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Autore: MarySmolder_1308    23/07/2014    1 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Ian
“Cosa? E cosa voleva?” sgranai gli occhi allibito.
“Come ho detto, è un suo amico e mi ha chiamato per conto di Valerie. Mi ha detto che dopo l’incidente è stata portata in una clinica e così ha potuto curarsi. Ora, diciamo che le servirebbe il nostro aiuto”
“Vale a dire?”
“Nel processo di guarigione, spesso e volentieri, i dottori consigliano di parlare con le ‘vittime’. Più precisamente di scusarsi per il male che hanno causato loro”
“Ah, quindi lei vorrebbe che noi andassimo fin lì per sentire le sue scuse?”
“Sì” Mary annuì, sottolineando la risposta.
Strinsi i pugni.
“Quando è arrivata questa telefonata?”
“Il primo giorno. Il tizio della hall mi ha raggiunta al bar e poi mi ha accompagnata al telefono”.
“E poi sei tornata in camera e sei stata male”
“Già. E’ che… mi ha sorpresa. Parecchio”.
Scossi la testa, incredulo, ripensando alla discussione che avevo avuto con Paul quel giorno.
La telefonata stile ‘The ring’!
“Questo è… è troppo” dissi, un po’ amareggiato, alzandomi dal divano.
Recuperai una stampella e andai verso l’ingresso della casa.
Presi la giacca che era appesa sull’attaccapanni e cercai l’accendino.
“Ian, che stai facendo?”
“Ho bisogno di uscire. E di fumare. Decisamente di fumare – la voce mi tremò – Perché tu non imparerai mai, vero?” mi voltai, bloccando con lo sguardo ogni suo tentativo di avvicinarsi.
“Per favore, calmati”.
La ignorai, mentre mandavo un messaggio con l’Iphone.
<< John, cortesemente potresti venire a casa di Mary? Non posso ancora guidare e devo andare da una parte. Grazie in anticipo >>.
“A chi stai scrivendo? Ian!”
“Mary, non posso calmarmi! Mi hai tenuto all’oscuro di questa cosa per cinque giorni. Perché non me l’hai detto prima?”
“Non volevo rovinarti la convention”
“E? Sento che questa frase continua”
“E volevo proteggerti”
“Proteggermi? E da cosa, se mi posso permettere di chiedere?”
“Lei ti ha investito. Sei vivo e sei riuscito a riprenderti quasi del tutto per chissà quale miracolo. Come potevo dirti una cosa simile?”
“Mary, dimentichi il fatto che quella donna ha sparato a te. Non sono stato solo io una sua ‘vittima’” feci le virgolette.
“Hai ragione, ma”
“Niente ‘ma’. Avresti dovuto mettermi al corrente di tutto ciò, non appena messo piede su territorio americano. Mi spiace, Mary, ma hai sbagliato”.
Vidi dei fari riflettere la loro luce sulla finestra.
“C’è John, perfetto” mi accesi una sigaretta e infilai la giacca, reggendomi su una stampella.
“Ian, dove credi di andare?”
“Non sono affari tuoi”
“Oh, io credo proprio di sì”
“No. Non sei riuscita nemmeno a mantenere la promessa che mi hai fatto” borbottai, chiudendo il discorso in quel modo.
Aprii il portone di casa.
“Bravo, va’ pure! Adesso chi è quello che scappa? Eh, Ian?” mi urlò Mary, poco prima che mi chiudessi il portone alle spalle.
Salii in macchina.
“Dove siamo diretti?”
“Roulotte”.
John partì.
“Ma come diavolo ha potuto nascondermi una cosa simile?” pensai, guardando con la fronte corrucciata fuori dal finestrino, mentre ci allontanavamo sempre di più dalla casa di Mary.
“Signor Somerhalder?” mi chiamò John.
“Sì?” distolsi lo sguardo dal panorama e guardai il mio fidato autista.
“Posso chiederle perché lei e Mary avete litigato?”
“Noi non – cercai di pararmi il sedere, ma era inutile; John capiva sempre tutto – Mi ha nascosto una cosa, che non doveva nascondere”
“E quindi ora si rifugia in mezzo ai boschi per?”
“Ho bisogno di pensare”
“Giusto” commentò, annuendo lievemente con la testa.
Non fiatò per tutto il resto del viaggio. Quando arrivammo alla mia roulotte, lo ringraziai per il passaggio e andai dentro.
Com’era accogliente e serena! Si sentiva solo il fruscio delle foglie.
Sospirai, sedendomi sul letto.
Istintivamente presi l’Iphone e scrissi un messaggio a Mary.
<< Scusa per la scenata. Sono alla roulotte. Dammi solo un po’ di tempo per pensare. Ti amo, sempre e comunque >>.
Non riuscii a premere invio.
Era più forte di me.
Dannato fottutissimo orgoglio!
Cancellai il messaggio e scrissi un tweet, mentre accendevo un’altra sigaretta. Almeno indirettamente avrebbe ricevuto ugualmente il messaggio.
 
POV Mary
“Addio coccole! – borbottai incacchiata, tornando a sedere sul divano – Lo odio quando fa così” sbruffai, accasciandomi sulla parte libera del mobile.
Afferrai distrattamente il telecomando e cominciai a fare zapping. Avevo appena trovato un episodio replica di ‘Once upon a time’, quando il cellulare trillò. Lo presi dal tavolinetto su cui era appoggiato e controllai chi fosse. Era una notifica di twitter. Ian aveva appena scritto un tweet. Cliccai e lo lessi: << Sto per lasciare il telefono Dio solo sa dove. Solo gli alberi stanno a sentirmi… e spero anche tu. Ci risentiamo tra un paio di giorni, twitterverse. #tempodipensare >>.
Gettai il telefono dall’altra parte del divano.
Ah, se l’avessi avuto davanti una sberla non gliel’avrebbe tolta nessuno!
Mi portai le ginocchia al petto, pensando a cosa diavolo potessi fare.
“Lasciagli il suo tempo” pensò una vocina nella mia testa.
“Oppure vai alla roulotte e digliene quattro” replicò una seconda.
“No, si arrabbierebbe. Lasciagli i suoi spazi”
“Ma perché lui si può arrabbiare un giorno sì e l’altro pure e tu devi startene seduta su un divano a incassare colpi, peggio di un pugile incapace? Non è giusto. Queste cose si dovrebbero risolvere all’istante. L’estate non ha insegnato niente?”.
Mi presi il volto tra le mani, massaggiandomi le tempie e mettendomi a pancia in su.
C’era più confusione nella mia mente che in una piazza del mercato.
Ripresi il cellulare e andai sul mio profilo, cliccando poi su ‘Scrivi un tweet’.
<< Once upon a time. Pizza. Birra. La serata perfetta >>.
Lo guardai, un po’ indignata, e lo cancellai.
Non potevo fare il suo stesso gioco. Non eravamo adolescenti con gli ormoni sballati, eravamo adulti e dovevamo comportarci in modo più maturo. Perlomeno avremmo dovuto.
Anzi, avrebbe dovuto!
“Ian Joseph Somerhalder, non so che ti farei in questo momento! E ora mi è pure venuta voglia di pizza e birra!” brontolai in italiano, spazientita.
Mi alzai e andai in cucina.
Stappai una bottiglia di birra e misi a riscaldare una pizza surgelata.
“Guardami, Somerhalder, sto facendo una cosa e non la sto scrivendo, come vivrò ora?” parlottai con voce lamentosa, non riuscendo a capire perché cavolo avesse scritto quel tweet.
Non appena il microonde trillò, segnando che la pizza era cotta, suonarono alla porta, facendomi tornare con i piedi per terra.
“Chi è?” chiesi ad alta voce.
“L’uomo nero” disse duramente.
Dopo qualche secondo si sentì una risata cristallina. Inconfondibile.
Mi diressi verso l’ingresso, mentre la donna fuori dalla porta diceva: “No, non è vero, sono Nina”.
Spalancai la porta e l’abbracciai.
“Sei una manna dal cielo!” esclamai, stringendola.
“Posso entrare o dobbiamo restare sul portico tutta la sera?”
“Oh! Certo – feci una risatina, un po’ mortificata – Prego, entra” sciolsi l’abbraccio e mi scansai, permettendole di varcare la soglia.
Aveva i capelli mossi sciolti, tenuti in ordine da una semplice fascia nera.
Indossava un paio di leggings scuri e una felpa fucsia.
“Sei reduce da un pomeriggio di palestra?”
“In realtà no, ho impiegato il mio tempo a sistemare il mio grandissimo e disordinatissimo armadio”.
Sghignazzai.
Andai in cucina, prendendo sia la birra aperta che la pizza, poi presi una birra chiusa e tornai in soggiorno.
Non appena ci accomodammo sul divano, mangiucchiando e bevendo, Nina mi squadrò da capo a piedi.
“Cosa?” chiesi incerta.
“Chi è stato stavolta?”.
Sospirai.
“Hai letto quel tweet enigmatico, vero?”
“Già, perciò ora parla”
“Gli ho detto di Valerie e se n’è uscito con un ‘Non imparerai mai’, poi con un ‘Dovevi dirmelo appena messo piede su territorio americano’ – parlai imitandolo – e poi ha fatto venire John per accompagnarlo chissà dove”
“Alla roulotte”
“Già l’ho scoperto dopo con quel tweet”
“Mmmm”
“E’ colpa mia di nuovo, vero?”
“No. Ha sbagliato lui stavolta. E’ vero che non ne hai parlato subito, ma ventiquattro ore avrebbero davvero fatto la differenza? Siete tornati ieri, in fondo. Andiamo!”
“E’ quello che penso anch’io! Me lo spieghi perché è un bellissimo coglione permaloso?”
“Semplice: perché è un uomo”
“Razza evoluta mi dicevano” feci una smorfia.
Nina scoppiò a ridere e io la seguii a ruota.
“Allora, che ne pensi di fare una serata tra donne improvvisata? Potremmo così ultimare la cena” mi propose.
“Ci sto! Dove?”
“McDonald’s?”
“Le buonissime schifezze sono proprio le cose che ci vogliono stasera – dissi, già con l’acquolina in bocca – Mi vesto e arrivo” le sorrisi e corsi al piano di sopra.
 
