Autore: Lalani
Titolo: Fallen Star(On The Way Down)
Personaggi/Pairing: Neji/Saku
Genere: Romantico, Malinconico
Rating: Verde
Avvertimenti: Oneshot
Fiore scelto e motivazione: Stella alpina(Leontopodium
alpinum):
perché
Neji nei primi episodi è freddo, distante, irraggiungibile.
Lui stesso si crede
superiori ai comuni abitanti di Konoha( i volgari fiori di prato) e
rimane
imperterrito sulla sua montagna. Eppure lui stesso si sente inferiore
alla
casata principale, che incombono su di lui, come le stelle sulla stella
alpina,
un fiore che ha il loro stesso nome ma non che non può
vantare la loro potenza.
Neji riuscirà a trovare conforto in un rosato fiore di
prato, volgare ma
audace, invece di rimanere sulla sua montagna, solo, come la stella
alpina?
La vita
di Neji era iniziata con una piccola prefazione, una frase incorniciata
tra due
parentesi.
Come se
non fosse importante, solo una nota, un contratto di sangue neanche
troppo
complicato da stipulare.
D’altro
canto, lui non aveva scelta.
Neji era
nato immacolato e urlante come tutti, ma già con una
sentenza senza peccato che
gli pesava sulle spalle esili, come se gli fosse già stato
impresso il sigillo(
come se già fosse stato scritto il suo destino).
Lui era
un surrogato, una spalla ossuta appena sfiorata dalla casata
principale, coi suoi
occhi lucenti, per sostenere con perfezione la sua potenza.
Perché
la
casata principale risplendeva nel firmamento di Konoha, colorava il
cielo scuro
lungo l’orizzonte di un bianco latteo.
Erano le
stelle immortali, nate dalla notte, che nascondeva i loro ghigni di
superiorità
dietro mani guantate di luce.
E la
casata cadetta non poteva che gemere tra il fango e agognare il cielo
che li
aveva scartati come mele marce, con un esibizionistica caduta.
E allora
alzavano gli occhi pallidi al cielo e guardavano le stelle, loro
sorelle e loro
aguzzine, che li avevano ridotti in frammenti, petali bianchi e
rachitici. E
loro si arroccavano sopra i più deboli, gli abitanti
dell’ingenua terra, per
estendere le loro radici e per sfiorare il manto nero di quel padrone
così poco
magnanimo (per tornare a casa).
Così
aveva scritto il destino.
Fine del
prologo.
La storia
della stella alpina era spuntata fuori in
un uggioso pomeriggio di Novembre, sbucata fuori dalle gocce
capricciose che
ferivano i sottili fiori della villa.
Neji, che
aveva la fronte appoggiata contro la
finestra, era in compagnia dell’ennesima donna con gli occhi
smorti e i
movimenti asfissianti, che accerchiavano il bimbo nel tentativo di
trasmettergli un po’ di calore.
L’ennesima
donna che si spacciava per sua madre.
Era ancora il
tempo in cui Neji sorrideva, nel suo
candore infantile, davanti ai patetici tentativi della casata di
riempire il
vuoto lasciato dalla sua (vera) mamma.
Ma sorrideva,
comunque.
La donna
afferrò di nuovo la tazza celeste del tè e
lasciò che la sua mano la cullasse lentamente, lo sguardo
letale perso nel
vuoto. Poi ricominciò a parlare, malinconica, contagiata dal
cielo colorato di
ferro.
“La
stella alpina è il tipico simbolo della
montagna: glaciale e fredda, resiste alle intemperie stoicamente e
rimane
arpionata alla sua rupe. È un fiore sacro e selvaggio.
Forte.”
Neji sorrise
gentilmente alla donna e spostò le
iridi pallide lungo il contorno frastagliato delle montagne, come se
sperasse di
vedere il luccichio di quell’eroico fiore.
“Mi
piacerebbe essere forte come lei” mormorò Neji
“Lei no, Akiko-san?”
Il bimbo vide
appena l’ombra scura che attraversò
gli occhi austeri della donna, la scintilla verde d’invidia
che brillò come
l’ennesima morte di una fenice.
“Io..non
credo che lei sia felice”.
“Pensaci,
Neji” riprese sussurrando, mentre
intrecciava le mani “Quale fiore vorrebbe vivere in montagna,
tra le neve
omicida e senza la carezza del sole?Senza la corona che le spetta di
diritto?”
Un altro
sospiro.
“Mia
madre mi raccontava che la stella alpina non
era altro che una stella del cielo e viveva tra le sue sorelle,
lassù, nella trapunta
della notte. Ma, un brutto giorno, inciampò e
rimbalzò sulla terra, perdendo la
sua luce, che esplose in mille scintille durante la caduta.
Così ora è sola,
capisci Neji? Senza le sue sorelle, sotto la notte scura che era la sua
casa.
Sai, credo che lei stia sulle montagne proprio per osservare la sua
famiglia sorriderle
e per sognare di ritrovare il suo potere perduto. Ecco
perché ha accettato la
montagna, unico appiglio per la sua dimora. Unico sollievo per la sua
maledizione.”
