi volevi?”

Sherlock si sedette di nuovo e lo guardò con calma. “John. Per fare in modo che tu quelle cose non accadessero, tu non saresti dovuto essere tu, e io non sarei dovuto essere io. E poi non avrebbe avuto importanza perché non sarei stato io a incontrare te. Ma sono stato io a incontrare te. Era inevitabile. Fossi entrato in un qualsiasi laboratorio del San Bart, o allo Speedy Café, o mi fossi imbattuto in te ad un parco o in metropolitana, ti avrei riconosciuto immediatamente. Avrei avuto quella stessa sensazione di guardarti per la prima volta. Avendoti incontrato, in alcun modo avrei potuto evitare di impressionarti.”

John deglutì a fatica, a causa di un improvviso groppo in gola, guardando Sherlock prendere uno dei cioccolatini arrivati con il servizio in camera. “Finché ci fossimo incontrati, l’avresti fatto. Che cosa sarebbe accaduto se non ci fossimo mai incontrati?”

“Beh, adesso stai solo facendo il filosofico.” lo accusò Sherlock, scartando il cioccolatino.

“Comunque. Sento che dovremmo mandare a Mike un mazzo di fiori.”

“Gli ho già mandato un mazzo di fiori.” commentò Sherlock, infilandosi il dolcetto in bocca.

Che?”

“Gli ho mandato un mazzo di fiori. Dopo che ti sei trasferito e hai ucciso un uomo per me, ho deciso che era vero amore. Così ho mandato a Mike un mazzo di fiori.”

“Da parte di entrambi?” non sembrava simile a qualcosa che Sherlock avrebbe fatto.

“Certo che no. Eri ancora in fase di negazione, ricordi?” Sherlock gli lanciò un’occhiata acida.  

“Cosa hai scritto nel bigliettino che hai inviato con il bouquet?” John stava cercando di immaginarselo. Stava cercando di ricordare se Mike si fosse mai comportato come se sapesse che Sherlock era innamorato di John.

“Ho scritto, ‘Grazie per aver salvato le nostre vite.’”

“Pensavo che avessi detto che non l’hai mandato da parte di entrambi.”

“Beh,  dopo l’ho firmato solo con ‘Sherlock’.”

“Ma hai usato un pronome plurale.”

“Perché ha salvato entrambe le nostre vite, John. Come tu stesso hai confermato nello chalet in Siberia, ricordi? Solo che non sapevo quanto fosse letterale la cosa. Ho pensato che fosse un biglietto divertente, onestamente, dal momento che mi avevi appena salvato la vita, e ho pensato che la tua vita era semplicemente sprecata per come la vivevi prima di incontrarmi.”

“Non posso credere che tu non me l’abbia mai detto.”

“Cosa avrei dovuto dirti? ‘Oh, John, a proposito, ho mandato a Mike dei fiori per ringraziarlo per l’enorme favore che ci ha fatto nel farci incontrare’.”

“Beh, sì, avresti potuto dire questo.”

Sherlock fece una smorfia. “Sai cosa mi avresti riposto? Non sono gay, Sherlock,’ ecco quello che avresti detto. ‘Non siamo una coppia.’“

Ci fu un momento di silenzio. Sherlock accartocciò e risistemò l’involucro del cioccolatino.

John disse: “Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Davvero. Avremmo dovuto farlo molto prima.”

Sherlock si concentrò sulla confezione. “Sì. Avremmo dovuto” concordò brevemente.

“Perché non me l’hai detto? Vorrei che l’avessi fatto.”

Sherlock alzò lo sguardo, i suoi occhi cristallini passanti dai colori del mare a quelli del cielo, penetranti e accusatori. “Pensi davvero che, se ti avessi detto che ero incredibilmente innamorato di te, saresti giunto all’improvvisa consapevolezza che provavi lo stesso? Perché non sarebbe accaduto. Forse, alla fine, ma il tuo primo istinto sarebbe stato quello di respingermi con delicatezza, e poi mettere una certa distanza tra di noi, e non potevo sopportare l’idea.”

John riconobbe che Sherlock probabilmente aveva ragione. E disse: “L’ho capito nel momento in cui mi hai detto addio.”

“Cosa?” chiese Sherlock.

