CINQUEMILA MINI MANI
By Parochan
Roxas era sempre stato "bello" per definizione.
Prima bel neonato, che faceva coppia col gemellino Sora, poi bel bambino e
infine, bel ragazzo.
E, per quanto ne sapesse, aveva avuto successo con le ragazze fin dai tempi
della materna.
Quando diceva di essersi innamorato -quando convinceva se stesso, di
essersi innamorato- si dedicava, anima e corpo,
all'oggetto delle sue attenzioni, dei suoi sentimenti.
Ma, man mano che cresceva, le ragazze di cui puntualmente s'innamorava
tendevano a sfruttarlo. E lui si vendeva completamente, a coloro che lo
avrebbero fatto soffrire senza alcun guadagno né divertimento.
[Pezzi
di me venduti a lei
io
non vorrei ma va così
c'è
troppa gente qui.]
Resosi conto di questa sua generosità
di sentimenti -se così si poteva chiamare-, alla soglia del suo primo anno
delle superiori aveva deciso di emulare la forte personalità del fratello
gemello, ma quest’ultimo si era iscritto in una sezione diversa dalla sua, che
sapeva essere dall’altra parte della scuola rispetto a lui, insieme a Kairi e
Riku.
Oro e cioccolato. Erano totalmente
diversi, lui e Sora.
Sora… già, Sora. Quello che gli diceva
sempre di lasciar perdere le ragazze e andare a divertirsi con lui al Luna
Park.
Sora, cielo. Sì, mai nome fu più
azzeccato. La sua stessa anima, così pura, era riflessa in quel cielo turchino
che erano i suoi occhi. Roxas aveva gli stessi occhi ma non contrastavano con i
capelli come nel gemello, ne assecondavano invece il colore, seguendo la
sfumatura tipica del Principe Azzurro .
Ancora con questo azzurro… Roxas lo
odiava. Era l’unica cosa che lo accomunava al fratello, togliendogli la sua
unicità di individuo. Ma, da che mondo e mondo, la persona che il biondino
amasse di più era Sora. Fin da quando era piccolo, il suo ruolo era sempre
stato il Romeo Shakespeariano e Sora lo aiutava sempre nelle sue imprese
amorose come Sancho Panza con Don Chishotte.
Crescendo lo aveva capito. I suoi non
erano altro che amori platonici, la ricerca di un ideale di amore tratto dai
libri e dai film che vedeva. Mai una volta aveva badato all’aspetto della
ragazza. Era solo un caso, se si metteva sempre con le più carine. Bionde,
more, rosse, tinte di viola… non importava, non a lui.
Fu alle medie, che iniziò a soffrire
veramente per amore. La scuola che frequentava non era proprio un posto per
bene, l’aveva capito. Perché crescendo lì, le ragazze diventavano più stronze,
più facili, oche e non si facevano più incantare dai ragazzi per bene. Non se
ne interessavano nemmeno.
Esclusi gli amici ed i “ragazzi per
bene” che loro volevano cambiare.
E lui era sempre stato il secondo caso
d’interessamento.
Non ricordava quante ne avesse portate
a letto, in terza media. Si sforzava di piacere a quella di turno, di fare ciò
che più le aggradava, dal portarle i libri, alle porcherie più impensabili.
Il suo ultimo amore platonico fu in
seconda media, con una certa Naminè, amica di Kairi, a sua volta ragazza di
Sora. Era stata la storia più lunga che avesse mai avuto. Circa un’anno
scolastico intero. Poi, arrivate le vacanze estive, aveva conosciuto nuove
ragazze e se ne era invaghito; solo dopo, consapevole del tradimento appena
arrecato alla fidanzata, le aveva telefonato in preda alla disperazione
confessandole il proprio torto.
Non sapeva cosa fosse successo poi, ma
da allora Kairi non lo aveva guardato più in faccia.
Improvvisamente, come una mano tesa nel
baratro in cui stava cadendo, conobbe Axel il primo giorno alle superiori
all’entrata di scuola.
Anzi no, non lo conobbe, fu semplicemente
salvato da lui.
Era uno dei soliti atti di bullismo
riservati ai cosiddetti “primini”…
Stava entrando da solo –da quando aveva
spezzato il cuore a Naminè aveva dovuto cambiare giro di amici (che però
avevano tutti deciso di andare all’alberghiero, mentre lui aveva preferito uno scientifico)- e un gruppo
di ragazzi lo aveva fermato per prendergli cellulare e soldi. Insomma, le
classiche cose che però si trasformano in faccende serie davanti ad un gruppo
di armadi ingrugniti al posto di un gruppo di ragazzini alluppati.
