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Autore: Faenna    20/07/2014    2 recensioni
"Non poteva farlo. Gettò a terra l’inutile legnetto nero che scivolò sul pavimento. Chiuse gli occhi e pensò all’alba."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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GIUNSE L'ALBA, NONOSTANTE TUTTO
 
A Francesco, che non ho mai chiamato per nome.
A Francesco che non si aspetta tutto questo.
A Francesco, che invito ad essere sempre forte e a farsi valere, come sempre.
A Francesco che si è commosso leggendo il capitolo della morte di Silente.
A Francesco, il mio amico di pasta frolla.


 
Cielo. Cielo quella notte era diverso, non era il solito blu. Non era il solito Cielo. Era nero, nero. Nuvole plumbee all’orizzonte avanzavano, Vento soffiava.
Cielo come testimone, come colpevole, come giudice. Cielo che guardava dall’alto le povere anime che popolavano la Madre Terra fredda e dura. Fredda e dura come lo sguardo di quel giudice supremo, quel difensore, quell’accusatore, carnefice. Cielo era lì, immobile; era lì ogni notte, sin dalla notte dei tempi, a farsi trafiggere da migliaia di puntini di luce, come il cuore pulsante di un corpo martoriato  aspetta una lama fredda e meschina a porre fine alla sua angoscia, a compiere il proprio destino.
Ma no, quella sera le sorelle Stelle non c’erano: quei corpi così puri e duri a morire si erano allontanati dalla platea di un teatro vuoto pronto ad inscenare una nefandezza.  Anche le sorelle Stelle si coprirono gli occhi luminosi, lo fecero con quelle Nuvole che non tardarono ad offuscare un  pallido bagliore lunare. Calò il buio muto e temibile, nemico dei cuori teneri e fedele compagno degli animi dannati. Cielo sembrò quasi sul punto di piangere. Piangere. Un pianto antico, un pianto delicato e segreto, sussurrato. Vento, impetuoso come un amante passionale, spostò via le Nuvole, scoprì gli occhi alle Stelle e fece in modo che esse potessero guardare, nonostante non fossero pronte. Echeggiava nel silenzio quel sibilo sommesso ma quasi urlato, gridato a bocca chiusa. Non era pronto nemmeno Vento, che sembrò tentennare, colto lui stesso da un fremito. Non era pronto a quello spettacolo. Travolse le piante, esse si lasciarono scuotere, quasi fino alla distruzione. Poi Tutto tacque. Cielo, Stelle, Nuvole e Vento, inseparabili compagni, tacquero simultaneamente, si guardarono rivolgendosi sguardi complici e fecero spazio a Luna, che sicura e tenebrosa si impossessò di Cielo. Ma lui era ancora nero, nonostante la luce di lei.
 