“Quando mi hai telefonato quel giorno. Alla fine della chiamata. L’ultima cosa che mi hai detto. È stato Addio, John. Tu hai detto ‘addio’ e ho improvvisamente capito che ero innamorata di te, che ero stato innamorato di te, e volevo dirtelo, ma era finita, ti eri buttato dal tetto. Ma lo sapevo allora, in quell’istante, quando hai detto ‘addio’ e ho capito cosa intendevi. O quello che pensavo intendessi. E lo capii.”

Ci fu un momento di silenzio. “L’ho capito entro la fine della prima corsa in taxi, sulla strada per la scena del crimine della signora in rosa.”

“Pensavo che avessi detto che l’hai capito nel primo istante in cui mi hai visto.”

“No, no, sapevo che eri un problema per me. Sapevo che se ti avessi lasciato entrare non sarei mai stato in grado di vivere senza di te. Sapevo che ci saremmo incastrati al meglio, perfetti l’uno per l’altro. Non ho messo la parola amore alla cosa fino alla prima corsa in taxi. Pensavo soltanto, non so, che fosse fascino. Anche dipendenza, forse, perché certamente era quello che ho sentito quando ti ho visto ancora una volta al di fuori del 221B e mi hai chiamato ‘Mr. Holmes’ come l’idiota più adorabile che avessi mai incontrato. Una sfida, ho pensato. Forse mi piacevi perché eri una sfida. Avevo voluto così tanto farti una certa impressione, e continuavo a sbagliare: pensavi che l’appartamento fosse troppo disordinato e affollato, non ti piaceva il mio sito. Curiosità intellettuale, pensai. E poi eravamo dentro il taxi, e ti spiegai la mia deduzione, e tu la lodasti,  dicesti che era straordinario, e ti guardai e... il mio cuore è crollato. Il che non ha senso. Ma l’ho sentito. È crollato direttamente ai tuoi piedi. Ho avuto la chiara impressione che fosse quello che era accaduto. Mi sono detto, ‘Oh mio Dio, penso che tu sia effettivamente innamorato di quest’uomo.’ E lo ero.”

John sorrise. “Divertente.” commentò.

“Lo è?” Sherlock sembrava incerto, come se non capisse cosa ci fosse di divertente.

“Perché quando ci ho ripensato, dopo tutto quello che era successo e ho capito che ero stato innamorato di te per tutto il tempo, ho provato a pensare a quando era successo, quando mi ero innamorato, per quanto tempo ne ero stato all’oscuro. E decisi che era accaduto durante quella prima corsa in taxi.”

Sherlock sembrò compiaciuto. “La deduzione?”

“No. Il fatto che hai fatto quella piccola battuta subito dopo, sulle persone che di solito dicono ‘fuori dai piedi’. Non solo eri straordinario, ma eri anche divertente. Come poteva mai il mio cuore avere scampo di fronte a Sherlock Holmes?”

Gli angoli della bocca di Sherlock si alzarono verso l’alto. “Non è quello che la gente normalmente dice.” disse.

“Grazie a Dio la gente è così incredibilmente idiota.” rispose John.

****

John stava guardando la televisione quando Sherlock uscì dalla doccia. Alcuni terribili programmi a quiz che aveva trovato. Non gli interessavano particolarmente; era semplicemente qualcosa da fare nell’attesa di Sherlock, così che potessero discutere la cena.

Sherlock si sedette sul divano accanto a lui, vicino ma senza toccarlo, attento. Così attento che John lo guardò. Stava guardando fisso il televisore.

“Tutto bene?” John chiese incuriosito.

Sherlock annuì, con il mento che si muoveva a scatti.

Non stava sicuramente bene, ma non sembrava il tipo di non-bene che aveva bisogno di un po’ di pressione da parte di John. Non era nemmeno una quasi-crisi-emotiva, era semplicemente Sherlock che stava pensando a qualcosa, processando le informazioni.

Per quel motivo, John non menzionò la cena. Si morse la lingua e pensò di poter aspettare fino a quando quel round del quiz fosse finito, semplicemente per vedere se Sherlock stesse per dire altro.

Con la coda dell’occhio vide Sherlock spostarsi verso di lui, poi via, poi verso di lui. John stava per dirgli di sputare fuori il problema quando Sherlock alzò timidamente la mano e posò le dita contro il dorso della mano di John, che stava riposando sul divano.

