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Autore: fakeasmileandcarryon    21/07/2014    3 recensioni
Lei ha perso se stessa.
Lui aveva riposto la sua anima in lei.
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«Io non mi ci riconosco in tutto questo, io non so cosa sono diventata in quest’ultimo anno. [...] Mi sono risvegliata e non ricordavo più come fossi finita lì. Perciò non venitemi a dire che sto bene, che passerà, che ho perso solo un anno di un’intera vita. Non voglio sentire niente. Io sto male.»
[...]
Chi sono? Che fine ha fatto la Amberlee Walker che ero un anno fa?
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Go ahead.

POV Amberlee
Quando mi sveglio sono le 11 del mattino e nel notarlo mi prende un colpo: non posso permettermi di dormire fino a tardi. Subito mi alzo, corro in bagno per infilarmi sotto la doccia e l’acqua calda sembra rilassare per un attimo il mio corpo continuamente sotto pressione.
Torno in camera e mi vesto prendendo dei pantaloncini corti di una vecchia tuta e una t-shirt qualsiasi, che essendo extra-large mi fa quasi da vestito, ma non ci faccio granché caso.
Scendo scalza le scale mentre raccolgo i capelli umidi in uno chignon disordinato, la casa è particolarmente silenziosa. Strano pensare non ci sia nessuno, nell’ultimo periodo non mi hanno lasciato mai sola. La mia famiglia cerca di non farmi notare la costante presenza di qualcuno ma ho colto questo particolare sin dall’inizio. Ho classificato questo atteggiamento come un’espressione della loro premura, per assicurarsi non rimanessi sola quando una delle mie frequenti crisi fosse arrivata; anche se, a volte, la vocina nella mia testa della vecchia me ritiene sia solo ed esclusivamente per la loro mania del controllo.
Entro in cucina e, con la meccanicità della routine, prendo tazza e cucchiaio, i cereali dalla credenza e apro il frigo per prendere il brik del latte. Verso un po’ di cereali dalla scatola nella tazza e poi li annaffio con del latte. Inizio a mangiare pensierosa, concentrata sui miei vari impegni. Do un’occhiata distratta al calendario e nel notare la data di oggi mi viene un tuffo al cuore.
È passato esattamente un anno da quando ho rimesso piede in questa casa, dopo le due settimane in ospedale.
Un anno e ancora fatico a capire chi sono.
Con qualche – miliardi – di difficoltà ho ripreso in mano le redini della mia vita.
Ho iniziato dalle cose più banali, come ricomprare un cellulare nuovo – viste le condizioni pietose di quello vecchio dopo l’incidente – fino a rimanere scioccata nell’apprendere di essere stata una ragazza talmente solitaria da non aver stretto nessun tipo di rapporto con nessuno. A quanto pare il trasferimento a Sydney non ero riuscita a digerirlo nemmeno con il passare del tempo, tanto da isolarmi dal resto del mondo e riavvicinarmi alla famiglia. Ma da dopo l’incidente, la positività, che prevale sui momenti di depressione, mi ha aiutata ad apprezzare la città e a fare nuove amicizie, anche se con persone che una volta avrei odiato a prima vista.
Poi ho recuperato le nozioni scientifiche, andate perse, necessarie ad affrontare l’università. Sinceramente non capisco ancora per quale ragione la mia scelta fosse ricaduta su medicina, in effetti sono abbastanza sicura che non avessi intenzione di continuare gli studi, ma ormai non volevo deludere mio padre.
Poi c’era stata mia madre da non deludere. Così in quest’anno mi sono affiancata a lei nei suoi banchetti e feste di beneficenza per ogni tipo di occasione.
In qualche modo, infatti, mi sono sentita di non dover deludere nessuno, ritenendomi responsabile del dolore che avevano provato credendomi morta in quell’incidente.
L’unica che  non mi è pesato accontentare è stata mia sorella, Christine, nonostante continuassi a trovare il suo fidanzato Jared incredibilmente noioso. In effetti mi sono resa conto di non averla mai conosciuta veramente, ero completamente inconsapevole di quanto fosse piacevole passare del tempo con lei.
