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Autore: lala_g    04/09/2008    2 recensioni
“Sei tu, il crisantemo più bello del campo, e io sono l’erbaccia che è andata ad intaccare il tuo animo immacolato, le lacrime che versi, non sono altro che stille di rugiada che, inesorabilmente, succhio dal tuo stelo per nutrirmi…perdonami, se puoi” Per quanto differenti potessero essere, non sarebbero valsi nulla, l’uno senza l’altro.
[ZabusaxHaku]
N.B. IX classificata al contest a tema floreale indetto da Sweet Audy
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haku, Zabuza Momochi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crisantemo: Il crisantemo fiorisce ad Ottobre e simboleggia, nel mondo occidentale, la morte. Nel mondo Orientale, invece, è simbolo di vita e purezza. Inizialmente è Zabusa ad essere paragonato al crisantemo, per la sua bellezza agli occhi di Haku, mentre quest’ultimo è paragonato a dell’erbaccia, a causa del suo stato nel momento in cui Zabusa lo trova, prendendolo con se. Alla fine però i fiori sono invertiti. Haku è portatore di morte, essendo un assassino, ma mantiene la sua candida purezza anche nella morte. Come il crisantemo. Zabusa, invece, è della semplice erbaccia, senza la quale, tuttavia, Haku non potrebbe esistere e spiccare per la sua bellezza.

Flowers

Un bambino che, nel freddo di un paesino innevato, si attacca al vetro di un negozio di dolci, sognando di poterne comprare uno, è un’immagine comune, che più volte abbiamo visto o immaginato.
Io non differivo molto da quei bambini: abitavo in un paesino in cui la neve cadeva ogni giorno ricoprendo le strade, i tetti delle case, gli alberi e tutto ciò che incontrava durante la sua lenta ed estenuante caduta. Tuttavia mi piaceva camminare nella neve, affondare gli scarponi nel suo soffice manto tanto da farmi sembrare capace di volare fino alle nuvole e camminare su di esse; adoravo i vestiti caldi che, nel gelo di quei giorni, mi scaldavano e mi avvolgevano con la loro morbidezza.
Mi piaceva camminare per il paesino fino a quando non arrivavo di fronte a quel negozio; lo splendido ed unico negozio di fiori presente nel nostro paese.
Essendo la nostra terra soggetta al gelo, non possedeva alcun tipo di vegetazione all’infuori di quegli arbusti resistenti, capaci di sopravvivere unicamente alle temperature più fredde e rigide. Questo, però, comportava anche la mancanza di colore, il nostro paesaggio era difatti caratterizzato da un alternarsi di macchie nere e bianche, a volte intervallate da chiazze rosse, simbolo della fioca luce provocata dalle lampade ad olio poste a volte sulle porte delle abitazioni, o dai camini che, nel grigiore del paesaggio, riuscivano ad illuminare le strade anche dall’interno delle case, se posti nei pressi delle piccole finestre.
Quando arrivavo dinanzi a quel negozio, nel quale i fiori venivano attentamente curati, importati probabilmente dalle terre lontane, più calde ed assolate, i miei occhi prendevano a brillare, e potevo vederli riflessi nella vetrina del negozio, lucidi dal contrasto tra il caldo dei vestiti e il freddo dell’atmosfera, prima che, la condensa del mio alito l’appannasse quel tanto che bastava ad oscurarmi la vista di quei colori. Quelle piante, quei petali che sembravano danzare all’interno del negozio rappresentavano per me la mia unica passione, capaci di farmi sorridere, permettevano alla mia fantasia di viaggiare, di creare mondi immaginari, caldi, colorati, ricchi di quelle composizioni floreali che tanto mi affascinavano.
E restavo lì, fino a che il padrone del negozio non notava la mia presenza e, per un motivo o per un altro, irato, usciva, avvolto nel suo pesante cappotto scuro, per dirmi di andare via a meno che non volessi comprare qualcosa. Tuttavia, per quanto fossi sempre stato scacciato, tornavo, giorno dopo giorno, davanti a quella vetrina, sognando ogni volta un nuovo mondo e dei nuovi fiori. Tornai fino a quando non potei più, fino a quando non accade ciò che mi cambiò la vita, fino a quando fui ridotto a dover stare per la strada cercando di sopravvivere con quel poco calore che il mio corpo offriva e nutrendomi di ciò che trovavo.
E allora anche io, come tutti i bambini della mia tenera età, cominciai a bramare quei dolci tanto appetitosi o un semplice tozzo di pane e, per quanto a volte la mia mente tornasse a mostrarmi quei colori tanto vivaci che potevano un tempo farmi sorridere, il brontolio del mio stomaco spezzava inesorabilmente l’incanto, riportandomi alla cruda realtà della fame e del freddo. E inevitabilmente i fiori e l’allegria scomparivano, facendomi sentire, ancora, inadeguato – come un erbaccia inestirpabile in un campo di crisantemi -

