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Autore: Lalani    04/09/2008    2 recensioni
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“La vita di Neji era iniziata con una piccola prefazione, una frase incorniciata tra due parentesi. Come se non fosse importante, solo una nota, un contratto di sangue neanche troppo complicato da stipulare.” Neji è la stella alpina, entità superiore, regina delle nevi. Un piccolo fiore di compagna potrà donargli tutto quello che ha sempre desiderato?
Storia d'amore fra un divinità caduta e un fiore consapevole della sua forza[NejiSaku]
Prima classificata al contest floreale indetto da SweetAudy
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neji Hyuuga, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Autore: Lalani
Titolo:
Fallen Star(On The Way Down)
Personaggi/Pairing:
Neji/Saku
Genere:
Romantico, Malinconico
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Oneshot
Fiore scelto e motivazione:
Stella alpina(
Leontopodium alpinum): perché Neji nei primi episodi è freddo, distante, irraggiungibile. Lui stesso si crede superiori ai comuni abitanti di Konoha( i volgari fiori di prato) e rimane imperterrito sulla sua montagna. Eppure lui stesso si sente inferiore alla casata principale, che incombono su di lui, come le stelle sulla stella alpina, un fiore che ha il loro stesso nome ma non che non può vantare la loro potenza. Neji riuscirà a trovare conforto in un rosato fiore di prato, volgare ma audace, invece di rimanere sulla sua montagna, solo, come la stella alpina?


 

 

 

 

La vita di Neji era iniziata con una piccola prefazione, una frase incorniciata tra due parentesi.

Come se non fosse importante, solo una nota, un contratto di sangue neanche troppo complicato da stipulare.

D’altro canto, lui non aveva scelta.

Neji era nato immacolato e urlante come tutti, ma già con una sentenza senza peccato che gli pesava sulle spalle esili, come se gli fosse già stato impresso il sigillo( come se già fosse stato scritto il suo destino).

Lui era un surrogato, una spalla ossuta appena sfiorata dalla casata principale, coi suoi occhi lucenti, per sostenere con perfezione la sua potenza.

Perché la casata principale risplendeva nel firmamento di Konoha, colorava il cielo scuro lungo l’orizzonte di un bianco latteo.

Erano le stelle immortali, nate dalla notte, che nascondeva i loro ghigni di superiorità dietro mani guantate di luce.

E la casata cadetta non poteva che gemere tra il fango e agognare il cielo che li aveva scartati come mele marce, con un esibizionistica caduta.

E allora alzavano gli occhi pallidi al cielo e guardavano le stelle, loro sorelle e loro aguzzine, che li avevano ridotti in frammenti, petali bianchi e rachitici. E loro si arroccavano sopra i più deboli, gli abitanti dell’ingenua terra, per estendere le loro radici e per sfiorare il manto nero di quel padrone così poco magnanimo (per tornare a casa).

Così aveva scritto il destino.

Fine del prologo.

 

 

 

La storia della stella alpina era spuntata fuori in un uggioso pomeriggio di Novembre, sbucata fuori dalle gocce capricciose che ferivano i sottili fiori della villa.

Neji, che aveva la fronte appoggiata contro la finestra, era in compagnia dell’ennesima donna con gli occhi smorti e i movimenti asfissianti, che accerchiavano il bimbo nel tentativo di trasmettergli un po’ di calore.

L’ennesima donna che si spacciava per sua madre.

Era ancora il tempo in cui Neji sorrideva, nel suo candore infantile, davanti ai patetici tentativi della casata di riempire il vuoto lasciato dalla sua (vera) mamma.

Ma sorrideva, comunque.

La donna afferrò di nuovo la tazza celeste del tè e lasciò che la sua mano la cullasse lentamente, lo sguardo letale perso nel vuoto. Poi ricominciò a parlare, malinconica, contagiata dal cielo colorato di ferro.

“La stella alpina è il tipico simbolo della montagna: glaciale e fredda, resiste alle intemperie stoicamente e rimane arpionata alla sua rupe. È un fiore sacro e selvaggio. Forte.”

Neji sorrise gentilmente alla donna e spostò le iridi pallide lungo il contorno frastagliato delle montagne, come se sperasse di vedere il luccichio di quell’eroico fiore.

“Mi piacerebbe essere forte come lei” mormorò Neji “Lei no, Akiko-san?”

Il bimbo vide appena l’ombra scura che attraversò gli occhi austeri della donna, la scintilla verde d’invidia che brillò come l’ennesima morte di una fenice.

“Io..non credo che lei sia felice”.

“Pensaci, Neji” riprese sussurrando, mentre intrecciava le mani “Quale fiore vorrebbe vivere in montagna, tra le neve omicida e senza la carezza del sole?Senza la corona che le spetta di diritto?”

Un altro sospiro.