POV Nina
Guidai a tutta velocità con la musica a tutto volume, mentre io e Mary cantavamo a squarciagola le canzoni dei Lifehouse, specie ‘Had enough’, una tra le preferite di entrambe.
“Everytime I reach for you
There's no one there to hold on to
Nothing left for me to miss
I'm letting go, letting go of this
Lost my mind thinking it through
The light inside has left me too
Now I know what empty is
I've had enough, had enough of this”
Non appena arrivate, ordinammo e ci accomodammo. Prima di cominciare a ingurgitare i nostri cheeseburgers, la invitai a scattare delle foto.
Ne facemmo circa una decina, tra selfie e cibo.
Mentre stavo caricando un collage con le foto su Instagram, Mary mi chiamò.
“Sì?” la guardai.
“Grazie. Davvero”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi. Lo sto facendo con piacere”
“Beh, ti ringrazio comunque” Mary sorrise e cominciò a mangiare.
Addentai il mio cheeseburger anch’io, mentre mi arrivava una notifica di Instagram.
Ian aveva messo un cuore al collage.
Scossi la testa, un po’ sorpresa, un po’ divertita.
Era davvero un pirla patentato!
“Nina, che succede?”
“Succede che penso che presto Ian ti contatterà”
“Cosa te lo fa credere?”
“Prima fa tutto il duro, fanculizzando il telefono e qualsiasi contatto con il mondo esterno e soprattutto con te, poi spulcia Instagram e mette cuori alle foto di stasera. Si è palesemente pentito della scenata che ha fatto”
“Lo spero – Mary sospirò e bevve un po’ di 7Up – Non parliamo di lui, su! Che serata tra donne è se si torna a parlare di uomini?”
“Hai ragione. In alto i calici – entrambe alzammo i nostri bicchieri di cartone – A noi e a una serata senza uomini, sia in teoria che in pratica”
“Cin cin” disse, bevendo ancora.
 
POV Mary
“Hey, I just met you
And this is crazy
But here’s my number
So call me maybe” cantai insieme alla piccola umana che avevo come paziente.
Jennifer Hogan, sedici anni.
Biondina, occhi azzurri, sbarazzina, sempre solare.
“Adoro questa canzone” disse, ridendo.
“Lo so, è per questo che la cantiamo quasi ogni volta che vengo a visitarti” la guardai, facendola ridere di più.
Scossi la testa, scoppiando a ridere anch’io, poi staccai il suo cellulare.
“Avanti, tempo di serietà. Devo vedere come stai oggi”
“Agli ordini” Jennifer fece il gesto da militare e si mise a sedere, guardandomi seria.
Presi lo stetoscopio e la auscultai, notando che respirava più a fatica.
“Da quanto hai maggiori problemi a respirare?”
“Stanotte”
“Mmmm” mormorai, riponendo l’attrezzo nella tasca del camice bianco.
“Cosa?”
“Niente. Devo prescriverti degli esami. Lo dico ai tuoi genitori e cerchiamo di farli in giornata. D’accordo?” sorrisi, cercando di rassicurarla.
“D’accordo” fece spallucce.
Le strinsi la mano e uscii dalla camera. I suoi genitori mi vennero incontro.
Si vedeva lontano un miglio che erano stremati. Avevano entrambi i capelli biondi scombinati, gli occhi gonfi, delle occhiaie profonde, i vestiti spiegazzati. Non facevano altro che dormire in sala d’attesa. Nemmeno i dormitori dei medici andavano bene per loro. Sarebbero stati troppo lontani dalla loro piccola Jen.
“Allora?” chiesero entrambi contemporaneamente.
“Beh, ho notato che il respiro peggiora. Devo prenotare una TAC”
“Mi sta dicendo che” cominciò la madre.
“Che dobbiamo controllare se per caso il tumore sta intaccando sempre di più i polmoni”
“In tal caso cosa dovremmo fare?”
“Posso provare ad aprirla e, in base alla situazione che ho davanti, a rimuoverlo, ma non posso dirlo ora con certezza. Meglio fare la TAC”
“D’accordo. Grazie dottoressa Floridia”
“Di niente. Prenoto subito. Con permesso” accennai un sorriso e andai a consegnare la cartella di Jennifer al bancone delle infermiere.
Dopo aver prenotato la TAC, andai in mensa per un caffè.
Non appena mi sedetti a un tavolo, mi ritrovai John davanti, smagliante, in divisa.
Non indossava il cappello, scoprendo così i suoi capelli brizzolati.
“Mary” mi salutò, sorridendo.
“John – dissi sorpresa – Che ci fai qui?”
“Mi chiedevo se proprio in questo momento tu fossi impegnata” cominciò a tamburellare con le dita sulla superficie del tavolo.
“Te lo chiedevi tu o l’attore tutto muscoli e orgoglio per cui lavori?”.
Mi guardò esitante per un po’.
“Il secondo” rispose alla fine.
“Bene. Sono molto impegnata al momento. Devo finire il mio caffè e fare delle analisi a una ragazzina di sedici anni, dopodiché visitare i post-operatori del mio superiore Wilson. Riferiscilo all’attore tutto muscoli e orgoglio” stavo per alzarmi, quando John mi bloccò per il polso.
“Mary, solo un’ora”
“Un’ora per?”
“Andare, parlare con lui e tornare. Non è molto”.
Lo guardai, tentennando ancora un po’, poi sbuffai.
“E va bene. Giusto il tempo di spartire queste analisi tra i miei specializzandi e avvisare il Capo. Ci vediamo all’ingresso tra dieci minuti, ok?”
“D’accordo” John sorrise e mi lasciò andare.
 
POV Ian
Erano solo le sette del mattino. Il sole era sorto da qualche minuto. I suoi deboli raggi già illuminavano sia la roulotte che la natura che mi circondava. Feci un respiro profondo, godendo appieno dell’aria fresca e pulita che entrava nei miei polmoni. Bevvi tutto d’un sorso un bicchiere d’acqua e poggiai il bicchiere sul tavolino. Guardai la sedia vuota davanti a me e sospirai.
“Presto sarai riempita. Per così dire. Almeno si spera”.
Guardai nuovamente l’orologio. Le sette e due minuti.
Guardai in alto, storcendo la bocca.
Doveva venire.
Doveva.
Un rumore mi fece distogliere lo sguardo e focalizzare sulla stradina, che conduceva alla mia roulotte.
Era l’Audi nera di John.
Sospirai di sollievo, presi le stampelle e andai incontro ai passeggeri dell’auto.
Mary scese velocemente, chiudendo lo sportello.
“Allora, sbrighiamoci, perché devo tornare a lavoro” disse seria, sorpassandomi e accomodandosi sulla sedia.
Mi voltai e tornai a sedere anche io, mentre John borbottava un ‘Vi lascio da soli’.
Non appena ci ritrovammo fronte a fronte, Mary sbottò: “Allora, Ian, hai smesso di fare il dodicenne o quest’inutile guerra fredda deve continuare? Perché è dall’altro ieri che stai qui in mezzo ai boschi a giocare al ‘Dottor Stranamore’ – fece le virgolette – e a tenere il broncio per una cosa che di per sé è ridicola. E”
“Posso dire una cosa?” la interruppi.
“No. Prima finisco di parlare. Dicevo che sinceramente questo comportamento mi ha lasciata molto amareggiata. Io capisco che ti ha dato molto fastidio il fatto di essere stato tenuto all’oscuro, ma di certo non l’ho fatto perché  l’idea mi piacesse. Inoltre, non ho preso nessuna decisione senza di te, dato che in un futuro imminente o più lontano prevedevo comunque di metterti al corrente di tutto questo. E il tuo comportarti come un adolescente in piena fase ormonale non aiuta, in queste occasioni. Non voglio continuare questo discorso, non voglio continuare a discutere, voglio solo far presente che tu hai il diritto di agire così e di arrabbiarti e di fare quello e quell’altro e io no. Perché? Davvero tu, se per ipotesi avessi ricevuto quella telefonata al posto mio, mi avresti informata subito? Perché io penso di no. Ma io non avrei reagito così. Ti avrei compreso. Quello che quella donna ci ha fatto passare è stato orribile. Come ti ho detto due sere fa, siamo vivi per miracolo, soprattutto tu. Lo sai che per la lesione che avevi al cervello potevi anche non svegliarti più? Lo sai che Steve mi ha confidato che quando ti sei svegliato era sorpreso? Perché credeva che non ti saresti più svegliato. Credeva che saresti stato un vegetale. E sinceramente lo credevo anch’io, quando ti ho visto a terra sull’asfalto, prima che – mi arrestai – Quella donna mi ha sparato a sangue freddo. Perciò, è normale avere paura, non credi? E per quanto riguarda la promessa… non sono riuscita a farlo per molto tempo. Pian piano sto capendo che ne sono capace. Tuttavia, sto ancora imparando a farlo e non me ne puoi dare una colpa. In fondo è come imparare a camminare, secondo me. Forse più difficile come cosa, perciò”.
Mary non ultimò quel monologo.
Mi ero sporto abbastanza da poterla baciare.
Lasciò che la mia lingua si insinuasse prepotentemente nella sua bocca e si intrecciasse con la sua. Il tavolino che ci separava cadde sull’erba. Poco dopo cadde anche la sedia su cui Mary era seduta.
Mi ritrovai sopra di lei, ancora preso a baciarla, avido, come se non ne avessi abbastanza. Il femore protestava e tanto, ma non potevo staccarmi da lei.
Fu, invece, lei a farlo.
“Non sarà un bacio a far smettere la guerra fredda, Ian. Per quanto sia bello baciarti” disse, guardandomi le labbra e carezzandomi una guancia.
“Mary, ho esagerato. Sono un permaloso coglione patentato. Hai ragione, anche io avrei agito al tuo stesso modo, con la differenza che tu mi avresti compreso e io non l’ho fatto. Non subito. Sono un idiota. Dovevamo parlarne subito, invece me ne sono andato. Sono scappato. Come hai fatto tu. Mi sono nascosto”
“Non posso fartene proprio una colpa, perché capisco benissimo cosa vuol dire. So che l’importante è risolvere, ma, Ian, ti supplico: promettimi che da oggi risolveremo qualsiasi cosa possa capitare nell’immediato. Per favore. Perché io non posso sopportare il silenzio tra noi. Mi fa male. E sono sicura che fa male anche a te. Ti prego”
“D’accordo. Lo prometto”
“Bene. Adesso abbiamo due promesse da mantenere”
“Già”
“Ian”
“Sì?”
“Potresti scostarti? Il tuo femore starà sicuramente imprecando in aramaico in questo momento e io stessa sono bloccata e dolorante. Stare seduta su una sedia rovesciata non è il massimo, sai?”.
Scoppiai a ridere e mi scostai, aderendo all’erba con la schiena.
“Mary”
“Sì?” rispose, mentre si alzava dalla sedia, facendo una capovolta all’indietro, e si sdraiava sull’erba accanto a me.
“Cosa sei, una ginnasta? – sghignazzai – Comunque… hai salvato il numero dell’avvocato?”
“Sì, perché?”
“Chiamalo e dì di no”
“Perché? Se Valerie vuole scusarsi” lasciò cadere il discorso.
“Mary, da ciò che hai detto prima e dal tuo tono si capisce chiaramente che non credi pienamente a queste parole. Nessuno ci assicura quali siano effettivamente le sue intenzioni. Non voglio che ti accada nuovamente qualcosa a causa sua. Perciò, decisione presa. La risposta è no”
“Ma, Ian, quest’incontro potrebbe essere un modo per avvicinarla alla completa guarigione. Anche se, è vero, lo ripeto, il solo pensiero di rivederla mi fa paura, non posso anche negare che per lei potrebbe essere un bene. Vuoi negarle tu questa possibilità?”
“Perché hai un cuore così grande? – sospirai – E va bene, dì di sì. Ma, sia chiaro, se quando andiamo lì c’è il minimo sospetto che possa accaderti qualcosa, ti prendo in spalla e ti porto via da quella clinica alla velocità della luce”
“Forse dovrei portarti io in spalla. Ti faccio notare che hai le stampelle”
“In realtà queste stampelle sono il corrispettivo degli occhiali di Clark Kent”
“Stai cercando di dirmi che sei un supereroe?”
“Beh, sì, non posso più nascondertelo” scossi lievemente la testa.
“Sei un cretino” scoppiò a ridere e mi diede una spintarella.
“Stai maltrattando e offendendo una persona debole – indicai le stampelle con un cenno del capo – vergognati. Meriteresti una lezione”
“Che tipo di lezione?” si soffermò automaticamente sulle mie labbra.
“Mmm… vediamo” feci finta di pensarci, mentre con due dita mi toccavo il mento.
Mary si avvicinò alle mie labbra, ma non riuscì a toccarle. Mi ero allontanato. Corrugò la fronte e ci riprovò, ma mi allontanai nuovamente.
“Ah ah, credo che questa lezione sia molto efficace” sorrisi.
“Sei un bambino. E sei crudele. Lasciatelo dire” mi lanciò un’occhiataccia.
“Dì pure quello che vuoi! La lezione non cambia”
“Ti stai divertendo in una maniera incredibile, maledetto”
“Io sono schiavo del divertimento” scoppiai a ridere e, con cautela, mi alzai.
Mary si alzò pure e mi recuperò le stampelle.
“Grazie”
“Prego”
“Forse è meglio che tu vada a recuperare John. Dovresti tornare a lavoro o sbaglio?”
“Non sbagli. Ci vediamo stasera?”
“Mi troverai a casa quando tornerai” le sorrisi rassicurante.
“A stasera, allora – mi diede un bacio sulla guancia – Ciao, dottor Stranamore” alzò la mano come gesto di saluto e andò a cercare John.
 
