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Autore: dilpa93    23/07/2014    4 recensioni
"La speranza è un essere piumato che si posa sull'anima e canta melodie senza parole e non si ferma mai"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Kate Beckett, Martha Rodgers, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Il superstite



 
Nel primo pomeriggio del giorno seguente la folgorazione avuta da Castle circa il significato di quelle carte, che portavano con loro una sorta di magia antica, ha luogo quel funerale per cui sembrava avessero atteso un’eternità, e invece non era che passata una manciata di giorni. Elizabeth si era preoccupata di avvisarlo immediatamente e il caso aveva voluto che la chiamata arrivasse contemporaneamente a quella ricevuta da Kate da parte del capitano.
Come aveva ipotizzato Rick parlando con la sorella di Ryan in ospedale, la Gates non aveva rifiutato ad uno dei suoi migliori uomini una cerimonia solenne, come spetterebbe ad ogni agente caduto in servizio.
Si erano svegliati presto, avevano bisogno di tempo per loro stessi, per comprendere e realizzare che quello sarebbe stato un addio definitivo verso un uomo ed un padre straordinario, un amico che era stato presente in molte situazioni pericolose, che non si era mai tirato indietro nei momenti di bisogno. Sarebbe mancato a tutti, terribilmente.
Dopo pranzo, aggiustandosi la divisa davanti allo specchio, Kate non può fare a meno di pensare a Jenny, ancora all’oscuro di tutto, imprigionata in quel sonno profondo.
“Tutto bene?” Rick le posa un bacio sulla guancia, stringendola in vita cercando di tenerla il più possibile vicino a sé. Gli carezza le braccia voltandosi poi verso di lui e sentendo le sue mani scivolarle lungo i fianchi. “Pensavo a quanto sarà terribile quando Jenny si sveglierà. A come potremmo dirle di Kevin, a come reagirà. Se fosse successo a noi, se mi fossi svegliata e mi avessero detto che tu non ce l’avevi fatta...” la voce comincia ad incrinarsi, ma è troppo presto per iniziare a versare lacrime. “Probabilmente sarei impazzita.”
Non le dice nulla, perché non c’è niente che lui possa dire e che possa alleviare il dolore che prova, che possa cancellare dalla sua mente l’immagine che li vede per un istante entrare nei loro panni. La bacia ancora, questa volta a fior di labbra, aiutandola poi, in silenzio, ad indossare la giacca della divisa. “Raggiungi Javi al distretto, io verrò direttamente al cimitero con le bambine.”
Le porge il cappello sentendolo afferrare dal tocco delle sue mani tremanti. La guarda uscire dalla stanza, socchiudendo la porta dietro di lei ed una volta solo trae un profondo respiro prima di andare a preparare Sarah.
Tenerla con loro è stata la decisione giusta, continuano a ripeterselo da quando hanno firmato le carte portategli da Davis, e non perché cerchino di convincersi che sia la verità, ma perché in un certo qual modo è come se avessero bisogno di rassicurazione, benché l’avessero ricevuta in più di un’occasione non solo da Martha, ma, alla fine, anche dai genitori della stessa Jenny a discapito della riluttanza iniziale di Scott.
 
Il sole è alto, i raggi picchiano violentemente sui presenti ma questo non basta ad annullare il vento freddo di un inverno ancora nel fiore dei suoi giorni. Il prato, in estate così verde e brillante, è coperto da un leggerissimo strato di brina, tutto appare ghiacciato e accarezzato dal respiro gelido della morte.
Rick, dalla prima fila, osserva il viso di Kate. Fiero della sua risolutezza, di quel cedimento che si intravede solo dai suoi occhi. La bandiera viene piegata, accuratamente e con precisione. È proprio Kate a porgerla a Sarah Grace. I suoi occhioni chiari la fissano mentre le poggia il triangolo in stoffa sulle gambe che penzolano nel vuoto, troppo corte ancora per arrivare a toccare terra. Accanto alla bimba la nonna le sorride, carezzando la schiena della nipotina, asciugandosi poi la lacrima che le sfugge lungo il viso segnato dal tempo.
Il discorso spetta a Javier. Serio, breve, ricco di parole che al meglio possano descrivere il suo compagno, qualità che spesso, giocando o sfottendolo, non gli ha riconosciuto ed ora può solo rimpiangere di non averlo fatto.