Alzò gli occhi al cielo, quella sera era diverso. Era più scuro, più spento, più triste. Era abituato all’oscurità ma quella notte sperò in un raggio di sole, in un’aurora pudica pronta ad illuminargli il viso, a sciogliere i nodi del suo cuore. Ma era tardi ormai per sperare nell’alba. O forse troppo presto, l’aurora ci avrebbe impiegato ore ad arrivare e lui era impaziente. Impaziente come un cuore che per anni ha aspettato qualcosa e che, quando finalmente vede il suo desiderio diventare reale, decide di non aspettare più, di lasciare tutto in balia del vento. Il vento: fino a poco prima soffiava violento, ora non c’era che una lieve brezza notturna pronta a creare un po’ di brina per il mattino seguente. Il mattino e il suo candore. Candore. E invece tutto taceva, come grazie ad una magia, un accordo segreto siglato alla flebile luce della luna. Era stata nascosta tutto il tempo e ora padroneggiava il cielo, pensò.
Doveva agire, doveva procedere, aveva tanto da dimostrare. Ma no, non a se stesso, a quello aveva rinunciato da tempo: alla sua famiglia, ecco a chi. Avrebbe dovuto farlo. Doveva farlo.
Si lasciò i passi frettolosi dei suoi compagni alle spalle, attraversò con una fretta innaturale il corridoio e salì le scale della Torre di Astronomia. Quale immonda sorte gli aveva affidato quel compito, si chiese. No, non era stata la sorte, si rispose. Lo vide. Lo sentì parlare, ma non riusciva a capire con chi. La mano che cingeva la bacchetta di biancospino tremò. Avrebbe voluto altro tempo. Ma Lui non aspetta, soprattutto per questo tipo di cose.
"Buonasera, Draco. Anche tu qui?" chiese l’uomo, la lunga barba argentea infilata nella cintura della lunga veste.
"Lei sa perché sono qui. Sa cosa devo fare, sa perché devo. Sa perché non posso fare altrimenti." rispose il ragazzo, ora la mano era salda sulla bacchetta. La voce lo era di meno nella sua gola.
"Certo che lo so, ragazzo e so anche che puoi tirarti indietro, puoi scegliere. Non devi macchiarti di un peccato così grave, seppure io sia maledettamente vecchio, solo per gli errori che Lord Voldemort crede che i tuoi genitori abbiano commesso."
Draco rabbrividì al suono di quel nome pronunciato con così tanta disinvoltura. Forse non era disinvoltura, ma coraggio, pensò. Quello che avrebbe voluto avere lui in quel momento, pensò.
"Lei non sa niente, invece! Io devo farlo perché lui mi ha scelto, lui… Ha commesso l’errore di affidarsi a me. Io non affiderei nemmeno me stesso a me, non ho cura di nulla, mi ucciderà e tutto quello a cui penserò è che ogni cosa che mi è stata a cuore è stata distrutta. Non da lui, no, bensì da me." La voce si fece un sussurro, ma ormai era troppo tardi per tacere. Se devi andare avanti, se devi portare a termine il tuo compito, digli la verità, digli cosa sei, chi sei. Dillo, per la prima volta nella tua vita, pensò.
"Ho sempre vissuto in una casa fatta di mattoni di arroganza, disprezzo, ingiustizia; con il tetto di odio e rancore e lei può immaginare quanto quella struttura fosse fatiscente, quanto fosse impossibile e al tempo stesso semplice da buttare giù eppure nessuno ci ha provato. Neppure io, figuriamoci se io…" continuò quel ragazzo pallido che quella sera, alla luce della luna, sembrava un’entità diafana, senza corpo.
"Già dire queste cose ad un vecchio come me ti rendono un uomo, ragazzo mio." rispose placidamente Albus Silente, gli occhi acquosi sotto gli occhiali a mezzaluna.
"Si sbaglia, io non sono un uomo: se lo fossi l’avrei già uccisa con un colpo di bacchetta. Ma io sono un codardo." la presa si fece meno salda. La bacchetta quasi scivolò dalle dita bianche.
"Stai distruggendo le barriere che già prima di arrivare ad Hogwarts ti eri costruito, ti avevano costruito. No Draco, tu sei migliore di loro. Ti prego ragazzo, non farlo. Se non ti ucciderà lui, lo farà il senso di colpa. Non essere come Voldemort, non essere come loro. Non farlo Draco, caro ragazzo."
Ma qualcuno arrivò alle spalle del ragazzo, i capelli corvini si mossero nel vento. Bellatrix Lestrange apparve seguita da altri mangiamorte.
"Buonasera Bellatrix, è venuta anche lei ad osservare la rara bellezza della luna, questa sera?" disse Albus Silente.
"Oh, buonasera. No, preferisco un altro tipo di spettacolo, di rara bellezza anch’esso, oserei dire." rispose la donna. Scoprì i suoi denti marci per quello che voleva essere un sorriso.
"Draco, credo sia giunta l’ora… Non mi va di ascoltare i vaneggiamenti di un vecchio ancora per molto. Fallo.". Ora la donna rivolse un sorriso tenero a suo nipote. No, avrebbe preferito che gli urlasse dietro invece di quel sorriso. Deglutì.
Draco Malfoy cinse la mano tremante attorno alla bacchetta scura, la rivolse verso Albus Silente. Doveva farlo. Gli occhi presero a bruciargli come mai prima, gli si riempirono di lacrime. Si ricordò il marchio che aveva sul braccio e le ricacciò dentro. Non voleva che lo vedessero piangere, non poteva. Nessuno lo vide, ma la luna parve guardarlo. La osservò per qualche istante, forse alla ricerca di un impeto di coraggio, alla ricerca della forza selvaggia che trasudava dalla Foresta Proibita che si espandeva sotto di loro. Erano lì, sospesi a oltre cinquanta metri da terra, con un destino di morte che incombeva su di loro e pensò all’alba. A quanto tenera e forte fosse l’alba, a quanto i suoi colori fossero linfa per il suo animo, balsamo per il suo cuore. Una nota di incertezza si riversò sulla sua mano fragile. Non poteva farlo. Gettò a terra l’inutile legnetto nero che scivolò sul pavimento. Chiuse gli occhi e pensò all’alba.
In quell’istante Severus Piton prese il suo posto, rivolse i suoi occhi neri di fango verso l’uomo che si era fidato di lui per così tanto tempo, l’uomo che aveva creduto nel suo cambiamento. Saldò la mano destra alla bacchetta, con una forza impassibile. Eppure Draco vi scorse un tentennamento, forse lo aveva immaginato.
"Severus, guarda la luna. Severus, ti prego…"pronunciò l’uomo, con una nota di delusione nella voce. C’era anche consapevolezza. Quell’uomo stava pregando Piton, ma era pronto a morire. Lo era. Davvero.
<<"Avada Kedavra.".
Un lampo di luce verde, dritto al cuore. Un lampo di luce verde, la risata aspra di sua zia. Un lampo di luce verde e Draco chiuse gli occhi. Pensò all’alba. Forse domattina l’alba assumerà, tra le sue mille sfumature, anche quella argentea della barba di quello che era stato, fino a pochi istanti prima, l’uomo che l’aveva convinto a essere migliore. Forse domattina il cielo assumerà la tonalità dei suoi occhi cristallini. Non aprì gli occhi. Silente stava volando giù dalla torre come una bambola di pezza, come un burattino cade dopo che gli si vengono tagliati i fili: libero ed inerme. Ecco come cadde Albus Silente, libero ed inerme.
 