Io e Mary entrammo nella clinica con passo esitante.
L’aria calda del condizionatore ci avvolse, mandando via il freddo dell’esterno, mentre entrambi ci guardavamo attorno, come timorosi di un agguato.
L’ambiente era abbastanza accogliente, ricco di colori caldi, come l’azzurro e il color sabbia, che richiamavano il mare e la spiaggia.
Quel posto mi sarebbe piaciuto, se non fosse stato per il fatto che era una clinica per malati di mente.
Una donna, massimo di venticinque anni, con i capelli rossi avvolti in una cuffietta, ci venne incontro sorridendo.
“Il signor Somerhalder e la signorina Floridia, suppongo. Sono Vanessa” sorridendo, porse la mano prima a me, poi a Mary.
“Nicholas mi ha contattato circa una settimana fa e mi ha detto che Valerie voleva vederci” Mary parlò con tono sommesso, quasi come se avesse paura che una parola sbagliata potesse scatenare una guerra.
“Proprio così. Seguitemi, vi porto nella sua stanza” Vanessa sorrise nuovamente, poi girò i tacchi e cominciò a camminare.
Salimmo almeno quattro rampe di scale, sfortunatamente per me, prima che Vanessa si fermasse davanti a una porta marrone. Sulla porta vi era il numero duecentotredici e il nome Valerie, scritto in viola con delle rose bianche disegnate attorno.
“Eccoci qua – Vanessa aprì la porta – Se avete bisogno, vicino al letto c’è un pulsante rosso per chiamarci” detto questo, se ne andò.
“Valerie? – pronunciai quel nome incerto, mentre entravo in quella camera, con Mary al seguito – Ci sei? Sono Ian. S-somerhalder – balbettai – Con me c’è anche Maria Chiara Floridia. Il tuo amico Nicholas ci ha contattati. Ha detto che volevi vederci. Ricordi?”.
Non appena finii quella specie di monologo, il silenzio tornò a regnare in quella stanza.
Guardai Mary, la quale si strinse nelle spalle.
Che Valerie fosse uscita senza che le infermiere se ne accorgessero?
“Siete venuti davvero. Ah, ne sono felice!” un uomo con i capelli brizzolati fece capolino dal bagno, sfregandosi le mani sui jeans.
“Lei è l’amico di Valerie?” chiese Mary.
“Sono Nicholas, sì, ma… in realtà sono il fratello di Valerie”
“Non è quello che mi ha detto al telefono” sbottò.
Nicholas fece una smorfia, mentre i suoi occhi azzurri danzavano dal suo volto al mio.
“Non ho detto la verità per paura. Pensavo che mi avreste ritenuto di parte e non avreste accettato di vederla. Seguitemi, Valerie è in terrazza”.
Il suo tono era gentile, pacato.
Io e Mary ci guardammo nuovamente, prima di seguirlo.
Valicata una porta finestra, ci ritrovammo in una deliziosa terrazza, con il pavimento in terracotta e la ringhiera possente in marmo. Al centro della terrazza vi era un gazebo, sotto il quale si trovava un tavolo in vetro.
Seduta accanto al tavolo a sorseggiare un succo, vi era una donna bionda, massimo sulla trentina.
Doveva essere per forza Valerie, perché, appena si voltò mostrando i suoi occhi azzurri, Mary si irrigidì e si voltò immediatamente per non farsi vedere.
“Mary, tutto ok?” le sussurrai all’orecchio.
Annuì lievemente.
“Siete venuti. Vi ringrazio. Prego, accomodatevi” la voce cristallina di Valerie mi distolse da Mary.
Feci come mi aveva detto e mi accomodai di fronte a lei, posando le stampelle vicino alla sedia. Dopo qualche secondo, Mary ci guardò sorridendo e si sedette al mio fianco.
“Posso offrirvi qualcosa?” chiese Nicholas.
“Nichie, caro, potresti portare altro succo!” Valerie gli sorrise.
Nicholas obbedì e sparì dentro.
“Hai proprio una bella… stanza” dissi, sorridendo nel modo più naturale possibile.
“Grazie, Da – si arrestò – Ian” concluse.
Nel suo volto c’era una smorfia di dolore, come se si fosse davvero sforzata con tutta sé stessa di dire il nome giusto.
Continuai a osservarla con discrezione.
Aveva chiuso gli occhi, respirando lentamente.
Quando suo fratello tornò con quattro bicchieri di succo all’ace, Valerie riaprì gli occhi, visibilmente più tranquilla.
“Ok – disse, dopo aver bevuto – andiamo dritti al punto. Sono passati due mesi e circa due settimane da quel giorno. In questi mesi ho lavorato con molte persone, avendo sempre il mio caro Nichie accanto” gli strinse la mano.
Il quadretto familiare era veramente adorabile. Mi voltai distrattamente verso Mary. Teneva gli occhi bassi. Aveva i pugni stretti. Sporsi una mano, cercando la sua e la trovai. Mi stringeva forte ed era molto calda. Avvertivo la sua agitazione da quel calore.
Continuando a tenere la sua mano stretta, rivolsi nuovamente lo sguardo a Nicholas e Valerie.
“In questo periodo, ho avuto il tempo di metabolizzare e accettare i miei errori e di meditare su me stessa. E ora, grazie a tutte le persone che mi sono state accanto, ho capito che c’era qualcosa di sbagliato che non andava nella mia mente. C’era un meccanismo che non scattava, quello che riesce a farci distinguere a realtà dalla finzione. Ho lavorato molto per riuscire a compiere quest’impresa, per me titanica, ma ora finalmente e con soddisfazione posso dire di essere guarita. E che, inoltre, mi dispiace di averti investito, Ian. Quelle – esitò – quelle stampelle ti servono a causa mia?”
“Sì, Valerie” confermai, guardandole.
“Oh, mi dispiace così tanto – la sua voce si spezzò, il suo volto ricordava quello di una bambina indifesa – Potrò mai avere il tuo perdono?”
“Lo puoi avere già adesso. Ti perdono, Valerie” le sorrisi.
“E’ bellissimo sentirlo e saperlo – ricambiò il sorriso, poi tornò seria e timorosa, rivolgendosi a Mary – Maria Chiara, giusto?” la sua voce era esitante, come se non volesse disturbarla.
Mary, però, continuava a tenere lo sguardo basso, fissando le nostre mani intrecciate.
“Mary” sussurrai.
“Scusatemi” Mary mi lasciò la mano e corse dentro.
Valerie rimase turbata da quel gesto. Sembrava davvero una bambina innocente, non in grado di comprendere tutte le cose che le accadevano intorno.
Senza pensarci due volte, presi le stampelle e la raggiunsi.
 
