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Autore: Leannel    07/01/2005    1 recensioni
Arathorn e Fengel erano due uomini molto diversi. Ma avevano in comune principalmente due cose. La prima:erano mortali. La seconda: non avrebbero fatto niente di buono nella loro vita,a parte i loro figli, chiaramente. Cosa c'è prima dell'inizio?
Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arathorn corse per una decina di minuti. Era piuttosto stanco, il terreno era sconnesso. E nonostante si fidasse di quell'elfo, dopotutto, quella strada non lo convinceva affatto. Non gli sembrava la direzione giusta, ecco tutto. Si sentì improvvisamente stupido. Faceva sera e una brezza leggera si alzò. Cominciava ad avere freddo. Reimer gli aveva dato una crema nuova per la cicatrice. Puzzava un po' meno e bruciava di meno. Se la mise, l'aria degli elfi gli afceva venire ancora più male. C'era qualcosa che non lo convinceva, in quell'aria. Aveva sorpassato un cancelletto qualche centinaio di metri prima. Questo non lo convineceva oltre al fatto che gli era parso costantemente di starsi allontanando dal palazzo.

Non fidarti mai più di un elfo, si disse.

Sentì dei rumori venire da poco più nel profondo di quel bosco rado in cui era andato a trovarsi.

Si nascose. Erano passi legeri di un elfo. Si tranquillizzò. Era difficile pensare che degli orchi lo avessero seguito sin là, ma lo aveva fatto. Aveva addirittura impugnato la sua arma. La donna elfo. Era bellissima, maledizione. Era la cosa più bella che avesse mai visto. Sembrava che brillasse di luce propria. Senza accorgersene Arathorn si commosse. Si sentì nuovamente stupido. Stava piangendo per la bellezza di una dama. La spada gli cadde dalle mani. Stava per sentirsi male. La dama si voltò. Doveva aver sentito il rumore provocato da quel pezzo di ferro, che cadeva.

“Chi siete? Cose ci fate vi qui?”

Sorrideva. Arathorn temette di averla spaventata. Si sbagliava.

“Chi siete?”

“Io” balbettò “Io... mi dispiace, mia signora. Non volevo è stato quell'elfo..”

“Non proccupatevi. Erano davvero molti anni che non vedevo qualcuno di nuovo”

Arathorn si stupì. Era devvero bellissima.

“Parlate, avanti!” disse la donna. Arathorn rise. Non avrebbe voluto, ma lo fece. La donna lo fissò, incerta, e poi rise anche lei.

“Davvero. Non so nemmeno chi siete. Voglio dire, forse dovrei saperlo, ma non ne ho idea. Scusate”

“No, mio signore, mi fa piacere, davvero. Voi siete un mortale?”

era incredibile come detta da lei la parola 'mortale' avesse un bel suono.

“Si” non riusciva prorpio a dare risposte più lunghe senza che fossero completamente sconnesse.

“L'ho capito.. dalla cicatrice” disse gesticolando sul viso.

Arathorn rise.

“Già, penso che nessun'elfo si ferisca mai in battaglia, vero?”

“Il più delle volte quando vengono feriti, vengono anche uccisi”

“Capisco”

“Dove ve ne andavate così veloce? Vi ho visto, quando siete arrivato? E di ch elfo parlavate” Quasi Arathorn non ascoltava le sue parole. Era bellissimo, il loro suono. Era come se stesse cantando.

“Io.. voi abitate qui, per cui saprete che io e un mio compagno mortale siamo stati chiamati qui” la donna fece segno di no col capo “Ad ogni modo, questo mio compagno si è sentito male ed io stavo andando a vedere come stava” Arathorn si stupì di quanto dolcemente stesse parlando. Non pensava davvero di esserne capace.

“E chi è stato a dirvi di venire da questa parte?” disse la donna bellissima

“Oh, uno sciocco, suppongo. Il suo nome è Reimer, un elfo bello, con lunghi capelli neri e..”

