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Autore: Acinorev    23/07/2014    22 recensioni
"A quel punto Harry rise. Rise con le fossette accentuate ai lati della bocca e facendo un passo indietro, con una mano tra i capelli e gli occhi praticamente chiusi. «Ragazzina», esclamò affievolendo la risata. «Ragazzina, rallenta», ripeté.
Ed Emma assunse un’espressione un po’ più seria, mentre sentiva l’eco di quelle parole nella sua testa.
Ragazzina.
«Ascolta», ricominciò Harry, frugando nella tasca dei suoi pantaloni stretti e tirandone fuori un contenitore di metallo sottile dal quale estrasse una sigaretta, probabilmente confezionata da lui. Continuò a guardarla, però, senza lasciarla libera nemmeno per un istante. «Apprezzo l’intraprendenza, ma andiamo… Mi sentirei una specie di  pedofilo», aggiunse, scuotendo di nuovo la testa mentre una ciocca di capelli gli ricadeva sulla fronte."
Spin-off di "It feels like I've been waiting for you", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Capitolo ventotto - The last try
 

 

Con i capelli a solleticarle le spalle, Emma camminava lentamente sotto il sole della domenica pomeriggio: le gambe avevano un'intraprendenza propria, che la spingeva a non fermarsi per nessuna ragione, né per eventuali ripensamenti.
Dopo tre giorni aveva scritto ad Harry.
La mancanza che provava era in grado di stroncare qualsiasi suo tentativo di distrarsi, semplicemente non la lasciava in pace, tormentandola anche nei momenti meno opportuni: troppe ore erano passate senza sentirlo, vederlo, toccarlo, e pian piano qualsiasi motivazione Emma avesse addotto per mantenere le distanze era stata piegata dalla necessità di azzerarle. Sconfitta dal proprio istinto, quindi, aveva abbattuto il silenzio che si era intrufolato nel loro rapporto, senza nemmeno chiedersi quale reazione avrebbe ottenuto.
“Mio padre è appena uscito, vieni qui”, era stata la semplice risposta che aveva ricevuto dopo un paio di minuti, illuminandole il volto con un sorriso spontaneo ed irrefrenabile. Non l'aveva respinta, nonostante la fine brusca del loro ultimo incontro, e questo le faceva sperare che anche lui sentisse la nostalgia divorargli le ossa, secondo dopo secondo.
Emma aveva smesso di chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare, la soluzione da intraprendere: dentro di sé era ancora convinta che i sentimenti di Harry, per quanto sinceri, non avrebbero mai potuto raggiungere l'intensità dei propri, né sarebbero potuti essere etichettati come “amore”. Eppure voleva sforzarsi di combattere ancora un po', di aggrapparsi ad un'ultima speranza disperata: tutte le sue lotte interiori, tra ciò che avrebbe dovuto fare e ciò che invece le era concesso, venivano messe a tacere dal bisogno che aveva di Harry. Si era annientata ai suoi piedi mettendo da parte qualsiasi freno, nonostante continuasse a percepire tutto ciò che fino ad allora l'aveva spinta ad indietreggiare, ad allontanarsi. Semplicemente non voleva ascoltare quello che la sua interiorità le stava urlando, perché, se l'avesse fatto, la storia che stava vivendo sarebbe andata incontro ad una fine precoce.
Il cancello dell'appartamento di Harry era aperto, quindi Emma proseguì all'interno dell'edificio con un sospiro sommesso, che avrebbe dovuto rincuorarla: salì lentamente le scale e rimase qualche secondo in più di fronte alla porta che la divideva dalla sua brama. Nonostante volesse essere lì, doveva sforzarsi di non pensare: stava contraddicendo la sua spontaneità, che voleva obbligarla a ritrarsi per sfuggire ad un dolore inevitabile e ad una relazione che non l'avrebbe mai soddisfatta, quindi non poteva fermarsi a riflettere.
Suonò il campanello alzando il mento, come a darsi un certo contegno, ed aspettò che Harry le si presentasse davanti: quando la porta si aprì, lui comparve con uno strano cipiglio sul volto, rigido e forse pronto a difendersi. La canottiera nera che indossava stonava vagamente con la tonalità di blu dei pantaloni della tuta: a piedi nudi, la guardava senza invitarla ad entrare e senza dire una parola.
Emma strinse i pugni lungo i fianchi e si inumidì le labbra, prendendosi il tempo che le serviva per recuperare ciò che le mancava. «Hai ragione» sussurrò, sostenendo il peso delle sue iridi. «Hai ragione su tutto» ripeté: stava mentendo, almeno in parte, ma aveva bisogno di farlo per contraddire i propri pensieri e ciò a cui l'avrebbero condotta.
Harry si irrigidì appena, stringendo nella mano destra la maniglia della porta sulla quale era rimasta posata. Lei deglutì a fatica ed avanzò di un passo, sufficiente a raggiungere il suo corpo e a percepire il suo profumo sotto la pelle. Continuava ad osservarlo, forte come voleva solo apparire e come in realtà non era: allungò una mano verso il suo petto ed appoggiò su di esso il proprio palmo, poi si fece ancora più vicina e si alzò sulle punte dei piedi per baciargli delicatamente il mento, gli zigomi, il collo. «Hai ragione tu» disse ancora, sulle sue labbra schiuse e attente. Ripeteva quelle parole perché non poteva farne a meno e perché, se avesse osato affrontare un discorso più completo, avrebbe sicuramente mostrato la sua reale visione delle cose.