POV Mary
L’impatto con l’asfalto fu tremendo, enfatizzato da un rumore atroce.
Cominciai a rotolare, fin quando non sfiorai il marciapiede con un gomito.
La testa mi stava esplodendo, avevo preso una bella botta.
Cos’era successo?
Riaprii gli occhi confusa.
Ian era a terra e non si muoveva.
Ecco cos’era quel rumore.
L’auto nera, poco più in là rispetto a lui, doveva averlo preso in pieno.
“Ian! Ian!” urlai.
Mi alzai velocemente, ignorando la spalla destra che protestava, e corsi verso di lui.
“Ian, svegliati” mi inginocchiai al suo fianco e cominciai a scuoterlo, mentre le lacrime scendevano, ricadendo sul suo volto.
Niente da fare, continuava a essere incosciente.
Mentre cercavo di capire che danni avesse, vidi del sangue uscire dalla sua testa.
“No, no, no, no! Ti prego, no!” singhiozzai più forte e provai a chiamare l’ospedale con le mani che mi tremavano.
Purtroppo, né il mio né il telefono di Ian funzionavano.
Erano spenti. Andati.
“Dannazione!” imprecai.
“Scusami, Damon, non miravo a te. L’auto fallisce, questa no” disse la donna che l’aveva investito, dopo che era scesa dall’auto.
“Il suo nome è Ian. Che problema ha?” ribattei tra le lacrime, gridando e guardandola negli occhi, azzurri. Glaciali.
“Mary, ma che diavolo è successo?” la voce di Nina era scioccata.
Mi voltai per risponderle, ma non feci in tempo.
Un rumore assordante echeggiò.
Un tepore si fece largo nel mio addome.
Guardai in basso, mentre il sangue si faceva strada nei miei vestiti, poi caddi a terra.
 
“Mary” Ian mi chiamò.
Riaprii gli occhi.
“Mary” disse nuovamente il mio nome.
“Scusami, è solo che non ce la faccio. Sta riaffiorando tutto, tutto quanto. Tu privo di sensi sull’asfalto; la sua voce gelida che dice che non mirava a te; il sangue che ti colava dalla testa; il tuo sguardo… sembravi privo di vita! E-e poi” mi guardai intorno agitata, non riuscendo a continuare.
Tutto era confuso, non riuscivo a pensare lucidamente, troppo sopraffatta dai ricordi delle mie urla.
I miei polmoni cominciarono a reclamare sempre più aria.
Mi massaggiai il petto, mentre il mio respiro diveniva più affannoso.
“Ok, Mary, calmati! Respira! Non pensare a quello che è successo, ma a ciò che mi hai detto per trascinarmi qui: parlare con noi e vederci le sta facendo bene. Ha fatto un percorso ed è praticamente guarita. Noi siamo alla fine del percorso e siamo le pedine più importanti, perché siamo le vittime, insieme a lei, di tutto questo. Hai visto la sua faccia quando le ho detto che la perdonavo? Pensa alla faccia che farà quando tu la perdonerai. Pensa a questo, tesoro”
“Mi dispiace. Io non posso” lo guardai mortificata e uscii dalla stanza.
 
POV Ian
Guardai Mary andare via e tornai in terrazza.
Sia Valerie che Nicholas mi guardavano, in attesa.
“M-mi dispiace. Mary se n’è andata” balbettai.
“Oh” fu tutto quello che disse Valerie.
Stavo per continuare a parlare, quando Nicholas mi bloccò: “Non si preoccupi, signor Somerhalder. Semplicemente non era ancora pronta”
“Parla come se un giorno lo sarà”
“Naturale. Ne sono certo” mi sorrise.
“Scusate quest’inconveniente, chiamiamolo così. Una buona serata” accennai un sorriso e uscii anch’io da quella stanza.
Quando andai nel parcheggio, trovai Mary appoggiata alla macchina.
“Ian – disse il mio nome, tenendo lo sguardo basso – io non so come scusarmi”
“Mary, tranquilla. Non fa niente”
“Ne sei sicuro?”
“Ma certo! Nicholas ha detto che non eri pronta e, beh, ha ragione. Quel giorno tu… beh… diciamo che hai visto più di me. Di conseguenza, è normale che tu abbia bisogno di più tempo”
“Sono davvero mortificata”
“Sssh, tutto bene – la baciai in fronte – Torniamo a casa, su”.
 
POV Mary
Uscii dalla doccia e avvolsi il mio corpo con il mio telo azzurro. Asciugai i piedi e indossai le pantofole, dopodiché spannai il vetro. Raccolsi i capelli in un asciugamano e spalmai una crema viso, il tutto mentre dal mio cellulare proveniva la calda e splendida voce di Michael Bublé.
“Baby, don't you know I love you so?
Can't you feel it when we touch?
I will never, never let you go
I love you, oh, so much” canticchiai, mentre mi muovevo lievemente col bacino.
Appena la canzone si concluse, presi il telefono per sceglierne un’altra, quando notai l’orario.
“Merda!” dissi.
Erano già le dodici e trenta. Dovevo preparare il pranzo.
Scesi velocemente al piano di sotto e corsi in cucina.
Affettai la cipolla e misurai la pasta, in modo che bastasse per due persone, poi presi i cubetti di prosciutto dal frigorifero.
“We live in cities you'll never see on screen
Not very pretty, but we sure know how to run things
Living in ruins of the palace within my dreams
And you know we're on each other's team” cantai insieme a Lorde, mentre maneggiavo con una padella.
Fattala riscaldare abbastanza, vi misi la cipolla affettata e i cubetti di prosciutto, cominciando a mescolare.
Dopo aver sentito il portone richiudersi, sentii delle mani prendermi per i fianchi, coperti ancora solo dal telo doccia.
“Buongiorno” disse Ian, soffiando sul mio collo.
“Buongiorno – risposi, sorridendo – Sto preparando la pasta alla carbonara oggi. Avevo voglia di Italia”
“Oh, io penso che la pasta possa aspettare!”
“Cosa te lo fa credere?”.
Ian non rispose. Perlomeno non a parole. Mi sentii invasa dal suo tocco, ovunque, specie nelle mie parti più intime.
Quel gesto mi colse piacevolmente di sorpresa. Lasciai il manico della padella e mi appoggiai al bancone.
“Cosa stai facendo?” dissi lentamente con voce roca.
“Sto servendo l’antipasto”
“Ian, noi non”
“Possiamo? Da oggi sì. Steve mi ha dato l’okay stamattina. Le stampelle sono andate per sempre” mi spiegò tranquillamente, continuando quella dolce tortura.
“Capisco” mi aggrappai al suo collo, mentre la mia schiena aderiva perfettamente al suo petto.
Ian allungò la mano libera e spense i fornelli sia della padella che della pentola, dopodiché mi sfilò il telo doccia e l’asciugamano che avvolgeva i miei capelli, che ricaddero ancora umidi sulle mie spalle.
Mi voltò. Ero completamente nuda dinanzi a lui. Senza permettermi di parlare, smise di toccarmi e fece sì che le mie gambe cingessero i suoi fianchi.
“Buon pranzo, tesoro” mi disse sogghignando, visibilmente eccitato.
Cominciammo a baciarci con foga, mentre mi portava al piano di sopra, nella stanza che finalmente potevamo riutilizzare.
 
“All this feels strange and untrue
And I won't waste a minute without you
My bones ache, my skin feels cold
And I'm getting so tired and so old
The anger swells in my guts
And I won't feel these slices and cuts
I want so much to open your eyes
'Cos I need you to look into mine
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes”.
Afferrai il cellulare e staccai la sveglia, il tutto con la testa ancora riparata dalle coperte.
Le cinque del mattino.
Ma il mio turno cominciava tra tre ore!
Chi cavolo aveva messo quella sveglia?
Strizzai ancora di più gli occhi, cercando di ricordare.
 
“Ecco qua” disse Steve sogghignando.
“Cosa?” lo guardai incuriosita.
“Ti ho puntato la sveglia sul cellulare, così domani mattina non avrai problemi ad alzarti” mi sorrise, scompigliandomi i capelli.
“Non ti so dire. Sono così distrutta che penso neanche una cannonata riuscirà a svegliarmi”
“Vedremo! – rise e mi abbracciò – A domani, Mary”.
 