“Reimer? Reimer è qui? Non mi fanno mai sapere nulla quando sono qui. Mio padre mi lascia sempre all'oscuro. Reimer, uno sciocco? Vi starà trattando da tale, penso”

Ma Arathorn non seguì la gran parte del discorso di lei.

“Vostro padre? Chi è vostro padre?”

“Mio padre? Mio padre è sire Elrond”

“Sire Elrond..” Arathorn la riconobbe. Era bellissima. Aveva lunghi capelli corvini. Era vestita di colori chiari, ma che davano sul blu e l'argento. E aveva quegli occhi meravigliosi. Occhi grigi. Che gli ricordavano i suoi. Che gli ricordavano Elrond.

“Quindi il vostro nome è..” disse lui

“Io sono Arwen, la stella del vespro, mi chiamano”

“Io sono..”

“Voi siete un'uomo del nord. Ma i vostri occhi.. sono differenti. Voi non potete essere... voi siete... Nelle vostre vene scorre il più regale dei sangui”

“Esatto”

“Il vostro nome?”

“Io sono Arathorn. Sono del Nord”

“Lo avevo detto”

Fu così. Arathorn non riuscì a farne a meno. La guardò negli occhi. Era felice, in quel momento. Lei gli aveva dato la felicità. Era davvero bellissima. Afferrò la mano di lei. La sua pelle bianca e profumata. Arwen lo fissò e rise. Anche Arathorn sorrise. In quel momento aveva la certezza di non sentirsi stupido. Le si avvicinò.

“Io penso... che devo andare” disse. Arwen perse il suo sorriso per un istante. Poi lo recuperò. Arathorn si allontano, di corsa. Si fermò e la guardò di nuovo.

“Devi andare di là” disse lei. Rise. Arathorn si voltò di nuovo e le diede le spalle “Tornerai?” mormorò la dama. Sembrava divenuta improvvisamente triste. Arathorn la fissò. Non lo sapeva. Non sapeva cos'avrebbe fatto. Ora sapeva solo di essere colmo, straboccante di felicità. Non avrebbe potuto sopportarlo ancora a lungo. Non rispose. Fuggì soltanto.



Fuggì. Si sentì improvvisamente stupido. Come poteva un uomo come lui provare certi sentimenti per una donna, anzi per quella donna elfo? Doveva essere diventato scemo, si disse. Anche solo per non averla riconosciuta. Uno stupido davvero. E ancora più stupido di lui era stato quell'elfo dagli abiti scuri. Reimer era davvero un ragazzino. Forse fingeva solo di esserlo e in realtà si trattava del più complesso degli uomini che abitavano su quella terra. Arathorn si fermò nella sua corsa. Aveva davvero pensato uomo? Reimer doveva essere davvero molto complesso. In ogni caso, complesso o meno che fosse, lo aveva messoin un mare di guai. Cos'avrebbe fatto ora il povero mortale? Elrond sarebbe mai venuto a sapere dell'accaduto? E se lo fosse venuto a sapere quale sarebbe stata la sua reazione? Gli elfi erano davvero strani, accidenti. C'era la stesa probabilità che Elrond chiedesse di vederlo morto che gi chiedesse di sposare sua figlia. Ad ogni modo, Arathorn, giudicò la seconda probabilità decisamente improbabile. Sospirò. Avrebbe dato qualunque cosa per rivederla. O forse no. Forse avrebbe dato qualunque cosa per non averla mai vista.

Stupido Reimer, pensò. Senza accorgersene si era ritrovato a passeggiare da solo. Andava dove i piedi lo portavano, e in effetti, non aveva nessuna voglia di pensare. Aveva fame, si disse. Se non avesse mangiato qualcosa subito sarebbe svenuto.

