Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    22/07/2014    3 recensioni
Sono passati ormai tre mesi dalle ultime avventure dei nostri protagonisti e molte cose sono cambiate: Semir non è più in polizia, Clara aspetta un bambino e Ben ha un nuovo collega. Ma cosa succederà quando un nuovo caso piomberà tra le mani della polizia autostradale? Una storia di viaggi in terre lontane, di ricerche, amori e tradimenti, di amicizia, di fiducia e di paura. Un turbinio di fatti che sconvolgerà le vite degli ispettori toccandole una per una, questa volta forse con troppa violenza.
Consiglio, nonostante non sia necessario, di leggere prima di questa le altre storie della serie per comprendere meglio alcuni punti della trama.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
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Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare

Ben indossò il giubbotto antiproiettili e se lo sistemò addosso con cura. Poco distante, Semir faceva altrettanto. Dopo lunghe discussioni si era deciso che sarebbero andati solo loro due all’appuntamento con Schwarzer, che per telefono aveva proposto ai poliziotti di andarsi a prendere la bambina, senza volere nulla in cambio: poteva essere una trappola e non era prudente cadervi tutti insieme.
Max ne sarebbe rimasto fuori perché troppo coinvolto e Bronte avrebbe trattenuto Rebecca insieme a lui in albergo.
«Pensi davvero che voglia consegnarci la bambina?» domandò Semir scettico mentre entrambi si dirigevano a piedi verso il luogo dell’appuntamento.
Ben scosse il capo «Penso che la piccola sia l’ultimo dei suoi pensieri, quello vuole vendicarsi e basta. Anzi, sai cosa ti dico Semir? Forse sarebbe meglio se andassi solo io.».
«Spero tu stia scherzando.» fece l’ispettore continuando a camminare nonostante il collega si fosse fermato un attimo in mezzo alla strada.
«Non sto affatto scherzando, tu hai Andrea e le bambine e questa storia non mi piace nemmeno un po’.» replicò il più giovane con aria preoccupata.
«Ben, non vale più questa scusa, adesso anche tu hai famiglia.» rispose il turco con tono che non ammetteva repliche.
Continuarono a camminare diretti sul luogo dell’appuntamento e quando arrivarono si fermarono, guardandosi intorno circospetti, temendo il peggio.
Eppure non accadeva niente, assolutamente niente. Nella piccola piazzola ai margini del paesino di El Fahim regnava un silenzio assoluto, interrotto solamente dal cinguettio di qualche uccellino.
«Semir... sicuro che il posto fosse questo?» bisbigliò Ben con la mano destra pronta sulla pistola.
Il collega annuì toccando con lo sguardo ogni angolo alla ricerca di qualcosa, di un segnale. Fu allora che notò qualcosa: qualcosa che si muoveva spuntando da dietro l’angolo di un palazzo color mattone. Indicò il punto al più giovane ed entrambi si avvicinarono lentamente.
Voltarono l’angolo, e ciò che videro li lasciò per qualche attimo senza parole.

La piccola Marie era seduta per terra, legata mani e piedi e imbavagliata e si dibatteva continuamente nel tentativo di chiamare aiuto.
Ben e Semir si lanciarono un rapido sguardo interrogativo e il primo slegò la piccola con un piccolo coltellino svizzero che portava dietro.
«Ehi piccola...» le disse togliendole il bavaglio «Tutto bene? Sei ferita?».
La bambina scosse il capo corrucciando la fronte, guardando i due uomini con espressione spaesata, ma non impaurita.
Non ottenendo risposta, il più giovane ripose la domanda, ottenendo però il medesimo risultato.
«Ben, ha cinque anni, non penso sappia il tedesco se è sempre vissuta qui.» osservò Semir e cominciò a parlarle dolcemente in turco. Allora Marie rispose e i due dialogarono per qualche minuto, sotto gli occhi stupiti di Ben, che non capiva una parola.
Assistette alla scena totalmente muto, osservando la piccola che consegnava  un foglio al collega, poi l’ispettore che la faceva alzare tenendola per mano e dicendole qualcosa.
Semir cominciò quindi a camminare per il piazzale con il foglio tra le mani, leggendo le fitte righe che esso conteneva.
«Posso sapere cosa mi sono perso?» domandò Ben curioso.
«Portiamo la bambina in albergo, qui non c’è nessuno, non è una trappola, volevano solo consegnarci questo foglio e la storia non mi piace nemmeno un po’.» spiegò Semir mentre tutti e tre si allontanavano dal piazzale e Ben prendeva in braccio Marie assicurandosi che nessuno le avesse fatto del male.
«Ma cosa c’è scritto?».
«Ora te lo leggo...».

