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Autore: Il_Trio_Infernale    03/09/2008    4 recensioni
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Rinoa81, assistente amministratrice.

Roxas era sempre stato "bello" per definizione.
Prima bel neonato, che faceva coppia col gemellino Sora, poi bel bambino e infine, bel ragazzo.
E, per quanto ne sapesse, aveva avuto successo con le ragazze fin dai tempi della materna.
Quando diceva di essersi innamorato -quando convinceva se stesso, di essersi innamorato- si dedicava, anima e corpo, all'oggetto delle sue attenzioni, dei suoi sentimenti.
Ma, man mano che cresceva, le ragazze di cui puntualmente s'innamorava tendevano a sfruttarlo. E lui si vendeva completamente, a coloro che lo avrebbero fatto soffrire senza alcun guadagno né divertimento.
Prima fic scritta con la mia mitica beta Caith_Rikku! ^^’
È una AkuRoku, il mio grande amore! XD Ringrazio anche Red Robin per i con(s)igli nei momenti di crisi ^^
E come dice sempre lei… W LA PAZZIA! (e i figli gay!)
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Axel, Roxas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AkuRoku

CINQUEMILA MINI MANI

By Parochan

Roxas era sempre stato "bello" per definizione.

Prima bel neonato, che faceva coppia col gemellino Sora, poi bel bambino e infine, bel ragazzo.

E, per quanto ne sapesse, aveva avuto successo con le ragazze fin dai tempi della materna.

Quando diceva di essersi innamorato -quando convinceva se stesso, di essersi innamorato- si dedicava, anima e corpo,  all'oggetto delle sue attenzioni, dei suoi sentimenti.

Ma, man mano che cresceva, le ragazze di cui puntualmente s'innamorava tendevano a sfruttarlo. E lui si vendeva completamente, a coloro che lo avrebbero fatto soffrire senza alcun guadagno né divertimento.

[Pezzi di me venduti a lei

io non vorrei ma va così

c'è troppa gente qui.]

Resosi conto di questa sua generosità di sentimenti -se così si poteva chiamare-, alla soglia del suo primo anno delle superiori aveva deciso di emulare la forte personalità del fratello gemello, ma quest’ultimo si era iscritto in una sezione diversa dalla sua, che sapeva essere dall’altra parte della scuola rispetto a lui, insieme a Kairi e Riku.

Oro e cioccolato. Erano totalmente diversi, lui e Sora.

Sora… già, Sora. Quello che gli diceva sempre di lasciar perdere le ragazze e andare a divertirsi con lui al Luna Park.

Sora, cielo. Sì, mai nome fu più azzeccato. La sua stessa anima, così pura, era riflessa in quel cielo turchino che erano i suoi occhi. Roxas aveva gli stessi occhi ma non contrastavano con i capelli come nel gemello, ne assecondavano invece il colore, seguendo la sfumatura tipica del Principe Azzurro .

Ancora con questo azzurro… Roxas lo odiava. Era l’unica cosa che lo accomunava al fratello, togliendogli la sua unicità di individuo. Ma, da che mondo e mondo, la persona che il biondino amasse di più era Sora. Fin da quando era piccolo, il suo ruolo era sempre stato il Romeo Shakespeariano e Sora lo aiutava sempre nelle sue imprese amorose come Sancho Panza con Don Chishotte.

Crescendo lo aveva capito. I suoi non erano altro che amori platonici, la ricerca di un ideale di amore tratto dai libri e dai film che vedeva. Mai una volta aveva badato all’aspetto della ragazza. Era solo un caso, se si metteva sempre con le più carine. Bionde, more, rosse, tinte di viola… non importava, non a lui.

Fu alle medie, che iniziò a soffrire veramente per amore. La scuola che frequentava non era proprio un posto per bene, l’aveva capito. Perché crescendo lì, le ragazze diventavano più stronze, più facili, oche e non si facevano più incantare dai ragazzi per bene. Non se ne interessavano nemmeno.

