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Autore: WhiteLight Girl    19/07/2014    6 recensioni
Non sapeva cosa fossero, né da dove provenissero, ma era ormai certa che stessero cercando di raggiungerla, di afferrarla, e che la luce riusciva a contrastarle. Così, nel momento in cui il lampione s’infranse ed i frammenti di vetro le piovvero addosso, Yukiko sollevò le braccia e pigiò un tasto qualunque del vecchio telefono, sentendosi stupida ed indifesa.
Ciò che non si aspettava era ciò che successe dopo. Le ombre la avvolsero, toccandola con i loro artigli gelidi, lasciando dolorose scie insanguinate sulle sue braccia e sulle gambe e strappandole la divisa.
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO - 72 ANNI FA



SETTEMBRE 1942
Masayoshi si fece largo tra le brandine, ignorando i gemiti di dolore e le lacrime dei sopravvissuti al bombardamento. Non voleva pensare a quanti di loro non avrebbero potuto avere una seconda possibilità con la vita, a quanti sarebbero spirati lì, in un modo così doloroso e crudele.
Non sapeva cosa l’avesse realmente spinto ad andare lì, quel giorno. Non avevano avuto alcun contatto, da quando l’aveva affidata all’orfanotrofio locale, e non si era mai preoccupato di farle visita o di assicurarsi come stesse.
Arrancò lievemente, cercandola tra i tanti, domandandosi come avrebbe trovato quel volto che nonostante tutto ricordava tanto bene. Gli americani non avevano avuto scrupoli, neanche quella volta, a bombardare le case dei cittadini innocenti.
A pensarci, non sapeva neanche come lei fosse vissuta fino ad allora, se fosse stata adottata e cresciuta da una famiglia amorevole, se avesse sofferto quanto lui gli orrori della guerra.
Si grattò lievemente il mento, passando le dita nel lieve strato di barba ispida che da tempo avrebbe dovuto sfoltire. Quando la scorse, abbandonata su una delle brande, gli parve ancora più piccola di quanto lo fosse stata l’ultima volta che l’aveva vista, diciassette prima, quando l’aveva lasciata all’orfanotrofio.
Le si avvicinò, esprimendo per una volta il senso di colpa che provava. Non sapeva cosa l’avesse spinto fin lì, a guardare qualcosa che non voleva vedere davvero. Forse era il pensiero che, se solo avesse scelto un altro posto, se avesse deciso di affidarla a qualcuno di più specifico a cui affidarla, lei avrebbe potuto trovarsi lontano da lì, in quel momento. Era stato tutto terribilmente casuale, certo, con quella maledetta guerra sarebbe potuto toccare a chiunque. A lui, forse, o ad Akira, oppure a Makoto, a Chiaki, o anche ad Ayano, ovunque essi fossero.
Chino su quel corpo così martoriato, vedendo quelle bende e quella pelle candida imbrattate di sangue, pensò che avrebbe potuto essere al suo posto.
Sapeva che avrebbe potuto essere il prossimo, ma doveva prima assicurarsi di non lasciare la guardia scoperta.
Deglutì, allungando un braccio e sfiorando con un dito la fronte di Yukiko. Era così giovane, rispetto a lui, tanto quasi da non poterci credere. E stava morendo senza che lui potesse impedirlo.
La ragazza era madida di sudore, e riprese i sensi a causa di quel tocco. Forse, pensò Masayoshi, la febbre avrebbe potuto impedirle di sentire la sua presenza, ma lui sentiva il bisogno di essere lì per lei più di quanto avesse mai desiderato.
Si inginocchiò al suo fianco, silenzioso, aspettando che lei svanisse davanti a lui, per dirle addio ancora una volta.
La sagoma scura si mosse tra le altre ombre, sfrecciando tra le pieghe della tenda e ridendo di loro. Fischiò, mentre la notte calava, consapevole che il potere suo e delle sue sorelle era destinato ad aumentare.