Neji aveva
osservato con minuzia lo sfogo della
giovane donna dai nervi fragili, in netto contrasto con gli occhi
severi e i capelli
diritti. Era strano per un bimbo vedere un adulto tremare come scosso
dal vento
e sentire le sue palpabili paure emergere da sotto il manto
d’orgoglio.
“Come
noi, no?”
In fondo,
anche la casata cadetta agognava di
ritrovare il suo potere e la sua vera regia: sentiva di dover
condividere
quell’immenso prestigio con la casata principale, loro
simili, loro fratelli.
Neji
ignorò la sorpresa della donna e si ritrovò a
pensare alla stella alpina e alla maledizione, radicata sulle vette
innevate,
così simile alla sua, impressa nel sigillo smeraldino.
In fondo,
neanche lui voleva essere come la stella
alpina.
Ma lo era,
che la leggenda fosse vera o no; entrambi
erano accomunati da un destino freddo e indelebile.
“Ma
la stella alpina non potrebbe
accettare la sua maledizione e abbandonare la vetta? Perché
non scende e si
unisce agli altri fiori variopinti che nascono sotto
l’amorevole cura del sole?”
“Tu
credi che la stella alpina sia
come tutti gli altri fiori, Neji?Credi che la regina delle montagna, la
discendente delle stelle, dovrebbe dimenticare le sue radici e unirsi
alla
volgare plebe?”
Tu credi che
noi Hyuuga siamo come
i mediocri cittadini di Konoha, vuoti e infantili, senza una genealogia
da
annoverare e tramandare?
Davvero ci
credi inferiori, Neji?
“Akiko-san,
lei ha
mai…visto una stella alpina?
“No,
Neji: la
principessa si nasconde in un castello fortificato da rocce e ghiaccio.
Pochi
eletti possono vederla e guardarla agognare il cielo terso, mentre
sconta la
sua maledizione(di cui non ha colpa).”
Pochi eletti
possono
asciugare le lacrime di una stella alpina.
Fallen
Star
(On The Way Down)
“Sei solo una bugiarda!”
“Non
è vero! Io l’ho vista, te lo giuro!”
La
bimba si pose una mano sul petto, sopra quel cuore ancora
giovane e pulsante.
E
Neji strinse le dita sottili e precise in un pugno, indispettito
dal fatto che i suoi occhi miracolosi, ancora senza traccia di poteri
particolari,
non potessero riconoscere la verità dalla bugia.
“Solo
pochi eletti possono vedere questo fiore!”
continuò Neji
puntando il dito sull’immagine del fiore color latte che da
tempo attirava
l’attenzione del giovane Hyuuga cadetto.
“Allora
sono speciale! Anch’io ho il nome di un fiore,
sai?”
esclamò la bimba coi capelli corti corti (mentre Neji ce li
aveva già lunghi)
rosa trattenuti da un fiocco rosso. Due colori che ti facevano andare
insieme
gli occhi.
Un
tempo Neji avrebbe sorriso brevemente davanti allo sguardo
luminoso della bimba e alla sua voce eccitata, non tremula come quando
era in
compagnia della sua amichetta bionda.
Ma
il tempo dei sorrisi accondiscendenti era finito, morto e
sepolto.
Anzi,
si sorprese quando realizzò di aver notato più
volte quella
timida testa rosa tra i bimbi dell’accademia e di aver
registrato fin troppi
dettagli su di lei (che rispetto a lui
non era niente).
Uscì
dalla biblioteca pubblica, riunendosi alla scorta che
aveva portato lui e
Hinata a prendere in
prestito dei libri a loro piacimento.
Ovviamente
la cugina aveva preso un infantile volume
da colorare e già se lo mangiava con gli
occhi, desiderosa di riempire il bianco delle pagina(desiderosa
di eliminare il candore vuoto degli Hyuuga).
Invece
Neji sostenne lo sguardo curioso degli altri abitanti
(degli altri fiori indegni) trafiggendo le iridi scure e serie dei
cittadini
con le sue candide e inflessibili, mentre stringeva quasi dolorosamente
il suo
libro di botanica accuratamente nascosto tra i manuali di storia.
E
pensò che in quella città affollata faceva
davvero troppo caldo
per la stella alpina.
Non
c’era spazio per l’avventuroso e sacro fiore tra
quelle
erbacce da sradicare.
Non
c’era spazio per il genio incatenato degli Hyuuga tra quelle
persone vuote e quella bimba rosa che si proclamava degna di aver visto
una
stella alpina.
Non
c’era spazio per Neji ( un prodigio, un bimbo senza famiglia)
tra quelle stelle d’alabastro( la casata principale) che
filavano i loro
destini con noncuranza, imponendo le letali conseguenze dei loro gesti
su
spalle troppo esili per poterle sostenere.
Ma
davvero era inferiore a quei volti pallidi, nati dallo stesso
sangue, figli dello stesso grembo?