Voleva convincersi di potercela di fare, di poter aspettare fingendo che qualcosa sarebbe pur arrivato, prima o poi. Voleva sbarazzarsi della propria sicurezza riguardo il contrario e voleva impegnarsi fino in fondo, azzerando la propria volontà per poterla sostituire con quella di Harry. Era il suo ultimo tentativo e non poteva andare sprecato.
Harry lasciò la maniglia per incastrare le dita nei capelli di Emma, possessive e decise: respirò profondamente, chiudendo gli occhi mentre giocava a torturarle le labbra con piccoli movimenti che non erano mai abbastanza. Aveva un'espressione sofferta, come se avesse voluto rimproverarla per qualcosa senza riuscirci: alla fine, però, abbandonò qualsiasi tentativo di dialogo e si limitò a baciarla con impeto, stringendola a sé con una mano sulla sua schiena magra.
Emma gemette silenziosamente contro di lui, serrando le palpebre per non lasciar trasparire troppo e adeguandosi ad ogni incastro che le veniva proposto con esigenza. Aveva temuto un ulteriore litigio o la ricerca di spiegazioni, seguita da rimproveri, ma aveva anche sperato e creduto nel contrario: se Harry provava anche solo la metà di ciò che la stava divorando, avrebbe ceduto proprio come lei alla vicinanza ritrovata, abbandonando qualsiasi esitazione o semplicemente rimandandola. E così era stato.
La porta si chiuse dietro di loro senza sbattere, grazie ad una leggera spinta, mentre l'uno cercava di rubare l'ossigeno all'altra e mentre entrambi venivano continuamente sconfitti in un gioco che non sempre volevano vincere. Harry camminava all'indietro, cercando di riappropriarsi di ogni centimetro del corpo che gli era stato lontano per troppo tempo, ed Emma lo seguiva senza la possibilità o il desiderio di ritrarsi.
«Sei sicura?» Mormorò lui sulla sua pelle, trattenendola con un'energia tale da essere contagiosa. Lei avrebbe dovuto dire di no, che non lo era affatto, che doveva costringersi ad esserlo per non perdere la persona che amava per un proprio limite: ma non ebbe nemmeno il tempo di mentire ancora. «Perché non voglio passare altri giorni come questi. Non posso».
Emma credeva a quelle parole, ma non era più lo stesso sentirle: non riusciva a non confrontare il loro significato a quello che invece provava lei. Forse lui aveva davvero sentito la sua mancanza, ma il suo cuore metteva automaticamente in secondo piano quella informazione, per dare la priorità alla mancanza che invece aveva sperimentato nelle proprie fibre: e quel processo portava inevitabilmente ad un dolore viscerale, dovuto alla minimizzazione di tutto ciò che non era più abbastanza.
«Sono qui» disse lei soltanto, proprio come quando, nel cortile sul retro di casa sua, entrambi si erano dati una risposta senza esplicitarla, mettendo da parte le discussioni che li avevano interessati e qualsiasi altro problema. Anche in quel momento Emma stava cercando di ignorare le liti recenti e le parole abusate, le accuse ed i toni rudi utilizzati: doveva concentrarsi su quello che poteva vivere tramite Harry, per convincersi di quello che non poteva perdere.
Lui la baciò con più foga, quasi volendo compensare il periodo di lontananza, e si sedette sul piccolo divano del salotto tirandola su di sé: senza allontanarsi dalle sue labbra, Emma combatté brevemente con la gonna che indossava in modo che non le creasse fastidio ed infilò le mani sotto la stoffa che ricopriva il petto contro il quale era premuta. Harry prese quel gesto come un invito, così si affrettò a togliersi la canottiera, abbandonandola al proprio fianco distrattamente e passando, subito dopo, al maglioncino che gli impediva di accarezzare direttamente la pelle cosparsa di lentiggini che tanto apprezzava.
Lei si lasciò sfiorare non troppo delicatamente, concedendo alle sue mani e alle proprie quella foga che doveva manifestare il desiderio che stava conquistando entrambi: ormai aveva detto addio a qualsiasi forma di pudore o vago imbarazzo che l'aveva colpita la prima volta. Non c'era più nessun segreto del corpo che stava stringendo che non conoscesse, nessun angolo che non avesse baciato almeno una volta e nessun lembo che non ricordasse a memoria, come se fosse solo un disegno immaginato dalla propria mente e troppo proprio per appartenere a qualcun altro.
Soffermandosi sulla clavicola destra di Harry, Emma percepì ancora più intensamente ciò che un semplice contatto poteva suscitare in lei e sentì il bisogno di urlarlo a pieni polmoni: non poteva farlo, però. Non l'avrebbe fatto per molto tempo, perché non avrebbe sopportato una risposta priva di corrispondenza, non avrebbe sopportato di non essere ricambiata. Quindi tutti quei “ti amo” che stava sussurrando dentro di sé sarebbero rimasti incastrati tra le sue labbra, nascosti per non essere distrutti. Quel limite la consumava, perché non le concedeva la libertà di esprimersi: il tentativo di proteggersi le impediva di esporsi completamente, come aveva imparato a fare, e la obbligava a trattenersi, a non dare tutto ciò che non poteva riavere in cambio.
Harry la fece sdraiare sul divano, nonostante fosse troppo stretto e corto per accogliere comodamente entrambi: le scostò i capelli dal viso e si posizionò meglio tra le sue gambe, accarezzandole le cosce come a volerle firmare con le proprie impronte. Aveva il respiro accelerato e le iridi rese più torbide della luce che non arrivava ad illuminarle a dovere: fisse su di lei, non si lasciavano sfuggire alcun particolare. Emma le sfidava, sostenendo il loro confronto, proprio per negare quegli stessi particolari.