“Io ammazzo lui e la sua ironia, figlio di” borbottai, facendo capolino dalle coperte.
Corressi la sveglia e la spostai di un’ora e mezza, impostando nuovamente come canzone ‘Kiss me’ di Ed Sheeran; dopodiché posai il cellulare sul comodino e tornai a dormire.
Quando fui nuovamente strappata dal mondo dei sogni, mi alzai e cominciai ufficialmente quella giornata. Mi lavai e mi vestii, poi scesi al piano di sotto, dove nessun felino mi accolse. Subito aprii la conversazione di Whatsapp con Ian e gli scrissi: << Ti sei pure portato i nostri cuccioli. Ti odio. Mi sento sola. >>.
Premetti invio e andai in cucina a prepararmi una colazione consolatoria.
Mentre rigiravo i pancakes, il cellulare squillò.
Ian mi stava chiamando.
“Pronto?” risposi.
“E così mi odi? Considerami ferito”
“Ferito tu? Non solo sei circondato da famiglia e amici, pure dai felini. Proprio oggi”
“Ma manchi tu. E anche tanto. E’ da tre giorni che non ci vediamo. I felini mi tengono compagnia nei momenti più deprimenti, come Paul e Torrey o Nina e Joseph che si baciano davanti a me”
“Oh povero piccolo cucciolo leso! – ironizzai un pochino – Potevi almeno lasciarmi Damon”
“Lo terrò a mente per la prossima volta – riuscii quasi a percepire il suo sorriso – Come va?”
“A parte il fatto che Steve mi aveva impostato la sveglia all’orario sbagliato, facendomi svegliare di soprassalto, e che mi manchi tanto anche tu, bene. Sono pronta per affrontare la giornata che da’ inizio alle feste. Specie in ospedale” conclusi sghignazzando.
“Per la teoria Grey’s Anatomiana che durante le feste ci sono più incidenti e più persone che finiscono in ospedale?”
“Esatto – risposi contenta – Stai diventando un esperto, eh?”
“Già. Sai, la mia ragazza è patita di questo telefilm, quindi sono obbligato a vederlo, altrimenti si arrabbia”
“Che stronza, vero?”.
Ian scoppiò a ridere. Stava per parlare, quando in lontananza si sentì la voce di Julie che lo chiamava.
“Devo andare” sbuffò.
“Non preoccuparti. Almeno avrai tempo per meditare sui tuoi misfatti”
“Simpatica lei”.
Risi.
“Buona giornata, Ian”
“A te, ti amo”
“Anche io” riattaccammo.
Finii di cucinare e mangiai, poi partii in direzione dell’ospedale.
Arrivata, salutai le infermiere di turno all’ingresso e andai verso lo spogliatoio.
Cambiatami, richiusi il mio armadietto e mi rivolsi allo specchio. Raccolsi i miei capelli in una coda, dopodiché indossai le scarpe.
“Buongiorno” mormorò Rose, spalancando la porta.
“Buongiorno, tesoro. Ricordami di strangolare il tuo futuro marito” le sorrisi ironicamente dallo specchio, ma lei non sembrò notarlo.
Mi voltai.
“Che succede?”
“Succede che in questo momento vorrei strangolarlo io”
“Come mai?” mi avvicinai a lei, mentre si cambiava.
“Due giorni fa si è rotta la caldaia, allora gli ho detto: ‘Tesoro mio, luce dei miei occhi, gioia del mio cuore, puoi chiamare il tecnico? Sarebbe anche bello farsi una doccia rinfrescante, peccato che siamo a fine Novembre e non ci tengo a congelarmi’. Lui ha risposto tutto carino che l’avrebbe fatto e indovina?”
“Non l’ha fatto” dissi, scuotendo lievemente la testa.
“E non l’ha fatto! – ripeté Rose ancora più alterata – Se n’è dimenticato. Come si fa a dimenticare una cosa simile? Lo prenderei a sprangate sulle gengive, dannato! Stamattina rischiavo l’ipotermia solo per lavarmi. Ci rendiamo conto?”
“Rose, capisco il nervosismo, ma succede di dimenticare le cose. Tu, una volta al secondo anno, hai dimenticato di pagare la bolletta dell’acqua e vi siete ritrovati completamente a secco. Fortuna che c’ero io a ospitarvi – finii la frase con una punta di superbia; poi aggiunsi, nuovamente con tono normale – Comunque, il punto è che quella volta Steve avrebbe potuto dirti di tutto e di più, ma non l’ha fatto. E’ stato comprensivo. Certo, dopo una piccolissima incazzatura, ma dettagli. Non potete provare a chiarire?”
“Cosa dovrei chiarire? Poteva venirmi una congestione!”.
Stavo per rispondere, quando la porta dello spogliatoio venne nuovamente spalancata. Steve entrò di fretta, guardando Rose di sottecchi.
“Buongiorno, Steve”
“Puoi anche togliere il ‘buon’, grazie” disse, nervoso, aprendo l’armadietto.
“Piaciuta la doccia congelata, amore?” Rose sottolineò l’ultima parola, mentre lo fulminava con lo sguardo.
“Oh sì, tesoro caro, proprio come tu ti sei goduta la rasatura della barba?” borbottò, facendole notare la barba pungente sul suo viso.
“Steve, perché non ti sei rasato?” chiesi.
“Perché la qui presente signorina ha fatto saltare il contatore. Quante volte ti ho detto di non attaccare più cose contemporaneamente? Ma no, ovviamente non potevi ascoltarmi, perché dovevi per forza asciugare i capelli, passare la piastra, azionare la lavatrice, caricare il cellulare e accendere la radio nello stesso momento e nella stessa presa, giusto?” Steve tirò fuori il camice e chiuse l’armadietto, sbattendo l’anta.
“Meglio se vado a lavoro – dissi, alzando le mani in segno di resa e allontanandomi da entrambi – Buon giorno del ringraziamento” sospirai e uscii dallo spogliatoio.
“Fortuna che non mi sono arrabbiata con lui per la sveglia” mormorai tra me e me.
Andai a chiamare i miei specializzandi, poi cominciammo il giro visite.
Controllato che l’ultimo paziente fosse stabile, andai in mensa a prendere un caffè. Mentre aspettavo che Claudine lo preparasse, sentii una voce femminile chiedere: “Sa dov’è il pronto soccorso?”
“Al momento lei si trova in mensa, perciò al pian terreno dell’ala nord dell’ospedale. Il pronto soccorso e sullo stesso piano, ma nella parte ovest” risposi meccanicamente, senza nemmeno voltarmi.
Cominciai a tamburellare le dita sul bancone.
“Sa dov’è il pronto soccorso?” ripeté.
“Già detto. Al momento lei è nell’ala nord della struttura. Deve andare nell’ala ovest. Non è difficile, insomma si nota subito, quando entra nell’edificio” risposi nuovamente.
“Sa dov’è il pronto soccorso?” ripeté di nuovo.
“Oh, ma insomma, le ho risposto per ben due volte, che vuole sapere anc” mi voltai di scatto, rimanendo a bocca aperta.
Iris, Nadia, Tatia, Serena e Melania erano proprio davanti a me.
“Cos’è, ora non riconosci nemmeno la mia voce?” Iris disse in italiano.
Cominciai a urlare, abbracciandole forte.
“Ma voi cosa ci fate qui?” chiesi in italiano, stringendole.
Sciolsero tutte e cinque l’abbraccio.
“Sediamoci, su” Nadia sorrise.
“Ok un attimo” ricambiai il sorriso e mi voltai nuovamente verso il bancone.
Ordinati altri cinque caffè, mi accomodai insieme a loro a un tavolo.
Cominciarono a sorseggiare il caffè, facendo smorfie.
“Lo so, non è il massimo purtroppo, ma sto impartendo lezioni a Claudine per imparare a preparare quello italiano”.
Scoppiarono a ridere.
Non appena tornarono serie, chiesi nuovamente: “Allora, cosa ci fate qui? Quando siete arrivate?”
“Siamo arrivate un paio d’ore fa. Siamo atterrate, abbiamo ritirato i bagagli e li abbiamo lasciati in custodia all’aeroporto e siamo venute qui” spiegò Serena.
“Diciamo che abbiamo ricevuto in regalo un weekend gratis qui ad Atlanta” Tatia parlò vagamente, mentre le altre concordavano.
“Chi è stato così pazzo da regalarvi dei biglietti aerei Australia-Italia-Inghilterra direzione Stati Uniti?” corrugai la fronte, bevendo un po’ di caffè.
“Ma non ci sei arrivata?” Melania mi guardò dubbiosa.
“Il tuo ragazzo. Ovviamente” Iris svelò il mistero.
Per poco non mi strozzai col caffè.
“Cosa? – chiesi tossendo – E perché mai” interruppi la frase a metà, lasciandomi trasportare dal ricordo di quel pomeriggio.
 
Riappesi il collage a muro, sospirando. Dopo praticamente dodici anni ancora non mi davo pace. Era davvero impossibile che un’amicizia potesse finire in quel modo. Incomprensibile il modo in cui fosse avvenuto.
Storsi la bocca in una smorfia amara e mi voltai, tornando a riempire il mio povero ragazzo provvisoriamente storpio di attenzioni.
Mi fissava sorridendo.
“Che c’è?” chiesi curiosa.
“Mm, niente. Pensavo”
“E a cosa pensavi?”
“Che non vedi i tuoi amici italiani molto spesso. E’ un po’ triste questa cosa”
“Li vedo quando torno in patria. A volte capita che loro sono via, ma purtroppo non possiamo farci niente. Anche loro hanno i loro lavori e le loro vite, come me, e, per quanto sia triste, beh, il bene che ci vogliamo non svanisce per la distanza – sorrisi – E poi ci sentiamo. Sai, Skype, Whatsapp – nominai quelle applicazioni vagamente – Insomma, diciamo che ci accontentiamo in questo modo”
“E’ bello che comunque siate rimaste unite. Sono mai venute qui?”
“Mm, purtroppo no. Considera che nemmeno la mia famiglia è mai venuta qui. A visitare la mia casa e la città intendo, dato che comunque quando abbiamo avuto quell’incidente si trovavano in città. Sono sempre stata io a spostarmi. I biglietti aerei costano. E’ quasi un miracolo che io possa permettermi i miei”
“Un giorno mi svelerai questo segreto”
“Semplice, so cogliere le occasioni al volo. Sono iscritta a un sito in cui ci sono molte offerte tra l’Europa e gli Stati Uniti”
“Bello!” Ian mi fece segno di sdraiarmi insieme a lui sul divano.
“Già” feci come mi aveva indicato.
Mentre eravamo abbracciati, lo chiamai.
“Dimmi” mi guardò sorridendo.
“Come mai tutte queste considerazioni sui miei amici?”
“I miei amici, anche se in stati diversi, si trovano tutti qui negli Stati Uniti. Voi, invece, siete un po’ sparpagliate per il mondo. Ero curioso”.
 
E ancora.
 
Sbuffai.
“Dai, non fare così” Ian mi alzò il mento con un dito, permettendomi così di guardarlo.
“E come dovrei fare? Starai via per due settimane e mezzo. Non potremo ringraziarci giovedì. Non potremo festeggiare la tua vecchiaia. Non è giusto” mi lamentai.
“Sempre gentile con me, davvero” Ian mi diede una spintarella, fingendosi offeso.
“Beh, è la verità. Compi la bellezza di trentacinque anni. Ti definisci un giovincello? Lo sono io, che ancora non ho nemmeno raggiunto la soglia dei trenta” lo guardai con aria di superiorità.
“Beh, per questo motivo ci rivediamo tra meno di un anno e mezzo, non preoccuparti – mi fece una linguaccia, mentre entrambi ridevamo; quando tornammo seri, mi abbracciò e aggiunse – So che ti mancherò, ma non sarai sola. Te lo assicuro”
“Lo spero – sciolsi l’abbraccio e lo baciai – Ora vai, altrimenti perdi l’aereo!”
“Giusto”

“Buon viaggio, buone riprese e buona famiglia. Ci sentiamo quando atterri”
“Logico! – mi sorrise – Ti amo”
“Anche io”.
 
“Si riferiva a voi!” dissi senza fiato, tornando con i piedi per terra.
“Quando?” disse Iris.
“Chi?” sopraggiunse Melania.
“Come? Perché?” dissero contemporaneamente Nadia, Tatia e Serena.
“Ian all’aeroporto mi ha detto di stare tranquilla, perché non sarei stata da sola. Lui vi ha donato a me in questi giorni per non sentirmi sola”
“Beh, è un gran gentiluomo, non c’è che dire” commentò Tatia.
“Anche se ti ha fatto soffrire” proseguì Serena.
“Oltre a essere comunque un gran gnocco americano” Melania parlò con gli occhi che le luccicavano.
Scoppiai a ridere.
Mi erano mancate, troppo.
Era inutile negare. Con loro, anche il posto più conosciuto come l’ospedale, diventava davvero casa.
 
