Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    19/07/2014    5 recensioni
Sono passati ormai tre mesi dalle ultime avventure dei nostri protagonisti e molte cose sono cambiate: Semir non è più in polizia, Clara aspetta un bambino e Ben ha un nuovo collega. Ma cosa succederà quando un nuovo caso piomberà tra le mani della polizia autostradale? Una storia di viaggi in terre lontane, di ricerche, amori e tradimenti, di amicizia, di fiducia e di paura. Un turbinio di fatti che sconvolgerà le vite degli ispettori toccandole una per una, questa volta forse con troppa violenza.
Consiglio, nonostante non sia necessario, di leggere prima di questa le altre storie della serie per comprendere meglio alcuni punti della trama.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
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Pioggia e racconti

«E questo è tutto.» fece Max con aria sconsolata.
Aveva appena terminato di raccontare tutta la sua storia agli altri tre poliziotti, esattamente come l’aveva raccontata prima a Rebecca.
«E perché hai deciso di infiltrarti da solo, così?» domandò Ben ancora leggermente scettico.
«Non lo so, volevo risolvere il caso, volevo fare da solo... e ho fatto solo un disastro, se non fosse stato per voi a quest’ora sarei morto. Ah, dimenticavo di dirvi una cosa: il mio cognome non è Rieder, quello me lo avevano affibbiato in seguito alla storia del traffico d’organi per paura che i criminali mi venissero a cercare. Il mio vero nome è Max Schwarzer.».
A Semir andò per traverso il caffè che stava sorseggiando.
«Semir? Semir, tutto bene?» si preoccupò Ben dandogli una forte pacca sulla schiena.
«Sì ma... Schwarzer?» domandò il turco cercando di non pensare all’idea che gli era appena venuta in mente.
«Sì... perché?» chiese Max, senza capire.
Semir non rispose, prese un foglio che aveva sulla scrivania e lo osservò attentamente: era la foto del capo dell’organizzazione che Susanne gli aveva mandato per mail. Come aveva fatto a non pensarci prima? Erano identici, incredibilmente simili...
«Max... lo conosci?» chiese all’ispettore porgendogli il foglio «È Carl Schwarzer, il capo dell’organizzazione.».
Max sbiancò e rimase immobile con la foto sotto agli occhi.
«Papà...».

 

«Come si sente?» domandò Bronte con preoccupazione.
Avevano fatto sedere Max sul letto e gli avevano portato un po’ di acqua e zucchero.
«Meglio, grazie. Che bastardo... che bastardo! Ecco perché si era completamente disinteressato alla faccenda di mio figlio, lui ci avrebbe solo che guadagnato! Ecco perché poi era sparito! Criminale, odioso, lurido...».
«Max, calmati magari è solo un caso di omonimia, magari non...» provò Ben, ma ormai il biondo sembrava inarrestabile.
«Ben, ho visto la foto, so riconoscere mio padre... nonostante non lo veda da sette anni. Non posso crederci... non posso crederci! Tutti quei bambini, li ha tutti lui sulla coscienza! Scommetto che è stato lui... sì, è stato lui a dare l’ordine di uccidere mio figlio invece che operarlo. È colpa sua se Angela e morta ed è colpa sua se...».
«Max, aspetta un attimo! Non è che stai correndo un po’ troppo?» lo interruppe ancora Semir, ma ogni loro sforzo di farlo calmare sembrava inutile.
«Non sto correndo affatto! A che serve negare l’evidenza? Ora voglio trovarlo. Perché appena lo trovo io... io...».
Lo interruppe il campanello della porta della camera d’albergo, che suonò con insistenza.

 

Rebecca suonò ancora e poi bussò freneticamente, gridando aiuto.
Non si calmò nemmeno quando sentì un certo movimento provenire dall’interno della stanza, continuò a sbattere i pugni sulla porta di legno fino a che un bel ragazzo alto non le venne ad aprire. Quindi si gettò nella stanza e raggiunse Max, lasciandosi andare tra le sue braccia ad un pianto disperato.

 

«Rebecca? Rebecca, che succede? Cosa ci fai qui?» fece il poliziotto sconvolto, mentre i colleghi lo guardavano straniti.
«Mia sorella...» singhiozzò la ragazza «L’ha uccisa! L’ha uccisa!» gridò tra le lacrime. Il suo corpo era scosso dai forti singulti, la giovane era agitatissima, il viso rosso, gli occhi gonfi di lacrime.
«Rebecca... calmati, cosa è successo? Chi ha ucciso chi?» fece il biondo sempre più preoccupato.
«Igor!» gridò la ragazza, e non riuscì a dire nient’altro.
Continuava a piangere, non riusciva a calmarsi.
Bronte le toccò una spalla e lei si voltò, mostrando al commissario due occhi straziati dal dolore... due occhi che a Ben non poterono che ricordare quelli di Eve.
Un pensiero orribile gli attraversò la mente: che quella ragazza fosse proprio la sorella di Eve? Ma in quel caso...
«Kallman ha ucciso sua sorella?» domandò Ben corrucciando la fronte e Rebecca annuì, tornando quindi tra le braccia di Max «Noi volevamo scappare... noi...».
Scoppiò di nuovo in pianto disperato.