Si guardò attrono. Sbadigliò. Lo aveva dimendicato. Acidenti. Il ragazzino era rimasto da solo per tutto il giorno. Ed era tutta colpa di Reimer. Stupido Elfo. Decise che avrebbe portato a Fengel anche il suo pasto. Arathorn era fatto così. Quando sbagliava, sentiva il naturale bisogno di punirsi. Ma il più delle volte non si accorgeva di sbagliare.

Sbadigliò un'altra volta e si schiaffeggiò. Non poteva avere sonno ora. Corse verso la stanza di Reimer. Poi ci ripensò. Non aveva nessuna voglia di vederlo. Allora si diresse direttamente verso la camera del suo amico. Gli avrebbe offerto il pasto un'altra volta.


“Dove diavolo è andato Arathorn?” chiese Fengel. Dalle sue labbra non uscì che un sussurro. Non aveva molte forze, Fengel. Era arrabbiato, ma non aveva molte forze. Forse aveva sbagliato a valutare l'altro mortale. Forse, dato che aveva sangue di elfi nelle vene, era esattamente come loro. Ma non voleva crede a nulla di simile. Di solito la sua prima impressione era giusta. Aveva molta fame. La signorina elfo, molto graziosa e tutto il resto, nel suo abito azzurro, passava puntualmente nella sua stanza, con un falso sorriso dipinto in volto, chiedendogli se volesse la sua cena. Fengel le aveva sempre risposto di no. Pensò, che se era arrabbiata non c'era da biasimarla. Il piatto che gli porgeva era sempre caldo. Doveva essere arrabbiata, la donna elfo. D'altra parte, se il signor Arathorn non si fosse presentato alla sua porta Fengel non avrebbe mangiato. Il sole era calato. Arathorn forse, aveva approfittato dell'essersi tolto quel peso di dosso e se n'era tornato alla sua gente. Eppure Arathorn non aveva il viso di un uomo simile. Fengel, con tutto il suo pessimismo, era portato a pensare che lo avessero costretto in qualche luogo, che lo avessero ucciso, o che comunque si fosse perso tra le mura di quella dimora. Fengel dava ad Arathorn molte possibilità. Fengel era sempre stato uno che si affezionava facilmente. E Arathorn era molto più anziano di lui. E tutto questo lo aveva facilitato. Soprattutto la sua cicatrice. Gli dava un'aria da poco di buono che Fengel stimava. Fengel aveva degli strani modi di stimare. Amava degli strani tipi d'uomo. Sentì gli occhi bruciare sotto le palpebre. Forse aveva un po' di febbre. Sarebbe stato davvero orribile se Arathorn lo avesse abbandonato. Forse pianse qualche lacrima, ma non se ne rese conto. In quel momento, Arathorn, assennato, scombussolato e stanco entrò dalla sua porta. Fengel sorrise per quanto gli fosse possibile.

“Scusami, Fen. È stata dura per tutti e due oggi.”

Fengel sorrise. Arathorn si guardò intorno.

“Tu non hai mangiato, stupido ragazzino” disse. Fengel rise. Arathorn si avvicinò al ragazzo.

“Hai anche la febbre!” disse. Sembrava sconcertato. “Questi elfi di cui tanto si parla non sono buoni a niente!”

Fengel alzò gli occhi verdi dalla federa del cuscino. Fissò stanco Arathorn. Poi mugolò qualcosa . Arathorn non capì cosa intendesse dire e gli si avvicinò.

“Che ti è successo” sussurrava il ragazzo “sembri ancora più scemo del solito”

Arathorn rise. Aprì la porta e fece cenno alla donna Elfo di portare loro le cene, nonostante fosse davvero tardi. La donna sbuffò e disse che sarebbe arrivata presto. Fengel rise. Arathorn era davvero in una situazione di confusione incredibile. Era ridicolo, dopotutto. Gli aveva già perdonato di essere arrivato in ritardo.

Arathorn avvicinò alle sue labbra sottili il bicchiere con dentro il liquido scuro del sogno. Ancora non l'aveva bevuto.

