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Autore: Nero inchiostro    18/07/2014    1 recensioni
Da qualche tempo avevo questo blocco
che m’incatenava anima e parole.
Allora l’ho utilizzato per scrivere.
Paradosso.
Il Thanatos utilizzato contro se stesso.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL BLOCCO DELLO SCRITTORE

 

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Da qualche tempo avevo questo blocco

che m’incatenava anima e parole.

Allora l’ho utilizzato per scrivere.

Paradosso.

Il Thanatos utilizzato contro se stesso.

 

 

Da qualche tempo a questa parte la scrivania era incredibilmente vuota. Nessuna frase appuntata sugli angoli dei fogli sparsi, la boccetta d’inchiostro era chiusa vicino alla sua stilografica dalla punta asciutta, tutte le penne incredibilmente al loro posto, i libri nella libreria, silenzio e musica spenta.

Me ne stavo in piedi, sul tappeto della mia camera ad osservare lo scenario con aria assorta. Tutto era perfettamente in ordine, perfettamente pulito, assolutamente in pace con un’armonia che aveva dissolto il caos che aleggiava spesso in quella camera. Ma dentro di me qualcosa non riusciva a darsi pace; c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che discordava con l’essenza del mio essere. Qualcosa in quella stanza non era come avrebbe dovuto essere, qualcosa dentro di me suonava a vuoto e in quella stanza il silenzio, un silenzio vuoto d’ispirazione, paradossalmente assordante, insopportabilmente denso, mi premeva sulle orecchie e sul cuore. Sentivo un peso gravarmi nel petto e lacrime di frustrazione scivolarmi sulle guancie.

Non sapevo più raccontare, non avevo più nulla da dire, non vedevo più niente di poetico nelle cose e se quello era un albero era semplicemente una pianta, e se guardavo le stelle esse erano solo punti luminosi nel cielo, se sentivo dentro me qualcosa esso si radicava come avesse radici invisibili e rimaneva sepolto nei recessi della mia psiche senza possibilità di fuga. Nessuna parola.

Appoggiai le mani sulla scrivania e la mia testa bassa faceva cadere le lacrime nere sui fogli vuoti. Vi appoggiai la fronte e sentii la carta bagnata. Mi ritrovai in ginocchio di fronte ad una scrivania troppo in ordine. Tutto perdeva di senso acquistando quell’ordine morboso.

Aiutandomi con le ginocchia mi spostai alla sua sinistra e la libreria sembrava ricordarmi quanta ispirazione aleggiava fra le pagine. Ad un tratto, senza una logica, senza un perché, iniziai a svuotarla. E sul mio tappeto naufragarono Arthur Golden e il suo Oriente; Elinor e Marianne si trovarono a un angolo di esso, faccia a terra, Jane Austen si rivoltava forse nella tomba; angeli scomparvero al di sotto della scrivania, ma Lauren Kate non sapeva farli volare in quel luogo; Orwell trovò rifugio al di sotto del mio pianoforte; Svevo accanto a una sedia. Nel giro di qualche minuto la mia libreria era frammentata, sparsa per la stanza.

Mi alzai a stento, ancora terribilmente vuota. Aprii la boccetta dell’inchiostro e vi infilai le dita. Era denso, caldo, pareva suggerirmi una solitudine troppo a lungo prolungata. Passai una delle dita sul mio braccio destro e il disegno della piuma che lì avevo fatto tatuare parve vibrare di emozione. Dalla punta ora una lacrima d’inchiostro mi scivolò sul polso e parve parlarmi. Raccontava storie senza voce, vedeva una realtà del tutto nuova, senza occhi e il calore di quel nero denso mi riempiva di gioia, senza un motivo apparente.

Mi sedetti di fronte alla scrivania e scrissi tutto ciò che mi turbava l’animo su un foglio di carta spessa, uno di quelli che utilizzavo per dipingere, vomitando pensieri troppo a lungo trattenuti. L’inchiostro colava dal mio polso e macchiava le parole, le riempiva di senso. Questo avrei dovuto fare con me stessa, pormi parola e riempirmi d’inchiostro, pormi scrittrice e riempirmi d’ispirazione e crederci, crederci fino in fondo. Volare oltre quel blocco che attanagliava la passione e immergermi in quello che volevo essere, sebbene ancora non lo fossi. Ridere di me stessa, di qualche racconto spuntato per caso dalla punta della penna, scrivere fino a sentire i polsi doloranti, ma continuare a scrivere, a scrivere, a vivere, a scrivere.

Quando la punta della penna arrivò all’angolo inferiore del foglio la mia mano si fermò tremante e capii di aver scritto qualcosa senza senso, il caos materializzato nelle mie parole. E allora mi guardai intorno, osservai il caos della mia stanza e compresi di aver trasposto tutto il mio tormento su quel foglio. Poggiai la penna sulla scrivania e presi ciò che avevo appena scritto tra le mani. Lo osservai un momento e poi lo appesi sul muro di fronte a me. Ogni qual volta mi fossi seduta su quella scrivania avrei saputo sbloccare la mia mente e assalire il foglio, carezzarlo, strapparlo, macchiarlo, scivolarci sopra le dita, sentire l’odore della carta e dell’inchiostro, buttarlo via, conservarlo, avrei saputo che mai avrei dovuto smettere di scrivere.

 

 



N.d.a. Questo è un testo forse senza senso apparente, scaturito dal mio periodo no. Quando l’impossibilità di trasferire le mie emozioni su testo mi rattrista il cuore, quando la mia mente rimane vuota di ispirazione allora scrivo, paradossalmente scrivo. Scrivo cose senza senso, senza una logica, ma mai smetto di scrivere.

 

Nero Inchiostro

   
 
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