“Mia madre mi raccontava che la stella alpina non era altro che una stella del cielo e viveva tra le sue sorelle, lassù, nella trapunta della notte. Ma, un brutto giorno, inciampò e rimbalzò sulla terra, perdendo la sua luce, che esplose in mille scintille durante la caduta. Così ora è sola, capisci Neji? Senza le sue sorelle, sotto la notte scura che era la sua casa. Sai, credo che lei stia sulle montagne proprio per osservare la sua famiglia sorriderle e per sognare di ritrovare il suo potere perduto. Ecco perché ha accettato la montagna, unico appiglio per la sua dimora. Unico sollievo per la sua maledizione.”

Neji aveva osservato con minuzia lo sfogo della giovane donna dai nervi fragili, in netto contrasto con gli occhi severi e i capelli diritti. Era strano per un bimbo vedere un adulto tremare come scosso dal vento e sentire le sue palpabili paure emergere da sotto il manto d’orgoglio.

“Come noi, no?”

In fondo, anche la casata cadetta agognava di ritrovare il suo potere e la sua vera regia: sentiva di dover condividere quell’immenso prestigio con la casata principale, loro simili, loro fratelli.

Neji ignorò la sorpresa della donna e si ritrovò a pensare alla stella alpina e alla maledizione, radicata sulle vette innevate, così simile alla sua, impressa nel sigillo smeraldino.

In fondo, neanche lui voleva essere come la stella alpina.

Ma lo era, che la leggenda fosse vera o no; entrambi erano accomunati da un destino freddo e indelebile.

 

 

 

 

 

“Ma la stella alpina non potrebbe accettare la sua maledizione e abbandonare la vetta? Perché non scende e si unisce agli altri fiori variopinti che nascono sotto l’amorevole cura del sole?”

“Tu credi che la stella alpina sia come tutti gli altri fiori, Neji?Credi che la regina delle montagna, la discendente delle stelle, dovrebbe dimenticare le sue radici e unirsi alla volgare plebe?”

Tu credi che noi Hyuuga siamo come i mediocri cittadini di Konoha, vuoti e infantili, senza una genealogia da annoverare e tramandare?

Davvero ci credi inferiori, Neji?

 

 

“Akiko-san, lei ha mai…visto una stella alpina?

“No, Neji: la principessa si nasconde in un castello fortificato da rocce e ghiaccio. Pochi eletti possono vederla e guardarla agognare il cielo terso, mentre sconta la sua maledizione(di cui non ha colpa).”

Pochi eletti possono asciugare le lacrime di una stella alpina.

 

 

 

 

 

 

Fallen

Star

(On The Way Down)

 

 

 

 

 

“Sei solo una bugiarda!”

“Non è vero! Io l’ho vista, te lo giuro!”

La bimba si pose una mano sul petto, sopra quel cuore ancora giovane e pulsante.

E Neji strinse le dita sottili e precise in un pugno, indispettito dal fatto che i suoi occhi miracolosi, ancora senza traccia di poteri particolari, non potessero riconoscere la verità dalla bugia.

“Solo pochi eletti possono vedere questo fiore!” continuò Neji puntando il dito sull’immagine del fiore color latte che da tempo attirava l’attenzione del giovane Hyuuga cadetto.

“Allora sono speciale! Anch’io ho il nome di un fiore, sai?” esclamò la bimba coi capelli corti corti (mentre Neji ce li aveva già lunghi) rosa trattenuti da un fiocco rosso. Due colori che ti facevano andare insieme gli occhi.

Un tempo Neji avrebbe sorriso brevemente davanti allo sguardo luminoso della bimba e alla sua voce eccitata, non tremula come quando era in compagnia della sua amichetta bionda.

Ma il tempo dei sorrisi accondiscendenti era finito, morto e sepolto.

Anzi, si sorprese quando realizzò di aver notato più volte quella timida testa rosa tra i bimbi dell’accademia e di aver registrato fin troppi dettagli su di lei (che rispetto a lui non era niente).

Uscì dalla biblioteca pubblica, riunendosi alla scorta che aveva  portato lui e Hinata a prendere in prestito dei libri a loro piacimento.

Ovviamente la cugina aveva preso un infantile volume  da colorare e già se lo mangiava con gli occhi, desiderosa di riempire il bianco delle pagina(desiderosa di eliminare il candore vuoto degli Hyuuga).

Invece Neji sostenne lo sguardo curioso degli altri abitanti (degli altri fiori indegni) trafiggendo le iridi scure e serie dei cittadini con le sue candide e inflessibili, mentre stringeva quasi dolorosamente il suo libro di botanica accuratamente nascosto tra i manuali di storia.

E pensò che in quella città affollata faceva davvero troppo caldo per la stella alpina.

Non c’era spazio per l’avventuroso e sacro fiore tra quelle erbacce da sradicare.

Non c’era spazio per il genio incatenato degli Hyuuga tra quelle persone vuote e quella bimba rosa che si proclamava degna di aver visto una stella alpina.

