Endless
time
Autore: MillyMalfoy
Pairing: Naruto/Hinata
Genere: Drammatico, Triste, One shot
Raiting: Verde
Fiore scelto: Myosotis, volgarmente conosciute come i Non ti
scordar di me. Vengono nominate anche le Calle, ma servono solo per far notare
il cambiamento di Hinata, Entrambi i fiori vengono utilizzati come sue
caratterizzazioni.
Introduzione: Vivere e morire possono essere entrambe
azioni difficili, ma vivere sapendo di stare morendo può essere impossibile.
Le ho osservate con attenzione....
Ci sono cose che non dipendono dalla nostra volontà e mai lo dipenderanno, ed è per questo che quelle cose quasi mai cambiano o mutano. Perché ogni oggetto in natura, ogni essere vivente segue il più semplice dei principi: “Nulla si crea, nulla si distrugge”.
Questo è quello che più mi preoccupa, questo è quello che riempie i miei pensieri, le mie lunghe monotone giornate.
In un letto di ospedale ogni giorno sembra eterno, ogni minuto sembra un inferno. Non vi è mai silenzio, non vi è mai pace, ma solo paura e incertezza, perché nessun medico parla la tua stessa lingua e non sai mai di chi puoi fidarti.
Troppe facce sconosciute, troppi sorrisi di circostanza, nessuno mai che ti dica di che morte dovrai morire e tu vorresti piangere, vorresti ogni tanto spezzare la tensione che ti sta uccidendo ancora prima di qualsiasi cancro o malattia venerea che tu potrai mai contrarre, ma non puoi lasciare le lacrime cadere giù.
Perché in ospedale c’è una medicina per qualsiasi cosa, e anche la tristezza che si porta con sé la paura, lì si concretizza in un nome: depressione.
Una malattia curabile, una malattia per cui basta una pillola.
Le ho accarezzate, e loro mi hanno fatto il solletico …
La vita è imprevedibile, frazionaria e confusa. La mia per lo meno lo è stata. Ho così tanti ricordi che si mescolano e miscelano in un turbine di colori e voci.
Il bianco su tutto, il giallo, il blu…
“Ti ho trovato
finalmente”.
Mi afferrasti la
vita e mi stringesti a te, il tuo petto che premeva lungo la mia schiena. Il
tuo cuore che batteva in sintonia con il mio.
Il rosso che colorava le mie guance. Cercai di
divincolarmi, ma tu non mi lasciavi via di fuga, aumentasti la tua presa su di
me, e allora ti dissi: “Naruto, lasciami ti prego”.
Eravamo semplici bambini, otto anni avevo, e così tu.
Eri sempre stato un ragazzino così solo e triste, ma io
ti ho sempre trovato adorabile.
“Hinata” mi dicesti
“ti ho preso. Ho vinto io questa volta” allentasti la presa e così poté
liberarmi e voltarmi. Ti guardai negli occhi e quello fu il momento esatto in
cui m’innamorai di te, in cui seppi che al di fuori di te non c’era vita, né
gioia.
“Sì, hai vinto” ti risposi e tu mi sorridesti, così dolce
e ingenuo.
L’odore solito dell’ospedale è inconfondibile, ma non perché sia più cattivo o intenso di qualsiasi altro sgradito odore, ma solo perché ti penetra attraverso le narici, e si infiltra in ogni più remoto anfratto dell’intestino e non ti abbandona mai, torna a casa con te, quasi come un monito, come un avvertimento.
Le ho annusate, e ho sognato di un grande prato …
Io sono qui, al mio quindicesimo giorno di ospedale, senza una via di fuga, senza più speranza, senza una consolazione.
Qualche anno fa se a qualcuno fosse importato, se qualcuno me lo avesse chiesto la cosa che più mi spaventava era dover affrontare la vita, ogni giorno, ma ora, oggi che sono qui, che sono più saggia risponderei, la cosa più difficile è morire.
Forse potrei aggiungere: sola.
Osservo la mia vicina di letto, sola al mondo, come me, impaurita, esattamente come me.
La ragione l’ha abbandonata nel momento in cui la vita le è sfuggita di mano, so perfettamente cosa si prova in queste situazioni, a me è successo così tanto tempo fa, che ho quasi dimenticato, che ho paura di ricordare.
