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Autore: Hero_    23/07/2014    2 recensioni
Dal racconto:
"Un contratto, sigillato in una bottiglia di vetro, nelle profondità di una grotta, vicino a una fredda e limpida sorgente dove sembravano riunirsi tutti i venti del mondo. Appena l’uomo prese tra le mani quel pezzo di carta e lesse ciò che c’era scritto, Sèis sentì un brivido. Aveva paura di diventare suo servitore, non sapeva quanto avrebbe sfruttato i suoi poteri."
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Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I sussurri dello spirito

 
Il vento soffiava con forza increspando la superficie blu dell’oceano che brillava sotto i raggi del sole di mezzogiorno. Piccole onde schiumose si formavano qua e là, a volte qualche pesce si divertiva a saltarle, come se fossero ostacoli, e così schizzava minute goccioline luminose intorno. Queste si disperdevano come una leggera pioggerella formando sottili increspature concentriche, impossibili da notare nell’immensità della distesa oceanica. Eppure Sèis riusciva ad individuare anche i più piccoli e impercettibili movimenti dell’acqua. Immobile osservava tutto dall’alto. Si poteva affermare che volasse, sospeso a venti metri dal livello del mare, ma non era il termine corretto. Più propriamente fluttuava, sospinto dal vento che lui stesso poteva comandare. E non era nemmeno corretto riferirsi a Sèis come ad un lui. Sèis era uno spirito dell’aria e come tale non aveva bisogno di futili distinzioni come il sesso, a differenza degli esseri umani. Quando si spostava, sospinto dalle correnti d’aria, il suo aspetto non aveva una vera e propria consistenza. Era quasi evanescente, una macchia chiara, come una luce leggera e opaca, invisibile a occhi non attenti e poco percepibile da quelli più acuti.
Ma quando si fermava su una superficie solida il suo aspetto, per sua volontà, assumeva una forma quasi umana, di un giovane sui vent’anni dai tratti delicati. Aveva i capelli scuri e corti, tirati indietro come se avesse usato il gel, gli occhi grandi del colore che il cielo assumeva in quel momento e con un’espressione di eterna sorpresa, le sopracciglia sottili inarcate verso la fronte. Il naso era piccolo, con la punta rivolta leggermente verso l’alto, e la bocca aveva il labbro inferiore piuttosto spesso. La pelle era chiarissima e liscia, dal collo fino alle caviglie e ai polsi era ricoperta da un materiale azzurro con forma e consistenza molto simile alle piume che però possedeva la morbidezza del velluto. Il fisico era asciutto ed era quasi impossibile stabilire se appartenesse a un ragazzo o una fanciulla.
Lo spirito generò una corrente d’aria per raggiungere un veliero che procedeva velocemente sotto di lui. Le vele, grandi e candide, erano gonfie per il vento generoso che facilitava la navigazione. Sul ponte c’era un uomo di circa quarant’anni, aveva i capelli scuri e mossi lunghi fino alle spalle che sembravano brizzolati per la salsedine. Gli occhi, di un verde spento, erano assottigliati e le sopracciglia, abbastanza spesse, aggrottate in un’espressione rude. La folta barba, leggermente più chiara rispetto ai capelli, circondava le labbra formose, adesso arricciate, e ricopriva le guance appena scavate mettendo in risalto gli zigomi pronunciati e arrossati dal sole. Era alto e abbastanza robusto, con muscoli pronunciati sulle braccia, lasciate scoperte dalle maniche arrotolate della camicia.
“Padron Cridhe, ci siamo quasi. ” La voce di Sèis raggiunse le orecchie dell’uomo come un soffio di vento mentre lo spirito assumeva forma umana alle sue spalle, i piedi nudi poggiati sul pavimento di legno del ponte del veliero, umido e freddo.
“Ormai il momento del mio riscatto si avvicina, mio dolce Sèis.” Disse Cridhe, la voce bassa e profonda, girandosi verso lo spirito per guardarlo negli occhi.