Non c’era spazio per Neji ( un prodigio, un bimbo senza famiglia) tra quelle stelle d’alabastro( la casata principale) che filavano i loro destini con noncuranza, imponendo le letali conseguenze dei loro gesti su spalle troppo esili per poterle sostenere.

Ma davvero era inferiore a quei volti pallidi, nati dallo stesso sangue, figli dello stesso grembo?

Davvero era inferiore alla cugina che agognava la compagnia degli altri bambini quando il resto della casata sognava il potere?

Davvero era inferiore a quella bimba, limpida e fragile come un fiore di campo, che aveva avuto l’onore di vedere la discendente delle stelle?

Si voltò a guardare la bambina col nome di un fiore ( che a lui non importava…no di certo!) che, affiancata dalla madre, riguardava con attenzione la figura del fiore pallido e dai petali lanosi. La vide annuire, il volto lucido e sicuro, gli occhi infiammati e l’espressione testarda, il roseo orgoglio di chi sa di aver ragione.

E Neji si accorse, con un sobbalzo ( lieve e trattenuto, senza far traspirare la sorpresa) che stava guardando attraverso gli spessi muri di mogano della biblioteca, colorata da ampi fiumi di chakra protettivo che fluiva opalescente nell’edificio.

Il Biakugan (per la prima volta) infiammava i suoi occhi gelidi.

Quella notte sentì di poter sfiorare le stelle invidiose con la punta delle dita.

E si sentiva particolarmente vicino alla stella alpina, che aspettava sulla vetta di riavere la propria corona.

Peccato che il Biakugan non potesse scorgere quel fiore innevato e senza profumo, che però, calata la notte, costellò i sogni di Neji.

Come la stella alpina sopravviveva(sola e dispersa) in quell’inferno di ghiaccio, lui sarebbe sopravissuto al destino che gli era stato marchiato sulla fronte.

Non era inferiore a nessuno.

 

 

 

 

 “Alla fine hanno detto che il mio esame passerà alla storia…in fondo, chi può reggere il confronto con me?”

   Quale fiore appassito e screziato di malva selvatica può superare l’immortale regina delle nevi?

Neji sedeva composto con le dita ordinatamente intrecciate su una lapide albina, resa quasi diafana dal pallido sole che tentava di reagire alle brezze autunnali, ormai sopraggiunte a Konoha.

Il neo-genin continuava a sfiorare il copri fronte argentato appena ricevuto e già intrecciato sulla fronte, per nascondere la terribile maledizione imposta dal destino. 

Il volto di Hizashi Hyuuga era stato incorniciato da una sottile foglia d’oro e posta all’estrema destra della lapide, dove veniva leggermente oscurata dal piccolo pino che, secondo l’usanza Hyuuga, avrebbe attinto vita ed energia dal corpo sotto le sue radici.

 Neji da piccolo aveva atteso invano la nascita delle stelle alpine, credendo che i sogni e il destino di suo padre si materializzassero sotto le forme del fiore maledetto dal cielo.

Ma forse era meglio così: quale stella alpina avrebbe voluto essere rilegata su una tomba, immobile e lontana dalla sua casa, frapposta tra il cielo e il regno dei fiori indegni?

E Neji non aveva ancora avuto l’onore di vedere il candore dei suoi petali.

Quali imprese dovrà compiere, quale infausto destino dovrà combattere, per ricevere

 l ’approvazione della stella alpina?

Un venticello freddo anticipava la venuta dell’autunno, ma le braccia forti e nude di Neji non risentivano del clima, abituate a temperature più rigide.

Come la stella alpina, no?

“Ormai sono un genin, un ninja. Sono in squadra con due bambocci ma non ti preoccupare, non ho bisogno d’aiuto: basta solo che non mi mettano i bastoni fra le ruote.”

Neji riprese il suo (soliloquio) discorso col padre, che riceveva la visita settimanale del figlio con lo stesso sorriso dolce oscurato dall’alberello (e il sigillo smeraldino sfavillante sulla fronte ampia).

Neji esibì una smorfia soddisfatta.

Il tempo dei sorrisi accondiscendenti era finito, morto e sepolto.

Assieme a te, padre.

“Hiashi-sama sembrava particolarmente infastidito dal fatto che avessi passato l’esame col massimo dei voti senza colpo ferire…mi chiedo se Hinata-sama riuscirebbe mai a dargli una simile soddisfazione” mormorò poi, ironico, scartando immediatamente l’ipotesi che gli era sorta in mente.

Ricalcò ancora una volta i contorni del simbolo di Konoha marchiato sul coprifronte.

“Anche tu saresti fiero di me, padre”.

E per un attimo Neji avrebbe voluto vedere qualcosa di più di quel sorriso perenne( come la fioritura della stella alpina), di quegl’occhi di vetro senza luce( come i petali del fiore caduto dal cielo).