La sua mano sottile ed intraprendente superò l'orlo dei pantaloni di Harry, per arrivare a dargli piacere senza alcuna timidezza e forte dell'esperienza costruita e rimarcata con il tempo: si adeguò alle sue reazioni, che non mancavano di farla sentire in grado di provocarle e di prometterle di essere l'unica a poterle suscitare. Eppure anche quel gesto non aveva più lo stesso significato: se prima quella consapevolezza la elettrizzava, ora poteva essere messa in dubbio. Emma si chiedeva se Harry avesse potuto provare lo stesso, al suo tocco, con altre ragazze: se non era amore, quello che le riservava, cosa la differenziava da Denice, per esempio? Anche lei l'aveva incastrato in una relazione che costringeva entrambi in un fantomatico mezzo, anche lei era stata sfiorata dalle sue mani, che ci tenevano, ma non fino in fondo.
Scottata da quei pensieri, si ritrasse, fingendo di avere bisogno di accarezzargli i muscoli contratti della schiena ed il viso così vicino al proprio. Lui sospirò per quell'improvviso abbandono e nascose il volto nell'incavo del suo collo, muovendosi su di lei per anticipare ciò che li avrebbe imprigionati come più volte in precedenza. Baciandole la pelle, percorse il suo petto ancora coperto dal reggiseno, scese sul suo addome accompagnato da brividi impazienti e si premurò di sfilarle la gonna e gli slip grigi, prima di occuparsi dei propri pantaloni e del proprio intimo.
«Ti sono mancato?» Sussurrò sulle sue labbra, una volta che fu tornato a far stridere i loro corpi nudi e scossi da leggeri ansimi. «Perché tu mi sei mancata, ragazzina» ammise subito dopo, dedicandosi a farle raggiungere quel livello di piacere che sapeva l'avrebbe presto portata a socchiudere gli occhi e a schiudere la bocca per sospirare un po' più forte. E certo, certo che le era mancato: era lì proprio per quello, perché la mancanza aveva superato d'intensità tutto il resto, obbligandola a buttarsi in una scelta che non aveva ancora accettato fino in fondo e della quale non riusciva a non dubitare.
Si sentiva una terribile egoista nel non avere il controllo sulla propria mente e sui propri sentimenti, che erano stranamente d'accordo nel farle pesare quanto una stessa emozione potesse essere tanto diversa: non era nelle sue intenzioni screditare ciò che per così tanto tempo l'aveva resa felice, ma in quel momento non poteva fare altro. Le era impossibile spazzare via i confronti tra le proprie sensazioni e quelle che erano invece di Harry, travolto da qualcosa di diverso ed in qualche modo minore.
Emma avrebbe potuto accettare quel qualcosa, se solo si fosse parlato di un altro momento, se solo non fossero passati cinque mesi nei quali gli aveva donato tutto, ma non le era più così semplice: la convinzione di non poterlo trasformare in qualcosa di più la paralizzava e la terrorizzava.
«Mi sei mancato» gli fece eco, stringendolo a sé con gli occhi chiusi. «Così tanto da essere insopportabile» continuò sinceramente. I propri sentimenti erano l'unica cosa sulla quale non poteva permettersi di mentire: le parole a sua disposizione non avrebbero mai potuto esprimere fedelmente il loro reale significato, troppo intenso per essere racchiuso in un mucchio di lettere, quindi dovevano essere rafforzate da uno sguardo limpido ed una carezza leale.
Harry serrò le dita tra i suoi capelli e la sfiorò con la propria eccitazione, provocando in entrambi un'aspettativa alla quale avrebbero facilmente ceduto entro poco. «Devo... Devo prendere il preservativo» sussurrò al suo orecchio, con la voce trattenuta che ormai conosceva alla perfezione in ogni sua intonazione. In quella, in particolare, risiedeva la volontà di abbandonare quel dettaglio e di non separarsi dal suo corpo. Anche Emma avrebbe preferito non essere lasciata scoperta, senza la sua pelle a ricoprirla e senza i suoi occhi ad obbligarla a credersi abbastanza forte, ma annuì con convinzione ed allentò la presa con la quale lo stava costringendo su di sé.
Harry si alzò velocemente dal divano, camminando nudo verso il tavolo ad un paio di metri di distanza e lasciandole la possibilità di soffermarsi su tutti quei particolari che non le erano mai bastati e che non smetteva mai di studiare. Lo osservò aprire il portafoglio e diede per scontato che avesse trovato ciò che cercava, mentre lei serrava le gambe per sentirsi un po' meno esposta: si tolse il reggiseno, per avere un contatto completo con il petto tatuato che fino ad allora le era stato in parte precluso.
Pochi istanti dopo, i loro confini erano di nuovo in procinto di confondersi gli uni con gli altri ed Emma tremava impercettibilmente, sotto il peso di Harry e sotto quello dei propri sentimenti. Quando lo sentì entrare dentro di sé, con un movimento deciso ma non privo di premura, smise di respirare per una manciata di secondi, serrando la mascella per il vago dolore e la sensazione di essere inevitabilmente unita a lui. Ad occhi chiusi, mentre entrambi rimanevano immobili per prestare attenzione a quel momento che voleva significare molto più di un semplice atto fisico, cercava di concentrarsi sui baci che le venivano lasciati delicatamente sul collo, accompagnati da respiri veloci ed impazienti.