DICEMBRE 1942
Mentre le nuvole grigie del cielo minacciavano pioggia ed il freddo puntigliava la sua pelle il giovane non riusciva a pensare ad altro che a proteggere il piccolo fagotto che stringeva tra le braccia.
Fin dal momento in cui aveva stretto a sé la neonata si era reso conto di quanto sarebbe stato difficile, ancora una volta, separarsi da lei. Ma non aveva scelta se non portarla lontana, là dove ci sarebbe stata una minima possibilità, per lei, di vivere in pace lontano dalla guerra.
Non era neanche riuscito a procurarle un abitino per riscaldarla; quindi si era tolto la maglia più pesante che aveva addosso e ce l’aveva avvolta dentro con cura, prima di uscire ed affrontare le intemperie della notte per scendere dalla montagna a rotta di collo.
Dopo due giorni di cammino il ragazzo era a pezzi e la bambina piangeva e strillava per la fame. I suoi occhi verdi erano sempre umidi ed arrossati, il naso gocciolante e la fronte rovente. La febbre l’aveva colta alcune ore prima che raggiungessero la loro meta, tanto alta che il ragazzo quasi temette che potesse portarsela via, violentemente ed ingiustamente.
Quando raggiunsero la fattoria era appena sorto il sole del terzo giorno e lei non aveva ancora avuto pace. Se solo avesse potuto, il ragazzo le avrebbe donato il mondo intero, ma tenerla con sé avrebbe significato metterla in pericolo e vederla soffrire senza poter far nulla per impedirlo.
Il giovane si fermò davanti alla porta della vecchia abitazione, tremante e disperato. La bambina, sfinita, si era addormentata un’altra volta, sempre più debole e pallida.
I soffici ciuffi biondi si erano ricoperti di cristalli di ghiaccio, la piccola bocca si stava seccando per il freddo ed anche la maglia umida ormai non era più capace di riscaldarla.
Il ragazzo s’inginocchiò, puntando gli occhi castani in quelli della piccola, socchiusi ed assonnati. C’erano centinaia di migliaia di parole che avrebbe voluto dirle in quel momento, ma sapeva che crescendo lei non sarebbe comunque stata in grado di ricordarle. Si inginocchiò, poggiandola con attenzione sul gradino dell’ingresso e sfilando una lettera umida dalla tasca.
«Starai bene» le disse, mentre la piccola contorceva il visetto per ripiombare in un pianto disperato. L’aver perso la sua unica fonte di calore così all’improvviso l’aveva spiazzata e spaventata, svegliandola. «Non piangere o non avrò la forza di lasciarti qui» rivelò lui con voce rauca, come se lei potesse capirlo.
Poggiò la lettera sul corpicino e le accarezzò una guancia. Con la sua calligrafia sbilenca e tremante aveva scritto il nome della piccola sulla busta, perché era giusto che mantenesse quella parte di lei, come ogni volta. Si chinò a baciarle la fronte bollente, poi si fece forza e si alzò di colpo, correndo via ed abbandonandola prima che lei riuscisse a trattenerlo con quegli occhi supplicanti che lui amava tanto.
Il pianto disperato lo perseguitò per diversi minuti, fino a quando non fu abbastanza lontano per non poterlo più raggiungere, ma anche a distanza lo sentiva rimbombare nella mente e sapeva che non l’avrebbe abbandonato tanto presto. E per contrastare la mostruosa sensazione di essere ancora una volta da solo non poté che ripetersi con convinzione:
Sarai sempre la mia Ayano, qualunque cosa possa succedere d’ora in poi, dovunque tu sia e chiunque tu possa diventare.


****
Salve, generalmente non posto originali, ma questa volta a me e ad a questi altri tizi (sì, ragazzi, siete ufficialmente dei semplici tizi) è venuta questa idea; dopo aver inventato questi personaggi per una fanfiction che non ha ancora visto la luce, di riutilizzare gli stessi poveri personaggi (Ah, quante ne patiranno!) per fare varie fanfiction.
Credo che si possa dire che questa è una fanfiction AU di una fanfiction AU di un altro fandom…

A questo punto credo che dovrei inserire i crediti, se così si chiamano.
Dunque, Ayano ed Akira sono personaggi miei (personali personalissimi)
Makoto e Chiaki sono nati dalla mente di Hoshikawa Makoto, di questo sito
Masayoshi è di uno di cui non scriverà il nome a meno che non mi recensisca questo capitolo o si scelga un nickname più facile da ricordare
Yukiko è stata creata da Angie 96_Yukiko Takanashi
   
 
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