 

«Erano anni che mettevamo da parte i soldi per fuggire, e ci eravamo riuscite. Avremmo avuto un volo oggi alle diciotto per Berlino, abbiamo liberato i bambini ma poi lei è tornata indietro a prendere il medaglione di nostra madre e Igor l’ha sorpresa... io sono fuggita, avrebbe ucciso anche me!» spiegò Rebecca.
I quattro poliziotti erano riusciti a farla calmare almeno un minimo, il necessario perché la ragazza riuscisse a raccontare cosa fosse successo. Ora stava lì, seduta su una sedia, gli occhi segnati dal pianto e le mani tremanti.
Ben non avrebbe resistito ancora a lungo. Voleva capire...
«Eve?» domandò semplicemente.
E lo sguardo affermativo che gli lanciò la chirurga fu più che sufficiente a mandarlo in confusione.
Si portò una mano alla fronte e sospirò, tentando di mantenere il controllo, tentando di paragonare il dolore che poteva sentire lui a quello che invece doveva provare Rebecca.
«Mia mamma me l’aveva affidata... era piccola quando è morta, mi ha detto che mi sarei dovuta prendere cura di lei e io non ne sono stata in grado.» mormorò ricominciando a piangere silenziosamente.
«Tu non hai nessuna colpa.» sussurrò Max cingendole la vita con un braccio.
L’atmosfera all’interno di quella piccola stanza d’albergo era diventata pesante e la pioggia che batteva contro i vetri non faceva che rendere gli animi ancora più tristi.
Improvvisamente Max sembrò ricordarsi di qualcosa e corrucciò la fronte.
«E Marie?».
«Ce l’ha lui.» disse Rebecca.
Ma non sembrava addolorata per questo. I suoi pensieri erano rivolti tutti verso sua sorella... e la bambina? Max era sicuro che fosse sua figlia anche se lei non gliene aveva mai parlato. Come faceva a non preoccuparsi di sua figlia nelle mani di un criminale?
«Mi ha detto che così non sarei andata tanto lontano.» spiegò lei, poi un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra «Ma tanto non la ucciderebbe mai. Non potrebbe mai uccidere la figlia del suo capo perché verrebbe ucciso a sua volta in quattro e quattr’otto.».
«La figlia del suo capo?» domandò Semir. Continuava a non capire, come Ben e il commissario Bronte, d’altra parte.
«La figlia di mio... padre? Quella bambina?» domandò Max ancora più incredulo.
Era palese che nessuno in quella stanza stesse capendo più nulla. Nessuno tranne Rebecca, che ebbe la conferma di ciò che aveva intuito.
«Carl Schwarzer è tuo padre?» chiese la ragazza recuperando lucidità e mettendo per un attimo da parte il dolore che provava per la sorella. Aveva pronunciato quel nome per la prima volta dopo cinque anni e mezzo e lo aveva fatto con disgusto.
Alla tacita risposta di Max, Rebecca continuò «Lo sapevo, l’ho immaginato non appena ti ho visto. Mi sa che è ora che tutti voi sappiate delle cose. La mia storia Max già la conosce e ve la racconterà. Ma forse non sapete che Carl è effettivamente il capo dell’organizzazione: è una delle persone più spietate e cattive che abbia mai conosciuto. È stato lui ad uccidere mia madre dopo averla violentata anni fa ed è stato lui ad aprire la sede, per fare soldi. Ha cominciato ventidue anni fa con il chiaro obiettivo di espandersi e diventare capo di un’organizzazione internazionale e ci è riuscito. Io vivo lì da quando avevo sei anni e ho visto morire prima mia madre, poi tanti uomini anche prima dell’apertura vera e propria della sede e soprattutto tanti bambini. Lui uccideva perché gli faceva comodo, uccideva se una persona non gli serviva più, uccideva se una persona gli stava anche solo semplicemente antipatica. Poi sei anni fa l’ha fatto anche con me... mi ha violentata e io sono rimasta incinta.» fece una pausa asciugandosi una lacrima che piano le scorreva sulla guancia.
«Nove mesi dopo è nata Marie e io ho partorito da sola in una stanza buia, una di quelle della sede. Poi non l’ho più rivisto. Continua a dirigere l’organizzazione ma viene a far visita alla struttura solo ogni tanto, la sede ora è in mano a Igor Kallman. Io ho accettato di fare da chirurga perché non avevo altro posto dove stare, perché lì avevo mia figlia e mia sorella e perché mia mamma mi aveva affidata a Igor prima di morire, quando ancora lui non era immerso in questo traffico criminale. Ora è diventato come loro... e anche io sono diventata come loro.» concluse in un sussurro.
Nessuno ebbe il coraggio di replicare per qualche attimo.
«Tu non sei come loro.» affermò quindi Max «Altrimenti adesso non saresti qui a raccontarci tutto questo.».
Lei scosse il capo sorridendo amaramente «Se mia sorella non fosse morta io non sarei qui. E se sono qui adesso è perché voglio Igor e Carl in galera, perché li voglio spacciati per sempre. È chiaro poi che io andrò con loro. Ma voglio prima vedere loro in prigione e mia figlia viva. E voglio poter piangere sul cadavere di mia sorella prima che loro si sbarazzino del suo corpo come di quello di un’estranea qualunque che hanno ucciso perché era diventata troppo ingombrante, come lo era diventata mia madre.».
Silenzio.
Era calato di nuovo nella stanza velocemente.
Solo lo scrosciare della pioggia ormai lo rovinava.

 

Adesso sappiamo che è Max, chi è Marie e chi è Rebecca. Forza che non restano ancora tanti capitoli!
Un bacio e grazie mille a tutti coloro che mi stanno seguendo.
Sophie :D

  
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