Emma accolse un'altra spinta e gemette qualcosa, allacciando le gambe intorno al bacino di Harry: sentì il cuore infrangersi senza alcun preavviso e provocando altrettante fratture in ogni centimetro ancora intatto. Persino la loro unione si era trasformata in un'estenuante ferita che i suoi pensieri non facevano che infettare ed aggravare: nella sua mente vorticavano domande alle quali non voleva rispondere, perché ignorare la realtà sarebbe stato più semplice. Non riusciva a smettere di chiedersi se per tutto quel tempo solo lei, in quel frangente, avesse sentito tutto in modo così intenso, così totalizzante; se sarebbe mai riuscita a fargli provare lo stesso, a farlo cedere ai piedi della consapevolezza di non poter sperimentare qualcosa di più forte; se con le altre ragazze con le quali era stato si fosse comportato allo stesso modo, in un'unicità che in realtà era comune a tutte. Si chiedeva perché, perché tutto l'amore che sentiva non potesse essere abbastanza per stimolare e riempire anche il suo.
Faceva così male da impedirle di perseverare nei suoi tentativi: semplicemente non credeva di poter sopportare tutte quelle verità, tutte quelle incertezze su qualcosa che già non era in grado di accettare di per sé. Harry le aveva chiesto di aspettare, ma lei non sapeva per cosa avrebbe dovuto farlo, perché ormai l'aveva vuotata completamente, lasciando qualcosa che non sarebbe stato sufficiente a dargli ciò di cui necessitava.
Le sue riflessioni, mentre si stringeva al corpo di Harry, si manifestarono con una lacrima che le scivolò sulla guancia, bruciandole la pelle quasi fosse composta da un acido corrosivo: era la prima mai versata in sua presenza. Lui se ne accorse grazie ad un sospiro spezzato, caratteristico, ed aprì gli occhi come se fosse stato sconvolto da qualcosa. «Emma...» sussurrò, studiando ogni particolare del suo viso senza muoversi dentro di lei, senza osare farlo per timore di poter danneggiare il suo precario equilibrio. La confusione e la preoccupazione erano dipinte nelle sue iridi, mentre quelle nelle quali si specchiavano si maledicevano per aver abbassato le difese.
«Non... Non è niente» mentì Emma, scuotendo piano la testa e sbattendo le palpebre per rimuovere ogni residuo di quelle lacrime traditrici. Harry corrugò la fronte, non convinto da quelle parole, e si avvicinò ancora di più al suo viso: sfiorandolo delicatamente con le labbra, lo asciugò dal percorso umido di quella indiscreta intromissione.
«Perché piangi?» Le chiese seriamente.
«Te l'ho detto» rispose lei, tentando di raggiungere un auto-controllo che potesse proteggerla. «Mi sei mancato».
Non era una bugia, ma solo un'informazione incompleta. Anche se Harry riponeva troppa fiducia nella sua tenacia e nei suoi sentimenti, per dubitare di lei, Emma aveva lasciato fuggire quella lacrima perché era stata sconfitta, perché per la prima volta non era riuscita nel suo intento e nel suo scopo. Si era appena accorta di non poter sopportare la presenza di Harry, il contatto con il suo corpo, quando solo lei era in grado di viverlo completamente: e non erano stati sufficienti i suoi sforzi, i suoi tentativi, né il suo ritorno o le sue menzogne. Si era arresa.
«Smettila» le ordinò lui, lontano dall'essere un rimprovero, accarezzandole le spalle. «Non mi piace».
Emma si sgretolò un po' di più a quelle parole, ma si sporse in avanti e gli baciò le labbra. «Ho già smesso» lo rassicurò lentamente, per poi gemere piano per un suo movimento.
 
Harry non si era ancora svegliato: sdraiato sul fianco sinistro, dormiva pacificamente sul divano dove, fino ad una manciata di minuti prima, era rimasto in compagnia di Emma. Lei era riuscita a sottrarsi alla sua presa, al suo braccio intorno al proprio addome ed al suo volto sulla propria spalla, senza disturbarlo: si era rivestita lentamente, osservando il suo corpo ancora nudo ed illuminato dal pomeriggio inoltrato, che si intrufolava dai vetri della porta-finestra. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile da lui e di andarsene in fretta, perché le era insopportabile la permanenza in quei metri quadri, tra i loro vestiti, i suoi respiri ed i loro profumi mischiati. Doveva solo dirglielo.
Prese posto su una delle sedie intorno al tavolo ed iniziò ad allacciarsi le Converse bianche, troppo consumate per durare ancora per molto. Quando ebbe quasi finito, però, sobbalzò nell'udire dei rumori che testimoniavano il fatto che Harry si fosse svegliato.
«Dove stai andando?» Le chiese con la voce assonnata, ma nervosa, mentre si infilava le mutande ed i pantaloni. La stava studiando con uno sguardo indagatore, insospettito.
Emma si rialzò in piedi e si inumidì le labbra, respirando lentamente nonostante avesse voglia di urlare. «Torno a casa» rispose rigida.
Lui si immobilizzò, alzando un sopracciglio scettico. «Torni a casa?» Domandò incredulo, abbozzando la traccia di un sorriso. «Tutto qui?»
«Non ce la faccio, Harry» cercò di spiegarsi, nonostante sapesse già a cosa stesse andando incontro. «Sono venuta qui e ci ho provato ancora una volta, ma non ce la faccio».
In quel momento il viso che le stava davanti si oscurò con una smorfia di disgusto. «Credi di poterci provare semplicemente facendo sesso?» Si alterò subito, come sconvolto da quella ipotesi.
Emma prese le sue parole come un'ulteriore conferma, ma si impedì di crollare. «Per me non è stato del semplice sesso» rispose con una sorta di gelo ad impregnarle la voce. Era quella la differenza che aveva percepito per tutto il tempo, che l'aveva fatta tremare e persino piangere.