POV Ian
“Sto dicendo che… Elena, lascio la città stasera”
“Cosa? No, non puoi lasciarmi, non te lo permetterò”
“Me lo permetterai, invece – la baciai, mentre le toglievo la nuova collana, piena zeppa di verbena, che Stefan le aveva regalato; dopo aggiunsi – Non ricorderai niente di questa discussione. Io non sono mai passato da qui stasera. Ti amo, Elena”.
Le diedi un altro bacio sulle labbra.
“Stop!” urlò Julie.
Feci un lungo respiro e alzai le braccia, stiracchiandomi.
“Andava bene ora? Io sembravo abbastanza mortificata e lui abbastanza disperato?” chiese Nina, citando ciò che aveva detto Julie poco prima.
“Sì, ora poteva andare – scosse la testa divertita, poi batté le mani – Okay, si preparino Nina e Candice. Dobbiamo girare l’ultima scena della puntata”
“Uh, per oggi ho finito – sorrisi – E’ stato un piacere, signore” feci un piccolo inchino, mentre sventolavo la mano e sorridevo in modo sghembo.
“Ci vediamo domani, Ian. Non dimenticarti che domani mattina la lettura del copione della nona puntata è anticipata” disse Julie, corrugando la fronte e agitando l’indice.
“Sì, lo so, lo so – annuii – A domani” diedi un bacio sulla guancia sia a lei che a Nina e Candice e andai verso la mia roulotte.
Chiusa la porta, mi tolsi la camicia nera, tipica di Damon, e, preso il telefono, scrissi un messaggio a mia Robyn: << Ho già finito di girare. Pronto a passare il resto della giornata con le mie adorabili pesti. Ma non posso farlo, se la mia bellissima sorellona non passa a prendermi L ;) Ti aspetto >>.
Inviai e poco dopo arrivò la sua risposta: << Ruffiano. Arrivo :* >>.
Scossi la testa, scoppiando a ridere. Slacciai le scarpe e le tolsi, ponendole vicino le scalette all’ingresso. Abbassai la lampo e feci per togliere i pantaloni, quando il cellulare cominciò a suonare. Era Mary.
“Pronto? Qui è Ian Joseph Somerhalder che parla”
“Tu sei – si arrestò – Ti stuprerei per la felicità”
“Oh, maledizione, perché mi trovo a Covington?”
“Eeeh, tesoro mio, hai voluto la bicicletta, ora pedali”
“A meno che non facciamo sesso telefonico” commentai malizioso.
“Mi dispiace per te, ma sto lavorando. So che per te è un concetto molto complicato da capire in un giorno di festa, ma che ci vuoi fare”
“Sei troppo spiritosa. Davvero. E comunque ho lavorato fino a ora”
“Ian, sono le dieci del mattino, hai tutta la giornata davanti. Io finisco stasera alle sette. Fortuna che le ragazze sono italiane e non americane e quindi cenano un po’ più tardi, altrimenti mi avrebbero già linciata”
“Okay, sei messa peggio! – mi arresi, sorridendo – A proposito delle ragazze, piaciuta la sorpresa?”
“Da morire! Secondo te perché vorrei stuprarti in questo momento?”
“Ma mi scusi, dottoressa Floridia, come può parlare di stupro in un luogo pubblico?”
“Semplicemente sto aspettando delle analisi al bancone e l’infermiera che me le deve consegnare è sparita. Credo che si sia persa nei meandri dell’archivio”
“Bene, allora hai tempo. Cosa indossi, eh? Io sono mezzo nudo”
“Ian! – mi rimproverò, ridendo – Non farò sesso telefonico con te”
“Ma perché? E’ divertente”
“Perché è più divertente di presenza! – ci fu un attimo di silenzio – Per la cronaca, ti ho fatto l’occhiolino”
“Maria Chiara Floridia, cosa ti farei in questo momento”
“Dimmelo dopo, caro, l’infermiera sta tornando. Aspetta un attimo – la sua voce divenne lontana – Finalmente!”
“Mi scusi, dottoressa, ma al laboratorio avevano confuso le analisi” l’infermiera parlò sommessamente.
“Bello. Davvero. Guarda, meglio se la prossima volta non mi dici queste cose. Pazzesco – Mary sbuffò – Buona giornata, Tess – la sua voce divenne nuovamente più presente – Okay, ci sono di nuovo. Mi devi spiegare come hai fatto”
“Semplice. Dopo che mi hai parlato di loro, ho rubato i loro numeri dalla tua rubrica, le ho contattate tutte, ho detto che avrei pagato tutto io et voilà”
“Sei un pazzo”
“Beh, pazzoide, ho seguito il tuo esempio. Inoltre, le tue amiche mi hanno detto che l’ultima volta che vi siete viste è stata la settimana di Pasqua dello scorso anno, a parte Serena che è venuta in Marzo. Ma comunque, troppo, troppo tempo. Sicuramente ti mancavano. Io sono via, perciò… ho colto quest’occasione e, sorpresa! Quattro giorni da dedicare totalmente a loro. Più o meno”
“Sì, certo, c’è l’ospedale, ma ci si può organizzare. Grazie, davvero tanto, Ian”
“L’ho fatto con piacere. Ora dove sono? Cosa farete stasera?”
“Ho dato loro le chiavi di casa, così possono sistemarsi e rilassarsi. Quando torno a casa, prepariamo la cena tutte insieme, poi chissà. Non ci vediamo da così tanto, che credo che passeremo il resto della serata a parlare. Sai, un conto è sapere delle cose via Skype, un conto è saperle di presenza. Ha tutto un altro sapore”
“Sì, lo capisco” sorrisi.
“Ian, scusami, sono arrivata dal mio paziente. Devo staccare”
“Non preoccuparti. Ci sentiamo quando esci da lavoro o, boh, quando vuoi tu”
“Certamente. Porta i miei saluti a tutti. Ti amo”
“Anche tu. Anche io” riattaccammo.
 
POV Mary
Chiusi la lavastoviglie e tornai in salotto, giusto in tempo per vedere Serena versare un po’ di vino bianco in sei bicchieri.
“Siediti ora, dottoressa. Rilassati” disse Nadia, invitandomi ad accomodarmi vicino a loro.
Feci come mi aveva detto. Serena ci porse i bicchieri.
“Mary, a te l’onore del brindisi”
“Uh, ok. Allora, in alto i calici – alzai il mio bicchiere – Dato che oggi è il giorno del ringraziamento, mi permetto di spendere due parole intanto per ringraziare chi ha permesso di farvi venire qui”
“Oh, ringrazi anche se non è presente. Siete dei cuccioli” Melania mi guardò intenerita.
“Sssh, la stai interrompendo – Iris la guardò con la coda dell’occhio, facendole poi una linguaccia – Su, Mary, continua”
“Ian ha centrato il punto: siamo tutte disperse in giro per il mondo; ognuna ha le proprie vite; ci vediamo raramente. Ecco perché queste sorprese sono sempre ben gradite. Ci ricordano che, anche se ci vogliamo sempre bene e che non importa a nessuna di noi la lontananza, a volte si ha bisogno di un abbraccio; di sentire la vicinanza; di parlare faccia a faccia con un calice di vino davanti; di tornare le sei ragazze che per cinque anni si sono riunite in un appartamento di Firenze in un weekend d’estate. Perciò, vi ringrazio per essere qui e per aver rinfrescato la mia anima. Questo giorno del ringraziamento è completamente e totalmente dedicato a voi. Cin cin!”
“Eeeh, che parole! – risposero in coro – Cin cin”.
I bicchieri tintinnarono.
Bevemmo contemporaneamente.
Mentre si cominciava il secondo giro di vino, dissi: “Allora – le guardai tutte – partiamo in ordine alfabetico?” sorrisi.
“D’accordo, questo vuol dire che – Tatia si rivolse a Melania – Amato, tocca a te”
“Ok – si mosse sul divano, sedendosi meglio – Allora, innanzitutto non vi ho detto che… suspense… Sto con una persona”
“Cosa?!” urlai io.
“E quando avevi intenzione di dircelo?” Serena la guardò sbalordita.
“Ma da quanto?” chiese Nadia.
“Racconta, forza!” Iris la esortò.
“Allora, innanzitutto non ve l’ho detto subito, perché volevo assicurarmi che fosse il solito coglione di turno. Il suo nome è Luca, ha 29 anni. Ha origini italiane, di Pisa per la precisione, e lavora come infermiere al London Memorial”.
Feci un salto dal divano.
“London Memorial? Sposatelo. Tipo ora”
“Mary, tutto ok?” mi chiese Tatia.
“Il London Memorial è uno degli ospedali più famosi del mondo intero. Anche il semplice fatto di essere un inserviente di quella struttura è un grandissimo onore, figurarsi un infermiere. Mel, sono seria. Non lasciartelo scappare”
“Ci sto provando con tutte le mie forze. L’ho conosciuto un mese e mezzo fa, mentre vagavo per Portobello Road. Cercavo qualcosa da comprare a mio padre, come un giaccone retrò, e, beh, abbiamo preso lo stesso indumento contemporaneamente”
“Sembra la scena di un film” Iris sghignazzò.
“Già – Melania sorrise – Insomma, abbiamo battibeccato per il giaccone”
“Scommetto che sei stata un’acida testa dura” la guardai di sottecchi.
“Può darsi”.
Scoppiammo tutte a ridere.
“Comunque, mi ha ceduto il giaccone. Quando sono tornata a casa, ho tolto il cartellino per lavarlo, quando dalla tasca è caduto un bigliettino. Mi aveva lasciato il suo numero – sorrise – L’ho chiamato, siamo usciti a cena, un appuntamento tira l’altro et voilà: stiamo insieme da un mese”
“E’ una cosa dolcissima, Mel. Sono contentissima per te” mi alzai dal divano e l’abbracciai.
“Anche io. Finora va tutto bene e spero continui così” mi strinse.
Dopo che tornai al mio posto, Iris si tolse le scarpe e si sedette come un indiano a terra.
“Allora, tocca a me. Con Matt va tutto a meraviglia”
“Aggiungerei un ‘finalmente’” Tatia la interruppe, ridendo sotto i baffi.
“Già – si aggiunse Nadia – Almeno per una volta non si tirano piatti addosso”
“Ragazze – le ripresi, cercando di non ridere – Le liti aiutano a consolidare il rapporto”
“Ha parlato l’esperta” Tatia mi fece una linguaccia.
“Scusa, signora psicologa, non volevo ferire i tuoi sentimenti” le diedi una spintarella.
“Posso continuare?” Iris batté le mani, richiamando la nostra attenzione.
“Cerruto numero due, continua pure” Serena le sorrise.
“Grazie – ricambiò il sorriso – David cresce forte. E’ molto vivace, ma, nonostante ciò, capisce quando comportarsi in modo più composto. E’ dolcissimo”
“Confermo” dissero Nadia e Tatia in coro.
“Non riesco a credere che abbia già quattro anni. Ricordo ancora quando hai partorito” parlai con tono adorante.
“Nemmeno io riesco a crederlo. Insomma sembra ieri il giorno in cui era un fagottino, piccolino. Ora è una piccola peste che parla sempre e chiede da dove vengono i bambini un giorno  sì e l’altro pure”.
Ridemmo tutte.
“Ok, tocca a me, tocca a me” disse Nadia esaltata.
“Cerruto uno, a te il testimone” affermò Iris con un sorriso.
“Allora, anche tra me e Andrea va tutto bene e anche Christian cresce bene”
“Christian – ripetei il nome – Quell’anno è stato un parto continuo – risi – Insomma, in meno di tre mesi mi sono ritrovata zia di ben due nipotini”
“Lo ammettiamo, io e Nadia ci siamo messi d’accordo per rimanere incinte più o meno nello stesso periodo” Iris alzò le mani.
“Sì, certo” ribattemmo io, Serena e Melania.
“Vado io, che è meglio – Tatia bevve l’ultimo sorso di vino presente sul fondo del suo bicchiere – La sottoscritta, Cerruto numero tre, può affermare con gioia che con Francesco è tutto a posto e Gabriele ha cominciato a camminare”
“Piccolo amore di casa” gli occhi mi brillarono.
“Sì, questo vuol dire che presto dovrò mettere cancelli e salvavita dappertutto. Che lavoraccio” fece una smorfia.
“Beh, questo ‘lavoraccio’ – Serena fece le virgolette – l’ho già fatto. Finalmente Francesco cammina, da un bel po’ ormai” sorrise.
“Ehm, mi scusi, Spadaro, ma toccava a me” incrociai le braccia al petto.
“Ops, scusa” fece una smorfia.
“Tranquilla, ormai continua”
“Okay – mi guardò contenta – Con Daniel va davvero a gonfie vele. Abbiamo viaggiato parecchio nell’ultimo periodo, tra il suo lavoro e il mio, lasciando Francesco a sua mamma”
“Vi siete divertiti, eh?” Iris le diede una spintarella, molto maliziosa.
“Può darsi”.
Urlammo tutte quante, applaudendo.
“Ok, ok, calma tutte quante” scoppiò a ridere.
“Se continuate così, Francesco si ritroverà presto con una dozzina di fratelli e sorelle” osservai.
“Ha parlato la casta del gruppo – Serena mi guardò di sottecchi – Dì un po’, cara, quanti preservativi avete consumato tu e Ian da Maggio a ora?”
“Ehmmm” mormorai, non riuscendo a rispondere.
“Ecco, appunto” commentò.
Ridemmo nuovamente tutte quante.
“Allora, come procede tra voi?” chiese Iris.
“Va tutto bene. A volte discutiamo, ma poi paragoniamo queste questioni con ciò che ci è accaduto ad Agosto e risolviamo tutto – sorrisi; dopo aver esitato un attimo aggiunsi – Con lui mi sento forte e al sicuro. Mi sento libera. Anche se, molto spesso, dobbiamo separarci per motivi di lavoro, questa cosa non pesa poi così tanto, perché”
“Certo, rimediate quando vi rivedete” Nadia mi diede una spintarella, ridendo, seguita dalle altre.
“Dicevo, perché in fondo lo sento sempre accanto. Mi sento come se stessi con il mare”
“Il tuo luogo preferito in assoluto” commentò Tatia, guardandomi piacevolmente sorpresa.
“Esatto”
“Mary, mi sa che hai trovato l’altra metà della mela” commentò Iris, sorridendomi.
“Davvero?” chiesi.
“Davvero! Brava Mary” tutte mi trapanarono i timpani con le loro urla.
Sorrisi tra me e me, poi le abbracciai.
Approvavano Ian. Erano al mio fianco.
Ero la donna più felice del mondo.
 
