Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare
Ben
indossò il giubbotto antiproiettili e se lo
sistemò
addosso con cura. Poco distante, Semir faceva altrettanto. Dopo lunghe
discussioni si era deciso che sarebbero andati solo loro due
all’appuntamento
con Schwarzer, che per telefono aveva proposto ai poliziotti di andarsi
a
prendere la bambina, senza volere nulla in cambio: poteva essere una
trappola e
non era prudente cadervi tutti insieme.
Max ne sarebbe rimasto fuori perché troppo coinvolto e
Bronte avrebbe trattenuto
Rebecca insieme a lui in albergo.
«Pensi davvero che voglia consegnarci la bambina?»
domandò Semir scettico
mentre entrambi si dirigevano a piedi verso il luogo
dell’appuntamento.
Ben scosse il capo «Penso che la piccola sia
l’ultimo dei suoi pensieri, quello
vuole vendicarsi e basta. Anzi, sai cosa ti dico Semir? Forse sarebbe
meglio se
andassi solo io.».
«Spero tu stia scherzando.» fece
l’ispettore continuando a camminare nonostante
il collega si fosse fermato un attimo in mezzo alla strada.
«Non sto affatto scherzando, tu hai Andrea e le bambine e
questa storia non mi
piace nemmeno un po’.» replicò il
più giovane con aria preoccupata.
«Ben, non vale più questa scusa, adesso anche tu
hai famiglia.» rispose il
turco con tono che non ammetteva repliche.
Continuarono a camminare diretti sul luogo dell’appuntamento
e quando
arrivarono si fermarono, guardandosi intorno circospetti, temendo il
peggio.
Eppure non accadeva niente, assolutamente niente. Nella piccola
piazzola ai
margini del paesino di El Fahim regnava un silenzio assoluto,
interrotto
solamente dal cinguettio di qualche uccellino.
«Semir... sicuro che il posto fosse questo?»
bisbigliò Ben con la mano destra
pronta sulla pistola.
Il collega annuì toccando con lo sguardo ogni angolo alla
ricerca di qualcosa,
di un segnale. Fu allora che notò qualcosa: qualcosa che si
muoveva spuntando
da dietro l’angolo di un palazzo color mattone.
Indicò il punto al più giovane
ed entrambi si avvicinarono lentamente.
Voltarono l’angolo, e ciò che videro li
lasciò per qualche attimo senza parole.
La
piccola Marie era seduta per terra, legata mani e piedi e
imbavagliata e si dibatteva continuamente nel tentativo di chiamare
aiuto.
Ben e Semir si lanciarono un rapido sguardo interrogativo e il primo
slegò la
piccola con un piccolo coltellino svizzero che portava dietro.
«Ehi piccola...» le disse togliendole il bavaglio
«Tutto bene? Sei ferita?».
La bambina scosse il capo corrucciando la fronte, guardando i due
uomini con
espressione spaesata, ma non impaurita.
Non ottenendo risposta, il più giovane ripose la domanda,
ottenendo però il
medesimo risultato.
«Ben, ha cinque anni, non penso sappia il tedesco se
è sempre vissuta qui.»
osservò Semir e cominciò a parlarle dolcemente in
turco. Allora Marie rispose e
i due dialogarono per qualche minuto, sotto gli occhi stupiti di Ben,
che non
capiva una parola.
Assistette alla scena totalmente muto, osservando la piccola che
consegnava un
foglio al collega, poi
l’ispettore che la faceva alzare tenendola per mano e
dicendole qualcosa.
Semir cominciò quindi a camminare per il piazzale con il
foglio tra le mani,
leggendo le fitte righe che esso conteneva.
«Posso sapere cosa mi sono perso?»
domandò Ben curioso.
«Portiamo la bambina in albergo, qui non
c’è nessuno, non è una trappola,
volevano
solo consegnarci questo foglio e la storia non mi piace nemmeno un
po’.» spiegò
Semir mentre tutti e tre si allontanavano dal piazzale e Ben prendeva
in
braccio Marie assicurandosi che nessuno le avesse fatto del male.
«Ma cosa c’è scritto?».
«Ora te lo leggo...».
“Carissimi
ispettori Jager e Gerkhan,
perché lo so, sarete venuti solamente voi due...
Sorpresi di non aver trovato i miei uomini ad accogliervi? Io ho
mantenuto la
mia parola, ho liberato la bambina.
In cambio però voglio la vendetta. Per voi è
appena cominciato l’Inferno, ispettori,
con adesso inizia un incubo da cui mai più vi risveglierete.
In questi giorni avete gravemente compromesso la mia organizzazione e
adesso
pagherete, perché per ogni cosa c’è un
prezzo da pagare.
Ah, la vendetta, solo il pensiero mi allieta l’animo.