Nuvole coprirono Luna, aveva padroneggiato fin troppo quella sera. Quella notte le Nuvole decisero di assumere il colore più scuro che fossero in grado di avere e ordinarono alle sorelle Stelle di non splendere, non quella notte. Cielo accolse caldamente le Nuvole e le abbracciò come sorelle. Disse buonanotte alle Stelle e chiamò Vento, gli ordinò di soffiare con più forza avesse in corpo, quella notte. Ma Cielo non accolse, invece, quello strano marchio nel cielo. No, non poteva accettare quella cosa, quella notte. Solo loro potevano trasudare tristezza quella notte. Ma no, quel marchio non trasudava tristezza, ma male. Cielo, fiero comandante, urlò alla sorella più grande delle Nuvole di coprire quel segno immondo e a Vento di soffiarlo via. Lui invece pianse. Pianse come prima gli era stato negato da Vento. Pianse. Un pianto disperato, quella notte. Urlò piangendo. Pianse non solo per lavare via il Marchio Nero, ma anche per quel corpo che fluttuava nel vuoto, inerme. Quel corpo morto e straziato, quel corpo che era stato suo figlio. Cielo e Stelle, Luna e Sole e Vento e Pioggia, avevano visto nascere quel loro figlio e ora vedevano il suo corpo volare giù. Lo guardarono e piansero, simultaneamente. A tempo debito, Vento asciugò le lacrime di tutti loro e Cielo chiamò Tenebra. Arrivò silenziosa e avvolse il loro figlio morto. Tutto taceva, solo Cielo continuava a singhiozzare. Lacrime scendevano dal suo viso. Pioggia lavorava incessante, quella notte. Un pianto etereo ma sofferente riecheggiava nell’aria. Un uccello vermiglio trafisse Cielo. Questi lo abbracciò fraterno e Vento soffiò leggero, alleggerendogli il volo. Aspettarono tutti Alba.
 