Harry sospirò e si passò una mano tra i capelli, come al suo solito. Era ancora a petto nudo. «Sai bene che non intendevo dire quello» esclamò esasperato.
«Però non è nemmeno una bugia» precisò lei. «Mi chiedo che differenza ci sia con il sesso che facevi con Denice: nemmeno di lei eri innamorato, giusto?» Stava risultando più provocatoria e dura di quanto avesse predetto, ma immaginava fossero solo le sue difese che finalmente si rinforzavano, traendo forza dal crollo che volevano evitare.
«Vuoi davvero paragonare il mio rapporto con lei e tutto quello che abbiamo passato noi?» Domandò lui retorico, facendo un passo avanti e gesticolando. «Cristo, questo discorso non ha nemmeno un senso!»
«Invece ce l'ha! Perché non riesco a capire come possa essere-»
«Io non ti ho mai fatto mancare niente!» La interruppe Harry, urlando. «Né a letto, né al di fuori. Quindi non osare nemmeno paragonarti a Denice, perché sarebbe assurdo! Te ne esci con queste stronzate solo perché ho detto di non amarti? Ma non lo vedi quanto sei ipocrita?!»
«Non mi mancava niente perché pensavo che mi stessi dando tutto!» Ribatté lei, alzando il tono e sfoderando la sua tenacia. «Ed ora che ho scoperto che non è così, le cose cambiano, perché inizia a mancarmi tutto quello che potresti ancora dare e che invece non riceverò mai!»
«Sei solo tu ad esserne convinta! Io non ho mai detto questo! Non voglio più ascoltare le tue fottute sicurezze su quelli che sono i miei sentimenti! Stai creando una marea di problemi basandoli sul nulla!»
«È solo perché tu non vuoi aprire gli occhi! Non vuoi vedere che non puoi prendere più niente da me, che non c'è più nulla che io possa fare o dire per farti provare qualcosa di più forte!»
«Non si tratta di questo! Si tratta di costruire qualcosa insieme, di... Ti stai arrendendo prima ancora di averne la certezza e non capisco perché, arrivati a questo punto, tu possa farlo con tanta facilità!»
«Pensi davvero che sia facile, per me?!» Esclamò Emma, stridula. Si stavano urlando contro senza nemmeno prendersi il tempo necessario per respirare a dovere, avvicinandosi sempre di più come a voler rimarcare le proprie parole con un'imposizione fisica. «È da quando ci siamo incontrati che ci sto provando, non te ne accorgi?! Ogni singolo giorno ho dovuto lottare per qualcosa: prima per farti notare la mia esistenza, per farti anche solo pensare che tra di noi avrebbe potuto esserci qualcosa, e poi per vivere al meglio ciò che avevamo! Ed ho appena scoperto di non esserci riuscita, di essermi sforzata così tanto per niente! Perché tutto quello che ho fatto per stare con te non ha avuto alcun senso!»
«Continui a fare gli stessi errori, cazzo!» Ribatté Harry in preda all'ira. «Appena qualcosa non è come vorresti, butti via tutto il resto! Come ti viene in mente di parlare in questo modo di quello che abbiamo attraversato?!»
«Non sto dicendo che non abbia significato nulla, sto dicendo che non è stato abbastanza!» La gola le bruciava ad ogni sillaba che gettava al di fuori, mentre gli occhi avevano smesso di farlo perché troppo orgogliosi per lasciarsi di nuovo andare. «Non è stato abbastanza e non c'è nient'altro che possa esserlo! È questo il punto, perché non vuoi capirlo?!»
«Perché parli come se potessi essere sicura di quello che dici, come se dessi per scontato quello che succederà! Ma non puoi saperlo e non vuoi nemmeno fare un tentativo! Santo cielo, perché non me l'hai detto subito che avrei avuto una scadenza per provare dei dannati sentimenti?!»
«Non si tratta di avere una scadenza! Io ti avrei lasciato tutto il tempo del mondo, se solo fosse rimasta almeno una parte di me da poterti dare e con la quale aiutarti, ma non è così e non riesco ad aspettare, perché aspetterei qualcosa che non arriverà! Non è il tempo, il problema, è quello a cui non porterebbe!»
Harry serrò la mascella, respirando velocemente e lasciando che il suo petto si alzasse e si abbassasse seguendo il ritmo delle sue inspirazioni rapide e nervose. «Non te lo dico di nuovo» la ammonì serio, puntandole il dito contro. «Smettila di parlarne come se potessi esserne certa».
Emma chiuse gli occhi per un istante e si passò una mano sul volto, stanca di quelle urla e dell'incapacità di trovare un punto d'incontro. «Ma lo sono, che tu ci creda o no» disse a bassa voce.
«Non capisco... Non capisco perché quello che abbiamo avuto fino ad ora non possa bastarti» ricominciò Harry, incredulo. «Ti ha sempre resa felice, tanto che pensavi che fosse amore. Ora cosa è cambiato? Perché non può farti sentire allo stesso modo? Perché dici di non potercela fare, se fino a pochi giorni fa era tutto il contrario?»
Era inutile continuare a discutere sulle stesse discrepanze, senza mai arrivare ad un compromesso. Inutile ed estenuante. «Perché mi è impossibile! Pensi che a me non piacerebbe accettare tutto questo e vedere cosa succederà? Con tutta me stessa vorrei essere in grado di rimanere con te, ed è lo stesso motivo per cui sono venuta qui oggi! Non riuscivo a sopportare la tua mancanza, così ho messo da parte qualsiasi mia idea, qualsiasi briciola di volontà, solo per provare a darti ascolto, per sforzarmi di cambiare prospettiva e di accontentarmi! Ma non-»
«Sei venuta qui, pur sapendo che non avresti cambiato idea?» La interruppe Harry, corrugando la fronte per far luce su qualcosa che lo stava indisponendo.