Il vento portava via le foglie con sé, sollevandole da
terra e allontanandole dalla tua figura. Tu eretto di fronte a me. Noi ai piedi
di un secolare albero.
Tu t’inginocchiasti e dicesti: “Hinata vorresti
sposarmi?”
“No” ti risposi e vidi il tuo cuore spezzarsi, lo sentì,
perché fece il medesimo rumore del mio cuore nel rompersi. “Naruto-kun”ripresi
a dirti cercando di allontanarti, di giustificarmi. “Non puoi chiedermelo ora,
non puoi farlo solo per pietà, non posso permettertelo, non posso accettarlo”.
“Ti amo. No so altro” cercasti di convincermi, cercasti
di scusarti, ma io ti amavo troppo per lasciarti distruggere tutto.
“Io no” risposi, strinsi i pugni, ricordo ancora il
dolore, ricordo ancora i segni delle unghie sulle mani.
Ho lavorato in questo ospedale per giorni, mesi e anni, senza mai stancarmi, senza mai pentirmi della mia scelta. Era una vocazione, era una passione, e come ogni grande pulsione bisogna prendersi il proprio tempo e assecondarla. Io ho fatto esattamente questo. Ho smesso di combattere ogni mia altra volontà per assoggettarla al mio dovere: aiutare gli altri, donarmi al mio prossimo.
Ho vissuto fra queste mura, ho pianto osservando gli alberi appena fuori da queste finestre, ho riso e parlato e sperato insieme a queste persone che oggi mi osservano cupe, che fuggono dalla mia presenza, che mi mentono, che mi accarezzano il viso con pietà, che mi toccano nelle mie parti più intime, che laveranno via l’ultimo barlume di vita e umanità dal mio corpo.
Le ho fatte bere, assetate di vita …
Ti ho osservato per anni e non ti ho mai trovato in difetto. Fin dalla prima volta tu non hai mai sbagliato con me, sono sempre stata io l'unica colpevole tra di noi. Troppa immaginazione mescolata a un’ingenua cecità è stata la mia rovina.
Sono stata io a non capire, fin dal principio, come sarebbero finite le cose. Potevo vedere la tua energia da due leghe di distanza, chiara e nitida, come un sole fiero e brillante, ma non potevo, non riuscivo a vedere cosa avrebbe portato il domani.
Ogni promessa che ti ho fatto, l'ho miseramente infranta e tu avresti ogni ragione di odiarmi, ma avresti altrettante ragioni per ....
Sono rimasta sola con loro .... sembrava volessero dirmi
il tuo nome ....
Entrasti da quella piccola porta che ci permetteva di
entrare nel nostro mondo.
Il nostro giardino segreto, semplicemente la nostra casa
sull'albero.
Nessun altro ti ha mai voluto quanto ti abbia voluto io.
Nessuno ti avrebbe mai viziato quanto avrei fatto io.
Sorridevi sempre quando eravamo solo noi due sulla nostra
casa sull'albero. Era il giorno di San Valentino, eravamo due bambini, o due
ragazzi, eravamo comunque ignari del nostro futuro, e vogliosi di dimenticare
il nostro passato, perché ogni fantasia ci permette di essere eroi, di essere
ciò che avremmo sempre voluto essere.
Io ti stavo aspettando, come ho sempre fatto, in piedi di
fronte all'ingresso, con un ridicolo pacchetto fra le mie mani, te lo donai, e
arrossendo improvvisamente cercai di nascondere il mio viso dietro ai capelli,
ma tu eri pietrificato dalla sorpresa, e non notasti mai la mia vergogna, il
mio timore, il mio imbarazzo. Afferrasti automaticamente il pacchetto e lo apristi.
Una collana, semplice, sterile, esile, come le mie membra, come il mio
coraggio.
Ma carico di significato e sentimento, come ogni mio gesto per te. Un biglietto coronava il pacchetto, e solo dopo averlo aperto te ne accorgesti. Lo prendesti fra le tue mani e leggesti le parole che vi avevo scritto: “Al mio Naruto”.
L'emozione divenne troppo profonda e dolorosa da
controllare, e la tua mancanza di reazione non faceva che avvalorare ogni mia
paura, ogni mio dubbio, così scappai il più lontano possibile da te, dal nostro
paradiso, dal mondo che avevamo creato.
Due giorni passarono, io mi finsi malata pur di evitare
la scuola, pur di evitarti.
Ma la vita non può essere evitata, ne rimandata a lungo.