“Andiamo, ragazzo, bevi. Se non guarisci non ci faranno tornare a casa” ma Arathorn sembrava non essere più padrone nemmeno dei movimenti più semplici. Il bicchiere cadde ed il liquido puzzolente si riversò sulle coscie di Fengel. Il ragazzo rise. arathorn era uscito dalla sua porta on un aria da gran signore solitario, tetro e sognatore e vi era rientrato con una da perfetto idiota. Sembrava quasi che si fosse preso una cotta.

“Ti sei innamorato dell'elfo scuro, forse?” Fengel rideva.

“Stupido. No lo nominare finchè non mi sarà passata. E non fare domande, almeno fino dopo mangiato”

“Che ha combinato, il condottiero?” Fengel si riferiva ad Arathorn, ironicamente. Sapeva essere molto fastidioso, alle volte.

Arathorn, fu molto tentato dall'idea di picchiarlo, chiaramente in modo ironico, ma la donna elfo portò nella stanza il cibo che gli aveva preparato, per cui dovette trattenersi.

Fengel mangiò parecchio. Arathorn non se lo sarebbe mai aspettato. Era così magro, coi suoi lineamenti sottili. Era davvero magro. Sembrava che non avesse mai impugnata un'arma in vita sua. In effetti, questo doveva essere impossibile. Ma nonostante fosse malato, mangiava davvero molto. Arathorn rimase stupito. Mangiò davvero poco. Fengel bevve dell'ambrosia dalla coppa d'argento e fissò il compagno.

“Tu non stai bene” gli disse “Facciamo così” il ragazzo gli si avvicinò. Sembrava intontito, forse aveva bevuto un po' troppo. “Io ti dico quello che ho scoperto d'interessante oggi e tu mi racconti cosa ti è capitato”

Arathorn rise. Non era l'alcool, ma Fengel stesso. Fengel non reggeva affatto l'alcool, nemmeno quello gentile e leggero degli elfi.

“Sarà meglio che non beviate più”

“Non volete dirmi niente? Siete un maledetto bastardo, signor condottiero del Nord!” disse.

“D'accordo, d'accordo, Fen. Ti dirò cosa mi è successo se ti calmi. Ma dimmi cos'hai scoperto tu, prima perchè non ti ho capito”

“Stavo fingendo, idiota” disse Fengel. Capì cosa stesse pensando Arathorn. Ma non aveva bevuto. Aveva fatto apposta per metterlo alla prova. Così almeno, Fengel, preferiva credere.

“devi sapere che due giorni, da solo in una stanza bianca, sono deavvero molto noiosi per uno come me. Ora che ci penso forse è stato un bene che tu non ci fossi.”

Arathorn borbottò che lui era rimasto per un sacco di tempo a vegliarlo, mentre dormiva; ma Fengel non volle sentire discorsi.

“Ero qui da solo. Allora è entrato il figlio di Elrond. Ti giuro che non me lo sarei mai aspettato. È entrato e mi ha detto 'Avete bisogno di qualcosa?'. Diamine, se ci fossi riuscito gli avrei detto di andarsene! Ma non ci riuscii. Così facemmo una partita a scacchi. Fu una sua idea, ma non era davvero molto bravo e, nonostante stessi male, lo stracciai. Forse lo ha fatto apposta, però. Dovevo essere proprio malconcio, a dire il vero. Si alzò e stava per andarsene, quando mi disse 'Forse volete da leggere?' Era davvero molto elegante, Elohir. Almeno penso che fosse lui. Ero così febbricitante che non avrei riconosciuto mio padre dal suo cavallo.” Arathorn rise. Fen forse aveva davvero scherzato. Voleva che si preoccupasse della sua salute. Era molto divertente, il racconto. Ma si chiese se davvero questo avesse una fine o un senso logico. O anche solo una vaga utilità.