Giunse pudica l’alba, un po’ sottotono. Illuminò il castello che avrebbe pregato volentieri per un altro po’ di oscurità. Piano piano l’aurora stese il suo manto dorato sul bosco, sul castello, sulle serre di erbologia, sul campo di quidditch e salì fino alla punta delle torri. Illuminò più delicatamente quella di Astronomia, quasi con rispetto. La pioggia aveva smesso di battere forte contro i vetri e di martoriare le fronde e l’aria fredda aveva lasciato solo la brina sul prato che quella mattina sembrava spento, anche esso. Arrivò calma l’alba, quasi eterna, quasi a sorpresa, come se fosse la prima volta. Essa giunse in punta di piedi, sofferente come un carmen ridondante, piccola e fragile come un fiammifero nell’immensità del buio.
 
Quella mattina Alba decise di sfoderare i suoi colori più belli per rendere omaggio a quel suo figlio caduto. Ai suoi colori pastello aggiunse altre due tonalità: nuove agli occhi vigili degli uomini che la osservano dolcemente dalla Madre Terra e antiche a chi ha visto quei colori spegnersi la notte prima.
 
Quella mattina l’alba si presentò con mille sfumature, profumava di rugiada. Ad osservare bene quel cielo limpido e terso, si potevano scorgere tonalità diverse, nuove: l’alba aveva virato su una splendente tonalità argentata con uno splendido riflesso azzurro. Quella mattina l’alba era giunta, nonostante tutto. Solo allora Draco aprì gli occhi. Se l’era immaginata proprio così: argentea e indaco. Pianse.
 
Sole spuntò da Terra, che lo lasciò andare riluttante, come ogni mattina. Le Nuvole gli dissero che quel giorno Cielo era tutto suo e che sua sorella Aurora era stanca, aveva dato il meglio di sé, voleva tornare tra le braccia di suo marito Titone e riposare. Sole attraversò Cielo, deciso a brillare più del solito. Splendeva Sole che, tramontando la sera prima, aveva avuto un brutto presentimento. Illuminò tutto il castello, il suo pianto erano raggi forti e splendenti. Irradiò Cielo e, intento ad illuminare ogni angolo del vecchio castello, vide qualcuno seduto sul pavimento, bagnato da Cielo la notte prima, della torre di Astronomia. Egli piangeva, i capelli biondi spenti e arruffati. Piangeva. Sole allora allungò le dita e sfiorò il viso del ragazzo, lo accarezzò con mano paterna. Pianse anche lui per le sorti umane.
 
Quasi per uno scherzo del destino, il sole gli illuminò il viso rigato dal pianto. Era solo, Draco Malfoy. Era spento dentro e illuminato dal sole fuori. Quale strano gioco aveva deciso di giocare con lui il destino? Chiuse gli occhi e si fece asciugare le lacrime dal sole. Chiuse gli occhi e pensò al domani. Qualcosa sotto la sua camicia prese a palpitare. Si toccò il petto, al lato sinistro. Sorrise lievemente. Che strano, non pensavo di averlo, si disse.
 
Pochi centimetri di stoffa lo separavano dalla mano del suo padrone. Poco lo separava dalla sua candida pelle. E proprio sotto quella pelle, Cuore decise di tornare a battere, più selvaggiamente di prima. Pulsò sangue e forza. Pulsò cambiamento e pentimento. Pulsò vita.

 
 
NOTE DELL'AUTRICE

Questa è la mia prima fanfiction o meglio, è la prima che pubblico: ne sto scrivendo un'altra, più lunga e che richiederà più tempo.
Questa ff non era prevista, infatti ci ho pensato oggi pomeriggio mentre ascoltavo "I Giorni" di Ludovico Einaudi. Ho pensato all'alba sulla Torre di Astronomia. Ho iniziato a scriverla stanotte, di getto, senza sosta. Ora sono le 2:45 ed è la seconda volta che la pubblico per vari problemi.
Vuole essere anche un regalo per il compleanno del mio migliore amico che sarà tra nove giorni e che, quel giorno, non potrà leggerla. E la pubblico anche perchè non ho resistito HAHAHAHAHA
Comunque, ho voluto dare maggiore spessore agli elementi naturali che, prima vengono descritti come vere e proprie persone, poi come elementi semplicemente osservati dai protagonisti. Spero apprezziate la mia scelta! Quindi, credo sia il momento dei saluti. La dedico anche a te che stai leggendo, per puro caso, per errore o per curiosità. Grazie! Recensite se volete. 
Un bacio, Nymeria.

 
   
 
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