Mi aspettavi, la prima e unica volta che questo accadde
credo. Avevi un mazzo di fiori per me, un mazzo di calle, e un lungo biglietto
giaceva fra i fiori. Me lo diedi e scappasti, esattamente come avevo fatto io.
Osservai i fiori tutto il giorno, ma solo la sera
nell'intimo della mia camera da letto ebbi il coraggio di leggere quel
biglietto: “Alla mia Hinata, alla mia
migliore amica, alla ragazza migliore della scuola. Queste calle sono per te,
mi ricordano te, così bianche e pure, così gentili e delicate, così fresche e
ingenue, inesperte, immacolate”.
Le ho ritrovate oramai secche in mezzo ad un vecchio
libro che amavi così tanto... non credevo esistessero più ricordi di noi...
Ogni giorno mi sveglio sdraiata in questo letto, la mia malattia non mi da tregua, non mi da nemmeno la pace necessaria per poter sedermi e darmi un breve sollievo, una leggera speranza.
Ogni volta che un mio piede tocca terra, una lacerante fitta mi trapassa ogni fibra di ogni muscolo, le mie ossa urlano dal dolore, e il mio cervello non mi permette di riposare, il respiro si spezza e incomincio ad ansimare, sento il sudore colarmi lungo la pelle, vorrei piangere, ma non ci riesco, e resisto, stringo i denti e vado avanti, continuo a mettermi in piedi, ogni sera seduta nella speranza che qualcuno si ricordi di me: mio padre, per esempio.
Mio cugino, Neji è qui ogni giorno a pranzo e cena, mi osserva in silenzio, contrariato, vorrebbe che io restassi nel mio letto, ma non posso, perché se qualcuno d’importante venisse a trovarmi non potrebbe mai trovarmi morta, sdraiata su quel letto, come se fosse la mia bara.
Ho vissuto una bella vita, piena di risate e amore, ma ho
anche avuto dei momenti in cui ho davvero creduto di non farcela.
Eravamo usciti tutti insieme, capitava così di rado, ero
seduta vicino a mio cugino e alla sua ragazza Tenten, tu eri di fronte a me, mi
sorridevi, eri contento, eri riuscito a convincere perfino Sasuke a venire.
Eri così splendente quella sera, quando lei arrivò e si
sedette vicino a te. Con quei capelli così sgraziatamente rosa, con quei grandi
occhi innocenti, e quella pelle così perfetta, lei non si nascondeva dietro a
delle ciocche dei suoi capelli, lei non diventava rossa ad ogni tua minima
parola, lei non si vergognava di toccarti, e quando a metà cena lei si alzò e
ti posò un lieve bacio sulla guancia per poi sollevare in alto il bicchiere e
dire: “Brindiamo tutti, oggi è un grande giorno lieto, io e Naruto presto
diventeremo una cosa sola, presto sarò la signora Uzumaki”.
Il deserto si ghiaccio, la pioggia incominciò a dilaniare
il mio cuore, ed è probabilmente questo il motivo per cui non sono più riuscita
a piangere, nemmeno sulla tomba di Shikamru, un alleato sempre prezioso, un
amico sempre presente, è per questo che nemmeno oggi riesco più a versare
nessuna lacrima.
Ho sempre creduto che un giorno avrei avuto un figlio e un bel matrimonio, poi ho conosciuto te e ho capito che avrei avuto solo dolore e rifiuto, ho perfino pensato di accontentarmi di un bravo ragazzo che si professava pronto a tutto pur di condividere la vita con me.
Ma non ne sarei mai stata capace, non sono mai stata brava a mentire, ne a fingere, così ho sofferto, e nulla più.
In fin dei conti è l'amore che è fatto così, ti solleva e ti sotterra, senza nemmeno essertene reso conto. Puoi essere tutto oppure nulla, ma non conta poi così tanto, quando la persona che ami decide che tu non sia quello giusto o che tu non sia degno del suo amore.
La cosa peggiore è doversi rassegnare a questa ingiustizia divina. Io ho sempre saputo che tu eri l'uomo della mia vita, non l'unico che ho e che avrei potuto amare, questo è ridicolo, l'amore non si divide ma si moltiplica. Ma quello che mi avrebbe capita più di chiunque altro, quello che mi avrebbe ascoltato, e fatto infuriare, quello che mi avrebbe divertito di più e resa più miserabile di quanto qualsiasi altra persona avrebbe mai potuto fare
Sono solo fiori, sono solo petali, sono solo i colori del
mondo...