“Dopo cinque lunghi anni riavrò ciò che è mio di diritto”
 
Sèis non aveva una dimora fissa, era uno spirito libero che viaggiava seguendo il vento. Solo negli ultimi tempi era rimasto nei dintorni di un’isola, conosciuta con il nome di Rèabhlaid, luogo abitato da molti suoi fratelli. Probabilmente la Dea Madre aveva deciso che il suo destino era di essere lì quando Cridhe naufragò su una riva dell’isola. Sèis lo seguì ed osservò dal momento in cui lo vide privo di sensi con il viso nella sabbia bagnata. Il primo anno l’uomo si limitò a sopravvivere: costruì un piccolo riparo con della legna, raccolse un gran numero di frutti e cacciò piccoli animali che abitavano l’isola per avere riparo e nutrimento. Il secondo anno, ormai stanco di quella vita selvaggia, costruì una piccola zattera di legno per fuggire da lì, ma il suo tentativo fu vano in quanto la corrente lo riportava sempre su quelle dannate rive. Sèis non aveva fatto nulla per aiutarlo, la sua natura timorosa nei confronti degli umani non gli aveva permesso di avvicinarsi nemmeno e, inoltre, non sapeva dove portarlo su quella zattera così fragile. I due anni seguenti Cridhe sembrava essersi rassegnato a rimanere intrappolato in quel luogo solitario, esplorò tutta l’isola fino a conoscerne ogni angolo recondito. E fu così che, dopo quattro anni e mezzo dal suo arrivo, trovò ciò che lo legò in modo indissolubile a Sèis: un contratto, sigillato in una bottiglia di vetro, nelle profondità di una grotta, vicino a una fredda e limpida sorgente dove sembravano riunirsi tutti i venti del mondo. Appena l’uomo prese tra le mani quel pezzo di carta e lesse ciò che c’era scritto, Sèis sentì un brivido. Aveva paura di diventare suo servitore, non sapeva quanto avrebbe sfruttato i suoi poteri. Scese a terra, per la prima volte assunse una forma simile a quella umana.
“Sono qui per servirvi, padrone.” Le sue parole echeggiarono nella caverna umida disperdendosi nelle varie correnti d’aria. I loro sguardi si incontrarono per la prima volta dopo tutti questi anni in cui lo spirito aveva vegliato silenzioso su di lui.
Cridhe lo osservava incredulo, era confuso, stringeva quel prezioso documento tra le mani, consapevole che era la causa di quell’incontro fortunato. Poiché non sembrava voler parlare, Sèis gli si avvicinò di qualche passo, lentamente.
“Sono Sèis, uno spirito dell’aria, un essere magico. Quel contratto mi obbliga a sottostare ai vostri ordini, padrone.” Ogni sua frase era un sussurro leggero, eppure arrivava chiara e forte alle orecchie dell’uomo.
Silenzio. Minuti di un interminabile silenzio, i due erano troppo occupati a scrutarsi a vicenda. Lo spirito poteva comprendere le emozioni di quel naufrago, non aveva pronunciato una sola parola in quattro anni e mezzo di vita solitaria a Reàbhlaid, e adesso che finalmente incontrava qualcuno quello era un essere magico, un essere potente di cui aver paura. Sèis conosceva bene le storie che gli umani facevano circolare sugli spiriti. Li dipingevano come creature subdole e boriose, avide solo di potere, che traevano piacere dalle disgrazie altrui. In realtà lui era l’esatto contrario, il suo animo era puro e ricco di bontà.
“Posso eseguire qualunque compito voi vogliate, padrone. Non temete, non è un tranello o altro, avete la mia parola e la mia completa fedeltà.” Chiarì subito Sèis, per tutti, esseri umani o magici, l’onore era la virtù più importante.
“Ho bisogno che tu mi aiuti a fuggire da qui e raggiungere la mia casa” finalmente l’uomo parlò con voce roca, forse incoraggiato dallo sguardo sincero del suo nuovo servo. Sembrava un compito molto semplice.
“Io sono Cridhe, signore di Beartas. Il mio trono è stato rubato.” Il tono era grave e Sèis capì di aver elaborato una supposizione errata.
Il mese successivo lavorarono duramente per la realizzazione di un piano perfetto. Cridhe si rivelò essere un uomo molto intelligente e Sèis, con i suoi saggi consigli, ravvivò in lui la speranza di tornare a casa con la convinzione che tutto sarebbe andato come loro avevano previsto.