“Carissimi ispettori Jager e Gerkhan,
perché lo so, sarete venuti solamente voi due...
Sorpresi di non aver trovato i miei uomini ad accogliervi? Io ho mantenuto la mia parola, ho liberato la bambina.
In cambio però voglio la vendetta. Per voi è appena cominciato l’Inferno, ispettori, con adesso inizia un incubo da cui mai più vi risveglierete.
In questi giorni avete gravemente compromesso la mia organizzazione e adesso pagherete, perché per ogni cosa c’è un prezzo da pagare.
Ah, la vendetta, solo il pensiero mi allieta l’animo.
Mi vendicherò Gerkhan, Jager, riferitelo pure anche ai vostri colleghi, anche a mio figlio già che ci siete: mi vendicherò di voi quattro il prima possibile... e vi assicuro che vi pentirete di essere nati.
Vi auguro una buona giornata.
Carl Schwarzer”.

 


Pochi minuti dopo Ben, Semir e la piccola Marie si trovavano nella solita camera d’albergo. Madre e figlia si erano riabbracciate ed era seguito un momento di serenità che però non era durato a  lungo. Gli ispettori avevano letto la lettera ai colleghi e l’atmosfera era tornata cupa come poco prima alla velocità della luce.
«Quel bastardo... se lo vedo giuro che lo strozzo con le mie mani.» mormorò Max. Non era arrabbiato, era furioso, fuori di sé. Non aveva mai avuto un buon rapporto con suo padre, ma mai avrebbe creduto che quell’uomo potesse essere il capo di una delle più importanti organizzazioni criminali in ambito addirittura internazionale. E se prima per Carl aveva solo provato indifferenza, adesso la sfera dei sentimenti che provava per lui ruotava solo ed esclusivamente intorno all’odio: odio per un padre che non c’era mai stato e che ricompariva dopo tanti anni nei panni di un mostro, di un criminale in cerca di vendetta anche nei confronti del proprio figlio poliziotto.
Il telefono di Ben squillò interrompendo bruscamente quel silenzio inquieto che si era venuto a creare e il giovane ispettore rispose in attesa di buone notizie: «Sì, Jager.».
«Ben, sono Hartmut!».
«Einstein!» Ben attivò il vivavoce in modo che tutti potessero ascoltare e raccontò tutto ciò che era successo al tecnico della scientifica, che in quel momento si trovava al comando accanto a Dieter e Susanne.
«Questo è tutto. Il problema è che adesso questo Schwarzer si vuole vendicare e noi non abbiamo idea del “come”.».
«Forse io una mezza idea l’avrei.» commentò quindi lo scienziato.
«Davvero? Illuminaci Einstein, che ne abbiamo bisogno.» implorò Semir, sconfortato.
«Dunque, voi siete quattro poliziotti tedeschi in terra straniera e alloggiate in un piccolo paesino sperduto in Turchia, luogo che non conoscete, e non potete nemmeno contare sull’aiuto della polizia del posto. Siete totalmente soli...».
«Signor Freund, potrebbe essere più conciso per favore?» domandò Bronte cominciando a spazientirsi.
«Commissario, fa sempre così, ci dovrà prendere l’abitudine.» gli sussurrò Ben alzando le spalle.
«Sì sì, agli ordini.» esclamò invece il rosso dall’altro capo del telefono «In poche parole, se io fossi un criminale in cerca di vendetta, vorrei per prima cosa che voi foste soli e completamente isolati. Vorrei che non poteste contare su nessuno, assolutamente nessuno, nemmeno sui mezzi di comunicazione che vi legano a noi qui in Germania. Infondo è grazie a questi se avete scoperto tutto ciò che sapete sul conto dell’organizzazione.».
«Bene, sono d’accordo, ma questo è possibile?» domandò Ben corrugando la fronte.
«Sì, possibilissimo. Ho giusto dato un’occhiata via internet alla città, ho un programma particolare che mi permette di guardare come dal vivo il paese angolo per angolo e...».
«Hartmut!!».
«Va bene, va bene.» si scusò il tecnico «In breve: i cavi che servono alle comunicazioni telefoniche fra i cellulari sono tutti raggruppati in un unico contenitore appena fuori dal paesino, al confine opposto rispetto a quello in cui si trova il vostro albergo. Basterebbe tagliare quei fili per provocare un, chiamiamolo così, “blackout” totale nel campo delle comunicazioni. In tal caso i cellulari sarebbero totalmente inutili e voi sareste ancora più isolati. Anche perché in paese non esistono cabine telefoniche funzionanti a quanto so.».
«Fantastico, allora dovremmo muoverci ed evitare che... Hartmut? Hartmut, mi senti?» quasi urlò Ben nel cellulare ottenendo però in risposta solo un fastidioso fruscio.
Chiuse la comunicazione e guardò i colleghi.
«Il mio cellulare non prende.» esclamò Max.
«Nemmeno il mio.» costatò Semir «Mi sa che Schwarzer ha avuto quest’idea ancora prima del nostro Einstein.».
«Già... ci ha fregati di nuovo.».

Aggiornamento un po’ tanto veloce... Grazie a Maty, Furia, Chiara, Reb e Miki per le recensioni! Ancora tre capitoli e abbiamo finito.
Un bacio
Sophie :D

  
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