All’improvviso una fiamma rossa, angelo
divino sceso dal cielo, o diavolo infernale salito sulla terra (non sapeva
proprio saputo come definirlo), aveva rotto il muro formato dai gorilla e, nel
modo più idilliaco possibile, li aveva minacciati di dar loro fuoco mostrando
con un sorriso furbo un accendino dai particolari disegni.
Forse fu grazie alla sua fama di
piromane, che Roxas avrebbe scoperto più tardi, o forse fu grazie alla divisa
nera che portava, simbolo di una certa organizzazione all’interno della scuola,
di cui anch’essa Roxas avrebbe scoperto l’esistenza in seguito, ma dove prima
c’erano le scimmie umane ora c’era il vuoto e davanti a lui il ragazzo-fiamma
che mostrava dei denti bianchissimi, coi canini leggermente appuntiti, le
labbra sottili distese in un sorriso sornione.
Ricordava ancora il loro primo dialogo,
avvenuto subito dopo la sua “aggressione”.
Il rosso gli si era avvicinato, con una
finta aria disinteressata e gli aveva chiesto come stava.
In tutta risposta, lui aveva raccolto
quella poca dignità che gli rimaneva e, raddrizzando la schiena aveva risposto
con un “Bene” secco e deciso, anche se aveva rivolto la faccia verso un punto
impreciso alla sua sinistra, che vanificava il tutto.
La colpa era tutta del ragazzo-fiamma.
Visto da vicino, la sua bellezza era quasi eterea, con gli occhi verdi
leggermente allungati e tatuate sotto gli occhi due lacrime al contrario che
risaltavano sulla pelle chiara.
A quella sua affermazione, che aveva
messo in disaccordo corpo e mente, l’altro aveva aggrottato la fronte, resa
ampia dai capelli tirati all’indietro e sparati proprio come gli aculei di un
porcospino.
“Ne sei sicuro? Mica sarai arrabbiato
con me?” il rosso aveva sostituito la sua espressione sicura con quella incerta
e innocente di un bambino, cosa che gli ricordò molto Sora, che sicuramente si
stava godendo coi suoi amici il primo giorno al liceo. E la cosa non gli fece piacere.
“N-no, ma figurati, anzi, te ne sono
proprio grato! Cosa posso fare per… per renderti il favore?” chiese, cercando
di mantenere l’espressione che ogni comune mortale avrebbe avuto al suo posto e
cercando di non mostrarsi nervoso.
“Uh?” il rosso pareva sorpreso “Beh…
non c’è che dire, certo che sei strano, tu. Mi chiedi cosa io possa volere in cambio?
Vediamo un po’…” assunse un’espressione pensierosa “Ma certo! Piccolo, se vuoi
davvero rendermi il favore, dovrai darmi un bacio.”
U-un
bacio? Il biondo non solo non sapeva capacitarsi della richiesta -mica era gay,
lui- , ma rimase alquanto sorpreso quando si accorse che la cosa non gli
dispiaceva.
“Cos…? Io non sono omosessuale!”
esclamò con disappunto e disgusto finti che parevano molto veritieri. Lui?
Baciare il ragazzo-fiamma? Impossibile. Era come cercare di chiudere il Sole in
un pugno.
“Beh, neanch’io! O almeno per metà.”
“Non sono neanche bisex, se è per
questo.” Commentò Roxas seccato. “E poi mica bacio gli sconosciuti!”
Ma sapeva che quella frase non doveva
dirla. Il ragazzo-fiamma allungò la mano e strinse quella del biondo
presentandosi come “Axel Uley” e costringendo per forza di cose l’altro a
presentarsi.
Dopodichè fece forza sul braccio e
l’attrasse a sé, arrivando fino a quasi baciarlo.
Quasi. Perché Roxas impuntò le gambe appena
un attimo prima che le loro labbra si unissero.
“Ti ho detto che non bacio gli
sconosciuti.” Gli sibilò a fior di labbra. E, detto questo, si liberò dalla sua
presa ed entrò a scuola, con lo zaino che gli ciondolava scialbamente da una
spalla, mentre un altro ragazzo dai capelli nocciola chiamava a sé Axel, che,
piagnucolando come un bambino, lo raggiunse.
Roxas era di sicuro solo di una cosa:
quell’anno avrebbe fatto meglio a trovarsi una ragazza il prima possibile.
[Non
dormo più mi mangi tu
mi
bacia lei, ma tu non puoi
perché
non so chi sei, perche non so chi sei.]
Entrò in classe e occupò da subito un banco in terza fila accanto alla
finestra, in modo da poter guardare fuori. Non si degnò neanche di guardare chi
fossero i suoi compagni. In fondo, erano dati inutili da sapere.
I suoi pensieri in quel momento erano tutti concentrati su una persona.
Quella persona.
Axel Uley.
La sua pelle così chiara, i suoi occhi così accesi di vita, la sua voce
calda e rassicurante, che ti avvolgeva come una sciarpa d’inverno. Il calore
che dava era lo stesso, se non di più.