“Sannt, colui che consideravo il più fedele dei miei alleati, ha cospirato contro di me e mi ha gettato nelle crudeli acque dell’oceano per prendere il mio trono, le mie ricchezze e mia figlia.” Spiegò Cridhe allo spirito. Il loro legame si rafforzava ogni giorno che passava, l’uomo apprezzava i racconti di Sèis sulle sue avventure tra i venti e, a sua volta, la magica creatura nutriva un certo interesse nelle vicende umane, spesso, però, così incresciose da farlo inorridire. Era sempre più convinto che gli esseri umani fossero le vere creature subdole e crudeli. Ferivano e tradivano i loro simili, era inconcepibile per Sèis e i suoi fratelli.
“Cerca di condurre con i tuoi poteri un veliero fin qui, mio diligente Sèis” gli ordini di Cridhe erano sempre espressi in modo gentile, inoltre aveva da poco iniziato ad usare con lui epiteti che lo rendevano orgoglioso di essere al suo servizio.
Lo spirito si sollevò in aria e con un soffio di vento fu sospinto lontano, a gran velocità, sopra l’immenso oceano che lo divideva dalle terre abitate dagli umani. Fu difficile vincere l’estenuante caparbietà del capitano del veliero che aveva scelto per adempiere al suo compito, che lottava contro il suo forte vento per mantenere la rotta, ma alla fine riuscì, dopo un lungo mese, a farlo giungere sulle coste di Reàbhlaid. Cridhe lo attendeva sulla spiaggia e appena lo vide gli sorrise con lo sguardo. Non sembrava sorpreso e questo rese felice Sèis. Si era fidato di lui, non aveva dubitato della sua parola e aveva perfino sentito la sua mancanza, per uno spirito questo atteggiamento significava molto.
“Bentornato, mio caro Sèis. Ottimo lavoro.”
 
Erano ormai passati diversi mesi, il viaggio sul veliero era quasi giunto al termine. In lontananza Sèis era riuscito a scorgere Beartas. Il giorno era caldo e il cielo era terso, tutto perfetto per la grande impresa che si apprestavano a compiere.
“Quando riavrò il mio trono, sarai libero di andare, mio fedele Sèis.” Le parole di Cridhe colpirono profondamente lo spirito, sapeva che il suo padrone era un uomo di animo buono ma, nonostante in cuor suo si aspettasse un simile comportamento, non poté sopprimere la sua sorpresa. Si limitò ad annuire in risposta, guardando con intensità negli occhi verdi dell’uomo.
Probabilmente questo era il destino che la Dea Madre gli aveva riservato, un destino breve ma intenso. Questi mesi gli avevano regalato una miriade di emozioni nuove, sentimenti molto più magici dei suoi poteri.
Finalmente la nave approdò al porto di Beartas, i gabbiani volavano bassi ed emettevano i loro versi fastidiosi in cerca di cibo sul molo. La città era molto grande ed era divisa in numerosi viottoli. Un mercato piuttosto vasto occupava quasi tutta la larga strada che portava al molo e procedeva in linea retta fino all’ingresso del castello. Questo sovrastava tutte le basse abitazioni con le sue altissime torri. Sèis si sentiva piccolo e insignificante, i suoi poteri non avrebbero neppure potuto scalfire quella massiccia costruzione. Per fortuna, seguendo il piano che avevano ideato, il suo compito era molto più semplice.
Lui e Cridhe camminarono fianco a fianco, il passo svelto ed impaziente. Lo spirito sentì un forte calore invadergli l’animo. Ormai mancava davvero poco alla fine.
Approfittando della folla, riuscirono ad entrare nel cortile interno del castello. Sèis silenziosamente raggiunse le grandi porte che conducevano all’interno dell’edificio e con dei forti colpi di vento fece svenire le guardie che le controllavano, in modo da permettere al suo padrone di seguirlo.
“Siete pronto?” domandò in un sussurro lo spirito, ma non attese una risposta, poiché la conosceva già. Entrambi non erano esattamente eloquenti e le loro conversazioni raramente duravano a lungo. In un momento simile, poi, le parole apparivano superflue. Probabilmente quella domanda retorica serviva a Sèis per ricordarsi che Cridhe era al suo fianco e che stava facendo tutto questo per lui, sapere ciò gli infondeva maggiore sicurezza e dava uno scopo alle sue azioni.