Davvero
era inferiore alla cugina che agognava la compagnia degli
altri bambini quando il resto della casata sognava il potere?
Davvero
era inferiore a quella bimba, limpida e fragile come un
fiore di campo, che aveva avuto l’onore di vedere la
discendente delle stelle?
Si
voltò a guardare la bambina col nome di un fiore ( che a lui
non importava…no di certo!) che, affiancata dalla madre,
riguardava con
attenzione la figura del fiore pallido e dai petali lanosi. La vide
annuire, il
volto lucido e sicuro, gli occhi infiammati e l’espressione
testarda, il roseo
orgoglio di chi sa di aver ragione.
E
Neji si accorse, con un sobbalzo ( lieve e trattenuto, senza far
traspirare la sorpresa) che stava guardando attraverso gli spessi muri
di
mogano della biblioteca, colorata da ampi fiumi di chakra protettivo
che fluiva
opalescente nell’edificio.
Il
Biakugan (per la prima volta) infiammava i suoi occhi gelidi.
Quella
notte sentì di poter sfiorare le stelle invidiose con la
punta delle dita.
E
si sentiva particolarmente vicino alla stella alpina, che
aspettava sulla vetta di riavere la propria corona.
Peccato
che il Biakugan non potesse scorgere quel fiore innevato e
senza profumo, che però, calata la notte,
costellò i sogni di Neji.
Come
la stella alpina
sopravviveva(sola e dispersa) in quell’inferno di ghiaccio,
lui sarebbe
sopravissuto al destino che gli era stato marchiato sulla fronte.
Non
era inferiore a
nessuno.
“Alla fine hanno
detto che il mio esame
passerà alla storia…in fondo, chi può
reggere il confronto con me?”
Quale fiore appassito e screziato di
malva
selvatica può superare l’immortale regina delle
nevi?
Neji
sedeva composto
con le dita ordinatamente intrecciate su una lapide albina, resa quasi
diafana
dal pallido sole che tentava di reagire alle brezze autunnali, ormai
sopraggiunte a Konoha.
Il
neo-genin continuava
a sfiorare il copri fronte argentato appena ricevuto e già
intrecciato sulla
fronte, per nascondere la terribile maledizione imposta dal destino.
Il
volto di Hizashi
Hyuuga era stato incorniciato da una sottile foglia d’oro e
posta all’estrema
destra della lapide, dove veniva leggermente oscurata dal piccolo pino
che,
secondo l’usanza Hyuuga, avrebbe attinto vita ed energia dal
corpo sotto le sue
radici.
Neji da piccolo aveva atteso
invano la nascita
delle stelle alpine, credendo che i sogni e il destino di suo padre si
materializzassero sotto le forme del fiore maledetto dal cielo.
Ma
forse era meglio
così: quale stella alpina avrebbe voluto essere rilegata su
una tomba, immobile
e lontana dalla sua casa, frapposta tra il cielo e il regno dei fiori
indegni?
E
Neji non aveva ancora avuto l’onore di vedere il candore
dei suoi petali.
Quali
imprese dovrà compiere, quale infausto destino
dovrà
combattere, per ricevere
l ’approvazione
della stella alpina?
Un
venticello freddo
anticipava la venuta dell’autunno, ma le braccia forti e nude
di Neji non
risentivano del clima, abituate a temperature più rigide.
Come
la stella alpina,
no?
“Ormai
sono un genin,
un ninja. Sono in squadra con due bambocci ma non ti preoccupare, non
ho
bisogno d’aiuto: basta solo che non mi mettano i bastoni fra
le ruote.”
Neji
riprese il suo (soliloquio)
discorso col padre, che riceveva la visita settimanale del figlio con
lo stesso
sorriso dolce oscurato dall’alberello (e il sigillo
smeraldino sfavillante
sulla fronte ampia).
Neji
esibì una smorfia
soddisfatta.
Il
tempo
dei sorrisi accondiscendenti era finito, morto e sepolto.
Assieme
a te, padre.
“Hiashi-sama
sembrava particolarmente
infastidito dal fatto che avessi passato l’esame col massimo
dei voti senza
colpo ferire…mi chiedo se Hinata-sama riuscirebbe mai a
dargli una simile
soddisfazione” mormorò poi, ironico, scartando
immediatamente l’ipotesi che gli
era sorta in mente.
Ricalcò
ancora una volta i contorni del
simbolo di Konoha marchiato sul coprifronte.
“Anche
tu saresti fiero di me, padre”.
E
per un attimo Neji avrebbe voluto
vedere qualcosa di più di quel sorriso perenne( come la
fioritura della stella
alpina), di quegl’occhi di vetro senza luce( come i petali
del fiore caduto dal
cielo).
Non
avrebbe voluto vedere quel sigillo
dall’odore di morte, perché sapeva che il corpo di
suo padre sotto terra, tra
le radici, ne era privo.
Era
tornato a casa.
In
cielo, tra le stelle.
All’improvviso
gli occhi miracolosi di
Neji raccolsero l’immagine di una figura che camminava
velocemente
attorniata
da una aureola di capelli
lunghi e opachi, visti attraverso il biakugan, arma, non oggetto di
diletto.
