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Autore: Rayon_    22/07/2014    6 recensioni
Capelli neri, occhi dello stesso colore con qualche tonalità di bianco in più, viso pallido come il resto del corpo minuto. Tante paure e tanti complessi. Tanta solitudine e un forte bisogno di un faro per salvarsi.
Capelli neri, occhi color nocciola e profondi da far paura. Tanta ingenuità e tanta voglia di conoscere. Tanta determinazione e un forte istinto nell'avvicinarsi alle persone.
Shannon White Wood, Zayn Jawaad Malik.
La vita non è una favola, se non è vissuta come la loro.
Dal capitolo 7.
«Qual è il problema, Shannon?» Senza aprire gli occhi mi vennero in mente decine di parole, di frasi, che avrei voluto urlare a quella domanda.
"Tutto. Fa tutto schifo. Ho paura. Sto male. Non sono nessuno. Ho perso la mia vita. Ho perso me stessa. Dolore. Non provo più niente se non quello. Solitudine. Voglia di scappare. Desiderio di arrendersi. Scomparire. Tutto non va nella mia vita."
Presi un forte respiro che somigliava più ad un singhiozzo ma non piansi, nè parlai per i primi secondi.
«Quand'è la verifica di fisica?» Riaprii gli occhi prima di chiederlo, li sentivo umidi e gonfi.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 6- Fight.
Passai la domenica a girare per la città dalle undici di mattina alle otto di sera, poi tornai a casa e raccolsi tutta la forza di volontà che avevo per mangiare qualche foglia di insalata. La sera prima, appena tornata a casa, avevo poggiato il fiore di Victoria sul davanzale in vetro sopra al termosifone, con qualche libro sopra fer farlo seccare.
Era lunedì mattina e stavo camminando verso scuola combattendo contro il sonno. La prima ora avrei avuto biologia con Travis e sperai con tutto il cuore che ci fosse un posto libero per non dovermi sedere di nuovo accanto a lui.
Finii la sigaretta in un angolo del pargheggio prima di schiacciarla ed entrare.
Salii al secondo piano crcando l'aula A7 e quando ci arrivai la maggior parte dei ragazzi era già seduta, compreso Travis. La prima cosa che notai fu il suo sguardo puntato sul mio, che distolsi subito. Guardai in giro per la classe  con la speranza di trovare una postazione vuota , ma l'unica era la mia. Presi un respiro profondo e camminai verso il banco guardando a terra, perfettamente consapevole che Travis mi stesse guardando con un ghigno.
Arrivata lì evitai ancora di guardarlo, mentre il cuore batteva a mille, e spostai il banco di una trentina di centimentri dal suo prima di sedermi.
Cercai di concentrarmi sulla lezione per non pensare a lui che vicino a me continuava a guardarmi. Le due ore seguenti fortunatamente non c'era, e nell'intervallo mi assicurai che non mi vedesse mentre uscivo in cortile per fumare. Mi accorsi di aver dimenticato la felpa in classe solo quando l'aria fredda mi colpì le braccia. Non avrei avuto tempo di rientrare così lasciai perdere e andai in un angolo. La metà della scuola in quei dieci minuti usciva, chi con la sigaretta già in bocca, chi col pacchetto, chi sperava di scroccare da qualcuno, e quelli che non aspiravano ma facevano di tutto per far vedere che fumavano perché così si sentivano più grandi. E poi c'ero io che in silenzio, senza nessuno, andavo a ripararmi da tutti in un angolo, dietro ad un albero spoglio.
Presi una sigaretta dal pacchetto, poggiai lo zaino a terra e la accesi prendendo l'accendino dalla tasca. Come sempre, il primo tiro sembrò sollevarmi.
Avevo ormai fumato mezza sigaretta quando iniziai a tremare per il freddo, mi sporsi dal tronco per guardare se la folla era diminuita e mi sembrò di notare quel ragazzo, Zayn, che distoglieva lo sguardo da me. Scossi la testa e tornai a fumare con i brividi che mi percorrevano il corpo in scosse improvvise.