«No, l'ho fatto nonostante le mie idee. Speravo di riuscire a cambiarle» rispose Emma.
«Tu ti sei presentata a casa mia, mi hai mentito, facendomi credere di aver capito il mio punto di vista, sei venuta a letto con me e mi hai illuso! Cristo, vuoi prendermi in giro?!» Era furioso.
«Certo che no, no!» Lo contraddisse lei scuotendo la testa, esasperata. «Non ti ho preso in giro, volevo solo che tu avessi ragione! Volevo che mi stessi sbagliando! Ho pensato che se fossi stata meno testarda, che se fossi stata più comprensiva e flessibile, avrei potuto prenderla in un altro modo, sarei potuta rimanere con te. Quindi ho fatto di tutto per averne una conferma, anche se poi ho ottenuto l'effetto opposto».
«Ma ti sei comportata come se avessi preso una decisione definitiva! Mi hai fatto sentire come se ti avessi finalmente riavuta, invece ora te ne stai qui a dirmi che era tutta una stupida prova! Che diavolo ti succede, si può sapere?!»
Emma si sentì improvvisamente in colpa per il proprio comportamento, un po' di più rispetto a prima: avere a che fare con gli occhi feriti ed arrabbiati di Harry l'aveva messa di fronte ad una dura realtà. Non era mai stata sua intenzione illuderlo, perché era sempre stata davvero pronta a far funzionare le cose: che poi avesse fallito miseramente nel suo scopo era un altro discorso.
«Mi dispiace» cominciò allora. «Mi dispiace di averti ferito, ma non l'ho fatto di proposito».
«Certo, come no» sospirò lui stancamente.
«E dai a me dell'ipocrita?» Lo accusò subito dopo, inasprendo lo sguardo. «Io devo crederti quando dici di avermi fatto capire di non amarmi senza nemmeno pensarci e tu non puoi credere che io abbia solo provato ancora una volta a rimanere al tuo fianco?»
Harry la osservò duramente, appoggiando le mani sui propri fianchi. «Sono due cose diverse» soffiò.
«No, invece. E anche se lo fossero, direi che tu hai provocato di gran lunga più conseguenze» ribatté. Sapeva di star usando un tono non prettamente pacifico, ma non le piaceva quando qualcuno criticava i suoi sforzi.
«Ce ne sarebbero state molte di meno, se tu non ti fossi messa a fare i capricci!»
«Giusto, continua con questa storia!» Si irritò Emma, iniziando di nuovo ad urlare. «Tanto sai fare solo questo, rinfacciarmi di essere una stupida bambina! Ma sai una cosa? Se davvero credi di potermi amare, dovresti iniziare ad accettare anche questa parte di me! E cazzo, perché ti ostini a credere che i miei siano dei capricci?!»
«Perché sono infondati! Ecco perché!» Le rispose Harry, gesticolando. «E al posto di puntare il dito contro di me, forse tu dovresti semplicemente crescere!»
Il cuore di Emma stava per lasciare la sua gabbia toracica ed uscire a fare a pugni con il viso che amava ed odiava allo stesso tempo: insistente e caparbio, batteva troppo forte per essere messo a tacere, scandendo i tempi della loro discussione come un tamburo da battaglia. «Io dovrei crescere?! Parla quello che nel bel mezzo di un litigio se ne va, lasciandomi a piedi! Se ti vanti di essere così maturo, allora perché non sei nemmeno in grado di affrontare un discorso?»
Per quanto aver fatto l'amore con lui su quel divano fosse stato doloroso, come mai prima d'ora, avrebbe preferito di gran lunga provare quella stessa agonia, piuttosto che continuare ad urlarsi contro, con rancore e rabbia cieca.
«Lo avrei affrontato, se il discorso avesse avuto almeno una base!» Replicò Harry, come se fosse stato ovvio. «E ti ho fatto anche un favore, visto che hai paura di una stupida macchina!»
«E questo ora che cosa c'entra?! Vuoi davvero appellarti a giochetti del genere?» Gli domandò retoricamente, ferita dal modo in cui aveva sbandierato una sua fobia.
Lui reagì spingendo una sedia contro il tavolo e con un verso di frustrazione, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro, di fronte a lei. Con il capo chino, sembrava aver bisogno di smaltire l'ira e l'esasperazione.
Emma ne approfittò per riordinare i pensieri e per spiegarsi meglio, sperando di farsi comprendere se non a pieno, almeno in parte. Sospirò profondamente ed abbassò il tono di voce. «Prima mi ha fatto male, stare con te» esordì, attirando la sua attenzione. «Per quanto avessi bisogno di riaverti, non riuscivo a non pensare a quanto diversamente stessimo vivendo lo stesso momento. Ti stringevo e mi chiedevo cosa provassi mentre io mi annullavo, mi chiedevo cosa di me non fosse sufficiente e perché. Volevo dirti quanto... Cosa stessi provando, ma non volevo sapere che per te non era lo stesso. Non di nuovo. E non voglio più provare qualcosa di simile, Harry. È st-»
«Per questo piangevi» domandò, arrestando le sue parole. «Vero?»
Emma trattenne il fiato e si maledisse ancora una volta per essersi permessa di mostrare traccia del crollo interiore che l'aveva interessata. Non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo.