POV Ian
Recuperai il mio bagaglio e i gatti e andai verso l’uscita.
Non appena le porte scorrevoli mi permisero di passare, intravidi una figura, dall’altra parte della sala, correre veloce. Verso di me.
In poco tempo mi ritrovai delle braccia al collo, dei riccioli sparpagliati sul volto, un corpo molto conosciuto tra le mie di braccia.
“Sei tornato” disse Mary, soffiando sul mio collo.
La strinsi.
“Ebbene sì” le alzai il mento con due dita e la baciai.
“Sei davvero tornato” squittì contenta e tornò  a posare le labbra sulle mie.
Mollai la borsa e ci ritrovammo avvinghiati. Le morsi il labbro inferiore, mentre i nostri respiri si univano in uno solo.
Qualcuno alle mie spalle tossì.
“Ragazzi, cercatevi una stanza o, perlomeno, tornate a casa prima. Qui ci sono occhi indiscreti” Paul ci fece tornare con i piedi per terra.
Ops! Aveva ragione. Mi staccai dalle labbra di Mary e le misi un braccio attorno al collo.
“Riserviamoci la festa di benvenuto appena varchiamo la soglia di casa, che ne dici?” le sussurrai all’orecchio.
“Grazie per la dritta, Paul” si sporse dal mio braccio, voltandosi, e sorrise.
Mi voltai anch’io.
“Di niente, ventose” Paul scoppiò a ridere.
“Spiritoso, sul serio, fratello” scossi la testa e ripresi la valigia.
“Ci vediamo lunedì, fratello” sottolineò l’ultima parola, poi se ne andò con Torrey.
Io e Mary uscimmo, stranamente in modo tranquillo e sereno, dall’aeroporto. John ci riaccompagnò a casa sua.
“Eccoci qua – dissi contento, abbracciandola e avvicinando il mio bacino al suo – Dov’eravamo rimasti?”.
“Sono contenta che tu sia qui” Mary mi baciò e si allontanò.
“Ehi, aspetta! Dove stai andando?”
“A dormire. Ho fatto un turno di ben 120 ore in ospedale. Ogni qualvolta stavo per tornare a casa, succedeva qualcosa che mi costringeva a stare là. Sparatoria vicino a una chiesa, crollo delle fondamenta di un condominio di nove piani, fuga di gas che ha causato un’esplosione in una farmacia e in un negozio d’abbigliamento. Insomma, ci mancava solo un attacco terroristico – sbadigliò – Ho davvero bisogno di una bella dormita. La festa di benvenuto dovrà aspettare che io sia più riposata” mi diede una pacca sulla spalla e un bacio sulla guancia e salì di sopra.
Liberai Moke, Thursday e Damon dalle gabbiette e cominciai a giocherellarci.
Dopo un po’, andai al piano di sopra, in camera da letto.
Mary si era addormentata a pancia in giù, vestita, con ancora le scarpe addosso.
Sorrisi intenerito. Le tolsi le scarpe, le aggiustai la coperta e mi sdraiai accanto a lei, sprofondando anch’io ben presto nel mondo dei sogni.
 
“Capisco che tu abbia, ovviamente, ancora bisogno di muoverti per far guarire meglio il tuo corpo e che la tua dolce metà ti faccia compagnia, ma che c’entriamo noi due?” disse Paul, indicando se stesso e Nina.
“Me lo spieghi perché devi chiederlo tutti i santi giorni?” chiesi curioso.
Paul sbuffò e io scoppiai a ridere, poi, voltandoci, vedemmo Mary e Nina fermarsi.
“Ragazze, riprendete!” le esortò Paul.
“Col cavolo, da qui in poi cammino” urlò Mary stremata e Nina fu d’accordo con lei.
Mentre ci allontanavamo sempre di più da loro, sorrisi.
“Amico, perché sorridi?”
“Sono felice. Dopo l’incidente Mary e Nina hanno legato di più e beh… Mary, dopo tutta la faccenda di Valerie, è riuscita finalmente a mantenere la promessa che mi aveva fatto in ospedale, anche se per lei quella faccenda è ancora aperta”
“Cioè? Quale promessa?”.
Quel momento, avvenuto tre mesi e mezzo prima, tornò vivido nella mia mente.
 
“Come sta il mio ragazzo preferito?” chiese Mary, incrociando le braccia.
“Ah ah, ma come siamo spiritose! Comunque, mi sento bene”
“Bene” sorrise e, avvicinatasi, mi diede un bacio stampo.
“Tu, piuttosto, stai bene?” le accarezzai il volto.
“Certamente! Non noti niente?”.
Si allontanò da me e cominciò a girare su sé stessa.
“Noto che hai un bel sedere; ma questo lo avevi già” sorrisi.
“Non mi riferivo al mio sedere, comunque grazie per il complimento”
“Ma cosa dovrei notare?”
“Guardami attentamente”.
La osservai.
I capelli le ricadevano sulle spalle sempre alla stessa lunghezza; gli occhi vivaci erano incorniciati dai soliti occhiali da vista; le braccia le tremavano, come fosse in trepidazione per qualcosa. Le braccia. Le…
“Oh mio Dio! Non hai più la fasciatura al braccio destro!”
“Esatto! Alex me l’ha tolta stamattina – si riavvicinò trotterellando e si accomodò sul letto – Certo, dovrò fare fisioterapia, ma posso tornare a lavoro e occuparmi delle cose burocratiche. Meglio di niente” sorrise.
“Anche io vorrei avere la tua fortuna e non essere bloccato dentro tutto questo gesso”
“Coraggio, hai passato tre settimane chiuso in ospedale e impacchettato dentro questi – toccò il gesso del busto e quello della gamba contemporaneamente – cosa vuoi che sia una settimana in più?”
“Hai ragione” sospirai.
“Oh, lo so! – accennò un sorriso e si guardò le mani, poi disse titubante – Ian”
“Dimmi”
“Ho avuto davvero tantissima paura, quando Nina mi ha detto che eri in coma. Voglio”
“Devi continuare a ripeterlo? Mary, ormai è successo. Non scusarti, l’hai già fatto tante volte e, altrettante volte, ti ho ripetuto che non è stata colpa tua. E non dirmi cose come ‘Voglio sdebitarmi’ o chissà che altro, perché quello – indicai l’Iphone nuovo di zecca che  aveva comprato – e la nuova scheda che è al suo interno sono già abbastanza”
“Non vedo come potrebbero essere abbastanza, dato che ho fatto la stessa cosa per me e – mostrò di sfuggita il suo nuovo cellulare, un Samsung s4 bianco – dato che mi hai costretto a pagare con la tua carta di credito. Entrambi i cellulari” posò il telefono e intrecciò la sua mano alla mia.
“Era ovvio che non facessi pagare te”
“Comunque, non è certo di cellulari che voglio parlarti”
“Di cosa vuoi parlarmi?” guardai sorridendo le nostre mani intrecciate.
“Voglio farti una promessa”
“Promessa?!” la guardai sorpreso.
“In queste settimane hai conosciuto il mio lato più oscuro. E’ peggio di un demone e quando si libera… beh, non sono più me stessa. Ho sempre cercato di evitare uno scontro con questo mio lato, ecco perché prevale così facilmente. Ma i nostri litigi e quest’incidente mi hanno fatto capire che posso perderti in qualsiasi momento. Ecco perché ho intenzione di combattere questo mio lato e vincerlo! Sarò una persona migliore per te, perché non voglio perderti”.
Le pizzicai una guancia e le dissi: “Baciami”.
 