No… non poteva essersi
innamorato! Non un’altra volta e non di un ragazzo,
per di più!
Si strofinò le mani sudate sui pantaloni, cercando di asciugarsele e
scoprendole piuttosto appiccicose.
Non si rese conto che qualche metro più in là c’era già un gruppo di
ragazze che parlavano di lui.
[Cinquemila
mini mani di ragazze mai uguali
tentazione
che corre più forte di me (corre più forte di me).
Cinquemila
mini mani come fossero tamburi
vibrazione
che sulla pelle già c'è (che sulla pelle già c'è), sulla pelle di te.]
Sicuramente, se ci sono giorni scolastici migliori di altri, questi sono il
primo, la gita scolastica e l’ultimo. Nel corretto ordine: il più leggero e
facile da sopportare, quello più rilassante e quello più divertente.
A questa lista di certezze, Roxas stava seriamente riconsiderando la
posizione del primo.
Non aveva mai avuto un attimo di respiro né a ricreazione, dove non solo le ragazze gli si erano
appiccicate addosso come ventose, ma Axel era venuto anche a salutare i primini
della sezione sfruttando il fatto che sua sorella fosse lì. In un primo momento
aveva pensato che fosse una bugia, ma quando lo vide passargli davanti e
proseguire verso un angolo dell’aula fuori dalla sua visuale dovette
ricredersi; né all’uscita, dove il gruppo di ragazze che lo aveva circondato la
mattina a ricreazione lo seguì ridacchiando e cercando di conquistarsi la sua
attenzione.
Lo seguirono sull’autobus e perfino sul tram che lo avrebbe portato a casa
sua, soffocandolo di domande frivole e chiacchiere inutili. Un tempo avrebbe
intrattenuto con loro una piacevole chiacchierata, ma in quel momento la cosa
lo irritava molto.
[Scappo
su e giù dal tram al bus
sono
un peluche per tutte voi
che
non mollate mai.]
Iniziò a non poterne più sei fermate prima della sua e cominciò a
rispondere sempre meno, e ad osservare la gente in piedi sul tram. C’era un
giovane uomo che indossava un completo: “Probabilmente di Armani” osservò mentalmente
e ringraziò la sua defunta zia Marilyn che da piccolo lo portava con sé nei
negozi di alta moda, insegnandogli a riconoscere gli stili diversi e
-ovviamente- la cosa si stava rivelando utile.
Tinn, fermata
numero 3.
Tornando all'uomo, che adesso osservava nervosamente l’orologio da polso
(un Panerai vecchio stile, il cui valore superava sicuramente il milione) e
stringeva applicando una forza quasi esagerata sulla presa del manico della
valigetta ventiquattrore (“Tinn”
fermata numero 4), Roxas capì dal suo eccessivo nervosismo che la fermata
dell’uomo era vicina e che era in ritardo (perché non prendere un taxi
allora?), mentre quella a cui il biondo doveva scendere era più avanti.
Tinn, fermata
numero 5.
Spostò lo sguardo su una vecchia anziana che osservava serena gli edifici
che le scorrevano accanto. No, troppo rilassata per essere la prossima a dover
scendere, senza contare che distava molto dall’uscita.
Ma allora chi?
Il sesto “Tinn” dell’uscita prenotata lo riscosse dai suoi
pensieri, assicurandogli la salvezza verso casa.
Si voltò lentamente e vide che a salvarlo dal branco di sfitinzie era stata
una ragazza bella, slanciata, per niente formosa dai capelli corvini. Era
ancora lì, voltata rispetto a lui e con una mano sul pulsante di chiamata. Le
sue mani curate erano graziose e lo smalto color melanzana risaltava sulla
pelle diafana. Chiara più di quella di Axel.
Avrebbe voluto raggiungerla per ringraziarla, ma era bloccato.
Mancavano pochi metri e l’autobus stava già rallentando, quando un attimo
prima che le porte si aprissero, Roxas fece finta di cadere e, sfruttando un
piccolo varco che si era creato tra due ragazze , schizzò fuori dall’autobus un
attimo prima che le porte si richiudessero e continuò a correre anche dopo
essersi messo in salvo.
Ad un tratto al rumore dei suoi passi se ne aggiunse un altro, più veloce
che si avvicinava.
Poi si sentì afferrare per una spalla e, dove un attimo prima c’era il
vuoto, ora c’era la ragazza del tram che lo fissava con le sopracciglia
aggrottate.
Era molto bella, con gli occhi verdi che risaltavano sulla pelle
semi-trasparente e il viso incoriciato dai capelli corvini e lisci.