Sussultai sentendo il tessuto caldo di qualcosa coprirmi le spalle.
«Mettitela, altrimenti ti prendi un accidente.» Riuscii solo per un attimo a guardarlo, mentre parlava, ma giusto quando avevo formulato la frase per dirgli che non ne avevo bisogno, lui si stava già allontanando. Così infilai una manica per volta spostando la sigaretta accesa da una mano all'altra, sentii subito un calore che mi fece sentire meglio, e inspirai l'odore di fumo misto al profumo che la felpa nera inalava.
Le ultime tre ore di lezione le passai cercando di seguire e di prendere appunti, e quando la campanella suonò fui la prima ad uscire. Avevo un sonno terribile e mi sentivo debole, e prima di presentarmi al negozio di fiori volevo andare a casa per dormire almeno mezzora. Così m'incamminai verso casa ma dopo un centinaio di metri mi accorsi della felpa che indossavo, di quel ragazzo. Mi fermai un attimo per pensare, e dopo aver escluso la possibilità di portargliela il giorno seguente feci dietro front con la speranza di trovarlo nel parcheggio. Quando ci arrivai le persona presenti erano poche, scrutai un po' ma non lo vidi. Mi girai semplicemente dall'altra parte e richiudendo la cerniera ripresi a camminare.
Arrivata all'incrocio guardai l'ora nel telefono, era l'una e venti, arrivata a casa avrei avuto sì e no dieci minuti per dormire, così decisi di imboccare Waverlay road e andare direttamente al negozio. Alle due meno venti ero lì, ma il negozio era chiuso così mi sedetti sullo scalino davanti alla porta e accesi una sigaretta. Quando spensi il mozzicone a terra un furgone si fermò un paio di metri dopo al negozio, ne uscì Victoria salutando l'uomo alla guida.
«Shannon, già qui?» Mi salutò Victoria mentre si avvicinava cercando le chiavi in borsa.
«Ho finito scuola all'una e non avevo voglia di andare fino a casa.» Sorrisi e mi alzai.
«Vieni.» Aprì la porta, si pulì le scarpe sul tappetino ed entrò.
«Vuoi del té?» Non sapendo cosa fare mi fermai lì in mezzo alla stanza mentre lei metteva aposto le sue cose.
«Sì, grazie.» Lei si avvicinò alla porta dietro al bancone.
«Torno subito, tu mettiti a posto che alle due hai il primo appuntamento.»
La vidi scomparire dietro alla porta, poi poggiai il mio zaino e la felpa nera alla mia sedia e andai c prendere il quaderno e l'agenda.
Alle due sarebbe arrivato un ragazzo per un mazzo di fiori da regalare come dichiarazione d'amore, sarebbe stato interessante.
Erano le due meno cinque minuti quando vidi un ragazzo, sui vent'anni, capelli castano chiaro alzati in un ciuffo e occhi chiari, tendendti al grigio. Indossava dei jeans stretti, neri, e un giubotto di pelle nera. Aprì la porta facendo suonare l'aggeggio lì sopra e mi guardò.
«Ciao.» Lo salutai con un piccolo sorriso, per cortesia. Lui ricambiò e salutò a sua volta.
«Siediti pure lì, arrivo subito. Vuoi del té?» Chiesi prima di entrare nella stanza, lui annuì.
«Si, grazie mille.» Trovai Victoria a lavorare con le sue composizioni, presi il vassoio con le due tazze, lo zucchero, la teliera con l'acqua calda e il contenitore delle bustine.
Spostai la porta con un calcio cercando di non cadere e arrivai al tavolo.
«Ecco.» Sorrisi mentre gli porgevo la sua tazza e tutto il resto prima di sedermi. Mentre ognuno preparava il suo té il silenzio si fece imbarazzante, e anche se non era affatto da me sapevo che avrei dovuto iniziare io una conversazione per non farlo sentire a disagio.
«Comunque io sono Shannon.» Lo guardai mentre intingevo una bustina al gusto di ribes e lampone.