“Ok, non voglio sapere i dettagli del dopo” disse scherzosamente Paul, riportandomi alla realtà.
Lo ignorai e lui tornò serio.
“E ora come va? Ha davvero combattuto questo suo lato?”
“Sì, e credo abbia vinto. Te l’ho detto, è migliorata. Nonostante non sia riuscita ad affrontare quella donna, ora è più sicura a lavoro e con me e, appena ci sono dei problemi, me ne parla. E’ cambiata davvero tantissimo”
“Beh, credo che, dopo un’esperienza come la vostra, tutti cambierebbero”
“Può darsi – dissi e mi voltai a guardare Nina e Mary – Comunque sono davvero fiero di lei. E poi, dico, guardale: non le vedevo così in sintonia da quando io e Nina l’abbiamo conosciuta” sorrisi e urlai i loro nomi.
“Arriviamo” dissero in coro e ripresero a correre.
Dopo esserci congedati da Paul e Nina, io e Mary tornammo a casa.
“No” sbuffai, guardando il mio portico.
Robyn ci salutò con la mano e sorrise. Mary scese dall’auto in fretta e l’abbracciò, poi la fece entrare. Dopo aver parcheggiato, le raggiunsi.
“Che ci fai qui?” le chiesi.
“Sono un messaggero di mamma” disse sorridendo, passandosi distrattamente una mano tra i capelli biondi.
“Sputa il rospo”
“Vorrebbe che tutta la famiglia passasse Natale e Capodanno insieme a Covington. E nella parola ‘famiglia’ include anche Mary e la sua famiglia, oltre a papà”.
Guardammo entrambi meccanicamente Mary. La sua espressione era cambiata in un attimo.
Si era pietrificata ed era impallidita di colpo.
“No, dai, non posso accettare. Sarebbe il primo incontro ufficia” abbassò il tono della voce e il pallore del suo volto lasciò il posto a un rosso fuoco.
Solo un altro poco e sarebbe esplosa. Trattenni una risatina, per non farla imbarazzare di più.
“Ma andiamo, la nostra famiglia ti conosce già! Ricordi il compleanno di Ian dell’anno scorso?” il tono di Robyn era lamentoso.
“Perfettamente, ma Ian stava con Nina” le fece notare.
“In ospedale allora”
“Dove Ian stava lasciando le penne?”
“Il compleanno di quest’anno”
“Che avete festeggiato solo voi perché io dovevo recuperare ore lavorative” continuò Mary.
Robyn alzò gli occhi al cielo e disse: “C’è sempre una prima volta, non puoi restare nell’ombra per sempre. Tutto il mondo sa che state insieme e vi ha visti insieme, perciò, esci allo scoperto anche con la tua famiglia acquisita”.
Mary sospirò.
“I-io – balbettò vagamente – Scusate un momento, devo raccogliere i vestiti” e uscì.
 
POV Mary
Andai nel cortile sul retro e cominciai a controllare quali vestiti fossero asciutti e quali no. Improvvisamente, sentii una presenza dietro di me.
“Disturbo?” mi chiese Robyn.
Mi voltai e mi sorrise, poi tornai a occuparmi dei vestiti.
“Dimmi pure”
“Cosa ti turba così tanto, da non voler conoscere ufficialmente gli altri?”
“Non è niente, Robyn. Non preoccuparti”
“Non è affatto vero. Parla, su. Non mordo mica”.
Feci una risatina e sospirai.
“E’ una cosa piccola. Insignificante” le risposi, stringendo ciò che avevo tra le mani.
“Mary, non torturare quelle povere lenzuola – Robyn avvolse le mie mani nelle sue; mi fece lasciare le lenzuola e mi fece sedere su uno scalino – Avanti”
“E’ solo che – esitai – Beh, credo che non sarò molto ben accetta” abbassai lo sguardo.
“E come mai pensi questo?”
“Beh, perché – mi arrestai – Andiamo, non posso dirlo. E’ davvero una cosa ridicola”
“Non lo è poi così tanto se ti inquieta”
“E’ un presentimento, tutto qua”
“Ma non c’è motivo di averlo – Robyn mi sorrise – a meno che – si arrestò; ci fu qualche attimo di silenzio – Oh! Ho capito”
“Davvero?”
“Nina e Ian sono stati insieme per tre anni. Pensi che, dato che sei la nuova fiamma, non verrai vista di buon occhio. Pensi che i miei genitori, mio fratello, i miei figli e i miei nipoti ti vedranno come una ‘nemica’ che li ha separati. Pensi che”
“Okay, basta” Mary mi fermò.
“O sbaglio, forse?”
“No, non sbagli”
“Mary, io ti capisco. Sai, io e Barney ci siamo messi insieme dopo che lui aveva chiuso una storia di ben dieci anni. Dieci anni con la stessa persona. Stavano per arrivare al matrimonio e puf! L’amore è svanito. Qualche mese dopo la loro rottura, ci siamo conosciuti. Puoi immaginare come mi sono sentita quando sono andata a conoscere la sua famiglia. Ero spaesata. Ero convinta che, siccome quella donna ormai era stata accettata dalla sua famiglia, io sarei stata vista come un ripiego o chissà che altro”
“E invece?”
“Invece mi hanno accolta a braccia aperte. E lo stesso avverrà con te. I ragazzi non vedono l’ora di conoscerti. Certo, erano abituati a chiamare Nina ‘zia’, ma questo non vuol dire che non sapranno volerti bene. Credimi!”
“Sono una stupida, vero?”
“Assolutamente no. Ripeto, io ci sono passata e ti comprendo perfettamente. Vedrai, andrà tutto magnificamente – mi sorrise – E poi, se mia madre non ti potesse vedere, non ti avrebbe di certo invitato a stare in casa sua per praticamente due settimane”
“Giusto” sussurrai.
“Torniamo dentro ora. Ti va?” si alzò e mi tese la mano.
La strinsi e mi alzai anch’io. Rientrammo in casa insieme.
Ian alzò lo sguardo, osservandoci entrambe.
“Tutto ok?” chiese.
“Sì. Mary si è convinta” Robyn mi strinse le spalle.
“Bene – Ian sorrise a trentadue denti – Andate in salotto, mie adorate donne, preparo io la cena”.
Facemmo come aveva detto. Nell’attesa, chiamammo prima mia madre, poi la loro. Entrambe le telefonate furono piene di gioia. Le famiglie non vedevano l’ora di conoscersi. Non appena la cena fu pronta, mangiammo tutti e tre insieme.
Lavati i piatti, Robyn tornò a casa sua da Barney e i bambini.
Io e Ian riordinammo la cucina, poi ci lavammo i denti e andammo a letto.
“Quando è successo?” gli chiesi, accucciandomi al suo fianco.
“Parli del divorzio dei miei genitori?” mi guardò.
“Sì” annuii.
“Avevo tredici anni. Non so dirti di preciso il perché, ma avvenne”
“Ci sei stato male?”
“Certo, però l’ho superato. Anche perché non mi hanno mai fatto pesare il loro divorzio.  Poi sono comunque rimasti in buoni rapporti. Paradossalmente, vanno più d’accordo da quando non sono più marito e moglie. Inoltre, comunque, ai tempi, continuarono ad avere fiducia in me e a infondermi coraggio per la mia fiorente carriera, perciò li sentivo ancora come un fronte unico”
“Capisco” mi rabbuiai un po’.
“Ehi, che ti prende?”
“Ti immagino piccolo e fragile e…” non conclusi la frase e lo abbracciai forte.
“Tranquilla, è tutto ok, davvero” mi strinse anche lui.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
“Mary”
“Sì?”
“Di che avete parlato tu e Robyn? Come ti ha convinta a venire?”
“Beh, mi ha raccontato di come lei e Barney si sono conosciuti e della volta in cui ha conosciuto la sua famiglia”
“Se te l’ha raccontata c’è solo un motivo. Eri intimorita dalla mia famiglia?”
“Intimorita dall’idea che possono avere di me, più che altro”
“Non temere. Ti adoreranno tutti”
“Come fai a esserne così sicuro?”
“Diciamo che è la figura di Robyn a dimostrarlo. Sai, tutti in famiglia si fidano del suo giudizio. Per esempio, lei non vedeva di buon occhio persone come Megan, Ashley o Maggie. Di conseguenza, la mia famiglia è stata sempre molto restia nei loro confronti. Robyn ti adora. Di conseguenza, anche loro ti adoreranno”
“Lo spero”
“Andrà così”
“Grazie” lo strinsi.
Ci addormentammo abbracciati.






















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Note dell'autrice:
Finalmente ecco qua il nuovo capitolo! Si sviluppa tutto nell'arco di un mese, da più o meno metà Novembre a metà Dicembre. Ian e Mary hanno battibeccato, ma sono comunque riusciti a risolvere. L'amicizia tra Nina e Mary si è consolidata e lo stesso Ian l'ha notato. Abbiamo conosciuto un po' di più le amiche italiane di Mary, già citate nel capitolo 4: Serena, Melania e le sorelle Nadia, Iris e Tatia! Che ne pensate di loro? 
Mary ha accettato di conoscere ufficialmente la famiglia di Ian... la faranno sentire a suo agio?
Ecco le canzoni citate in questo capitolo:
Had enough, Lifehouse: https://www.youtube.com/watch?v=rnOTG0uCs5A
Call me maybe, Carly Rae Jepsen: https://www.youtube.com/watch?v=n0XguJCwIVc
Save the last dance for me, Michael Bublè: https://www.youtube.com/watch?v=1tXUxVWtyaU
Team, Lorde: https://www.youtube.com/watch?v=f2JuxM-snGc
Open your eyes, Snow Patrol: https://www.youtube.com/watch?v=fk1Q9y6VVy0
Kiss me, Ed Sheeran: https://www.youtube.com/watch?v=kFfKb_WEkCE
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Vi ringrazio per aver letto!
Ringrazio chi recensisce e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Vi ricordo che potete unirvi al piccolo gruppo fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Alla prossima! ;)
Mary :*
  
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