Non avrebbe voluto vedere quel sigillo dall’odore di morte, perché sapeva che il corpo di suo padre sotto terra, tra le radici, ne era privo.

Era tornato a casa.

In cielo, tra le stelle.

     All’improvviso gli occhi miracolosi di Neji raccolsero l’immagine di una figura che camminava velocemente 

attorniata da una aureola di capelli lunghi e opachi, visti attraverso il biakugan, arma, non oggetto di diletto. Eppure Neji sapeva che erano di un vago rosa, profumati, lunghi (come i suoi ormai) e che non avevano mai smesso di duellare contro i colori che lei indossava sul suo corpo forte ma ancora acerbo.

(non sapeva il suo nome, il nome di un fiore…ma in fondo non era importante).

Eppure aveva notato che quando si arrabbiava le si dilatavano gli occhi.

Che riusciva a sporcarsi con qualsiasi cibo avesse in mano, dal ramen alla semplice mela.

Che univa sempre le mani quando era nervosa.

Che mentre il biakugan vedeva tutto, i suoi begli’occhi verdi guardavano solo l’Uchiha.

(ed erano ciechi entrambi).

Con un sussulto, si accorse che lei lo stava salutando con la mano sottile al vento, i capelli che si intrecciavano con innata eleganza, le labbra strette in un sorriso molto diverso da quello enorme riservato all’Uchiha.

Era sbucata nello stretto viale di fronte al cimitero senza che Neji se accorgesse: imperdonabile errore.

Distolse subito lo sguardo, lasciandolo rotolare vago sulla tomba( brillante davanti ai particolari e cieco davanti all’evidenza).

Attese pazientemente che la giovane scivolasse dietro l’angolo con infantile eleganza, pettinandosi distrattamente i ciuffi.

Poi Neji si alzò, raddrizzandosi compostamente, come una stella alpina per respirare il vento freddo del nord.

“A presto, padre” mormorò con gli occhi grigi imperlati di solitudine, mentre scrutava ancora una volta il sigillo smeraldino sulla fronte paterna( quel sigillo che ormai era svanito).

Dovette percorrere la strada principale per tornare alla villa, quella colorata ed esplosiva, impregnata di odori paesani e urla piangenti, tinteggiata qua e là da strumenti sfavillanti e ghigni proibiti.

Neji sbuffò: odiava passeggiare per Konoha, così disordinata rispetto al pallore di villa Hyuuga, sfacciata, insanguinata dal tramonto, banale, un campo incolto costellato di fiori plebei e senza futuro.

Quale stella alpina avrebbe sopportato la loro stupidità e la loro superbia?

Il destino aveva scritto così.

Una chioma rosa, sfumata d’arancio, sfavillò tra la folla grigia. Un lieve sussulto, un battito più veloce.

 Non era lei.

Solo per quella chioma rosa la stella alpina pareva sporgersi dalla vetta e voler quasi lasciare la fredda valle per incontrarla nel disordinato prato mortale.

Ma il destino aveva diversi progetti.

 

 

 

Eccola, la famosa stella cadente.

Quella che Neji aspettava da piccolo con trepidazione, martoriandosi le labbra. E poi sorrideva quando iniziava il naturale spettacolo pirotecnico, il canto del cigno, che raccoglieva le speranze impossibili dei mortali.

E Neji desiderava di poter ricevere tanti nuovi giocattoli che avrebbe potuto usare solo lui, ignaro che il suo destino potesse essere così simile a quelle stelle innocenti sacrificate e cosparse sulla terra, trasformate in nobili fiori che appartenevano al cielo.

Eppure eccola lì, la stella cadente, la vera debole, che si era cullata in quel manto di nuvole finché non era stata strappata dall’abbraccio del cielo e lasciata cadere al freddo, nel fango.

Una stella che si spegne sotto gli occhi avidi della stella alpina.

Davvero era inferiore a lei?

Hinata continuava sputare sangue, linfa vitale per le radici aride della stella alpina, che vedeva i suoi sogni realizzarsi, il cielo che già implorava il perdono, inchinandosi impaurito, tintinnante a causa dei gioielli che possedeva e che gli avrebbe regalato.

Il viso esangue della ragazza era offuscato dall’ombra di quel rumoroso ragazzino che si era messo a strepitare sugli spalti; eppure gli occhi d’avorio di Hinata riflettevano ancora il dolore che imperversava nel suo esile corpo. Ma il rimorso non segnava il viso del cugino.

In fondo era lui la vittima.

Non si ricordava le parole imbevute di rancore che gli aveva urlato il ragazzino, ma Neji non riuscì a scordarsi lo sguardo smeraldino e furioso della ragazza (quella ragazza, sempre lei).

Era saltata giù dal palco velocemente e aveva guardata Hinata spaventata non dal sangue che macchiava il terreno ma dalla sua completa mancanza di nozioni mediche.