«Rayan, piacere.» Sorrise e mi stupii della strana sincerità che il suo sguardo trasmetteva, quasi rara. Gli sorrisi di rimando.
«Dunque, sei qui per una.. Dichiarazione, giusto?» Chiesi scrivendola data e il suo nome sul foglio. Con la coda dell'occhio lo vidi annuire.
«Beh, prima di tutto, hai delle frasi chiave da dirmi o dei messaggi importanti che vuoi trasmettere?» Riuscii incerdibilmente a guardarlo negli occhi e a reggere il suo sguardo anche nel breve silenzio che seguì. Forse era il fatto che il suo sguardo non mi intimoriva per niente, c'era qualcosa in quel ragazzo che non mi faceva pensaere a quanto fossi inferiore, come se fosse lui ad avere paura.
«La frase di una canzone: dice "Se lo vuoi veramente combatterai, se ci credi veramente ce la farai."» Scrissi velocemente, mi soffermai solo dopo sul significato. Lo guardai di nuovo negli occhi. 
«Parole chiave?» Cercai di sorridere per allentare un po' la sua evidente preoccupazione.
«Paura.» Spostai gli occhi dal foglio su di lui, esattamente quello che traspariva dai suoi occhi, paura. Solo quando presi a scrivere lo sentii di nuovo. «Forza, coraggio.» Ogni parola che aggiungeva rendeva la storia che stavo cercando di ordinare nella mia testa più confusa.
Sentendo il silenzio mi ricordai di una domanda da fare.
«Lei come si chiama?» Erano diversi i casi in cui il nome della ragazza corrispondeva al nome o al significato di un fiore, mi aveva spiegato Victoria.
Quando non sentii una risposta lo guardai: mi stava guardando, ed era evidentemente agitato. Provai una sensazione strana allo stomaco quando lo vidi arrossire, e sorrisi sia per quella sensazione che per spingerlo a parlare. Non capivo bene quale fosse il problema ma quel ragazzo così semplice e flebile, mentre si mordeva il labbro e arrossiva, mi suscitava tenerezza.
«Veramente..» solevai le sopracciglia mentre tossiva «è un lui.» Non cambiai espressione per i primi secondi, mentre rielaboravo l'informazione. Ora era tutto più chiaro, combattere, la paura. Sbattei le palpebre e sorrisi. 
«Capito, scusa l'errore.» Cercai di non pesare troppo sul fatto e nascondere la mia sorpresa.
«Comunque, come si chiama?» Lo chiesi, anche se non serviva, per qualche strano motivo lo chiesi.
«Tyler.» Gli sorrisi ancora e scossi la testa per tornare concentrata. 
«Bene, vuoi una composizione con un nastro, incartata, o un vaso?» Sembrò pensarci su, un po' confuso. Improvvisamente avevo iniziato a vedere quel ragazzo completamente da un'altra ottica.
«E' uguale, solo non il vaso.» Scrissi pensando a cos'altro chiedere.
«Ci sono altre parole o messaggi che vorresti trasmettere?» Alla fine mi piaceva quel lavoro, le persone si mettevano completamente a nudo con me, si confidavano con una sconosciuta, e io potevo essere chi volevo, senza sentirmi uno schifo.
«Forza. L'ho già detto?» Annuii e indicai la scritta con la penna. «Desiderio.» Scrissi ancora sotto all'elenco, mentre vedevo le sue mani torturarsi davanti al quaderno.
«Amore.» Mi fermai e lo guardai, non mi resi conto di essere piuttosto invadente, ma ero curiosa di vedere quale fosse il suo sguardo mentre diceva quella parola. Aveva gli occhi spalancati e spaventati, le spalle diritte, rigide, e mi sorrise nervosamente. Ricambiai, e come succedeva ormai rarissimamente sorrisi per davvero, dimenticandomi del resto. Era un sorriso d'ammirazione, di comprensione, un po' da ebete, quel ragazzo mi sembrava così fragile da farmi sentire a mio agio. 