Devo morire, sto morendo, morirò, potrei morire fra meno di due minuti, non importa quanto tempo ci vorrà o quali dolori dovrò affrontare io morirò, nulla mi può più salvare.
Comunque io provi a dirmelo, e ripetermelo suona sempre mostruoso.
Ho amato la mia vita e la amo ancora, sono così giovane e così arrabbiata, ma al contempo così stanca di lottare qualcosa che non mi lascia via di uscita, sono così tanto rassegnata al dolore che non riesco più nemmeno a guardare fuori dalla finestra della mia camera di degenza.
Vedo solo il bianco dei loro camici e il colore dei mie fiori, della mia speranza, dei miei ricordi.
Vedo i tuoi colori tingersi con i miei nella mia mente, nei miei sogni, ma poi li apro e vedo solo i miei colori lasciarsi avvicinare dal bianco, dal neutro che oramai mi circonda.
Eravamo sotto un grande albero, le sue foglie cadevano
attorno a noi, io seduta sotto il tronco e tu in piedi lì vicino a me, eravamo
sempre stati ottimi amici, i migliori, per me anche molto di più, ma poi lei
era entrata e con la sua forza distruttrice ti aveva portato via da me, ma ogni
tanto tu tornavi da me e mi dicevi qualcosa, mi parlavi, mi raccontavi una
verità che faticavi a dire al mondo.
Eri così infelice, ma allo stesso tempo così fedele alle
tue promesse.
Mi raccontavi di quando lei usciva per ora e non ti
raccontava mai dove si nascondesse per tutto quel tempo, mi narrasti della
volta in cui la seguisti e la trovasti sulla tomba del suo unico e grande
amore: Sasuke, il tuo migliore amico.
Eravate davvero un bel trio voi tre, ma ho sempre trovato
molto più affascinate e affiatato il nostro duo.
“E' davvero un peccato che sia tutto così cambiato, che
siamo dovuti crescere...” mi dicesti quel giorno.
“Non tutte le cose cambiano,a volte semplicemente mutano
il loro aspetto. Siamo ancora qui sotto il medesimo albero in qui una volta
venivamo a rifugiarci nella nostra casetta, è solo più grande alto e bello, non
tutto cambia in peggio” ti risposi.
Tentasti di avvicinarti, ma tornasti sui tuoi passi, poi
incominciasti a parlarmi: “Ha chiesto il divorzio, sono così felice finalmente,
per la prima volta dopo tanti anni posso tornare a vivere” i suoi occhi erano
pieni di lacrime ma erano vere quelle parole ed io lo sapevo.
Aprì le mie braccia e tu gettandoti a terra in ginocchio
posasti la sua testa sulla mia spalla e ti lascasti stringere dalle mie
braccia.
Non dissi nulla, ti strinsi semplicemente a me, fino a
quando letsue lacrime non smisero di scendere, fino a
quando non incominciasti ad accarezzare il mio collo e a baciare la mia spalla,
mi voltai e tu ti sollevasti,, mi guardasti e mi accarezzasi la guancia, ti
protrassi verso di me e mi baciai le labbra, una... due volte prima che io
rispondessi.
Venne sera ed eravamo ancora lì sotto quell'albero
abbracciati, a scambiarci qualche bacio, ma soprattutto intenti a osservare le
stelle e a parlare: di noi, del nostro passato, e del nostro futuro...
e fu così che dopo aver visto una stella cadente ti
dissi: “Naruto. Io ti amo, ti ho sempre amato, ma sono malata, molto malata, ho
un tumore, mi resta poco più di un anno di vita”.
Profumano ogni giorno di un odore nuovo, ogni giorno una
luce diverse le colpisce, ogni giorno innaffio la mia speranza
Sono seduta come
tutte le sere, Neji se ne è appena andato, quando qualcuno entra dalla porta e
si dirige verso il mio letto. Sento dei passi, ma non sollevo nemmeno lo
sguardo, oramai è un abitudine.
Mio cugino è il mio
unico visitatore e una volta che esce dalla mia stanza, non attendo altro che
l’arrivo delle infermiere che mi aiutino a tornare nel mio letto.
Si avvicina questo
visitatore alla mia sedia e mi parla: “Ciao”.