Il riavvicinamento a lei è una delle poche cose che riesco a concepire di aver fatto nell’anno di buio, che, come fosse un puzzle, sono riuscita a ricostruire pezzo per pezzo tramite i racconti dei mie familiari. Ma nonostante questo, nessun ricordo vero e proprio è tornato a galla. Il dottore, nelle sue visite periodiche di controllo, continua a ripetermi che è necessario solo che mi circondi delle persone che ho avuto accanto in quell’anno andato perso e poi tutto riaffiorerà alla memoria. Ma, nonostante la mia famiglia è con me giorno e notte, non succede ancora niente.
Il mio flusso di pensieri viene interrotto dal suono del campanello. Sobbalzo appena nel sentirlo, sorpresa, e vado ad aprire.
Il ragazzo che mi ritrovo davanti è di una bellezza sconcertante. Non posso fare a meno di iniziare a squadrarlo dalla testa ai piedi. Alto, capelli biondi col ciuffo sparato in aria, occhi azzurri, piercing al labbro che accentua l’aria da bad boy che si porta dietro,  la canotta che indossa lascia vedere braccia muscolose mentre gli skinny jeans neri fasciano due gambe perfette, da fare invidia a qualsiasi ragazza, e delle vans total black completano l’opera. Per un attimo mi sembra quasi di averlo già visto, ma mi serve solo un secondo per realizzare che quella sensazione deriva dal fatto che sembra la copia di uno di quei modelli che vedi sulle riviste patinate di moda.
Noto con imbarazzo che anche lui mi sta fissando e l’intensità del suo sguardo mi fa subito arrossire.
Deduco che deve averlo notato dal sorriso affettuoso che compare sulle sue labbra, lasciando spuntare delle fossette meravigliose sulle sue guance.
So che dovrei dire qualcosa, tipo chiedere chi sia o come mai ha suonato al campanello di casa mia, ma resto imbambolata per un attimo nei suoi occhi oceano.
«Oh, Amberlee» rompe lui il silenzio con un sussurro, mentre con una mano accarezza la mia guancia.
Istintivamente colpisco il suo braccio per allontanarlo dal mio viso e faccio un passo indietro.
«Come ti permetti? E come conosci il mio nome?» le mie parole sono un misto di indignazione e confusione.
«Cosa?» risponde sbalordito.


POV Luke
Resto a guardarla sbigottito. La vedo sollevare le sopracciglia, in attesa che parli.
Vuole davvero delle spiegazioni perché l’ho chiamata per nome?
La confusione mi fa ragionare a rilento. Poi osservo comparire quella piccola rughetta sulla sua fronte che amavo accarezzare per farla rilassare. Trattengo l’istinto, ricordando bene il perché di quella ruga. Passando quasi tutto il mio tempo con lei avevo elaborato una teoria secondo la quale le veniva solo in tre situazioni: quando era confusa, quando era preoccupata ed agitata o quando non otteneva ciò per cui si intestardiva.
Mi convinco a parlare, senza capire il senso di quello che devo dire.
«Conosco il tuo nome perché abbiamo frequentato lo stesso college, il Norwest Christian College, ovviamente. – mi accorgo di ritrovarmi a parlare lentamente, scandendo ogni sillaba, come se avessi davanti una ritardata e subito cerco di tornare a esprimermi normalmente – Hai presente? Le lezioni di letteratura, la pausa pranzo, i laboratori di chimica..» sorrido involontariamente per le allusioni implicite che portano queste parole.
Lei sembra essersi rilassata, la ruga di tensione è scomparsa e ora sorride.
Ma quando parla nuovamente la sua voce gentile è distaccata, formale.
«Credo ci sia stato un errore. Devi esserti confuso con qualche altra Amberlee perché, vedi, io in quella scuola ci ho messo piede un solo giorno e mi sono trovata talmente male che i miei hanno deciso di farmi diplomare da privatista.»