John girò la testa, curioso.

Sherlock sembrò incerto, diffidente, come se John stesse per scattargli contro. “Va bene?”

John guardò il punto dove le dita di Sherlock giacevano dolcemente contro la sua mano. “Certo che va bene.” disse, non capendo proprio quale fosse il problema. Con tutte le cose che lui e Sherlock avevano fatto negli ultimi giorni ed era il tenersi per mano sul divano che metteva Sherlock in imbarazzo? John girò la mano per intrecciare insieme le loro dita, proprio per sottolineare il punto, e tornò di nuovo a guardare il programma televisivo.

“Non ho realmente voglia di una scopata.” Sherlock sbottò all’improvviso, e John lo guardò sorpreso. “Voglio dire, non adesso. Non voglio dire - non intendo -  era solo che –”

“Sherlock.” John lo interruppe, con pazienza. “Non so di cosa tu stia parlando, ma non ho intenzione di offendermi se non facciamo sesso ogni minuto di ogni giorno. In realtà sarebbe una cosa fisicamente impossibile, sai.”

“Giusto. Ma.” disse Sherlock, e poi smise di parlare e guardò le loro mani unite.

“Oh, stupido idiota.” John realizzò, e usò la sua mano per tirare Sherlock contro di lui. Confermando i suoi sospetti, Sherlock si rilassò subito, accoccolandosi saldamente a lui con un piccolo sospiro contento che John non era nemmeno sicuro fosse consapevole d’aver fatto. John sfiorò la sua testa con un bacio, che ora stava rannicchiata contro la sua spalla. “Se volevi qualche coccola, bastava chiedere.”

Sherlock girò la testa, il naso premuto contro il collo di John, ancora caldo dalla doccia. “Non volevo disturbarti.” Sherlock mormorò contro la sua pelle.  

“Non mi dai fastidio.” John lisciò i capelli di Sherlock con la mano, perché notava che ogni volta che le sue mani erano vicine a toccare i capelli di Sherlock, tendevano ad essere nei capelli di Sherlock.  

Sherlock respirò, in maniera profonda e lenta, e poi disse: “Questo è in realtà quello che volevo di più. Non sono mai stato propenso a passare molto tempo a pensare al sesso, ma avrei voluto osservarti guardare la televisione e avrei voluto fare semplicemente questo. Solo rannicchiarmi accanto a te e che tu mi avessi voluto lì. C’erano alcune notti in cui il mio cervello non riusciva a stare tranquillo e pensavo che se solo avessi potuto stabilirmi proprio qui, avresti potuto farmi scivolare nel sonno cullato dal tuo respiro.”

John si fermò, pensando. “Ma... tu non coccoli. Per nulla. Non mi tocchi quasi mai a meno che non stiamo scopando o ci stiamo avvicinando alla cosa.”

Sherlock non rispose.

“Sherlock.” John lo spintonò dalla spalla, e Sherlock si sedette a malincuore, sembrando temere la conversazione. “Ti piacciono davvero le coccole, non è vero?”

Sherlock alzò una spalla in una scrollata, cercando di sembrare indifferente.

“Oppure…” continuò John, lentamente, “Sarebbe così, se in primo luogo lo facessi. Ti piacerebbe davvero coccolarci, ma per qualche motivo pensi che a me non piacerebbe?”

“Non voglio disturbarti.” ripeté Sherlock. “Non è importante.”

“Certo che è importante. Il sesso è facile, puoi stabilire se mi piace il sesso, ma non puoi dire se mi piacciono la coccole, quindi sei stato restio a introdurle.”

“Beh, non sembravi incline a farlo.” Sherlock sottolineò, petulante.

“Pensavo che fossi tu a non volerlo. Sherlock, non volevo obbligarti a qualcosa con cui non ti trovi a tuo agio. Ho cercato di andare con calma. Ma in realtà mi piace qualche sana coccola sul divano. E non avrei obiezioni se non dormissi come se avessimo la Grande Muraglia Cinese lungo il centro del letto.”

“Davvero non mi importa se non è qualcosa che desideri.” disse Sherlock, fermamente.

John inclinò la testa in confusione. “Ti ho appena detto che mi va bene.”