«E mi hai mentito ancora, anche mentre ero dentro di te» riprese allora lui, macchiando di disprezzo la sua voce.
«Non ti ho mentito» precisò lei.
«No, ovvio che no» esclamò Harry, assumendo un'espressione falsamente cordiale. «Mi hai solo fatto credere di essere talmente felice di essere di nuovo con me, da sentire il bisogno di piangere, quando invece lo stavi facendo perché già sapevi che te ne saresti andata. Ed io sono stato uno stupido, uno stupido che si è lasciato fregare in questo modo!».
«Parli come se avessi calcolato tutto, quando non è affatto così» tentò Emma. Non voleva essere dipinta come una manipolatrice, perché non lo era.
«Dici? A me s-»
«Smettila!» Lo interruppe con la voce rotta. «Smettila, di darmi contro per qualsiasi cosa! Nemmeno io vorrei tutto questo, eppure ci sono finita dentro! E tu non dovresti screditare tutti i miei sforzi, quando io ce l'ho messa tutta per andare contro il mio stesso istinto! Credi che non ti voglia, Harry? Credi che se potessi, non mi lascerei tutto alle spalle?! Odio dover prendere una decisione e non essere abbastanza forte per prendere quella giusta! E so che forse dovrei davvero darti del tempo, che altre persone, al mio posto, l'avrebbe sicuramente fatto, ma semplicemente non ci riesco! Pensi che mi faccia piacere?! Che non vorrei poterti guardare senza vedere solo quello che credo di non poter avere?!»
«E tu pensi che non vorrei avere altri modi per convincerti che ti stai sbagliando?!» Urlò lui di rimando. Erano entrambi esasperati, sfiniti. «Tutto questo è solo una tua convinzione ed io non so cos'altro fare per... Dipende da te, ragazzina. Io non ti rincorrerò ancora, non ti chiederò di nuovo di non andartene».
Aveva appena ricevuto un ultimatum, duro e malinconico. E per quanto potesse esser irreale, dopo tutto ciò che avevano passato, era anche necessario.
Emma rilassò i muscoli e si concentrò sul proprio respiro: avrebbe voluto che la decisione spettasse a qualcun altro, in modo da poter protestare ed opporsi con tutte le sue forze, ma purtroppo era una sua responsabilità. Stava per rinunciare a qualcosa che l'aveva fatta sentire talmente viva da essere insopportabile, qualcosa per cui aveva lottato così tanto da renderla fiera, qualcosa che l'aveva stretta così forte da farle credere di non poter rimanere intera senza la giusta pressione, senza le giuste mani a trattenerla. Ma nonostante la sua mente le urlasse di non farlo, il suo giovane cuore non era in grado di accontentarsi, non era in grado di aprirsi ancora per donare altrettanto ed Harry non sarebbe stato in grado di amarla, non con tutte quelle discrepanze a dividerli, non con tutte quelle discussioni prive di compromessi alle spalle.
«Non chiedermelo» disse lei soltanto, stringendo le labbra in una linea rigida ma fragile, che quasi si rifiutava di pronunciare parole che avrebbero significato un addio. Con gli occhi ancora fissi nei suoi, indietreggiò di un passo e tentò di rimanere in piedi, di non cedere alla tentazione di lasciarsi andare al senso di colpa per non essere sufficientemente forte.
Harry schiuse le labbra e per un attimo sembrò avesse smesso di respirare. Subito dopo serrò i pugni così forte da rendere bianche le proprie nocche. «Va bene» rispose duramente.
Emma avrebbe voluto salutarlo in un altro modo, magari sfiorando ancora una volta le sue labbra o le sue spalle: avrebbe voluto scattargli qualche altra fotografia, simile a quelle che conservava gelosamente nel suo prezioso computer e che lo ritraevano interamente e in piccoli dettagli che solo lei avrebbe potuto ricondurre a lui. Avrebbe voluto fare tante cose, ma il modo in cui Harry la guardò quando tentò di avvicinarsi le sconsigliava di farlo, quindi gli voltò le spalle e chiuse gli occhi.
«Perfetto» esclamò di nuovo lui, mentre la guardava allontanarsi lentamente. «Sì, vattene».
Non ascoltarlo.
Emma aprì la porta con un sospiro e mise un piede fuori dall'uscio, mentre sentiva i passi di Harry farsi più vicini: aveva gli occhi lucidi e per niente al mondo si sarebbe voltata, per niente al mondo si sarebbe fatta vedere di nuovo fragile e contraddittoria. Quindi accelerò i propri movimenti, fino a ritrovarsi a percorrere velocemente le rampe delle scale: forse, se avesse corso abbastanza forte, il dolore non sarebbe stato in grado di raggiungerla ed imprigionarla.
«Ma sappi che sei solo un'egoista!» Lo udì urlare, probabilmente sul pianerottolo di fronte al suo appartamento. «Mi hai sentito?! Sei solo un'egoista del cazzo!»
Lo sentiva. Fin nelle ossa.
E forse lo era davvero, ma forse Harry non si accorgeva di esserlo almeno quanto lei, dato che si ostinava a rimproverarla e a chiederle di restare, nonostante la conoscesse e nonostante sapesse bene quanto per lei fosse difficile.
 
Rannicchiata sul suo letto disfatto, Emma aveva aspettato il passare della giornata, testimone immobile persino del tramonto scarlatto che aveva potuto scorgere dalla sua finestra. Affidandosi al profumo proveniente dalla cucina, poteva dedurre che fosse ormai ora di cena, ma non aveva voglia di alzarsi né di accertarsene: sentiva i muscoli ribellarsi a qualsiasi sua intenzione.