Al termine della cerimonia le macchine nere cominciano a sfilare lungo la strada davanti ai cancelli del Green Wood come carri allegorici durante una festività. Anche la loro macchina si aggiunge a quel gregge, non prima che Rick abbia avuto il tempo di invitare Scott e la consorte da loro per un tè. Ancora un volta, invece, Elizabeth si è sottratta al gentile invito. Ha sempre odiato i funerali, sin da quando lei e Kevin avevano perso il padre. Tutti erano stati gentili, sempre da loro per aiutarli a  superare il momento, mentre la sola cosa che desiderava lei era un po’ di tranquillità, il poter stare sola nonostante fosse solo una bambina e tutti continuassero imperterriti a ripetere che doveva essere difficile per lei e per suo fratello e che probabilmente avrebbero preferito avere compagnia.
Ancora adesso sente quella necessità di isolarsi, di superare tutto con le sue forze. Vuole avere il tempo di pensare a suo fratello, di sentire quel dolore acuto nel petto ridursi tanto da non sembrare più un pugnale incastrato nel cuore, ma la punta di un ago, che rimarrà sotto pelle a lungo, ma prima o poi anche quella sensazione svanirà.
 
In casa c’è un calma surreale, solo il fischio del bollitore contamina il silenzio. Martha versa l’acqua calda nelle tazze, il vapore si condensa velocemente appannando appena la superficie di ceramica. Le bustine galleggiano, tingendo l’acqua di vari colori e riempiendo l’aria dei più vari profumi: limoni, mele, lamponi e more, un miscuglio di frutti che solletica l’olfatto dei presenti.
Kate arriva poco dopo, sedendosi al tavolo in compagnia degli ospiti dopo aver cambiato Madison e averla messa a dormire. Sarah sembra poco interessata alla presenza dei nonni, presa a giocare sul divano con i suoi peluche, lasciando così agli adulti il tempo di fare quattro chiacchiere.
“Sembra stare bene”, commenta Mary a tono basso, riferita alla piccola.
“Non penso si renda ancora pienamente conto di quello che sta accadendo cara.” Scott le stringe la mano, condividendo con lei la preoccupazione per la figlia.
“Credo che invece capisca più di quanto lasci credere. Ma i bambini hanno un modo tutto loro per affrontare certe cose.” Martha e Kate intuiscono che anche nelle parole di Richard ci sia più di quanto non voglia lasciar intuire ai suoi ospiti. Quel padre mai stato presente, la madre di sua figlia sparita da un giorno all’altro lasciando una bambina che aveva qualche anno in più di Sarah. Si, lui sa di cosa sta parlando, lui sa che Sarah ha capito perfettamente quanto accaduto e quanto sta ancora accadendo.
Scott sospira, bevendo poi un sorso del liquido ambrato. Sembra strano vedere un uomo della sua stazza sorseggiare amabilmente del tè. “Avete firmato le carte per l’affidamento quindi...”
“Scott”, tenta subito di fermarlo la moglie con quell’ammonimento bonario.
“Voglio solo sapere Mary e, anzi, scusarmi ancora per come ho reagito in ospedale.”
“Non credo ce ne sia bisogno, si è già scusato Scott e la sua reazione era del tutto comprensibile”, è sincero il sorriso che contorna le labbra di Kate, i capelli le ricadono sulle spalle, ora liberi dallo chignon, coprendo le decorazioni sulla divisa che ancora indossa. “Abbiamo firmato le carte questa mattina, domani o al più tardi tra un paio di giorni dovrebbe venire l’assistente sociale per un controllo prima dell’udienza che sancirà l’affidamento in modo legale.”
“E questo varrà anche per il bambino una volta che sarà nato, nel caso in cui Jenny non dovesse svegliarsi... e... agissero con un cesareo?”
“Il bambino? Di cosa, di cosa sta parlando?” Kate, a seguito della domanda, si perde con lo sguardo sul viso di Rick, sconcertato quanto il suo. Martha si alza, andando a mettere su altra acqua per il tè. Sa bene quanto sia inutile, ma è un modo come un altro per allontanarsi tanto da fare in modo che la sua solita curiosità non prenda il sopravvento con domande che si susseguono in rapida sequenza, ma non troppo così da sentire quanto verrà detto.
“Io e Scott credevamo lo sapeste”, la ciocca grigia le ricade davanti al viso; la scosta con un movimento naturale, un gesto ormai abitudinario. “Dovrebbe essere di ormai tre mesi. I medici ci hanno detto che il bambino era sopravvissuto all’impatto, una sorta di miracolo. L’intervento su Jenny avrebbe potuto mettere a serio rischio la sua vita, invece... Non so spiegare come sia possibile, ma ce l’ha fatta. Se Jenny non dovesse svegliarsi, giunta al termine della gravidanza interverranno con un cesareo.”