Mi vendicherò Gerkhan, Jager, riferitelo pure anche ai
vostri colleghi, anche a
mio figlio già che ci siete: mi vendicherò di voi
quattro il prima possibile...
e vi assicuro che vi pentirete di essere nati.
Vi auguro una buona giornata.
Carl Schwarzer”.
Pochi minuti dopo Ben, Semir e la piccola Marie si trovavano nella
solita
camera d’albergo. Madre e figlia si erano riabbracciate ed
era seguito un
momento di serenità che però non era durato a
lungo. Gli ispettori avevano letto la lettera ai colleghi
e l’atmosfera
era tornata cupa come poco prima alla velocità della luce.
«Quel bastardo... se lo vedo giuro che lo strozzo con le mie
mani.» mormorò
Max. Non era arrabbiato, era furioso, fuori di sé. Non aveva
mai avuto un buon
rapporto con suo padre, ma mai avrebbe creduto che quell’uomo
potesse essere il
capo di una delle più importanti organizzazioni criminali in
ambito addirittura
internazionale. E se prima per Carl aveva solo provato indifferenza,
adesso la
sfera dei sentimenti che provava per lui ruotava solo ed esclusivamente
intorno
all’odio: odio per un padre che non c’era mai stato
e che ricompariva dopo
tanti anni nei panni di un mostro, di un criminale in cerca di vendetta
anche
nei confronti del proprio figlio poliziotto.
Il telefono di Ben squillò interrompendo bruscamente quel
silenzio inquieto che
si era venuto a creare e il giovane ispettore rispose in attesa di
buone
notizie: «Sì, Jager.».
«Ben, sono Hartmut!».
«Einstein!» Ben attivò il vivavoce in
modo che tutti potessero ascoltare e raccontò
tutto ciò che era successo al tecnico della scientifica, che
in quel momento si
trovava al comando accanto a Dieter e Susanne.
«Questo è tutto. Il problema è che
adesso questo Schwarzer si vuole vendicare e
noi non abbiamo idea del “come”.».
«Forse io una mezza idea l’avrei.»
commentò quindi lo scienziato.
«Davvero? Illuminaci Einstein, che ne abbiamo
bisogno.» implorò Semir,
sconfortato.
«Dunque, voi siete quattro poliziotti tedeschi in terra
straniera e alloggiate
in un piccolo paesino sperduto in Turchia, luogo che non conoscete, e
non
potete nemmeno contare sull’aiuto della polizia del posto.
Siete totalmente
soli...».
«Signor Freund, potrebbe essere più conciso per
favore?» domandò Bronte
cominciando a spazientirsi.
«Commissario, fa sempre così, ci dovrà
prendere l’abitudine.» gli sussurrò Ben
alzando le spalle.
«Sì sì, agli ordini.»
esclamò invece il rosso dall’altro capo del
telefono «In
poche parole, se io fossi un criminale in cerca di vendetta, vorrei per
prima
cosa che voi foste soli e completamente isolati. Vorrei che non poteste
contare
su nessuno, assolutamente nessuno, nemmeno sui mezzi di comunicazione
che vi
legano a noi qui in Germania. Infondo è grazie a questi se
avete scoperto tutto
ciò che sapete sul conto
dell’organizzazione.».
«Bene, sono d’accordo, ma questo è
possibile?» domandò Ben corrugando la
fronte.
«Sì, possibilissimo. Ho giusto dato
un’occhiata via internet alla città, ho un
programma particolare che mi permette di guardare come dal vivo il
paese angolo
per angolo e...».
«Hartmut!!».
«Va bene, va bene.» si scusò il tecnico
«In breve: i cavi che servono alle
comunicazioni telefoniche fra i cellulari sono tutti raggruppati in un
unico
contenitore appena fuori dal paesino, al confine opposto rispetto a
quello in
cui si trova il vostro albergo. Basterebbe tagliare quei fili per
provocare un,
chiamiamolo così, “blackout” totale nel
campo delle comunicazioni. In tal caso
i cellulari sarebbero totalmente inutili e voi sareste ancora
più isolati.
Anche perché in paese non esistono cabine telefoniche
funzionanti a quanto so.».
«Fantastico, allora dovremmo muoverci ed evitare che...
Hartmut? Hartmut, mi
senti?» quasi urlò Ben nel cellulare ottenendo
però in risposta solo un
fastidioso fruscio.
Chiuse la comunicazione e guardò i colleghi.
«Il mio cellulare non prende.» esclamò
Max.
«Nemmeno il mio.» costatò Semir
«Mi sa che Schwarzer ha avuto quest’idea ancora
prima del nostro Einstein.».
«Già... ci ha fregati di nuovo.».
Aggiornamento
un po’ tanto veloce... Grazie a Maty, Furia,
Chiara, Reb e Miki per le recensioni! Ancora tre capitoli e abbiamo
finito.
Un bacio
Sophie :D