“Insomma” continuò il ragazzo “mi chiese se volevo qualcosa da leggere. Mi piaceva leggere, quando era più giovane, quindi gli risposi di si. Ma quando mi chiese cose io non seppi rispondergli. Allora il giovane principe sorrise maliziosamente e uscì dalla mia porta. Quando ne rientrò portava con se un paio di libri. Gli lasciò sul comodino e se ne andò. Fu molto gentile, devo riconoscerlo. Lessi i due libri nella sola giornata di oggi. Ed ecco cos'ho scoperto”

Fengel afferrò il libro che gli er apiù vicino, alla sua destra. Aveva lasciato un segno.

Di qui in poi” lesse “si parlerà di Leannel, della sua straordinaria bellezza, della sua forza, della sua assennatezza, della sua immensa tristezza, e di cosa tutto questo portò alla Terra di Mezzo. Si parlerà qui delle gesta di Talmaye lo scaltro e Salmaye il puro e soprattutto, ecco, qui inizia il pezzo che interessa noi, dell'immensa forza e coraggio di Reimer del Nord, altrimenti detto Reimer il maledetto. Reimer il maledetto, amico mio”

“Di Reimer? Che dice quel libro di Reimer e della sua dama?”

“Dice che lei è davvero molto bella. E che suo padre, un uomo giusto, scusa, un elfo, vuole conservare la sua bellezza. Anche se a me sembra piuttosto un tiranno. Parla dello spirito ribelle di lei. Insomma lei vuole combattere ma il padre non glielo permette. Deve essere ancora viva e la faccenda ancora in corso. Dice che Reimer è stato un uomo tormentato e sofferente, dalle immense doti di coraggio e abilità senza pari. Un grande condottiero, insomma. Voglio dire, quell'elfo è davvero un pezzo grosso.”

Arathorn rise. Alla fine, se solo avesse avuto il desiderio di uccidere Reimer, dopo lo scherzo che gli aveva giocato, ne sarebbe rimasto sconfitto. Quel Reimer sembrava un tipo davvero strano.

“Dice che è stato per molto tempo con i mortali. Gli altri elfi non lo volevano più con loro, siccome tutta la sua famiglia ed il suo popolo erano stati sterminati. Quindi è andato con i mortali. Il romanzo lascia intendere che abbia avuto una relazione con Tar-Miriel, che deve essere molto importatnte e..”

“Accidendi se lo è. Tar-Miriel è maledettamente importante”

“E così via. Sembra davvero uno forte. E a noi si è presentato come uno stupido”

“Ho l'impressione, Fen, che hai tuoi occhi molti risultino stupidi” Arathorn sorrideva. Fengel fece lo stesso.

“A parte tutto” riprese Arathorn “Penso che sarà meglio tenerne il naso fuori.”

“Tanto dovremo restare qui finchè non mi sarò rimesso. Voglio parlargli, almeno una volta. Una volta che duri almeno tre o quattro ore” Arathorn rise ancora. Sapeva che ora avrebbe dovuto parlare. Aveva sperato che Fengel si dimenticasse di lui, ma non sembrava uno portato a dimenticarsi le cose. Fegel lo fissò.

“Va bene, d'accordo. Ti dirò quello che vuoi sentirti dire” disse

“Non quello che voglio sentirmi dire, solo quello che è successo” ribattè Fengel

“Sono uscito di qui, dormivi. Reimer mi disse se mi andava di fare una passeggiata. Mi ha portato fuori dal palazzo. Si è messo a chiedermi di mio padre e della mia gente, ma non mi andava di parlarne. Abbiamo pure parlato di mio figlio, ma non avevo voglia neanche di questo. Allora gli ho chiesto di andare. Penso si sia vendicato, ecco tutto. Mi ha indicato la strada sbagliata. Mi sono ritrovato nei boschi che circondavano un giardino. Sono entrato nel giardino. Poi l'ho vista. Maledizione, era dannatamente bella. Davvero bellissima.”

“Bellissima? Non parlerai della loro stucchevole bellezza? Gli elfi non sono belli, sono solo perfetti.”