Eppure Neji sapeva che erano di un vago rosa, profumati, lunghi (come i
suoi
ormai) e che non avevano mai smesso di duellare contro i colori che lei
indossava
sul suo corpo forte ma ancora acerbo.
(non
sapeva il suo nome, il nome di un
fiore…ma in fondo non era importante).
Eppure
aveva notato che quando si
arrabbiava le si dilatavano gli occhi.
Che
riusciva a sporcarsi con qualsiasi
cibo avesse in mano, dal ramen alla semplice mela.
Che
univa sempre le mani quando era
nervosa.
Che
mentre il biakugan vedeva tutto, i
suoi begli’occhi verdi guardavano solo l’Uchiha.
(ed
erano ciechi entrambi).
Con
un sussulto, si accorse che lei lo
stava salutando con la mano sottile al vento, i capelli che si
intrecciavano
con innata eleganza, le labbra strette in un sorriso molto diverso da
quello
enorme riservato all’Uchiha.
Era
sbucata nello stretto viale di
fronte al cimitero senza che Neji se accorgesse: imperdonabile errore.
Distolse
subito lo sguardo, lasciandolo
rotolare vago sulla tomba( brillante davanti ai particolari e cieco
davanti
all’evidenza).
Attese
pazientemente che la giovane
scivolasse dietro l’angolo con infantile eleganza,
pettinandosi distrattamente
i ciuffi.
Poi
Neji si alzò, raddrizzandosi
compostamente, come una stella alpina per respirare il vento freddo del
nord.
“A
presto, padre” mormorò con gli occhi
grigi imperlati di solitudine, mentre scrutava ancora una volta il
sigillo
smeraldino sulla fronte paterna( quel sigillo che ormai era svanito).
Dovette
percorrere la strada principale
per tornare alla villa, quella colorata ed esplosiva, impregnata di
odori paesani
e urla piangenti, tinteggiata qua e là da strumenti
sfavillanti e ghigni
proibiti.
Neji
sbuffò: odiava passeggiare per
Konoha, così disordinata rispetto al pallore di villa
Hyuuga, sfacciata,
insanguinata dal tramonto, banale, un campo incolto costellato di fiori
plebei
e senza futuro.
Quale
stella alpina avrebbe sopportato la loro stupidità e la loro
superbia?
Il
destino aveva scritto così.
Una
chioma rosa, sfumata d’arancio,
sfavillò tra la folla grigia. Un lieve sussulto, un battito
più veloce.
Non
era lei.
Solo
per
quella chioma rosa la stella alpina pareva sporgersi dalla vetta e
voler quasi
lasciare la fredda valle per incontrarla nel disordinato prato mortale.
Ma
il
destino aveva diversi progetti.
Eccola,
la famosa stella cadente.
Quella
che Neji aspettava da piccolo con trepidazione,
martoriandosi le labbra. E poi sorrideva quando iniziava il naturale
spettacolo
pirotecnico, il canto del cigno, che raccoglieva le speranze
impossibili dei
mortali.
E
Neji desiderava di poter ricevere tanti nuovi giocattoli che
avrebbe potuto usare solo lui, ignaro che il suo destino potesse essere
così
simile a quelle stelle innocenti sacrificate e cosparse sulla terra,
trasformate in nobili fiori che appartenevano al cielo.
Eppure
eccola lì, la stella cadente, la vera debole, che si era
cullata in quel manto di nuvole finché non era stata
strappata dall’abbraccio
del cielo e lasciata cadere al freddo, nel fango.
Una
stella che si
spegne sotto gli occhi avidi della stella alpina.
Davvero
era inferiore
a lei?
Hinata
continuava sputare sangue, linfa vitale per le radici aride
della stella alpina, che vedeva i suoi sogni realizzarsi, il cielo che
già
implorava il perdono, inchinandosi impaurito, tintinnante a causa dei
gioielli
che possedeva e che gli avrebbe regalato.
Il
viso esangue della ragazza era offuscato dall’ombra di quel
rumoroso ragazzino che si era messo a strepitare sugli spalti; eppure
gli occhi
d’avorio di Hinata riflettevano ancora il dolore che
imperversava nel suo esile
corpo. Ma il rimorso non segnava il viso del cugino.
In
fondo era lui la
vittima.
Non
si ricordava le parole imbevute di rancore che gli aveva
urlato il ragazzino, ma Neji non riuscì a scordarsi lo
sguardo smeraldino e
furioso della ragazza (quella ragazza, sempre lei).
Era
saltata giù dal palco velocemente e aveva guardata Hinata
spaventata non dal sangue che macchiava il terreno ma dalla sua
completa
mancanza di nozioni mediche.
Paura
ma voglia di imparare.
Ora
la ragazza aveva i capelli corti, che lui preferiva,( forse
perché non erano dedicati all’Uchiha) mentre i
suoi erano ancora lunghi lunghi.