Paura ma voglia di imparare.

Ora la ragazza aveva i capelli corti, che lui preferiva,( forse perché non erano dedicati all’Uchiha) mentre i suoi erano ancora lunghi lunghi.

Ma gli occhi verdi non erano cambiati, erano ancora brucianti e passionali, impauriti ma decisi. E la scintilla d’odio che li aveva attraversati era dedicata totalmente ai suoi (maledetti) occhi bianchi.

Quella sera Neji ritornò a villa Hyuuga accompagnato dai sorrisi della casata principale( le stelle che guardavano ammirate il fiore alpino).

“Le tue capacità sono notevoli, Neji. Sei l’unico del tuo gruppo ad essere stato ammesso al torneo finale e sei tra i favoriti. Mi aspetto una vittoria schiacciante tra un mese: ricordati che non solo gareggerai per la promozione, ma per l’onore di tutto il clan Hyuuga” aveva mormorato con voce atona Hiashi Hyuuga durante la cena.

E Neji si era beato degli altri occhi pallidi, gemelli dei suoi ma dal diverso destino, che lo accarezzavano con un battito di ciglia, prima di ricominciare a tagliare i piatti prelibati appena serviti.

“Non vi deluderò, Hiashi-sama. Sono consapevole della fiducia che mi date”.

L’uomo annuì severamente, accompagnato dal ghigno ammirato di Hanabi.

All’estrema destra della tavolata, un posto vuoto (una persona invisibile).

Neji comunicò la vittoria anche alla lapide del padre, gioioso e caloroso come poche volte.

Gesticolava entusiasta, desideroso di piantare le radici nel mondo che gli apparteneva.

“Padre, presto il nostro sogno si avvererà: la stella alpina potrà tornare a casa e dimostrare la sua forza alle stelle, al mondo, al cielo. Il destino mi accompagnerà stavolta. Ti raggiungerò, padre.”

E Hizashi sorrideva( sempre, sempre, sempre) e brillava di felicità riflessa.

Eppure quando a Neji tornava in mente quello sguardo fiammeggiante tra la purezza del verde, gli veniva voglia di rimanere sulla terra ancora un po’ di tempo.

Il tempo di chiedere scusa.

 

 

Mezashita no wa aoi aoi ano sora.

You only have eyes for that blue, blue sky.

(Naruto opening 13)

 

 

 

Il mondo sembrava stranamente alto e informe da quel punto di vista, come se il disordinato

 campo plebeo avesse raggiunto le montagne, regno della stella alpina.

Ma era impossibile, no?

Nessun fiore schiacciato dal vento primaverile poteva competere con la glaciale bellezza della stella alpina.

Eppure erano tutti lì, quei fiori vermigli e bugiardi, volgari e screziati di scherno, abbronzati dal sole cocente. Erano tutti lì, a ballare un girotondo attorno alla loro regina caduta.

Neji era steso a terra, tra la polvere che incipriava il suo viso latteo e offuscava la sua vista perfetta( che vedeva, per la prima volta, il mondo terreno).

Del sangue macchiava le sue labbra candide, come tempo prima aveva imbrattato quelle di Hinata.

E il ragazzino colorato di arancio incombeva su di lui, il volto inciso di orgoglio ma anche di fatica, brutale e sudata, complice del sole abbagliante.

I suoi occhi azzurri( più vivi, più belli) guardavano senza paura le iridi del suo avversario.

Neji sospirò.

Aveva perso( perso perso perso perso).

Incredibile che il suo acuto cervello non riuscisse ad analizzare quella semplice nozione.

Rialzò lo sguardo contro quello serio e contro luce del ragazzino( Naruto), che portava sulle spalle le urla di tutta la folla( di tutti i fiori di campo)

E lei era lassù per fare il tifo al ragazzino. Lei, così speciale, così lontana.

Ma davvero era inferiore a lei?

Naruto strinse le labbra in un broncio deciso.

Lo voleva sradicare, era sicuramente così: voleva tirare giù Neji dalla sua amata vetta di orgoglio(solitudine) ed esporlo alla pubblica umiliazione.

Voleva che gli altri fiori vedessero il loro re naufragare, sciogliersi nel vento, la corona candida che rotolava come una testa mozzata.

Le labbra del ragazzino si mossero brevemente, in un tremolio appena accennato: stava per dichiarare la sua sentenza.

E Neji non riusciva a far altro che chiudere gli occhi e lasciare che le radici che aveva piantato nell’orgoglio sulla sua vetta venissero recise, mentre cercava di ignorare gli strepitii della folla e gli sguardi confusi degli altri Hyuuga, vagamente spiazzati( delle stelle che l’avrebbero condannato di nuovo).

Si sarebbe piegato come un rachitico narciso sull’orlo del fiume, sotto lo sguardo severo di Hiashi-sama, di suo padre, del mondo.