“No no no. Io mi riferisco a qualcosa di diverso, Fen. Non ci sono parole per descriverla” Fengel si sentì fuori luogo. Arathorn sembrava davvero in adorazione per quella donna elfo.

“Allora, aspetta. Aveva lunghi capelli biondi e la pelle bianca che profumava di pesca?” disse. Non sapeva il perchè ma Fengel aveva pensato alla donna del suo sogno. Era molto bella. Se fosse esistita davvero avrebbe dato qualunque cosa per vederla.

“Mi dispiace amico mio, ma ti sbagli di grosso. Quella di cui parlo io ha i capelli che sembrano ebano e gli occhi grigi. Ho prlato ad Arwen, la stella del vespro; e spero non accada più perchè se la vedessi il mio cuore ne sarebbe così riempito che appassirebbe se non gli fosse più concesso di rivederla”

“Voi siete così romantico” rispose Fengel “che mi date il voltastomaco, sire”

“Sciocco” Fengel rise. Pensava che uno come Arathorn non s'innamorasse mai.

“Non sei imperscrutabile come credi. E nemmeno come io credevo”

“Vuoi dormire, ora? Altrimenti non ce ne andremo mai via di qui”

Fengel rise di gusto. Non aveva sonno.

“Non c'è niente da ridere Fen”

“Si che c'è. Che farai? La dimenticherai?”

“Non ce la farò mai a dimenticarla. Spero solo di non vederla più” fengel si trattenne dal ridere di nuovo. Per un attimo gli sembrava che fossero entrambi diventati degli elfi o giù di lì.

“Parliamo come loro e portiamo i loro abiti, a cosa ci porterà questo?”

“Siamo mortali, Fen. E poi credevo non i piacessero gli immortali”

“Se li chiami così sembrano devvero superiori.”

“Si, hai ragione, è brutto da dire” c'era una grande, enorme differenza tra la parola 'mortale' e quella 'immortale'. Fengel aveva ragione.

Parlarono un po'. Ma era evidente che Fengel aveva sonno. Arathorn gli impose di andare a coricarsi. Femgel doveva essere invece naturalmente portato a dormire poco. Alla fine Arathorn secise che sarebbe stato decisamente più sicuro se fosse rimasto con Fengel, perlomeno fin quando non si fosse addormentato. Quindi si allontanò per andare aprendere un libro. La ricerca su Reimer andava approfondita, e in effetti Arathorn non aveva nulla di meglio da fare. La bliblioteca era vicina, fortunatamente. Arathorn non aveva un gran senso dell'orientamento. Prese il primo libro dove lesse il nome di Leannel. Pensò, nel tragitto al ritorno, nonostante temesse di perdersi. A dire il vero Fengel non sembrava avere molta voglia di tornare a casa. Forse nessuno lo aspettava. Forse aveva paura di quello che vi avrebbe trovato. Era sveglio, ma era solo un ragazzino. E Arathorn pensò che anche lui non avrebbe avuto nessuno ad aspettarlo, a casa. Doveva riprendersi ciò che gli apparteneva, maledizione. Era scappato troppo a lungo. Fissò nella sua mente l'immagine di Fengel. Nonostante tentasse con tutte le sue forze di figurarselo in un futuro non troppo vicino, nel suo bel reame, con il suo bel palazzo e la gente che l'amava, Arathorn non ci riuscì. Fengel non sarebbe stato capito, questo temeva, e forse non si sarebbe mai capito nemmeno per se stesso. Per questo era certo di piacere al ragazzino. Non gli era stato ostile, ecco tutto. La mente di Fengel era dannatamente veloce.

La spalla di Arathorn urtò contro quella di qualcun'altro che procedeva nella direzione opposta.

“Vi auguro una buona notte, sire Arathorn” disse una bella voce forte.

Arathorn lo fissò, quasi con rabbia. Era Reimer.

“Io... non voglio parlarvi oggi!” così Arathorn scappò via. Faceva sempre così quando non era sicuro delle sue reazioni.


  
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