Come leggere correnti d’aria i due si spostarono velocemente verso le segrete, rimanendo vicino al muro e sfruttando gli intricati corridoi per eludere le guardie o coglierle di sorpresa. Il loro obiettivo era controllare se Dòchas, la figlia di Cridhe, era prigioniera, e in quel caso liberarla.
Ma accadde qualcosa di imprevisto. Qualcosa che Sèis non avrebbe mai potuto immaginare. Durante il tragitto il suo padrone riconobbe in una ragazza sua figlia. Ma quella ragazza stava baciando un giovane.
“Dòchas!” La chiamò Cridhe con un misto di sorpresa e sollievo nel trovarla sana e salva. Lei inizialmente ebbe timore di quell’intruso trasandato che conosceva il suo nome, ma in seguito i suoi occhi si illuminarono e si riempirono di lacrime di gioia.
“Padre mio! Siete salvo! Temevo di non rivedervi più! Sapevo in cuor mio che eravate ancora vivo, ne ero certa!” esclamò correndo ad abbracciare il genitore. Affondò il viso nell’incavo del suo collo e lo strinse forte come se non credesse davvero di essere lì, tra le sue braccia.
“Costui non è Grian, il figlio di Sannt?” chiese Cridhe con sospetto, osservando il giovane che era rimasto indietro, incapace di reagire per lo stupore di ciò che era appena accaduto. Sèis invece si era fermato al fianco del padrone e della figlia, pronto a intervenire in caso di bisogno. I due ragazzi sembravano non aver notato la sua presenza.
Dòchas sciolse gentilmente l’abbraccio e si passò le mani sul viso tondo e arrossato dalle lacrime, per asciugarsi le guance e gli occhi. Erano grandi, dello stesso colore di quelli del padre.
“Oh padre, io lo amo. E’ molto diverso da Sannt e adesso che siete qui potete contare sul suo aiuto per riavere il vostro trono. Beartas aspettava speranzosa il vostro ritorno” la voce della ragazza era leggermente roca per il pianto e in alcuni punti del discorso fu difficile udire le sue parole.
“Perfetto, il piano muterà leggermente.” Sèis si girò verso il padrone, quando lo udì pronunciare quella frase, in attesa di nuovi ordini. Ma non fu lui a riceverli.
“Grian, vai da tuo padre e assicurati che tutte le guardie si allontanino da lui. Tu Dòchas, puoi seguirlo o rimanere nelle tue stanze. Come preferisci.” Lo sguardo di Cridhe era serio, la voce ferma e decisa. I due giovani annuirono soltanto, con un cenno del capo, e insieme scomparvero in fondo al corridoio, diretti verso la sala del trono.
Sèis durante quella conversazione tra padre e figlio aveva pensato a lungo alle parole della ragazza. Cosa significava amare? I suoi fratelli non avevano mai provato nulla del genere, erano sicuri che fosse qualcosa che spettasse solo agli uomini. Eppure lui, in quel momento, realizzò che avevano torto. Nulla sfuggiva ai suoi sensi più sviluppati di quelli umani, aveva notato gli sguardi intensi che si erano scambiati Grian e Dòchas prima di camminare fianco a fianco verso il nemico. Erano sguardi di intesa, profondi più dell’oceano, illuminati dalla fiducia che nutrivano l’uno nell’altra.
Lo spirito spostò gli occhi azzurri in direzione dell’uomo che attendeva una sua mossa, paziente, per realizzare il compito che gli aveva affidato.
“Tu mi ami, padrone?” una domanda sussurrata come un soffio leggero ma impetuosa come mille tempeste. La risposta la lesse in quegli occhi opachi che erano rimasti aperti solo spinti dalla speranza di un futuro migliore, più equo.
“Mio dolce Sèis… Mio fedele compagno…” cercò di spiegarsi, ma la sua voce tanto profonda era attraversata da una nota di esitazione che mai lo spirito aveva udito da lui.
“No, giusto?” un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra, il tono rassegnato e consapevole. Poi si girò e percorse la stessa strada dei ragazzi, che li avevano preceduti. Nonostante quell’amara risposta, si sentiva sollevato, non sapeva esattamente spiegarsi il perché. Forse era solo contento di provare un sentimento tanto nobile e puro verso una persona così giusta.