Il destino l’aveva condotto a una sadica trappola: ora la stella alpina era precipitata nella valle sovrastata da fiori invidiosi e maligni, con gli occhi vuoti e le corolle volgari, che volevano spezzarle i petali corposi e lanosi che l’avevano protetta dalla solitudine, come se volessero anche loro quel bel vestito.

Neji già sentiva la stella alpina, le sue urla strazianti, il caldo soffocante che la attanagliava, la sua muta preghiera supplicata al cielo che mai era sembrato così cieco, alle sue sorelle che mai erano sembrate così lontane.

Socchiuse gli occhi e attese la sanguinosa sentenza serenamente, ormai affranto e sconfitto, disteso sul patibolo.

“Io, a differenza di te, non ti considero un fallito”.

La sentenza (confessione) di Naruto era stata semplice ma profonda, agrodolce, cadenzata e armoniosa, balsamo per la mente di Neji schiavizzata dal rigore degli Hyuuga.

Naruto aveva abbassato i petali in modo da sfiorare l’animo di Neji, le foglie quasi a proteggerlo con la sua ombra sottile per confessargli il suo segreto, con innaturale calma.

Eppure non l’aveva portato via dalla sua vetta, non aveva distrutto il suo trono o insozzato il suo mondo freddo con i suoi colori accecanti: aveva soltanto fatto uso dell’eco, che, rimbalzando, era giunto tra la neve gelida, nel mondo segreto dove si era nascosta(imprigionata)la stella alpina, la solitaria dama delle nevi dai petali candidi.

Naruto si allontanò con passo lento ma forte mentre Neji guardava il cielo che tanto agognava, contornato dai fiori urlanti che però lo avevano risparmiato, seguendo il nobile esempio di Naruto.

Fece bene a contenere la commozione e la frustrazione repressa, perché ebbe il tempo di sfogarla, quando ricevette la lettera del padre.

E scoprì che Hizashi aveva raggiunto le stelle senza morire: la libertà e la serenità di adempire il suo dovere per il bene della casata e della sua famiglia.

Ricalcò con delicatezza la grafia del padre, quelle lettere sottilissime come petali sospinti dal vento, quelle “g” anoressiche e quei punti decisi: la prova vivente dell’amore di suo padre e della morte di quel destino maledetto che l’aveva relegato in quella terra malvagia.

Lacrime scorrevano dalla regina delle nevi, per non aver approfittato di quel prato colorato e di aver disperato di raggiungere un mondo che non gli apparteneva( che non voleva più vedere).

Forse era davvero inferiore a Hinata, che sognava i balocchi colorati di quei bimbi che giocavano nei vicoli.

Forse era davvero inferiore a Naruto che ululava solo perché aveva voglia di dire che esisteva  ( ed era sempre esistito)

Forse la stella alpina non aspettava altro che sporgersi dalla vetta e osservare con occhi imperlati di neve i comuni mortali coi loro colori infuocati.

Forse era davvero inferiore a lei, dallo sguardo di smeraldo infuocato, dai gesti fatati e dai capelli corti corti.

E ringraziò il destino che fossero lì, tutti insieme, in quel mondo imperfetto.

 

 

Signore e signori, osservate.

La stella alpina ha rinunciato alla glaciale solitudine per scendere nella valle.

E il prologo con lettere insanguinate, dite voi?

Ma il sangue può essere lavato via, curioso pubblico.

Basta assorbire la terribile fatalità degli eventi e poi rinascere, pulendo i delitti passati.

Ormai il prologo può esser bruciato e strappato: la storia può iniziare dall’inizio, senza maledizioni o regole.

Guardatela, la regale stella alpina che si prepara, si lava i petali con delicatezza e guarda senza nostalgia il cielo.

Gentile pubblico, ha abbandonato la montagna gelida e distrutto la maledizione che gravava sulle sue soffici foglie: ora corre, incerta ma decisa, verso la valle.

Applausi, prego.

 

 

And on the way down
I saw you
And you saved me
From myself

(Ryan Cabrera)

 

 

 

Sakura.

Tra tanti dettagli, fronzoli, sogni e ipotesi varie, non aveva mai ascoltato il suo nome, ma aveva solo notato particolari staccati e spezzati, un puzzle d’emozioni che non sapeva comporre.

Ma ora aveva un titolo, un’idea, un’ ispirazione. Un nome da cui incominciare ad amare.

Sakura.

Ed era così semplice, ma non banale, solo leggere e flessibile, confermava una dolcezza nuova: era come se l’avesse sempre saputo, fosse sempre nascosto tra i suoi sogni ma che solo ora potesse vederlo alla luce del sole.

Sakura: fiore di ciliegio.

E proprio ora che si stava staccando dall’albero madre, per fluttuare libero, era finito sull’asfalto senza vita, boia dei fiori senza gambo, fragili, che li decapitava senza esitazione o li lascia preda del caldo.