Esclusi gli amici ed i “ragazzi per bene” che loro volevano cambiare.

E lui era sempre stato il secondo caso d’interessamento.

Non ricordava quante ne avesse portate a letto, in terza media. Si sforzava di piacere a quella di turno, di fare ciò che più le aggradava, dal portarle i libri, alle porcherie più impensabili.

Il suo ultimo amore platonico fu in seconda media, con una certa Naminè, amica di Kairi, a sua volta ragazza di Sora. Era stata la storia più lunga che avesse mai avuto. Circa un’anno scolastico intero. Poi, arrivate le vacanze estive, aveva conosciuto nuove ragazze e se ne era invaghito; solo dopo, consapevole del tradimento appena arrecato alla fidanzata, le aveva telefonato in preda alla disperazione confessandole il proprio torto.

Non sapeva cosa fosse successo poi, ma da allora Kairi non lo aveva guardato più in faccia.

Improvvisamente, come una mano tesa nel baratro in cui stava cadendo, conobbe Axel il primo giorno alle superiori all’entrata di scuola.

Anzi no, non lo conobbe, fu semplicemente salvato da lui.

Era uno dei soliti atti di bullismo riservati ai cosiddetti “primini”…

Stava entrando da solo –da quando aveva spezzato il cuore a Naminè aveva dovuto cambiare giro di amici (che però avevano tutti deciso di andare all’alberghiero, mentre lui  aveva preferito uno scientifico)- e un gruppo di ragazzi lo aveva fermato per prendergli cellulare e soldi. Insomma, le classiche cose che però si trasformano in faccende serie davanti ad un gruppo di armadi ingrugniti al posto di un gruppo di ragazzini alluppati.

All’improvviso una fiamma rossa, angelo divino sceso dal cielo, o diavolo infernale salito sulla terra (non sapeva proprio saputo come definirlo), aveva rotto il muro formato dai gorilla e, nel modo più idilliaco possibile, li aveva minacciati di dar loro fuoco mostrando con un sorriso furbo un accendino dai particolari disegni.

Forse fu grazie alla sua fama di piromane, che Roxas avrebbe scoperto più tardi, o forse fu grazie alla divisa nera che portava, simbolo di una certa organizzazione all’interno della scuola, di cui anch’essa Roxas avrebbe scoperto l’esistenza in seguito, ma dove prima c’erano le scimmie umane ora c’era il vuoto e davanti a lui il ragazzo-fiamma che mostrava dei denti bianchissimi, coi canini leggermente appuntiti, le labbra sottili distese in un sorriso sornione.

Ricordava ancora il loro primo dialogo, avvenuto subito dopo la sua “aggressione”.

Il rosso gli si era avvicinato, con una finta aria disinteressata e gli aveva chiesto come stava.

In tutta risposta, lui aveva raccolto quella poca dignità che gli rimaneva e, raddrizzando la schiena aveva risposto con un “Bene” secco e deciso, anche se aveva rivolto la faccia verso un punto impreciso alla sua sinistra, che vanificava il tutto.

La colpa era tutta del ragazzo-fiamma. Visto da vicino, la sua bellezza era quasi eterea, con gli occhi verdi leggermente allungati e tatuate sotto gli occhi due lacrime al contrario che risaltavano sulla pelle chiara.

A quella sua affermazione, che aveva messo in disaccordo corpo e mente, l’altro aveva aggrottato la fronte, resa ampia dai capelli tirati all’indietro e sparati proprio come gli aculei di un porcospino.

“Ne sei sicuro? Mica sarai arrabbiato con me?” il rosso aveva sostituito la sua espressione sicura con quella incerta e innocente di un bambino, cosa che gli ricordò molto Sora, che sicuramente si stava godendo coi suoi amici il primo giorno al liceo. E la cosa non gli fece piacere.

“N-no, ma figurati, anzi, te ne sono proprio grato! Cosa posso fare per… per renderti il favore?” chiese, cercando di mantenere l’espressione che ogni comune mortale avrebbe avuto al suo posto e cercando di non mostrarsi nervoso.