Per un attimo temette le sue intenzioni, ma poi, quasi a previsione dei
suoi pensieri, la ragazza gli disse -con la sua voce fredda e distaccata- che
poteva star tranquillo perché lei non aveva certo intenzione di fargli del
male.
Non che ne fosse capace, eh. Quella ragazza era riuscita a superarlo nella
corsa, cosa che non era mai successa in vita sua. Sicuramente quel corpicino
gracile gracile non nascondeva un potenziale nascosto.
Quella ragazza non era pericolosa, o almeno, non avvertiva nessun pericolo
immediato provenire da lei. Quantomeno aveva intenzioni pacifiche.
Provò a chiederle perché quella l’avesse inseguito e lei rispose, con un
alzata di spalle, che almeno lui, Roxas, avrebbe potuto ringraziare.
“Come?”
“Mi hai sentita. Non mi piace ripetermi.” Fredda, glaciale. Gli voltò la
schiena e cominciò ad andarsene.
“Aspetta come hai fatto? Chi sei?” Provò a chiedere il biondo.
La sua voce giungeva lontana, un sussurro del vento. “Sono una veggente.” E
dopo questo scomparve.
No. Stava bluffando.
Non esistevano, le veggenti! E men che meno i ragazzi-fiamma. Sì. Anche
Axel doveva essere un’illusione.
Una persona non può essere così bella.
[Corro
ma tu corri di più
mi
prenderai, mi spoglierai;
l'inizio
dei miei guai, l'inizio dei miei guai... ]
[Cinquemila
mini mani di ragazze mai uguali
tentazione
che corre più forte di me(corre più forte di me).
Cinquemila
mini mani come fossero tamburi
vibrazione
che sulla pelle già c'è(che sulla pelle già c'è), sulla pelle di te. ]
Roxas rientrò a casa e non si stupì di trovare il proprio gemello, Sora,
davanti alla Playstation a sfidare il suo migliore amico Riku in un duello
all’ultimo sangue, mentre Kairi e Naminè li guardavano.
Il biondo attraversò il salotto cercando di apparire invisibile e
-soprattutto- cercando di non guardare Naminè. Era una ferita ancora aperta ed
era meglio evitare di deprimersi. Era quasi sulla porta della stanza, quando un
urlo disperato raggiunse le sue orecchie.
Sora aveva perso.
Ridendo sotto i baffi, attraversò il pianerottolo delle scale che
conducevano alla zona notte e salì le scale di corsa, per andare a buttarsi sul
letto a pancia in giù, con lo zaino ancora in spalla.
Con uno strattone si liberò anche di quello e agguantò a tentoni l’iPod
situato sul comodino. Infilò le cuffie e scoprì con suo dispiacere che era
rimasto acceso per tutta la giornata, cosicché adesso, sebbene la batteria
fossero dimezzate, stava andando una canzone nuova, che doveva avergli messo
suo fratello, visto che l’ultima volta gli aveva detto che aggiungeva al suo
iPod delle canzoni “Davvero carine!”.
Chiuse gli occhi e si concentrò sulla musica, sul ritmo e alla fine sulle
parole.
Cinquemila
mini mani, occhi scuri occhi chiari
le
ragazze che porterò via con me (porterò via con me)...
Cinquemila
mini mani, cinquemila cuori soli
urlano
più forte, più forte di me, più forte di te,
più
forte di me...
Continua…
Spazio dell’autrice
Ed eccomi con la prima fanfiction in cui le frasi hanno un senso compiuto
XD
Beh, devo ringraziare la mia super beta Caith_Rikku! >-<9
Inutile dire che Roxas sfiora i livelli emo di Zexion in questa fic… O.o’
xD
Comunque ci tengo a specificare che la canzone (Cinquemila mini mani, da
cui è preso il titolo, canzone edita dei Sonohra) da me ritenuta una delle
poche canzoni veramente cool dei pischellini (vorrebbero essere bravi come i Sonata Artica, in linea melodica,
eh! XD [il genere è del tutto diverso… NdTutti] vabbè xD *sempliciotta*) non fa
di me una loro fan sfegatata… (manco so come si chiamano i figlioli… ò.ò)
Ma non divaghiamo… Avevo promesso di mia iniziativa di far pubblicità a
Caith e la farò. è__é
È grazie a lei che Roxas dice una frase senza negarla immediatamente dopo
(che casini ci ho fatto con ‘sta fic… la grammatica non è il mio forte… ò.ò
specialmente d’estate XD)
Comunque il raiting è temporaneo… mica lo so che cosa succedrà… Vi assicuro
che nelle mie mani le storie prendono sempre strade buie che si perdono nel
nulla… quindi cercherò di essere coerente… *sisi*
Lovvosi Baci Da Parochan, Figlia Di MArluxia&Demyx (nn m interesso di
marudemyx però…), Della Decima Dinastia Dei Cretini Indecisi… <3