Era finita nel buio degli occhi di Sasuke, che l’avevano ipnotizzata con la loro glaciale intensità prima di abbandonarla e lasciarla lontana dal suo albero, dalla terra, linfa vitale.

E ora lei si prosciugava in lacrime davanti a Naruto, dichiarandosi colpevole di non aver salvato il ragazzo che amava, permettendogli di fuggire come un effimero fiore primaverile.

Almeno aveva ancora la forza di piangere e di mostrare al mondo la sua debolezza, dimostrando fiducia in loro e nel domani soleggiato che sarebbe( sicuramente) arrivato.

E mentre Naruto alzava il pollice e scolpiva la promessa nel suo cuore( la promessa di una vita) Neji non poteva che ammirare la forza di Sakura(perché così si chiamava) nell’accettare quella promessa così gravosa. Vide gli occhi verdi della ragazza mandare bagliori umidi ai suoi perlacei, densi come miele, ma speranzosi.

Neji sospirò.

Poi cominciò ad allontanarsi da Konoha( il suo, il loro cielo)guardando i volti e imparando i nomi dei fiori che prima aveva disprezzato, salutando con una strana naturalezza Lee, lasciando che il suo sguardo diafano si posasse un’ultima volta su Sakura.

Avrebbe avuto la forza di riportare quel traditore dalla pura e dolce Sakura, che ormai da troppo tempo tormentava i suoi sogni?

La gelida stella alpina sarebbe riuscita a far germogliare di nuovo il piccolo fiore del ciliegio?

Neji non lo sapeva, ma, sentendo i singhiozzi sempre più fiochi di Sakura, si rese conto che sarebbe riuscito almeno ad alleviare i suo dolore.

 

 

 

 

L’amore è un bellissimo fiore,

ma bisogna avere il coraggio

di coglierlo sull’orlo di un precipizio.

(Stendhal)

 

 

 

Sakura si lavò le mani con vigore, lasciando che le dita si curvassero a coppa e che portassero gocce fredde sulla fronte accaldata.

“Ancora lui?Michiru, mandalo via!” esclamò con un sorriso tirato all’infermiera coi capelli turchesi circondati da perline candide.

“Ehm…Sakura-sempai… questa volta ha detto che voleva parlarle di una cosa privata, non di una visita” mormorò incuriosita ma timida Michiru, mentre si disegnava tra i ciuffi lisci boccoli tondi.

Sakura aggrottò le sopraciglia dritte, poi alzò le spalle e si diresse con decisione verso la meta, mentre Michiru correva ad informare le colleghe del pettegolezzo.

Sakura sbucò nel corridoio lindo, immobile e cosparso di un silenzio rispettoso e palpabile, rotto soltanto dai tacchi delle sue scarpe, tintinnanti come campane.

Sfociò in una sala d’attesa nella quale molti pazienti guardavano con poca preoccupazione e molta curiosità l’ospedale, segno che erano (grazie al Cielo) pazienti occasionali( Lei non era ancora abituata alla rassegnata apatia dei pazienti che conoscevano le infermiere a memoria).

Tra quelle figure impacciate regnava il profilo altero di Neji, per lei Hyuuga-san, seduto come un leone pigro che teneva d’occhio le gazzelle in lontananza.

Sakura provò un certo disagio quando gli occhi di vetro del ragazzo si posarono nei suoi, senza indugiare, senza lasciarli cadere a terra o vagare sul resto del viso.

Fieri. Precisi. Fatali.

Eppure stranamente dopo l’incontro con Naruto il giovane Hyuuga si vedeva più spesso nelle strade di Konoha, con aria vagamente spaesata, incerta. E i suoi occhi erano sembrati così pallidi, mischiati a quello della folla.

Eppure li aveva visti anche ridenti e rilassati, come quando era in compagnia di Lee e TenTen, che sembravano finalmente aver trovato il coraggio di integrare lo Hyuuga nel loro mondo.

Integrare la fugace e gelida stella alpina nel prato della vita.

Sakura si avvicinò con un sorriso accennato(la sua felicità era in lutto e le sue risate erano inni alla menzogna da quando Sasuke-kun…).

“Hyuuga-san” esordì con delicata ironia “quale virus hanno contratto i suoi occhi per farti venire per la settima volta in due settimane nel mio reparto?”.

Sakura incrociò le braccia e con un sorrisetto sornione(che non aveva nulla del suo vero sorriso) attese i sintomi del ragazzo.

Neji tuttavia sorrise brevemente, scotendo il viso e con lui i capelli da cui sbucava la ciocca tagliata da Shizune*.

“Haruno-san” cominciò con un breve inchino “mi dispiace abusare del tuo prezioso tempo, ma so che domani è il tuo giorno libero…e mi chiedevo se questo pomeriggio vorresti fare un giro assieme a me”.