Ma
gli occhi verdi non erano cambiati, erano ancora brucianti e
passionali, impauriti ma decisi. E la scintilla d’odio che li
aveva
attraversati era dedicata totalmente ai suoi (maledetti) occhi bianchi.
Quella
sera Neji ritornò a villa Hyuuga accompagnato dai sorrisi
della casata principale( le stelle che guardavano ammirate il fiore
alpino).
“Le
tue capacità sono notevoli, Neji. Sei l’unico del
tuo gruppo
ad essere stato ammesso al torneo finale e sei tra i favoriti. Mi
aspetto una
vittoria schiacciante tra un mese: ricordati che non solo gareggerai
per la
promozione, ma per l’onore di tutto il clan Hyuuga”
aveva mormorato con voce
atona Hiashi Hyuuga durante la cena.
E
Neji si era beato degli altri occhi pallidi, gemelli dei suoi ma
dal diverso destino, che lo accarezzavano con un battito di ciglia,
prima di
ricominciare a tagliare i piatti prelibati appena serviti.
“Non
vi deluderò, Hiashi-sama. Sono consapevole della fiducia che
mi date”.
L’uomo
annuì severamente, accompagnato dal ghigno ammirato di
Hanabi.
All’estrema
destra della tavolata, un posto vuoto (una persona
invisibile).
Neji
comunicò la vittoria anche alla lapide del padre, gioioso e
caloroso come poche volte.
Gesticolava
entusiasta, desideroso di piantare le radici nel mondo
che gli apparteneva.
“Padre,
presto il nostro sogno si avvererà: la stella alpina
potrà
tornare a casa e dimostrare la sua forza alle stelle, al mondo, al
cielo. Il
destino mi accompagnerà stavolta. Ti raggiungerò,
padre.”
E
Hizashi sorrideva( sempre, sempre, sempre) e brillava di
felicità riflessa.
Eppure
quando a Neji tornava in mente quello sguardo fiammeggiante
tra la purezza del verde, gli veniva voglia di rimanere sulla terra
ancora un
po’ di tempo.
Il
tempo di chiedere
scusa.
Mezashita no wa aoi aoi ano sora.
You only have eyes for that blue, blue
sky.
(Naruto opening 13)
Il
mondo sembrava stranamente alto e
informe da quel punto di vista, come se il disordinato
campo plebeo avesse
raggiunto le montagne,
regno della stella alpina.
Ma
era impossibile, no?
Nessun
fiore schiacciato dal vento
primaverile poteva competere con la glaciale bellezza della stella
alpina.
Eppure
erano tutti lì, quei fiori
vermigli e bugiardi, volgari e screziati di scherno, abbronzati dal
sole
cocente. Erano tutti lì, a ballare un girotondo attorno alla
loro regina caduta.
Neji
era steso a terra, tra la polvere
che incipriava il suo viso latteo e offuscava la sua vista perfetta(
che
vedeva, per la prima volta, il mondo terreno).
Del
sangue macchiava le sue labbra
candide, come tempo prima aveva imbrattato quelle di Hinata.
E
il ragazzino colorato di arancio
incombeva su di lui, il volto inciso di orgoglio ma anche di fatica,
brutale e
sudata, complice del sole abbagliante.
I
suoi occhi azzurri( più vivi, più
belli) guardavano senza paura le iridi del suo avversario.
Neji
sospirò.
Aveva
perso( perso perso perso perso).
Incredibile
che il suo acuto cervello
non riuscisse ad analizzare quella semplice nozione.
Rialzò
lo sguardo contro quello serio e
contro luce del ragazzino( Naruto), che portava sulle spalle le urla di
tutta
la folla( di tutti i fiori di campo)
E
lei
era lassù per fare il tifo al ragazzino. Lei,
così speciale, così lontana.
Ma
davvero
era inferiore a lei?
Naruto
strinse le labbra in un broncio
deciso.
Lo
voleva sradicare, era sicuramente
così: voleva tirare giù Neji dalla sua amata
vetta di orgoglio(solitudine) ed
esporlo alla pubblica
umiliazione.
Voleva
che gli altri fiori vedessero il
loro re naufragare, sciogliersi nel vento, la corona candida che
rotolava come
una testa mozzata.
Le
labbra del ragazzino si mossero
brevemente, in un tremolio appena accennato: stava per dichiarare la
sua
sentenza.
E
Neji non riusciva a far altro che
chiudere gli occhi e lasciare che le radici che aveva piantato
nell’orgoglio
sulla sua vetta venissero recise, mentre cercava di ignorare gli
strepitii
della folla e gli sguardi confusi degli altri Hyuuga, vagamente
spiazzati(
delle stelle che l’avrebbero condannato di nuovo).
Si
sarebbe piegato come un rachitico
narciso sull’orlo del fiume, sotto lo sguardo severo di
Hiashi-sama, di suo
padre, del mondo.
Il
destino l’aveva condotto a una
sadica trappola: ora la stella alpina era precipitata nella valle
sovrastata da
fiori invidiosi e maligni, con gli occhi vuoti e le corolle volgari,
che
volevano spezzarle i petali corposi e lanosi che l’avevano
protetta dalla
solitudine, come se volessero anche loro quel bel vestito.
