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Autore: melianar    17/07/2014    12 recensioni
Dopo il disastroso tentativo della scorsa settimana, torno a pubblicare il primo capitolo di questa raccolta. Mi scuso immensamente con chi avesse provato a leggerla, purtroppo ho avuto qualche problema con l'HTL. E' solo la seconda storia che pubblico e sono piuttosto imbranata. Scusatemi!
Quella che vi propongo è una raccolta di one-shots dedicate alle figure femminili dell'universo tolkieniano, in particolare quelle donne di cui poco ci viene detto ma che, a mio avviso, hanno molto da raccontare. Ogni capitolo sarà incentrato su una donna diversa, quindi su vicende e epoche differenti. Prenderò in esame personaggi poco noti delle opere di Tolkien, spero possano risultare affascinanti per voi quanto lo sono per me. Buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Lento, il fumo s’innalza in crudeli spirali.
Indugia nell’aria immobile, si libra come uno spettro, un uccello assassino.
L’odore è la cosa peggiore, forse. Entra dalle finestre aperte, si insinua tra le pieghe delle vesti, tra gli oscuri sogni delle mie notti inquiete.
Acre, soffocante, maligno. Odore di morte.
Ho smesso da tempo di piangere, ormai.
Di domandarmi in silenzio quand’è accaduto che Numenor la splendida lasciasse il posto a questa terra d’ignoranza, di uomini che temono perfino l’ombra dei loro pensieri e che bruciando vite altrui tentano inutilmente di allungare la propria.
Sorridi, Pharazon.
Non ti accorgi del fumo che ammorba l’aria, delle grida delle vittime torturate, massacrate in nome di una blasfema follia.
Non ti accorgi di essere vecchio, troppo vecchio.
Ti guardo, e quasi mi viene da ridere.
Non che ce ne sia motivo, in realtà.
Dovrei essere io su quel trono, adesso.
Non seduta al tuo fianco, a esibire un eterno sorriso di bambola quieta.
Dovrei impugnarlo io, lo scettro che stringi convulsamente con mani avide e malferme.
Mani che ostinate resistono al tempo, alla morte.
Mani che credono ancora di poter stringere l’elsa di una spada, di saper rendere felice una donna.     
Dicevano che era lungimirante, mio padre.
E di certo lo fu, nel chiamarmi come ha fatto. Miriel. Gioiello.
Non sono una regina, io. Solo una gemma, un essere delicato di cui cantare la bellezza e nulla più. Non hanno pensieri, le gemme. Non hanno emozioni.
Non fui in grado di oppormi alla tua violenza, alla tua insensata arroganza e superbia.
Dovrei odiarti, Pharazon. Ma più di ogni altro io detesto me stessa, per averti permesso di rubarmi il mio corpo, il mio nome, il mio regno.
Per aver lasciato che distruggessi i sogni di mio padre, i miei sogni, trasformando quest’isola in un orrendo covo di morte e terrore.
Per aver lasciato che Ninquelote il Bello divenisse cenere sotto i miei occhi.
Per non essere in grado, ora, di impedire la fine.
La catastrofe.
L’ultimo tuo capriccio di vecchio folle, di bambino viziato.
Tutto è pronto, presto salperai.
Infrangerai il divieto, l’ultimo che ancora ti rimanga, e col tuo sorriso tronfio sfiderai i Signori d’Occidente.
Cosa credi di fare, Pharazon?
Credi davvero di poter calpestare il suolo di Valinor lanciando invettive con la tua voce roca di vecchio stizzoso?
Credi che Manwe in persona ti farà dono dell’immortalità sigillandola in un magico scrigno intarsiato?
E’ la morte, il nostro dono. Se solo l’accettassi! Se solo io sapessi fermarti, trattenerti.
Ma in che modo? Non ci siamo mai amati, non ci siamo mai compresi.
E cosa possono le mie parole, se chi sussurra al tuo orecchio è Sauron l’ingannatore in persona?
Lo so cosa mi aspetta, Pharazon.
Non occorre possedere la lungimiranza di Palantir mio padre, per capirlo.
Non posso salvare il mio popolo, non più.
Ma posso ancora morire assieme ad esso.
Sì, questo so farlo anch’io.
Chissà, forse in tua assenza oserò recarmi in cima al Meneltarma, finalmente.
Non per domandare all’Uno un tardivo e immeritato perdono con scuse e preghiere, questo mai. Solo per ricordare tempi più felici, in cui mio padre mi conduceva per mano sul sentiero scosceso e con un lieve cenno del capo mi chiedeva di tacere, di pregare, di sperare.
Là attenderò la fine di ogni cosa, in silenzio.
Finalmente sola, finalmente fiera.
Non sono stata una degna regina in vita, forse.
Ma posso esserlo ancora, nella morte.                                                        
                                                               
  
  
 
 
 
 
 
Note
Eccomi qua, non sono scomparsa! Perdonate la lunghissima assenza, ma ho avuto a che fare con alcuni esami piuttosto impegnativi e, una volta libera, il “blocco dello scrittore” si è impadronito di me e ho dovuto attendere parecchio prima che un po’ di ispirazione tornasse a farmi visita. Ora spero proprio che non mi abbandoni, vorrei riprendere ad aggiornare con regolarità!
La dama protagonista di questo capitolo è Tar-Miriel, ultima regina di Numenor (da non confondersi con Miriel madre di Feanor, mi raccomando!). Suo padre fu Tar-Palantir, il cui nome significa “il lungimirante” infatti egli era un re saggio, che, nonostante la politica seguita dai sovrani suoi predecessori, reintrodusse in Numenor l’utilizzo delle lingue elfiche e, in generale, fu amichevole nei confronti degli Eldar. Fu però soppiantato dal nipote, Ar-Pharazon il Dorato, uomo arrogante e superbo, il quale si impadronì del regno e sposò con la forza Miriel (alla quale, per non utilizzare la lingua Quenya, cambiò il nome in Ar-Zimraphel, cosa cui io accenno solo lievemente nel testo).  Riguardo a Miriel, il Professore ci dice ben poco. Sappiamo che era bellissima, la più bella tra le regine di Numenor e che, quando Ar-Pharazon sfidò il divieto imposto dai Valar di salpare verso Occidente per impadronirsi dell’immortalità e Numenor fu distrutta ella morì assieme al resto del suo popolo. Si dice anche che nel momento della morte Miriel cercò troppo tardi rifugio sul Meneltarma, il sacro monte di Numenor.
Miriel significa letteralmente “figlia-gioiello”, da qui il “gioco di parole” nel testo.
Ninquelote è il nome in Quenya di Nimloth, l’Albero Bianco di Numenor. Sauron, che era assai benvoluto alla corte di re Pharazon, (tanto da innalzare un tempio dedicato a Melkor in cui imbastire sacrifici umani) lo distrusse e lo   fece bruciare. Grazie a un provvidenziale intervento di Isildur, poi, i suoi frutti riuscirono a prosperare in Terra di Mezzo, ma questa è un’altra storia.
Ancora una volta ringrazio tutti coloro che leggono ciò che scrivo, ma soprattutto un grazie speciale va a chi recensisce: i vostri commenti mi fanno un immenso piacere, mi stimolano, mi spronano e mi incoraggiano a continuare. Ciò vale anche per le critiche, naturalmente!
Grazie ancora a tutti, a presto, spero!
 
Melianar 
  
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