“Uh?” il rosso pareva sorpreso “Beh… non c’è che dire, certo che sei strano, tu. Mi chiedi cosa io possa volere in cambio? Vediamo un po’…” assunse un’espressione pensierosa “Ma certo! Piccolo, se vuoi davvero rendermi il favore, dovrai darmi un bacio.” 

U-un bacio? Il biondo non solo non sapeva capacitarsi della richiesta -mica era gay, lui- , ma rimase alquanto sorpreso quando si accorse che la cosa non gli dispiaceva.

“Cos…? Io non sono omosessuale!” esclamò con disappunto e disgusto finti che parevano molto veritieri. Lui? Baciare il ragazzo-fiamma? Impossibile. Era come cercare di chiudere il Sole in un pugno.

“Beh, neanch’io! O almeno per metà.” La Fiamma sembrava delusa dalla sua reazione disgustata.

“Non sono neanche bisex, se è per questo.” Commentò Roxas seccato. “E poi mica bacio gli sconosciuti!”

Ma sapeva che quella frase non doveva dirla. Il ragazzo-fiamma allungò la mano e strinse quella del biondo presentandosi come “Axel Uley” e costringendo per forza di cose l’altro a presentarsi.

Dopodichè fece forza sul braccio e l’attrasse a sé, arrivando fino a quasi baciarlo.

Quasi. Perché Roxas impuntò le gambe appena un attimo prima che le loro labbra si unissero.

“Ti ho detto che non bacio gli sconosciuti.” Gli sibilò a fior di labbra. E, detto questo, si liberò dalla sua presa ed entrò a scuola, con lo zaino che gli ciondolava scialbamente da una spalla, mentre un altro ragazzo dai capelli nocciola chiamava a sé Axel, che, piagnucolando come un bambino, lo raggiunse.

Roxas era di sicuro solo di una cosa: quell’anno avrebbe fatto meglio a trovarsi una ragazza il prima possibile.

[Non dormo più mi mangi tu

mi bacia lei, ma tu non puoi

perché non so chi sei, perche non so chi sei.]

Entrò in classe e occupò da subito un banco in terza fila accanto alla finestra, in modo da poter guardare fuori. Non si degnò neanche di guardare chi fossero i suoi compagni. In fondo, erano dati inutili da sapere.

I suoi pensieri in quel momento erano tutti concentrati su una persona.

Quella persona.

Axel Uley.

La sua pelle così chiara, i suoi occhi così accesi di vita, la sua voce calda e rassicurante, che ti avvolgeva come una sciarpa d’inverno. Il calore che dava era lo stesso, se non di più.

No… non poteva essersi innamorato! Non un’altra volta e non di un ragazzo, per di più!

Si strofinò le mani sudate sui pantaloni, cercando di asciugarsele e scoprendole piuttosto appiccicose.

Non si rese conto che qualche metro più in là c’era già un gruppo di ragazze che parlavano di lui.

[Cinquemila mini mani di ragazze mai uguali

tentazione che corre più forte di me (corre più forte di me).

Cinquemila mini mani come fossero tamburi

vibrazione che sulla pelle già c'è (che sulla pelle già c'è), sulla pelle di te.]

Sicuramente, se ci sono giorni scolastici migliori di altri, questi sono il primo, la gita scolastica e l’ultimo. Nel corretto ordine: il più leggero e facile da sopportare, quello più rilassante e quello più divertente.

A questa lista di certezze, Roxas stava seriamente riconsiderando la posizione del primo.

Non aveva mai avuto un attimo di respiro né a ricreazione, dove non solo le ragazze gli si erano appiccicate addosso come ventose, ma Axel era venuto anche a salutare i primini della sezione sfruttando il fatto che sua sorella fosse lì. In un primo momento aveva pensato che fosse una bugia, ma quando lo vide passargli davanti e proseguire verso un angolo dell’aula fuori dalla sua visuale dovette ricredersi; né all’uscita, dove il gruppo di ragazze che lo aveva circondato la mattina a ricreazione lo seguì ridacchiando e cercando di conquistarsi la sua attenzione.