Neji
già sentiva la stella alpina, le
sue urla strazianti, il caldo soffocante che la attanagliava, la sua
muta preghiera
supplicata al cielo che mai era sembrato così cieco, alle
sue sorelle che mai
erano sembrate così lontane.
Socchiuse
gli occhi e attese la
sanguinosa sentenza serenamente, ormai affranto e sconfitto, disteso
sul
patibolo.
“Io,
a differenza di te, non ti
considero un fallito”.
La
sentenza (confessione) di Naruto era
stata semplice ma profonda, agrodolce, cadenzata e armoniosa, balsamo
per la
mente di Neji schiavizzata dal rigore degli Hyuuga.
Naruto
aveva abbassato i petali in modo
da sfiorare l’animo di Neji, le foglie quasi a proteggerlo
con la sua ombra
sottile per confessargli il suo segreto, con innaturale calma.
Eppure
non l’aveva portato via dalla
sua vetta, non aveva distrutto il suo trono o insozzato il suo mondo
freddo con
i suoi colori accecanti: aveva soltanto fatto uso dell’eco,
che, rimbalzando,
era giunto tra la neve gelida, nel mondo segreto dove si era
nascosta(imprigionata)la stella alpina, la solitaria dama delle nevi
dai petali
candidi.
Naruto
si allontanò con passo lento ma
forte mentre Neji guardava il cielo che tanto agognava, contornato dai
fiori
urlanti che però lo avevano risparmiato, seguendo il nobile
esempio di Naruto.
Fece
bene a contenere la commozione e
la frustrazione repressa, perché ebbe il tempo di sfogarla,
quando ricevette la
lettera del padre.
E
scoprì che Hizashi aveva raggiunto le
stelle senza morire: la libertà e la serenità di
adempire il suo dovere per il
bene della casata e della sua famiglia.
Ricalcò
con delicatezza la grafia del
padre, quelle lettere sottilissime come petali sospinti dal vento,
quelle “g”
anoressiche e quei punti decisi: la prova vivente dell’amore
di suo padre e
della morte di quel destino maledetto che l’aveva relegato in
quella terra malvagia.
Lacrime
scorrevano dalla regina delle
nevi, per non aver approfittato di quel prato colorato e di aver
disperato di
raggiungere un mondo che non gli apparteneva( che non voleva
più vedere).
Forse
era davvero inferiore a Hinata,
che sognava i balocchi colorati di quei bimbi che giocavano nei vicoli.
Forse
era davvero inferiore a Naruto
che ululava solo perché aveva voglia di dire che esisteva ( ed era sempre esistito)
Forse
la stella alpina non aspettava
altro che sporgersi dalla vetta e osservare con occhi imperlati di neve
i
comuni mortali coi loro colori infuocati.
Forse
era davvero inferiore a lei, dallo sguardo di smeraldo infuocato, dai
gesti
fatati e dai capelli corti corti.
E
ringraziò il destino che fossero lì,
tutti insieme, in quel mondo imperfetto.
Signore
e signori, osservate.
La
stella alpina ha rinunciato alla glaciale solitudine per scendere nella
valle.
E
il
prologo con lettere insanguinate, dite voi?
Ma
il
sangue può essere lavato via, curioso pubblico.
Basta
assorbire la terribile fatalità degli eventi e poi
rinascere, pulendo i delitti
passati.
Ormai
il
prologo può esser bruciato e strappato: la storia
può iniziare dall’inizio,
senza maledizioni o regole.
Guardatela,
la regale stella alpina che si prepara, si lava i petali con
delicatezza e
guarda senza nostalgia il cielo.
Gentile
pubblico, ha abbandonato la montagna gelida e distrutto la maledizione
che
gravava sulle sue soffici foglie: ora corre, incerta ma decisa, verso
la valle.
Applausi,
prego.
And on the way down
I saw you
And you saved me
From myself
(Ryan Cabrera)
Sakura.
Tra
tanti dettagli, fronzoli, sogni e ipotesi varie, non aveva mai
ascoltato il suo nome, ma aveva solo notato particolari staccati e
spezzati, un
puzzle d’emozioni che non sapeva comporre.
Ma
ora aveva un titolo, un’idea, un’ ispirazione. Un
nome da cui incominciare
ad amare.
Sakura.
Ed
era così semplice, ma non banale, solo leggere e flessibile,
confermava
una dolcezza nuova: era come se l’avesse sempre saputo, fosse
sempre nascosto
tra i suoi sogni ma che solo ora potesse vederlo alla luce del sole.
Sakura:
fiore di ciliegio.
E
proprio ora che si stava staccando dall’albero madre, per
fluttuare
libero, era finito sull’asfalto senza vita, boia dei fiori
senza gambo,
fragili, che li decapitava senza esitazione o li lascia preda del caldo.