A quel punto Sakura era rimasta lievemente interdetta, in tutto il suo candore da fiore di ciliegio che conosceva a malapena il mondo al di fuori del suo albero.

Non sentì le guance ustionarsi né il suo cervello lambiccarsi per cercare una via di uscita: solo sentì i suoi occhi sgranarsi e il suo cuore saltellare come se amasse di più la vita, all’improvviso.

Neji Hyuuga era stato una figura particolare nella vita di Sakura: aveva sempre saputo il suo nome e visto la sua vita, ma non sapeva niente delle sue manie e delle sue passioni.

Sembrava lontano, algido( re della montagna)ma valanghe di sentimenti si abbattevano dietro quegli occhi pallidi.

A Sakura sarebbe sembrato normale sia vederlo impassibile fino alla morte sia vederlo sciogliersi in lacrime sotto il sole cocente.

Eppure era sempre stata una presenza statica nella sua vita, scritta come uno copione ordinato, di cui lui era destinato a essere una comparsa per lei, e viceversa.

E Sakura dispensava sorrisi a Neji, non appassionati, non ridenti, non enormi(quelli erano per Sasuke-kun), ma voleva…scalare quella maledizione, quel destino che si era costruito con le sue sofferenze per conoscere il vero Neji Hyuuga e poterlo avere vicino( almeno per un momento).

Maledetti ormoni adolescenziali: loro decidono tutto e non ti facevano capire niente.

Perché sì, c’era un barlume di curiosità e di tenerezza che gli ispirava Neji, ma il resto era nebbia.

Due ore dopo Sakura maledì la tenerezza mentre si sfregava le mani sul vestito cremisi, provando un effimero sollievo.

Risalì altre due rocce arrampicandosi contro il sole che scivolava dietro le montagne.

Ovvero quelle che stavano scalando, bagnati di sudore e rinfrescati dall’aria fresca che mai era stata respirata.

“Hyuuga-san, sei proprio sicuro che stiamo solo cercando una stella alpina? Non è una specie di missione segreta?” proruppe Sakura con il fiatone, irritata, mentre Neji con il Biakugan trafiggeva ogni fessura.

“Ma io che cosa centro?”sbuffò sedendosi su una roccia piatta illuminata dal primo candore delle stelle, con uno sguardo che obbligò Neji a non ricominciare con la storia che sei-stata-proprio-tu-a-dirmi-che-l’avevi-vista: come faceva ricordarsi i frammenti di quando erano bambini, senza dolori e lacrime?

Il ragazzo si voltò lievemente, come neve pallida, senza interrompere la ricerca.

“Mi sa che mi porti fortuna, Haruno-san” bisbigliò sfoderando quel sorriso che era nato poche settimane prima, dalle ceneri di una maledizione distrutta ma ancora viva.

“Sakura-san, per te” concluse Sakura con il solito sorriso striminzito,che era morto in quella notte buia come le altre ma senza la sua alba.

Le stelle brillavano come occhi curiosi sopra Konoha ammantata da luci artificiali e sapori tradizionali, attirando le iridi lucenti dei due genin.

“Sembrano quasi più vicine del solito…come se volessero guadarci” sussurrò Neji, come se non volesse rovinare il rispettoso silenzio della notte, mentre la sua mano forte e liscia si andava posare, leggera come rugiada, su quella sottile di Sakura.

La ragazza sentì il suo corpo sussultare, ma il suo cuore rimanere fermo e fiducioso: era incredibile la sensazione di calma e familiarità che le ispirava Neji, come se il destino avesse disegnato le loro vite senza difficoltà, ripassandole con un tratto deciso, senza sbavare le parole tratteggiate di inchiostro.

Sakura ricambiò la stretta con forza( amore) e provò la voglia di ridere, di piangere, di vivere ancora, non per l’amato Sasuke-kun, ma per Neji che era tornato da quella missione maledetta.

“Grazie…Neji-san”.

E rimasero ad osservare le stelle, ricambiando con dolcezza lo sguardo di quei mondi così lontani, rimirando il volto scuro della notte riflessa negli occhi bianchi di Neji, dimentichi della regina delle nevi.

 

 

 

 

“Chissà dove sarà la stella alpina…”

“Sai, Sakura-san, potrebbe essere tornata a casa, in cielo. Come me”.

“Cosa vuoi dire?”

“Siamo a casa perché abbiamo trovato la felicità”.

 

 

 

 

 

 

Grazie.

E lo dico poche volte, con sincerità.

Grazie ad Audy e alle altre concorrenti.

Come primo contest, mi reputo soddisfatta^_^

 

Dedicata a Erica, che è nata oggi e mi ha portato fortuna.

Mi sa che quando sarò grande le racconterò tutto…anche se è strano pensare che tra dieci anni lei sarà ancora una bambina e io ormai una donna.

Grazie e benvenuta, Erica.

Vivi, amore mio.

  
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