Lo seguirono sull’autobus e perfino sul tram che lo avrebbe portato a casa sua, soffocandolo di domande frivole e chiacchiere inutili. Un tempo avrebbe intrattenuto con loro una piacevole chiacchierata, ma in quel momento la cosa lo irritava molto.

[Scappo su e giù dal tram al bus

sono un peluche per tutte voi

che non mollate mai.]

Iniziò a non poterne più sei fermate prima della sua e cominciò a rispondere sempre meno, e ad osservare la gente in piedi sul tram. C’era un giovane uomo che indossava un completo:  “Probabilmente di Armani” osservò mentalmente e ringraziò la sua defunta zia Marilyn che da piccolo lo portava con sé nei negozi di alta moda, insegnandogli a riconoscere gli stili diversi e -ovviamente- la cosa si stava rivelando utile.

Tinn, fermata numero 3.

 

Tornando all'uomo, che adesso osservava nervosamente l’orologio da polso (un Panerai vecchio stile, il cui valore superava sicuramente il milione) e stringeva applicando una forza quasi esagerata sulla presa del manico della valigetta ventiquattrore (“Tinn” fermata numero 4), Roxas capì dal suo eccessivo nervosismo che la fermata dell’uomo era vicina e che era in ritardo (perché non prendere un taxi allora?), mentre quella a cui il biondo doveva scendere era più avanti.

 

Tinn, fermata numero 5.

 

Spostò lo sguardo su una vecchia anziana che osservava serena gli edifici che le scorrevano accanto. No, troppo rilassata per essere la prossima a dover scendere, senza contare che distava molto dall’uscita.

Ma allora chi?

Il sesto “Tinn”  dell’uscita prenotata lo riscosse dai suoi pensieri, assicurandogli la salvezza verso casa.

Si voltò lentamente e vide che a salvarlo dal branco di sfitinzie era stata una ragazza bella, slanciata, per niente formosa dai capelli corvini. Era ancora lì, voltata rispetto a lui e con una mano sul pulsante di chiamata. Le sue mani curate erano graziose e lo smalto color melanzana risaltava sulla pelle diafana. Chiara più di quella di Axel.

Avrebbe voluto raggiungerla per ringraziarla, ma era bloccato.

Mancavano pochi metri e l’autobus stava già rallentando, quando un attimo prima che le porte si aprissero, Roxas fece finta di cadere e, sfruttando un piccolo varco che si era creato tra due ragazze , schizzò fuori dall’autobus un attimo prima che le porte si richiudessero e continuò a correre anche dopo essersi messo in salvo.

Ad un tratto al rumore dei suoi passi se ne aggiunse un altro, più veloce che si avvicinava.

Poi si sentì afferrare per una spalla e, dove un attimo prima c’era il vuoto, ora c’era la ragazza del tram che lo fissava con le sopracciglia aggrottate.

Era molto bella, con gli occhi verdi che risaltavano sulla pelle semi-trasparente e il viso incoriciato dai capelli corvini e lisci.

Per un attimo temette le sue intenzioni, ma poi, quasi a previsione dei suoi pensieri, la ragazza gli disse -con la sua voce fredda e distaccata- che poteva star tranquillo perché lei non aveva certo intenzione di fargli del male.

Non che ne fosse capace, eh. Quella ragazza era riuscita a superarlo nella corsa, cosa che non era mai successa in vita sua. Sicuramente quel corpicino gracile gracile non nascondeva un potenziale nascosto.

Quella ragazza non era pericolosa, o almeno, non avvertiva nessun pericolo immediato provenire da lei. Quantomeno aveva intenzioni pacifiche.

Provò a chiederle perché quella l’avesse inseguito e lei rispose, con un alzata di spalle, che almeno lui, Roxas, avrebbe potuto ringraziare.

“Come?”