La guardo, nuovamente scioccato. Ma di che diavolo sta parlando?
«Mi dispiace che tu non abbia trovato chi stavi cercando, buona giornata» riprende lei e nel dire le ultime parole accosta la porta.
Istintivamente la blocco prima che si chiuda del tutto e con la forza la riapro. La resistenza che pone Amberlee è minima ma quando riappare nella mia visuale la vedo di nuovo agitata, più che altro infastidita.
Subito mi assale un moto di rabbia che non riesco a trattenere.
«Smettila – quasi urlo sbattendo il pugno sullo stipite della porta, ma subito cerco di modulare nuovamente il mio tono di voce – di dire cazzate» concludo la frase con più calma possibile, anche se l’ira traspare dalle mie parole.
«Ho detto che non ti conosco!» questa volta ad urlare è lei.
Sento dei passi venire dall’interno della casa, accompagnati da una voce.
«Cosa sta succedendo qui?»
«Niente mamma, questo ragazzo ha semplicemente sbagliato persona»
Mentre Amberlee parla, compare alle sua spalle la madre. La osservo irrigidirsi nel vedermi sulla porta.
«Perché non sali in camera tua tesoro?» dice con falsa gentilezza poggiandole una mano sulla spalle per spingerla verso le scale. «Di lui me ne occupo io.» aggiunge e questa volte la sua voce è tagliente.
Osservo Amberlee annuire e allontanarsi. Lo sguardo impaurito che mi rivolge prima di salire le scale mi spezza in due.
«Vattene e non farti più vedere, non ha più bisogno di te ora.»
La voce di sua madre distoglie la mia attenzione da lei e in un attimo sento il mio sguardo caricarsi d’odio.
Vorrei non urlare e restare calmo.
Qualsiasi cosa i suoi le abbiano detto, devo smentirla e, farmi vedere come un ragazzo aggressivo, di certo, non migliorerà la mia posizione con Amberlee.
Inizio a respirare a fondo, per recuperare la calma necessaria ad affrontare la signora Walker.
«Mi hai sentito? Ho detto che devi andartene.»
Ma a queste parole scandite con freddezza pungente, tutti i miei tentativi di restare calmo se ne vanno a farsi benedire. Fanculo se Amberlee mi sente urlare, non posso rimanere impassibile.
«Cosa le avete fatto? Il lavaggio del cervello? Cosa le avete detto per farla rimanere qui? Con cosa la state ricattando? Sapete benissimo che lei vi odia e la capisco. Siete solo degli sporchi ricconi che pensano di avere il mondo in mano. Ma non avrete vostra figlia ancora lungo, non lascerò che me la portiate via. Qualsiasi cosa le abbiate detto o fatto, noi due ci amiamo abbastanza da affrontare ogni ostacolo.»
Urlo fino a sentire un dolore raschiante alla gola. La madre di Amberlee è rimasta impassibile alla mia sequela di domande, accuse e insulti. Nemmeno una parola è riuscita a scomporla e non l’ho vista battere ciglio. Tutto ciò non fa che aumentare la mia rabbia e il mio odio nei suoi confronti.
«Mi dispiace distruggere i tuoi sogni, ragazzino, ma non hai speranze. Non farti più vedere o chiamo la polizia.»
Conclude con la stessa freddezza di prima, nemmeno una nota di rimpianto, paura o rabbia nella sua voce.
Mi sbatte la porta in faccia, lasciandomi frastornato.
Il vuoto che avevo sperato di riempire grazie ad Amberlee, ora sembra essersi elevato a potenza.




Eccoci qua con il nuovo capitolo.
Grazie mille per chi ha letto i capitoli precedenti,
a Letizia 25 e Kri93 che li hanno recensiti
e grazie ai nuovi lettori che spero arriveranno.
Per me è molto importante sapere cosa ne pensate,
ricevere i vostri pareri e anche le vostre critiche,
quindi: recensite in tanti!
Alla prossima, Arianna.


  
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