Scrissi anche quella parola e mi venne in mentre un'ultima domanda, la più personale, a cui poche persone rispondevano completamente.
«Se te la senti di raccontarmi la vostra storia possiamo prendere spunto.» Lo guardai di nuovo mentre si grattava la nuca e sorrideva, questa volta più pensieroso, come quando sorridi per un ricordo. Poi annuì, e io dentro di me ne fui felice perché ero veramente curiosa di sapere cosa ci fosse dietro tutta quella paura.
«Andiamo a scula insieme dalle elementari, alle medie uscivamo con stesso gruppo di persone e ci siamo affezionati, siamo diventati migliori amici. Alle superiori abbiamo scelto due indirizzi diversi del liceo ma abbiamo continuato comunque a frequentarci. Solo che poi ho iniziato a riempirmi di dubbi, non sapevo più cosa pensare, provavo sentimenti che non avrei mai voluto provare, e non lo accettavo. Un giorno, all'inizio della terza, non ce l'ho più fatta e mentre giocavamo alla playstation ho buttato il joystick a terra e ho iniziato a piangere. L'ho abbracciato e lì tutto si è sistemato. Ero convinto di dirgli tutto ormai, del fatto che mi piacesse lui, perché erano settimane che notavo degli strani atteggiamenti da parte sua, e mi ero fatto la strana illusione che lui potesse ricambiare. Insomma faceva commenti sui ragazzi, c'era più contatto fisico di prima, spesso mentre giocavamo o guardavamo la tele mi stava vicino.» Si fermò un attimo per prendere un sorso di té ma io non smisi di guardarlo, era come leggere un libro terribilmente coinvolgente.
«Comunque ho provato a spiegargielo e a dirgli quello che pensavo di me e di lui. Lui mi ha guardato, in un modo strano, ha scosso la testa e mi ha detto "smettila", poi se n'è andato a casa. Per una settimana non ci siamo parlati ne degnati di uno sguardo, e io avevo ancora quel dubbio, non aveva negato niente, ma neanche approvato, e non volevo perdere la nostra amicizia. Dopo quella settimana mi ha mandato un messaggio di andare a casa sua. Non ci ho pensato due volte ed ero lì un'ora prima.» Si fermò e sorrise, seguito da me.
«Abbiamo parlato, a lungo. E avevo ragione, anche lui era confuso. Anche lui mi vedeva in modo diverso. Si è scusato per come mi aveva trattato e mi ha spiegato che aveva paura e non sapeva cosa fare. E poi mi ha detto di si. Mi ha detto che con calma ci potevamo provare. I primi due mesi non ci spingevamo mai oltre, non ci siamo mai baciati e mai toccati in pubblico. Al terzo mese il primo bacio. Poi abbiamo iniziato a tenerci per mano a scuola. Era imbarazzante il modo in cui le persone ci guardavano, e sapevo che per lui era difficile più che per me. Ci hanno picchiato, la sera stessa ho ricevuto un suo messaggio. Diceva che dovevamo finirla, che era tutta una sciocchezza e che non era abbastanza forte. Lì mi sono buttato, ho rischiatto tutto, gli ho detto che l'amavo. Lui non ha risposto e da quel giorno non ci siamo più rivolti la parola. Ora sono a metà della quarta e mi sono accorto che un ragazzo come lui è insostituibile, e per quanto sia una scelta egoistica voglio essere io quello che lo aiuterà a combattere.»
Rimasi in silenzio scritando i suoi occhi grigi, velati da qualche lacrima. Mi resi conto che in quel momento si era creato un piccolo filo che ci connetteva, e che molto probabilmente ero la persona che più lo conosceva al momento. Abbassai lo sguardo e scrissi.
"Storia fantastica." Lui molto probabilmente riuscì a leggere e sorrise. 
«Sarebbe fantastica con un lieto fine, magari.» Improvvisamente si rilassò, anche lui aveva percepito quel filo, e sorrise ironico.