Era
finita nel buio degli occhi di Sasuke, che l’avevano
ipnotizzata con la loro glaciale intensità prima di
abbandonarla e lasciarla
lontana dal suo albero, dalla terra, linfa vitale.
E
ora lei si prosciugava in lacrime davanti a Naruto,
dichiarandosi colpevole di non aver salvato il ragazzo che amava,
permettendogli
di fuggire come un effimero fiore primaverile.
Almeno
aveva ancora la forza di piangere e di mostrare al mondo la
sua debolezza, dimostrando fiducia in loro e nel domani soleggiato che
sarebbe(
sicuramente) arrivato.
E
mentre Naruto alzava il pollice e scolpiva la promessa nel suo
cuore( la promessa di una vita) Neji non poteva che ammirare la forza
di
Sakura(perché così si chiamava)
nell’accettare quella promessa così gravosa.
Vide gli occhi verdi della ragazza mandare bagliori umidi ai suoi
perlacei,
densi come miele, ma speranzosi.
Neji
sospirò.
Poi
cominciò ad allontanarsi da Konoha( il suo, il loro
cielo)guardando i volti e imparando i nomi dei fiori che prima aveva
disprezzato, salutando con una strana naturalezza Lee, lasciando che il
suo sguardo
diafano si posasse un’ultima volta su Sakura.
Avrebbe
avuto la forza
di riportare quel traditore dalla pura e dolce Sakura, che ormai da
troppo
tempo tormentava i suoi sogni?
La
gelida stella
alpina sarebbe riuscita a far germogliare di nuovo il piccolo fiore del
ciliegio?
Neji
non lo sapeva, ma, sentendo i singhiozzi sempre più fiochi
di
Sakura, si rese conto che sarebbe riuscito almeno ad alleviare i suo
dolore.
L’amore
è un bellissimo fiore,
ma
bisogna avere il coraggio
di
coglierlo sull’orlo di un precipizio.
(Stendhal)
Sakura
si lavò le mani con vigore,
lasciando che le dita si curvassero a coppa e che portassero gocce
fredde sulla
fronte accaldata.
“Ancora
lui?Michiru, mandalo via!”
esclamò con un sorriso tirato all’infermiera coi
capelli turchesi circondati da
perline candide.
“Ehm…Sakura-sempai…
questa volta ha
detto che voleva parlarle di una cosa privata, non di una
visita” mormorò
incuriosita ma timida Michiru, mentre si disegnava tra i ciuffi lisci
boccoli
tondi.
Sakura
aggrottò le sopraciglia dritte,
poi alzò le spalle e si diresse con decisione verso la meta,
mentre Michiru
correva ad informare le colleghe del pettegolezzo.
Sakura
sbucò nel corridoio lindo, immobile e
cosparso di un silenzio rispettoso e palpabile, rotto soltanto dai
tacchi delle
sue scarpe, tintinnanti come campane.
Sfociò
in una sala d’attesa nella quale molti
pazienti guardavano con poca preoccupazione e molta
curiosità l’ospedale, segno
che erano (grazie al Cielo) pazienti occasionali( Lei non era ancora
abituata alla
rassegnata apatia dei pazienti che conoscevano le infermiere a memoria).
Tra quelle
figure impacciate regnava il profilo
altero di Neji, per lei Hyuuga-san, seduto come un leone pigro che
teneva
d’occhio le gazzelle in lontananza.
Sakura
provò un certo disagio quando gli occhi di
vetro del ragazzo si posarono nei suoi, senza indugiare, senza
lasciarli cadere
a terra o vagare sul resto del viso.
Fieri.
Precisi. Fatali.
Eppure
stranamente dopo l’incontro con Naruto il
giovane Hyuuga si vedeva più spesso nelle strade di Konoha,
con aria vagamente
spaesata, incerta. E i suoi occhi erano sembrati così
pallidi, mischiati a
quello della folla.
Eppure li
aveva visti anche ridenti e rilassati,
come quando era in compagnia di Lee e TenTen, che sembravano finalmente
aver
trovato il coraggio di integrare lo Hyuuga nel loro mondo.
Integrare la
fugace
e gelida stella alpina nel prato della vita.
Sakura si
avvicinò con un sorriso accennato(la sua
felicità era in lutto e le sue risate erano inni alla
menzogna da quando Sasuke-kun…).
“Hyuuga-san”
esordì con delicata ironia “quale
virus hanno contratto i suoi occhi per farti venire per la settima
volta in due
settimane nel mio reparto?”.
Sakura
incrociò le braccia e con un sorrisetto
sornione(che non aveva nulla del suo vero sorriso) attese i sintomi del
ragazzo.
Neji tuttavia
sorrise brevemente, scotendo il viso
e con lui i capelli da cui sbucava la ciocca tagliata da Shizune*.
“Haruno-san”
cominciò con un breve inchino “mi
dispiace abusare del tuo prezioso tempo, ma so che domani è
il tuo giorno
libero…e mi chiedevo se questo pomeriggio vorresti fare un
giro assieme a me”.