“Mi hai sentita. Non mi piace ripetermi.” Fredda, glaciale. Gli voltò la schiena e cominciò ad andarsene.

“Aspetta come hai fatto? Chi sei?” Provò a chiedere il biondo.

La sua voce giungeva lontana, un sussurro del vento. “Sono una veggente.” E dopo questo scomparve.

No. Stava bluffando.

Non esistevano, le veggenti! E men che meno i ragazzi-fiamma. Sì. Anche Axel doveva essere un’illusione.

Una persona non può essere così bella.

[Corro ma tu corri di più

mi prenderai, mi spoglierai;

l'inizio dei miei guai, l'inizio dei miei guai... ]

 

 

[Cinquemila mini mani di ragazze mai uguali

tentazione che corre più forte di me(corre più forte di me).

Cinquemila mini mani come fossero tamburi

vibrazione che sulla pelle già c'è(che sulla pelle già c'è), sulla pelle di te. ]

Roxas rientrò a casa e non si stupì di trovare il proprio gemello, Sora, davanti alla Playstation a sfidare il suo migliore amico Riku in un duello all’ultimo sangue, mentre Kairi e Naminè li guardavano.

Il biondo attraversò il salotto cercando di apparire invisibile e -soprattutto- cercando di non guardare Naminè. Era una ferita ancora aperta ed era meglio evitare di deprimersi. Era quasi sulla porta della stanza, quando un urlo disperato raggiunse le sue orecchie.

Sora aveva perso.

Ridendo sotto i baffi, attraversò il pianerottolo delle scale che conducevano alla zona notte e salì le scale di corsa, per andare a buttarsi sul letto a pancia in giù, con lo zaino ancora in spalla.

Con uno strattone si liberò anche di quello e agguantò a tentoni l’iPod situato sul comodino. Infilò le cuffie e scoprì con suo dispiacere che era rimasto acceso per tutta la giornata, cosicché adesso, sebbene la batteria fossero dimezzate, stava andando una canzone nuova, che doveva avergli messo suo fratello, visto che l’ultima volta gli aveva detto che aggiungeva al suo iPod delle canzoni “Davvero carine!”.

Chiuse gli occhi e si concentrò sulla musica, sul ritmo e alla fine sulle parole.

Cinquemila mini mani, occhi scuri occhi chiari

le ragazze che porterò via con me (porterò via con me)...

Cinquemila mini mani, cinquemila cuori soli

urlano più forte, più forte di me, più forte di te,

più forte di me...

Continua…

 

 

Spazio dell’autrice

 

Ed eccomi con la prima fanfiction in cui le frasi hanno un senso compiuto XD

Beh, devo ringraziare la mia super beta Caith_Rikku! >-<9

Inutile dire che Roxas sfiora i livelli emo di Zexion in questa fic… O.o’ xD

Comunque ci tengo a specificare che la canzone (Cinquemila mini mani, da cui è preso il titolo, canzone edita dei Sonohra) da me ritenuta una delle poche canzoni veramente cool dei pischellini (vorrebbero essere bravi come i Sonata Artica, in linea melodica, eh! XD [il genere è del tutto diverso… NdTutti] vabbè xD *sempliciotta*) non fa di me una loro fan sfegatata… (manco so come si chiamano i figlioli… ò.ò)

Ma non divaghiamo… Avevo promesso di mia iniziativa di far pubblicità a Caith e la farò. è__é

È grazie a lei che Roxas dice una frase senza negarla immediatamente dopo (che casini ci ho fatto con ‘sta fic… la grammatica non è il mio forte… ò.ò specialmente d’estate XD)

 

Comunque il raiting è temporaneo… mica lo so che cosa succedrà… Vi assicuro che nelle mie mani le storie prendono sempre strade buie che si perdono nel nulla… quindi cercherò di essere coerente… *sisi*

 

 

Lovvosi Baci Da Parochan, Figlia Di MArluxia&Demyx (nn m interesso di marudemyx però…), Della Decima Dinastia Dei Cretini Indecisi… <3

  
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