«Sei una persona ammirabile.» Parlai prima che i denti potessero mordere la lingua, ma stranamente non mi pentii di quel che avevo detto.
«Ho solo imparato che anche se combattere è difficile lo devo fare.» Riflettei su quella frase e il mio sorriso diventò un sorriso rassegnato, improvvisamente mi ero ricordata della mia vita e del fatto che ormai avevo smesso di combattere da tempo.
Drizzai la schiena e mi ripresi.
«Bene, direi che può bastare.» Lui buttò giù l'ultimo sorso di té e si alzò con me. Infilò la giacca e in quel momento non lo vidi più come il ragazzo normale, con una corporatura magra e il viso asciutto dell'inizio, ma lo vidi come un ragazzo che si era messo in gioco e che non si era ancora rassegnato.
«Uh, un'ultima cosa!» Lui si girò mentre chiudeva la cerniera.
«Mi servono un'indirizzo e una data per la consegna. Puoi darmi direttamente il suo indirizzo se preferisci.»
«Woodstock Avenue, numero 13, sabato. E' il mio indirizzo.»
Lo segnai sull'agenda e decisi che l'avrei portato io personalmente. Intanto pensai al fatto che quella fosse la mia via, e che il numero nel mio appartamento fosse il 21. Se non mi sbagliavo ci sarebbero state solo alcune case stra di noi, e io non l'avevo mai visto prima.
«Va bene, arriverà in mattinata.» Le consegne erano di mattina, mentre il pomeriggio era dedicato ai colloqui o alle costruzioni, in caso di Victoria.
«Vai alla Stendler?» Alzai lo sguardo alla sua domanda. Mi ricordava il nome della scuola ma non ne ero sicura.
«La scuola su Hampton road?» Chiesi piegando la testa. Lui annuì e io feci lo stesso per rispondere alla domanda.
«Probabilmente abbiamo il corso di italiano insieme, ero sicuro di averti già vista da qualche parte.» Risi silenziosamente alla sua affermazione, io non avevo mai fatto caso a chi mi stava attorno, ormai non alzavo quasi mai lo sguardo.
«Strano, non mi vede mai nessuno.» Alzai le spalle e lui corrucciò le sopracciglia.
«Beh, allora ci si vede a scuola.» Cercai di congedarlo senza troppe spiegazioni. La sua espressione cambiò, e annuì.
«Ci si vede a scuola.» Sorrisi, lui si voltò e uscì. Quando era abbastanza lontano guardai l'ora, avevo dieci minuti prima dell'appuntamento così decisi di uscire a fumare una sigaretta.
Mi rilassai pensando all'ncontro appena avuto, inspirando il profumo della felpa nera che ancora indossavo. La sensazione che provavo era strana, e sapevo che quel ragazzo mi aveva smosso qualcosa. Ma la frase che più mi preoccupava era quella, "Ho solo imparato che anche se combattere è difficile lo devo fare". Anch'io avrei dovuto combattere, lo sapevo benissimo, ma ormai ci avevo rinunciato, ormai ero esausta per provarci ancora. Perché si sa, quando sei solo la forza non riesci a trovarla senza una spinta. E improvvisamente tornai a vivere come sempre; senza ragioni, senza un obbiettivo, con l'angoscia che mi stava dietro come un'ombra.
Combattere. Che delirio di parola.





 
Buongiorno!
 
Per vostra grande gioia sarà uno spazio autrice molto breve perché tra cinque minuti devo partire per dieci giorni di campeggio, e devo ancora aggiornare Belonging.
Dunque so che il capitolo non è molto avvincente, l'unico momento in cui Zayn è presente è quando le dà la felpa, ma con il suo tempo sarà anche lui più presente nella storia.
Giovedì ho compiuto gli anni yeuuuh.
Non interessa a nessuno ew.
Allora non vi metto i link, se volete contattarmi su tumblr, twitter facebook o ask i link li trovate nella bio.
Grazie per tutte le recensioni, ve se ama.
A presto.

 
Baci, Rayon.
 
  
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