La sala del trono era più grande di quanto Sèis si aspettasse. Numerose vetrate abbellivano i muri esterni filtrando la luce e dando numerose sfumature alla stanza. Il trono, al centro, era imponente, rivestito di uno spesso tessuto nero e il legno era ornato da ghirigori d’argento. Sullo schienale era intagliata la testa di un corvo che incuteva paura a chiunque lo guardasse negli occhietti diabolici, costituiti da due piccole pietre rosse.
Grian e Dòchas erano in piedi davanti un uomo con dei folti baffi arricciati e gli occhi piccoli e scuri. Aveva il viso sottile, il mento appuntito e la bocca larga e schiacciata. Ciò che attirava più l’attenzione del suo aspetto non era la corona lucente che poggiava sul suo capo calvo, ma il pronunciato naso aquilino ricoperto di lentiggini e spellato in più punti.
Sèis ipotizzò che dovesse essere Sannt. I tre individui sembravano davvero minuscoli in quell’immensa sala.
“Sannt, hai avuto il tuo momento di gloria, adesso è il momento di farti da parte e restituirmi ciò che mi appartiene di diritto.” La voce di Cridhe riecheggiò, sembrò un lampo a ciel sereno. Sèis si voltò ad osservarlo, era appena arrivato alle sue spalle e adesso camminava con determinazione verso quello che un tempo era un fedele alleato.
“Cridhe?!” quell’uomo avido che non conosceva il significato della lealtà assunse un’espressione sorpresa, gli occhi sembravano voler uscire dalle orbite.
“No. Non riavrai il MIO trono!” sembrava essere andato nel panico, Sèis riusciva a percepire, seppur così lontano, il battito accelerato del suo cuore e la sudorazione che aumentava. Iniziava anche ad assumere una colorazione rossastra. E adesso aveva preso qualcosa, qualcosa che fece sussultare lo spirito. Uno scettro. Un altro dei tanti contratti che legano le creature magiche agli uomini.
“Uir!” chiamò a gran voce e una luce giallastra emerse da sotto il pavimento, era immateriale. Poi assunse come Sèis una forma molto simile a quella umana. Si assomigliavano molto, le uniche differenze erano la carnagione molto più scura di Uir, i suoi capelli ricci e spettinati di un castano scuro e il fatto che il materiale azzurrino di cui era ricoperto lo spirito dell’aria era sostituito da uno strano strato di materia piuttosto analogo alla terra.
Bastò un semplice movimento dello scettro per indirizzare in modo ostile il nuovo arrivato verso Cridhe. Il loro piano doveva subire un’ulteriore modifica.
Sèis veloce come un soffio di vento si parò davanti al suo padrone e con uno sguardo accusatorio fermò Uir.
“Cugino, so bene ciò che ti lega a quell’uomo, ma stai servendo una persona con il cuore divorato da sentimenti malvagi. Il mio padrone non cerca vendetta, vuole insegnargli cosa significa essere leali, cosa significa fidarsi di qualcuno e comportarsi come una famiglia.” Spiegò con voce ferma in un vano tentativo di convincerlo a desistere. Gli spiriti non amavano ricorrere alla violenza.
“Proprio per questo sai bene che non posso tradirlo e venir meno al contratto che mi lega a lui. Ti prego, fatti da parte.” Rispose atono Uir, negli occhi riusciva a leggere una nota di dispiacere. La Dea Madre era stata crudele con lui, pensò Sèis, affidargli un destino così meschino che lo portava ad abbandonare i suoi principi.
Lo spirito dell’aria doveva pensare in fretta ad un’alternativa, un modo per salvare la situazione senza ferire nessuno. Doveva purificare Sannt, era l’unica soluzione, ma non poteva agire da solo. Quell’uomo era un caso disperato, andava oltre i suoi umili poteri. Sèis chinò il capo e ad occhi chiusi portò le mani davanti alla bocca con le dita intrecciate, come se pregasse.
“Fratelli, invoco il vostro aiuto. So bene che gli esseri umani sono creature infime, ma è grazie ad uno di loro che ho conosciuto il sentimento più puro che sia mai esistito dalla nascita della Dea Madre.” Sussurrò impercettibilmente, la sua voce veniva trasportata da veloci correnti d’aria in più direzioni, le loro destinazioni erano le orecchie degli altri spiriti dell’aria.