Fu così che tu mi trovasti. Mi prendesti con te, senza chiedere, senza pretendere nulla da me se non la fedeltà alla tua persona, cosa che non ti negai, ma che ti donai con tutto me stesso, senza esitare, senza pensare. Vissi con te, divenendo un’arma, un portatore di morte e tristezza, uno spietato assassino il cui unico compito era quello di servirti e proteggerti.
Ero diverso. Lo ero da sempre.
Eppure tu mi avevi accettato, mi avevi accolto con te senza badare a ciò che spingeva gli altri ad allontanarmi da loro.
E di nuovo non potevo che sentirmi inadeguato per la tua grandezza, -crescendo così nel mio essere erbaccia, rafforzando la mia essenza con spine taglienti, letali, che distruggevano tutto ciò che incontravano sul loro cammino, andando a rubare l’acqua e la linfa dei crisantemi, facendoli così appassire, l’uno dopo l’altro – Cominciai ad avere paura, paura di me stesso, timoroso di poter in qualche modo intaccare te, mio salvatore, con le mie spine.
Mi limitavo così a combattere per te, standoti lontano, non permettendo al contempo che nessuno ti si avvicinasse, rendendoti irraggiungibile e intoccabile per chiunque. Arrivando così alla morte stessa.
Ti difendevo con tutto me stesso, non preoccupandomi dell’avvenire perché se io possedevo ancora una vita lo dovevo solamente a te, e per te, ero disposto quindi a perderla per sempre.
Ricordo ancora un giorno, uno dei tanti, quando ti parlai per la prima ed unica volta dei miei pensieri, sedendomi con te e lasciando il via libera alle parole segretamente rimaste racchiuse nella mia gola, senza mai trovare il coraggio di fuoriuscire.

-Cos’è che ti preoccupa così tanto, Haku? –

L’avevi chiesto con una nota di preoccupazione, insolita dal momento che io, per te, dovevo rappresentare unicamente un’arma con cui combattere; non mi consideravo una persona da anni e, di punto in bianco, mi resi conto che quel negare l’evidenza prolungato, mi aveva logorato dall’interno, portandomi alla resa. Alzai gli occhi, cercando di scrutare il tuo volto, in parte coperto dalle bende che impedivano la vista della tua espressione. Mi sorpresi di notare quello sguardo interessato, ma non mi ci soffermai, affrettandomi a risponderti che non vi era nulla che mi turbava.

-Non mentirmi, non mi ripeterò, cosa ti preoccupa? –

Scotesti il capo all’ovvietà che avevo detto, arrabbiandoti e cominciando a mostrare fastidio. Irritato avevi ricominciato ad utilizzare il tuo tono autoritario e perentorio, facendo scomparire ogni traccia di preoccupazione visibile ad occhio nudo, costringendomi a parlare, a rivelarti i miei timori - il mio senso di inferiorità e disagio da erbaccia nello stare al fianco di un crisantemo stupendo nel suo essere, ma pronto a cadere alla prima mossa azzardata - Sembrasti confuso dalle mie parole, non me ne stupii più di tanto, sapendo che il mio discorso doveva forse apparirti incomprensibile.
Poi ridesti, scoppiasti in una fragorosa risata, tanto che cominciai a credere che le tue bende avrebbero potuto rompersi da un momento all’altro, mostrando per una volta tutto il tuo viso.
Mi guardasti come fossi stato un bambino. Forse lo ero.

-Non sono un crisantemo Haku, quello forse sei tu, puro e candido come la neve, tu sei come il più bel crisantemo che abbia mai visto, portatore di morte, ma al contempo simbolo di vita; per quanto tu possa essere letale Haku, tutto il tuo essere sprizza un’ingenuità ed un candore innato. –

Mi sorpresi delle tue parole, teneramente imbarazzato e compiaciuto da quello che alle mie orecchie non poteva che apparire come un complimento.
Piansi, lacrime bagnate che rigavano il mio volto, mentre un sorriso luminoso modellava le mie labbra, e solo allora sentii le tue braccia cingermi, per la prima ed unica volta, mentre mi cullavi dolcemente, come un padre premuroso o (forse) come un amante, che mai sarebbe però esistito, né per me né per te.

-Sei tu il crisantemo più bello del campo, e io sono l’erbaccia che è andata ad intaccare il tuo animo immacolato, le lacrime che versi, non sono altro che stille di rugiada che, inesorabilmente, succhio dal tuo stelo per nutrirmi…perdonami, se puoi –

Parlavi dolcemente, come mai ti avevo visto e, sapevo, ti avrei in futuro visto fare, abbracciandomi e tenendomi stretto a te, baciandomi il capo e rassicurandomi come solo tu potevi fare.
Mi lasciai andare, facendo vagare, per l’ultima volta, la mia fantasia, e non mi ritrovai più in un campo colorato, non riuscivo a vedere più quello scoppio di colori che mi aveva da sempre accompagnato.
Potevo vedere solo crisantemi, di un bianco quasi evanescente, e pensai, sorridendo internamente, che la perfezione di quel campo stava risultando quasi sbagliata ai miei occhi; mi resi conto che la presenza di quell’erbaccia era divenuta, per quei fiori, indispensabile, dal momento che senza di essa, quella stessa perfezione sarebbe stata vana.

***


Perché in un campo di crisantemi tutti inesorabilmente uguali non vi può essere bellezza, se non comparata alla bruttezza esteriore di quella piccola ma essenziale erbaccia.



N/A

Nulla da precisare sulla storia. Vorrei solo ringraziare Sweet Audy per il commento lasciatomi sulla storia stessa. Sono abbastanza soddisfatta e spero che la storia sia piaciuta. Spero vogliate lasciare una recensione, in ogni caso, vi ringrazio anche se solo leggerete!

Lala_g
  
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