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Autore: SoCrazyMe_    19/07/2014    3 recensioni
"E noi non abbiamo voce in capitolo, siamo solo dei sussurri nell'oscurità con il destino già segnato. Non puoi cambiarlo, piccola Amanda"
|| Storia pubblicata su wattpad nel mio account http://www.wattpad.com/60464739-whispers-in-the-dark ||
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Si possono insegnare tante cose, ma le cose più importanti, le cose che importano di più, non si possono insegnare, si possono solo incontrare. Oscar Wilde.”

 

Chiusi il diarietto in pelle scura nelle mie mani posizionandolo sulle gambe coperte da un jeans nero e vecchio. La pioggia batteva violenta sul vetro dei finestrini del treno che correva veloce, come fosse stato un ragazzo che correva verso casa cercando di non essere bagnato dalle gocce d’acqua che scivolavano lungo il cielo.

Faceva freddo ed il vagone era quasi totalmente vuoto, i pochi posti occupati erano riservati ad emarginati senza casa, clandestini e stranieri.

Ero l’unica lì, che aveva una meta precisa e un posto dove andare.

Mi piegai all’altezza delle caviglie per prendere qualcosa di commestibile dal mio zaino, erano ore che non mangiavo e che ero seduta su quel seggiolino scomodo di seconda mano, e il mio stomaco aveva cominciato a ribellarsi a quel digiuno non voluto. Così facendo il diario mi cadde finendo sotto il seggiolino sgangherato accanto. Imprecai mentalmente e buttai la merenda insaccata che avevo appena cacciato, di nuovo dentro. Allungai il braccio portando la mano sul terreno sotto il posto vuoto di fianco a me, sentii l’umido infiltrarsi nelle mie unghie e accarezzarmi la pelle lasciandosi dietro una scia di marciume e freddo. Quel mezzo era vecchio e sporco ma pur sempre conveniente a livello economico e io, non potevo permettermi altro. Riuscii finalmente a toccare con i polpastrelli la pelle del diario e un sospiro di sollievo uscì di fuori dalle mie labbra screpolate.

Un tuono forte mi fece sobbalzare dal cuoio strappato del seggiolino su cui ero seduta facendo ribaltare lo zaino e girare tutti i pochi presenti nella mia direzione. Avevo sempre avuto un po’ timore dei temporali e dello squarcio dei tuoni nell’atmosfera, e essere in un treno, con gente sconosciuta e affamata non aiutava a farmi tenere i nervi saldi.

Decisi di alzarmi dal sedile e, prima di accovacciarmi a terra per cercare di fare più presto, misi sul sediolino lo zaino. Abbassai la testa e, nonostante ci fosse una leggera luce soffusa nel vagone, lì sotto non si vedeva nulla.

Tastai con le dita l’area impolverata e umida, ma non sentivo il mio diario. Com’era possibile? Fino a due minuti prima era lì sotto le mie mani.

Feci un lungo sospiro cercando di rimanere calma e di non perdere la testa. Mi ripetevo mentalmente e continuamente che ormai mancava poco all’arrivo. Chiusi per un secondo gli occhi brucianti, la testa mi martellava e la schiena risentiva di quella posizione stretta e scomoda in cui ero. Infiltrai il braccio ancora più in fondo fino a sentire il freddo del metallo divulgarsi velocemente per tutto il mio braccio. Ero arrivata alla fine, il mio diario non c’era.

Tirai fuori il mio povero arto ghiacciato e indolenzito e optai di controllare anche sotto il mio di seggiolino. Alzai di poco gli occhi, ritrovandomi davanti un paio di scarpe, diverse da quelle che indossavo io solitamente, erano di quelle che indossavano le persone importanti o con abbastanza soldi per permettersele senza dover fare un debito. Salii lentamente con lo sguardo per scoprire due gambe snelle ma muscolose fasciate in un jeans aderente e perfetto, un busto possente e due spalle larghe coperte da una camicia semplice blu. Dovetti mettermi sulle ginocchia per riuscire a vedere a chi possedesse quel corpo imponente.

Una leggera barbetta gli contornava il viso e dei ciuffi ribelli uscivano da sotto il capellino di lana scura che teneva sulla testa. Le sue labbra erano screpolate dal freddo come le mie e i suoi occhi..i suoi occhi erano così scuri che riuscivano a mettermi in soggezione. Battei le palpebre più volte, non avevo notato che c’era anche quel ragazzo sul vagone, era decisamente inappropriato lì. Vestiva bene e sembrava più che nutrito, non aveva nulla a che vedere con il resto delle persone di quel posto.

Un piccolo sorriso si formò sul suo viso dai lineamenti duri, i suoi bicipiti si tesero e allungò il braccio verso di me, tra le sue dita lunghe teneva saldo il diario per cui mi stavo tanto penando e per il quale i miei piani di merenda erano saltati.

La mia bocca involontariamente si aprì diventando una ‘o’ perfetta. Non riuscivo a capire come quel ragazzo avesse in mano il mio diario..

Feci un piccolo sorrisino intimorito, e presi con cautela il diario dalle sue mani.