A quel punto
Sakura era rimasta lievemente
interdetta, in tutto il suo candore da fiore di ciliegio che conosceva
a
malapena il mondo al di fuori del suo albero.
Non
sentì le guance ustionarsi né il suo cervello
lambiccarsi per cercare una via di uscita: solo sentì i suoi
occhi sgranarsi e
il suo cuore saltellare come se amasse di più la vita,
all’improvviso.
Neji Hyuuga
era stato una figura particolare nella
vita di Sakura: aveva sempre saputo il suo nome e visto la sua vita, ma
non
sapeva niente delle sue manie e delle sue passioni.
Sembrava
lontano, algido( re della montagna)ma
valanghe di sentimenti si abbattevano dietro quegli occhi pallidi.
A Sakura
sarebbe sembrato normale sia vederlo
impassibile fino alla morte sia vederlo sciogliersi in lacrime sotto il
sole
cocente.
Eppure era
sempre stata una presenza statica nella
sua vita, scritta come uno copione ordinato, di cui lui era destinato a
essere
una comparsa per lei, e viceversa.
E Sakura
dispensava sorrisi a Neji, non
appassionati, non ridenti, non enormi(quelli erano per Sasuke-kun), ma
voleva…scalare quella maledizione, quel destino che si era
costruito con le sue
sofferenze per conoscere il vero Neji Hyuuga e poterlo avere vicino(
almeno per
un momento).
Maledetti
ormoni adolescenziali: loro decidono
tutto e non ti facevano capire niente.
Perché
sì, c’era un barlume di curiosità e di
tenerezza che gli ispirava Neji, ma il resto era nebbia.
Due ore dopo
Sakura maledì la tenerezza mentre si
sfregava le mani sul vestito cremisi, provando un effimero sollievo.
Risalì
altre due rocce arrampicandosi contro il
sole che scivolava dietro le montagne.
Ovvero quelle
che stavano scalando, bagnati di
sudore e rinfrescati dall’aria fresca che mai era stata
respirata.
“Hyuuga-san,
sei proprio sicuro che stiamo solo
cercando una stella alpina? Non è una specie di missione
segreta?” proruppe
Sakura con il fiatone, irritata, mentre Neji con il Biakugan trafiggeva
ogni
fessura.
“Ma
io che cosa centro?”sbuffò sedendosi su una
roccia piatta illuminata dal primo candore delle stelle, con uno
sguardo che
obbligò Neji a non ricominciare con la storia che
sei-stata-proprio-tu-a-dirmi-che-l’avevi-vista:
come faceva ricordarsi i frammenti di quando erano bambini, senza
dolori e
lacrime?
Il ragazzo si
voltò lievemente, come neve pallida,
senza interrompere la ricerca.
“Mi
sa che mi porti fortuna, Haruno-san” bisbigliò
sfoderando quel sorriso che era nato poche settimane prima, dalle
ceneri di una
maledizione distrutta ma ancora viva.
“Sakura-san,
per te” concluse Sakura con il solito
sorriso striminzito,che era morto in quella notte buia come le altre ma
senza
la sua alba.
Le stelle
brillavano come occhi curiosi sopra
Konoha ammantata da luci artificiali e sapori tradizionali, attirando
le iridi
lucenti dei due genin.
“Sembrano
quasi più vicine del solito…come se
volessero guadarci” sussurrò Neji, come se non
volesse rovinare il rispettoso
silenzio della notte, mentre la sua mano forte e liscia si andava
posare,
leggera come rugiada, su quella sottile di Sakura.
La ragazza
sentì il suo corpo sussultare, ma il suo
cuore rimanere fermo e fiducioso: era incredibile la sensazione di
calma e
familiarità che le ispirava Neji, come se il destino avesse
disegnato le loro
vite senza difficoltà, ripassandole con un tratto deciso,
senza sbavare le
parole tratteggiate di inchiostro.
Sakura
ricambiò la stretta con forza( amore) e
provò la voglia di ridere, di piangere, di vivere ancora,
non per l’amato
Sasuke-kun, ma per Neji che era tornato da quella missione maledetta.
“Grazie…Neji-san”.
E rimasero ad
osservare le stelle, ricambiando con
dolcezza lo sguardo di quei mondi così lontani, rimirando il
volto scuro della
notte riflessa negli occhi bianchi di Neji, dimentichi della regina
delle nevi.
“Chissà
dove sarà la stella
alpina…”
“Sai,
Sakura-san, potrebbe essere
tornata a casa, in cielo. Come me”.
“Cosa
vuoi dire?”
“Siamo
a casa perché abbiamo
trovato la felicità”.
Grazie.
E lo dico
poche volte, con sincerità.
Grazie ad
Audy e alle altre concorrenti.
Come primo
contest, mi reputo soddisfatta^_^
Dedicata a
Erica, che è nata oggi
e mi ha portato fortuna.
Mi sa che
quando sarò grande le
racconterò tutto…anche se è strano
pensare che tra dieci anni lei sarà ancora
una bambina e io ormai una donna.
Grazie e
benvenuta, Erica.
Vivi, amore
mio.