“Ma non voglio che tu dica che va bene perché ho ​​fatto presente il problema per poi sviluppare un lento, ribollente risentimento perché in realtà davvero non ti va bene e poi –”

“E poi ti lasci.”  concluse John.

“Beh…” Sherlock considerò, e poi sembrò decidere di dire tutto, serrando la mandibole. “Sì. E poi tu te ne vada.”

“Non me ne andrò.” disse John, fermamente. “E non ho assolutamente intenzione di lasciarti a causa di questo. Scherzi a parte, tra tutte le cose pazze che sono disposto a sopportare per quanto io sia innamorato di te, tu ti preoccupi che possa irritarmi perché vuoi mettere la testa sulla mia spalla mentre guardiamo la tv?”

“Cos’altro sopporti?” Sherlock sembrava disorientato dalla stessa idea che John dovesse sopportare delle cose riguardanti Sherlock.

“Hai una strana idea di ciò che ti renda una persona difficile con cui vivere. Come quando ci siamo incontrati la prima volta e mi hai avvertito sul violino e la tua tendenza a non parlare per alcuni giorni. Nessun accenno, sai, alle teste mozzate che sarebbero state nel frigo.”

“Ma la testa mozzata era un esperimento.” Sherlock gli ricordò, suonando genuinamente confuso, come se quel semplice fatto significasse che nessuna persona logica potesse quindi considerare la testa mozzata come una cosa discutibile.

John prese improvvisamente il volto di Sherlock nelle mani, e la cosa sorprese Sherlock, come poté dire dall’espressione negli occhi grigio-azzurri. “Ti amo.” gli disse John, ferocemente, la sua voce tremante “Così dannatamente tanto.” John lo baciò in maniera rude prima di tirarsi indietro e dire: “Tu completo folle.”

“Stai guardando questo programma?” chiese Sherlock, leggermente senza fiato. “Perché ho cambiato idea sul sesso.”

****

Sherlock era sudato e indecente, ma John si rifiutò di pensarci. Si poggiò ostinatamente per metà sopra di lui, e Sherlock sbuffò e si agitò e disse: “Sei ridicolo.”

John fece un rumore vago.

Sherlock sbuffò di nuovo, si mosse di nuovo, e poi si fermò, rilassandosi molto più di quanto John non lo avesse mai sentito fare dopo il sesso. La sua mano si avvicinò, esitante, a premere John contro di lui, per metà una carezza, e per metà un reclamo. John sorrise sulla pelle della spalla di Sherlock e lasciò che il silenzio continuasse un altro po’. L’oceano si schiantava contro le rocce in lontananza.

Alla fine, John ricordò il suo lontano pensiero della cena.

“Dovremmo andare in città domani.” suggerì John.

“Lasciare la villa?” la voce di Sherlock era piena di divertimento. “Quale nuova idea.”

John era sollevato dal fatto che Sherlock sembrasse divertito. Il nervosismo di Sherlock attorno ad altra gente non era la ragione per cui non avevano lasciato la villa ultimamente, ma John si era preoccupato che forse Sherlock si sarebbe sentito incerto riguardo la prospettiva di lasciare la bolla di sicurezza dentro cui si trovavano. John era contento che Sherlock non lo sembrasse. “Se ci procurassimo del cibo, potrei cucinare qualcosa per te. So quanto ti sia mancata la mia cucina.”

“Se ci procurassimo del cibo, potrei essere io a cucinare per te” ribatté Sherlock.

John alzò la testa per guardare verso Sherlock, i cui occhi erano chiusi, i suoi lineamenti rilassati. “Sai cucinare?” chiese John, incredulo.

“Quante volte devo dirtelo, John? La cucina è una scienza.”

“Così sai cucinare, allora.”

Potrei cucinare. Scelgo di non farlo.”

“Hai mai cucinato qualcosa prima?”

“Cosa pensi che facessi prima di incontrarti?”

“Penso che semplicemente non mangiassi.”

Sherlock ridacchiò. “Sei così vanitoso.”

Io sono vanitoso?”

“Pensi che prima di incontrarti me ne andassi in giro senza alcuna idea di come prendermi cura di me stesso.”

“Non è vero.”

Sherlock aprì gli occhi per lanciargli uno sguardo dubbioso. “No?”

“Io so che è quello che facevi prima di incontrarmi.”