Solo allora alzo il
viso e lo vedo: bellissimo.
“Naruto..
c..ci..ciao” balbetto sorpresa mentre un sorriso mi compare sul volto, erano
mesi che non riuscivo a sorridere così serenamente.
“Hinata” mi dici.
I tuoi occhi sono
lucidi, ti faccio segno di sederti sul letto affianco a me.
“Ho incontrato Neji
mentre entravo in ospedale, non mi ha nemmeno salutato” dice.
“Non ti
preoccupare, cerca solo di proteggermi, di proteggersi” rispondo.
“Quella macchina ha
ucciso molte vite..” incominci a dire “molti di noi” concludo.
Il silenzio ci
avvolge.
“L’altro giorno
sono andata a trovare Ino, sta bene ora, sta meglio” mi dici.
“Neji è felice con
lei ora, ma non viene più a trovarmi, ora non può, ora che è nato il bambino,
anche se in realtà non è mai venuta a trovarmi, da quando è morto Shikamaru non
siamo più state amiche” gli spiego. E’ sempre stato così con lui, riuscivo a
dirgli cose che a nessun altro riuscivo a dire.
“Quell’incidente ha
portato via Sasuke, Shikamaru e Tenten, ma ha portato via anche la mia vita,
quella di Ino e ora in qualche modo anche la tua, ed è solo colpa mia” cerchi
di dire, mentre le lacrime ti assalgono.
Ti afferro la mano
e la stringo e ti dico: “Non è colpa tua se ho un tumore, non è colpa di
nessuno, è solo la vita, la mia vita”.
“Come stai?” mi
chiede finalmente, era la domanda che avrebbe voluto farmi dal principio.
“Male” rispondo
semplicemente poi aggiungo: “Ho dolori terribili, non riesco a non piangere dal
dolore ogni volta che mi siedo, l’unica mia compagnia sono loro, l’unica mia
speranza” e indico una bellissima pianta di Myosotis,
“Nessuno, escluso mio cugino, viene mai a trovarmi, sono sola, e soprattutto
sono senza di te. Perché ti ho allontanato, ti ho cacciato e tu ti sei lasciato
cacciare via, non hai lottato per me, e allora ogni giorno mi domando che senso
abbia lottare per la mia vita, quando tu sei tutto quello che ho sempre voluto?”.
“Perché ti alzi
ogni giorno anche quando stai così male? Perché dici che quei semplici fiori
sono tutto quello che ti è rimasto?” mi chiedi curioso, confuso, commosso.
“Perché ogni giorno
spero di vederti entrare da quella porta, perché so che quei fiori me li hai
mandati tu, perché le foglie di quella pianta, i petali di quei fiori sono i
miei unici amici, la mia unica compagnia, il ricordo costante del tuo sorriso,
del mio amore, sono la mia forza perduta e la mia speranza ritrovata. Sapevo
che saresti venuto un giorno, perché mi hai sempre offerto dei fiori per dirmi
che mi volevi bene, che mi pensavi, che avevi bisogno della mia amicizia” ti
spiego.
Ti alzi, ti dirigi verso
la finestra per poi inginocchiarti davanti a me, il tuo sguardo fisso nel mio.
“Si chiamano Non
ti scordar di me, hanno i tuoi colori, mi ricordavano così tanto i tuoi
capelli, da quando te ne sei andata non c’è minuto o secondo che non pensi a
te, o che qualcosa attorno a me non mi rimandi al tuo pensiero. Ti amo e hai
ragione non ho lottato abbastanza, ma ti porterò a casa e vivremo insieme anche
solo per un ora, anche solo per un sogno” fai una pausa poi riprendi a parlare:
“Sai che il nome di questi bellissimi fiori deriva da una leggenda austriaca.
Due giovani innamorati, esattamente come noi, stavano scambiandosi le
promesse attraverso il simbolo di questo fiore, ma lui cadde nel Danubio e,
prima di morire, le gridò: “Non ti scordar di me”.
I miei occhi sono gonfi dalle lacrime e per la prima volta in giorni non lo erano per il dolore, alzi una mano e mi accarezzai il viso come hai già fatto altre volte, troppe poche volte, ti avvicini a me e mi baci.
La mia vita è stata la più bella delle vite possibili, ma
oramai è quasi finita, però l’ho vissuta per te, con te….
Le ho viste sorridere
… .
Fine