Una fragorosa risata interruppe il silenzio che si era creato dopo la sua conversazione con Uir. Sèis sollevò lo sguardo per rivolgerlo verso Sannt che aveva riacquistato il suo colorito naturale e sembrava molto più rilassato nel notare che era in vantaggio.
“Hai scelto male il tuo spirito protettore, Cridhe. Ancora una volta hai scelto l’alleato sbagliato!” la voce di quel viscido umano era tagliente e velenosa, pareva trarre immenso piacere da quella situazione. Per quanto Sèis fosse sensibile quelle parole non l’avevano ferito, erano solo vane parole pronunciate da un corrotto.
“Non ti permetto di offendere il mio tenero Sèis. Lui ha un animo puro, a differenza nostra, e nonostante non merito minimamente il suo aiuto è rimasto al mio fianco seguendo valori e sentimenti che non possiamo nemmeno immaginare.” Il tono di Cridhe era accusatorio, Sèis si sorprese di vedere sul suo volto un’espressione dura, che non perdona.
A quel punto la porta principale della sala si spalancò con una certa violenza e tantissime macchie evanescenti fecero il loro ingresso insieme a un forte vento. Sèis sorrise e raggiunse i suoi fratelli.
“Sannt! Adesso capirai cosa significa essere leali e trovare in chi ci sta affianco un amico, un familiare.” La voce di Sèis, adesso in forma immateriale, era unita a quella di tutti gli altri spiriti dell’aria. Piano formarono un cerchio e iniziarono a girare intonando una dolce melodia. Le parole erano in una lingua sconosciuta, ma sospinte dalle correnti d’aria assumevano un preciso significato.
Sannt cercò invano di tapparsi le orecchie in preda ad un dolore interno, all’altezza del petto. Cominciò ad urlare, pregò che la smettessero con quella tortura. Ma gli spiriti crearono altre forme armoniche, senza smettere di girare tutti insieme, perfettamente sincronizzati.
Alla fine, l’uomo con il cuore divorato dalla cupidigia cadde in ginocchio.
“Uir, sei libero. Ho capito, ho compreso i miei errori.” Parlò a bassa voce, ma bastò per distruggere lo scettro e liberare lo spirito della terra.
Il canto degli spiriti dell’aria lentamente terminò e i fratelli di Sèis, concluso il loro compito, uscirono dalla sala con la stessa impetuosità e velocità con cui erano arrivati.
“Cos’era quel canto?” domandò Dòchas a Sèis. Lei era rimasta tutto il tempo stretta al suo innamorato. Lo spirito dell’aria tornò a terra, i piedi nudi sul freddo pavimento, e sorrise.
“Era la voce della coscienza. Anche Sannt ne ha una, sebbene l’avesse seppellita in un angolo recondito del suo animo. Io e i miei fratelli l’abbiamo solo risvegliata.” Spiegò con calma, poi si girò verso il suo padrone. Leggeva nel suo sguardo sollievo e ammirazione.
Era la fine. Sèis raccolse la corona, caduta dalla testa di Sannt durante il canto, e raggiunse Cridhe.
“Adesso siete di nuovo il signore di questa terra, padrone.” Sussurrò posando la corona sul suo capo, lo sguardo fiero e speranzoso.
“Non chiamarmi più padrone, mio dolce Sèis, sei libero adesso.” Cridhe estrasse il contratto da una tasca e con un gesto secco lo strappò. Quello si dissolse in minuscoli pezzi ormai non più visibili all’occhio umano.
Sèis sentì un brivido piacevole invaderlo e si librò in aria facendo una capriola di felicità. Gli spiriti erano nati per essere liberi, liberi di riempire il mondo con la loro magica presenza.
“Grazie.” Fu l’ultima parola che lo spirito sentì pronunciare all’uomo che amava e che aveva riempito la sua eterna esistenza di sentimenti ed emozioni che avrebbe custodito per sempre nel suo animo.
“Addio” era ormai fuori dal castello, sospinto dal vento nel cielo lontano. Una lacrima scivolò dal suo essere immateriale, ma a lui sembrò che gli accarezzasse una guancia, prima di precipitare verso il basso, portando con sé quell’ultimo saluto.
   
 
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