Cercai in tutti i modi possibili di non far incrociare di nuovo i nostri occhi, la sensazione che ebbi, in quel secondo in cui lui mi guardava con quei pozzi di petrolio come se volesse scavarmi l’anima, fu come una piccola scintilla partire dalla punta dei piedi che divenne un fuoco d’artificio arrivata all’altezza del cuore.

“G-Gra..”

Non riuscii nemmeno a ringraziarlo, davanti a me non c’era più nulla, più nessuno. Solo il resto del putrido vagone.

Mi guardai in torno in cerca del suo cappellino lanoso, aspettandomi che facesse capolino da uno dei sedili circostanti ma nulla, c’erano solo i soliti emarginati.

Mi lasciai cadere sul mio sediolino dopo aver messo accuratamente il diario nello zaino per evitare altri disguidi. Quel ragazzo..

Era sparito da un secondo all’altro, eppure avevo addosso la sensazione che fosse ancora lì, in quel vagone, in quel treno, in mezzo al nulla, diretto verso una speranza.

 

La luce lunatica era l’unico faro che mi illuminava la via. Probabilmente era piena notte poiché la luna si trovava nel centro esatto del cielo stellato. Stavo camminando da ormai venti minuti circa, le gambe iniziavano a tremare ad ogni passo e la stanchezza stava iniziando a farsi sentire sempre più forte.

Il mal di testa non era ancora passato e non desideravo altro che arrivare a casa e dimenticare quel giorno, per sempre.

Tirai frettolosamente il bigliettino con su scritto sopra l’indirizzo della casa di mio zio, dalla tasca. Le mie mani erano gelate e quello mi rendeva i movimenti più difficili e meccanici da fare.

Lessi più volte il biglietto per poi riporlo nuovamente in tasca. Ci sono quasi.

Con questo pensiero riuscii ad andare avanti per i dieci minuti a seguire.

Ero finita in un vicoletto di Grand Prairie e davanti ai miei occhi c’era una porta di metallo arrugginita tra il grigio e il nero. Emisi un piccolo gemito di freddo formando così una nuvoletta che mi appannò per un secondo la vista. Sul muro, proprio accanto alla porta mal ridotta c’era  un cartellino in legno, che presumevo fatto a mano, per metà caduto con su scritto Marcus Joel Cornett

Prima di allungare il dito ossuto che mi ritrovavo sul campanello, congiunsi le mani e le portai alla bocca respirandoci più volte sopra per poi sfregarle.

Pigiai a malapena il polpastrello sul bottoncino per poi fare un passo indietro. Un brontolare assonnato si udiva da dietro quei muri. Una luce decisamente troppo forte mi fece traballare sul posto, non essendo più abituata a certi toni luminosi.

Vidi un uomo sulla quarantina con della barbetta sul viso e degli occhi dolci color mare ma assonnati.

“Amanda tesoro! Mi ero quasi scordato del tuo arrivo”

Parlò lui prima di stringermi in un abbraccio decisamente troppo caloroso tanto che sentii le ossa quasi toccarsi. La sua voce era molto roca e odorava di vino scadente.

Non potei non credere alle parole che mi aveva detto, avrei giurato che prima di sentire il campanello stesse dormendo. Se si fosse ricordato della mia venuta non si sarebbe di certo messo a dormire, con il rischio di non sentire il campanello e di farmi rimanere fuori casa la notte intera.

“Ciao zio”

Fu l’unico suono che uscì dalla mia bocca in modo stridulo e rauco. Ero stanca e non volevo far nient’altro che dormire. Nemmeno vedere mio zio, in quel momento, riusciva a tenermi lucida.

“Vieni dentro, fa freddo fuori” Con il suo grosso braccio mi trascinò dentro per poi chiudere la porta alle nostre spalle in un modo poco delicato creando un rumore poco gradito e sopportabile per quell’ora.

Mi guardai intorno. La casa non era male, vedendola da fuori si poteva pensare molto peggio. Era piccola ma aveva uno stile classico/rustico e odorava di pollo sotto al forno.

“Domani ti studierai meglio la casa, adesso và a dormire, i tuoi occhi implorano di chiudersi”

Ridacchiai. Quanta verità. Tutto il mio corpo stava implorando un letto e delle coperte calde dove sprofondare per il resto della notte.

“La tua stanza è quella. Buonanotte”

Sorrise dopo avermi indicato una porticina al lato del divano coperto con un telo di quel che pareva cotone, a motivo militare.

“Notte”

Sussurrai più a me stessa che a lui. La maniglia era calda e non potei non bearmi di quel contatto, per la prima volta quel giorno, toccavo qualcosa di caldo. Sorrisi. Forse avevo trovato davvero il mio posto.

 

La camera era molto carina, il letto nel mezzo aveva un materasso comodo e le coperte poggiate sopra erano verdi come il prato. Era semplice ma avevo iniziato già ad amarla, non avevo mai avuto una camera da sola.

La stanchezza prese il possesso di me e mi diede giusto il tempo di levare le scarpe  consumate dalle lunghe camminate.

Essere sotto quelle coperte mi rilassava così tanto da farmi addormentare nel giro di pochi secondi.

Era ora di iniziare una nuova e splendente vita.

 

 

Non si sa mai cosa ci riserva il..destino.

  
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