«Emma?» La chiamò il padre probabilmente dal corridoio, visto il tono di voce. «Esci da quella stanza, tua madre ha bisogno di aiuto in cucina».
Lei si raggomitolò ancora un po', come a volersi proteggere da quegli ordini e credendo di poter lasciare fuori tutto il resto del mondo: era letteralmente a pezzi e non poteva permettersi di dar retta a qualcun altro, perché la ferita che si portava dietro era troppo intransigente per permetterglielo.
«Emma?» Tentò di nuovo Ron, bussando alla sua porta.
«Vai via» gli ordinò lei con un filo di voce, senza che le importasse di essersi effettivamente fatta sentire.
«Sto entrando» annunciò il padre, aspettando qualche secondo per concederle del tempo per sistemarsi, nel caso non fosse stata presentabile.
Quando si fece largo nella stanza, lei gli dava le spalle: indossava ancora gli stessi abiti che l'avevano accompagnata da Harry, quelli che erano impregnati del suo profumo. «Papà, lasciami in pace» sussurrò, nonostante sapesse di non poter ottenere ciò che desiderava.
«Cosa succede?» Domandò infatti Ron, avvicinandosi al letto per poi girarci intorno e sedersi su di esso, dalla parte nella quale la figlia si stava facendo sempre più piccola, come alla ricerca di un cantone sicuro. La guardava con la confusione negli occhi, con la preoccupazione che solo un padre potrebbe provare.
Emma abbassò le palpebre e restò immobile. Era riuscita a rimanere intera, seppure da sola, a non cedere definitivamente, ma sentiva i propri argini indebolirsi sempre di più.
«Vuoi parlarne?» Le chiese piano, senza ricevere una risposta. Originario possessore della caparbietà che la figlia aveva poi ereditato, non si arrese di fronte a quei silenziosi rifiuti: tese una mano per posarla delicatamente sul braccio di Emma, accarezzandolo senza sfiorarlo con troppa insistenza, ma abbastanza dolcemente da provocare una reazione. Lei corrugò la fronte e trattenne le lacrime, mentre si arrendeva alla consapevolezza di aver bisogno di sfogarsi e alla malinconia che stava ancora bussando alla sua fragilità più intima.
«Vuoi piangere?» Insistette lui allora, quasi fosse ovvio.
Emma si lasciò scappare un singhiozzo sommesso, a quelle parole, come se fosse appena stata colpita dal loro significato: esprimerlo ad alta voce aveva stuzzicato la sua spontaneità, abbattendo i suoi freni e quasi dandole il permesso di sfogarsi completamente. Le dava il diritto di essere fragile, perché riconosciuto anche da qualcun altro e non solo dal suo istinto. Quindi annuì piano, continuando a tenere gli occhi chiusi e singhiozzando ancora, senza imporsi alcun controllo.
Ron le afferrò delicatamente il braccio che non aveva smesso di sfiorarle teneramente, in modo da farle alzare il busto ed accoglierla in una stretta paterna e sicura. La circondò con le sue braccia solide proprio come il suo sostegno, lasciandole nascondere il viso sempre più umido a causa delle lacrime sulla propria spalla sinistra. Emma si aggrappò alla sua schiena, stringendo nei palmi piccoli il tessuto della sua camicia, e lasciò che lui le accarezzasse i capelli lentamente, in una litania che avrebbe dovuto fungere da conforto.
La stava cullando piano, con piccoli movimenti che volevano scandire il suo sfogo, e fu in quel momento che si permise di tornare davvero bambina, stretta a suo padre ed avvinghiata al suo affetto.
 
Un nuovo messaggio: ore 21.36
Da: Harry
"Tu non sai nemmeno cosa sia l'amore"
 
Emma si strinse il telefono al petto, desiderando che quelle parole fossero vere.
Non rispose.

 





 


Buooonasera gente!
Devo fare in fretta, perché non ho tempo e sto per avere una crisi di nervi: alloooooora, che dire? Ennesimo confronto tra Emma ed Harry, che non poteva mancare: questa volta è lei a cercarlo (figuriamoci se, dopo il loro ultimo incontro, lui avrebbe mai smosso il suo orgoglio eheh), ma per un ultimo e disperato tentativo. Nonostante sappia già cosa il suo cuore le sta consigliando, cerca di fare la scelta più altruista tra tante e di prestare fedeltà esclusivamente alla volontà di Harry. Ci prova, ma fallisce: probabilmente molte criticheranno questa sua decisione, ma Emma è coerente con se stessa, quindi non avrebbe potuto fare altro. È sempre stata estrema in tutto, quindi anche qui non può essere da meno!
Lui ovviamente non la prende molto bene, infatti il litigio va a toccare anche altri piccoli argomenti, ma comunque alla fine i due si lasciano in malo modo: Harry che le urla contro, mentre lei scappa, letteralmente. Piccola parentesi con il padre di Emma, che non so da dove mi sia uscita, e poi il messaggio che lei riceve e al quale non risponde.
ORA, ditemi tutto quello che vi passa per la testa! Dubbi, perplessità, insulti (magari no ahah)? Insomma, sono curiosa di leggere le vostre opinioni a riguardo, le vostre aspettative per l'epilogo (dopo il quale potrò finalmente commentare un po' meglio le varie dinamiche!): vi sono chiare le motivazioni di entrambi? Credete di potervi schierare dalla parte di qualcuno? Cosa pensate dell'egoismo del quale entrambi si accusano? A voi i commenti :)

As usual, grazie di tutto!!!!!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
  
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