“So cucinare.” ripeté Sherlock.

“Fagioli su pane tostato?”

“Hai gusti così mediocri.”

“No, no, se hai intenzione di cucinare per me, voglio qualcosa di speciale. Qualcosa di francese.”

“Non ti interessa nemmeno il cibo francese.”

“Come lo sai?”

“Perché io so tutto.”

“Sei insopportabile.” commentò John, e pensò alle lettere di Sherlock, a Sherlock stanco di parlare francese, a Sherlock che provava nostalgia di casa.

Il pensiero doveva essersi mostrato sul suo volto, perché Sherlock disse, “Non era Parigi.”

“Cosa non lo era?” chiese John.

“Quando ho scritto quella lettera, non ero a Parigi. Ero in una piccola cittadina in Provenza. È stato mortalmente noioso. Fatta eccezione per il fatto che c’era un assassino di classe mondiale con un piccolo castello in affitto lì vicino.”

Sherlock parlava con gli occhi al soffitto. Si era fatto teso sotto di lui, e John voleva cambiare argomento, non voleva che Sherlock associasse le coccole a quello. Abbassò di nuovo la testa e disse: “Non dobbiamo parlarne.”

“Potremmo andare a Parigi.” continuò Sherlock. “Mi piace Parigi. Parlo fluentemente il francese.”

“Certo che sì.” disse John. “Possiamo andare a Parigi. Oppure no. Non mi importa.” John si interruppe. “Ho intenzione di insistere su una cena francese per domani sera, però.”

“Non è un problema.” rispose Sherlock, con disinvoltura.

John sorrise e sfiorò con un bacio la spalla di Sherlock.

Sherlock chiese, “È strano per te?”

“Cosa?” chiese John, pigramente, poggiandosi di nuovo sul petto di Sherlock.

“Che non sono una donna.”

“Sherlock, in tutta onestà, verso la fine era strano quando le donne con cui uscivo non erano te. Forse questo potrebbe essere la cosa più strana che abbia mai fatto in vita mia. Forse lo è. Ma è la prima cosa giusta nella mia vita da un lungo periodo di tempo. Certamente negli ultimi sei mesi.”

Un brivido attraversò Sherlock, così che John dovette alzarsi sostenendo il proprio peso per guardarlo. “Cosa?” chiese.

Sherlock, gli occhi blu ghiaccio spalancati, scosse la testa. “Niente.”

“Non è niente.” John si spostò per poggiarsi più saldamente contro Sherlock, in modo che potesse guardare verso di lui più direttamente. “Mi credi quando lo dico, giusto? Non ti preoccupi di questo, vero?”

“No.” disse Sherlock, con voce rauca. “Non sono preoccupato. Ti credo.” Sherlock si spostò, spostò leggermente John, rotolando fino a quando non fu sdraiato sopra John, guardandolo e venendo guardato di rimando con curiosità. “Tu eri l’unica cosa giusta che io abbia mai fatto in tutta la mia vita.”

John si prese un secondo, guardando in quegli occhi insoliti, aperti e vulnerabili come raramente lo erano stati, e mai con qualcuno che non era John. Ingoiò il senso di oppressione al petto e disse: “Non parlare al passato, Sherlock. Io non sono il passato. Io sono il presente. Sono qui.” e tirò Sherlock verso di se per un bacio.

 

 

 

Note della traduttrice:

Sono IMPERDONABILE. Lo so, lo so, avevo promesso che avrei aggiornato prima e poi sono sparita, mi spiace, ma giuro che non è stata per strafottenza o perché mi sono stancata di tradurre. E’ un periodaccio, come potranno immaginare gli altri studenti universitari, e aggiungete che sto lavorando tutti i giorni e il tempo che ho a disposizione è davvero poco. Per fortuna sta arrivando la fine di questo periodo buio ( domani, se tutto andrà bene ) e con Agosto in mezzo dovrei riuscire a tirare un attimo di respiro e portarmi avanti senza farvi aspettare un’infinità!

Grazie, come sempre, alla mia beta PapySanzo89, non so come farei senza questa ragazza sempre disponibile ç_ç E sempre pronta a bacchettarmi quando perdo tempo inutilmente XD

Alla prossima, miei fidati lettori <3

_opheliac

   
 
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