“Noi non sappiamo cosa succederà una volta nato”, comincia Rick ancora shoccato e sorpreso. “Le loro volontà si riferivano esclusivamente a Sarah, probabilmente dopo la nascita lo avrebbero modificato ulteriormente, dovremo informarci, ma non è il momento di essere negativi. Sono sicuro che si sveglierà e tornerà ad occuparsi di Sarah Grace e del nuovo arrivato, non ho alcun dubbio.” Sorride, cercando di essere il più convincente possibile. Non gli capita spesso, ma questa è una di quelle rare occasioni in cui dubita delle sue stesse parole. La certezza che Jenny si sveglierà si fa in lui più debole ogni giorno che passa.
 
La sera cala velocemente, forse prima del previsto con quel sole pallido già scomparso oltre le nubi da qualche ora. È solo in casa, se non si considera Madison e il suo respiro che riesce a sentire con il baby controller. Kate aveva pensato, per lasciare campo libero a lui ed Alexis, di andare a mangiare fuori, portando Sarah con sé e poi magari, usando le giuste argomentazioni e il distintivo, di portarla a trovare la mamma sebbene l’orario di visita fosse terminato.
Seduto sulla poltrona aspetta l’arrivo di Alexis, come un padre apprensivo in attesa che la porta di casa si apra e, dal buio del pianerottolo, compaia la figlia in ritardo di un paio d’ore rispetto al coprifuoco. L’aveva vista al funerale giusto un paio di minuti. Il tempo di fugaci saluti e lo scambio di due parole con lui e Kate. Pi era rimasto in disparte tutto il tempo, ancora intimorito dal pensiero di ciò che potrebbe fargli Rick. Pensieri sbagliati e fuorvianti. Per quanto alterato possa essere, Rick non farebbe mai del male a quel ragazzo che, nonostante la paura che ancora gli percuoteva con leggere ondate di brividi il corpo, non aveva mai distolto lo sguardo o abbassato il capo, sorridendo timidamente e alzando di poco il braccio in segno di saluto. Rick era rimasto piuttosto compiaciuto da quel suo atteggiamento, per quanto intimorito cercava in tutti i modi di nasconderlo sostenendo il suo sguardo quasi perforante.
La pasta sta cuocendo lentamente nell’acqua bollente di cui si sente il lieve e persistente bollire. Il gas pare contorcersi ogni qual volta una goccia d’acqua fugge dalla pentola precipitando verso i fornelli. Il sugo è pronto, tenuto in caldo nella padella, in attesa che la pasta una volta cotta vi ci sguazzi dentro.
Alla prima scampanellata si alza facendo pressione sui braccioli. Per un istante, posando la mano sulla maniglia di ingresso, si è fermato, la mano a mezz’aria il cui palmo coglie la leggera energia statica creatasi con il pomello. Non è più convinto sia una buona idea. La certezza di essere pronto ad affrontare quel discorso l’ha abbandonato lasciando in lui il timore di poter dire qualcosa di cui si sarebbe certamente pentito e che non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Scaccia quel pensiero con una scrollata del capo, aprendo la porta poco prima che Alexis suoni una seconda volta.
“Ciao”, pronuncia con un  fil di voce. Lei gli sorride rispondendo timidamente al saluto. Passeggia per il salone, lascia la borsa sulla poltrona e si avvicina al padre per aiutarlo ad impiattare. Tutto è naturale, come se non fosse mancata neanche un giorno da quella casa, eppure sono settimane che è via e la rotondità che cerca disperatamente di nascondere sotto un ampio maglione aiuta suo padre a tenere il contro di quanti mesi siano in realtà passati.
“Kate non c’è?” domanda portando in tavola i piatti caldi.
“No, voleva portare Sarah in ospedale, ha pensato fosse la sera adatta.” Le siede di fronte, impugna la forchetta ma non compie alcun movimento, resta a fissarla mentre arrotola gli spaghetti portandoseli alla bocca, perso nei suoi pensieri e nelle sue elucubrazioni mentali.
Arrossisce accorgendosi di quello sguardo e Rick, ancora una volta, esce da quella trance momentanea cominciando a mangiare. La prima portata termina in fretta, tra i soli suoni delle posate che si scontrano con i piatti bianchi, dell’incessante muoversi delle loro bocche e dello scorrere dell’acqua contro il vetro del bicchiere mentre vi viene versata.
L’assenza di una qualsiasi conversazione comincia a divenire frustrante per entrambi. Alexis a disagio, in tensione. Le spalle rigide, la posizione compunta su quella sedia dalla quale non accinge a muoversi. Rick è convinto che il silenzio riservatogli dalla figlia possa essere una sorta di punizione ed inizia a temere che, se non sarà lui a dire qualcosa, quella serata non porterà a nulla ed è deciso più che mai a sciogliere ogni dubbio e quelle amarezze che si sono venute a creare.
“Senti Al, credo ormai sia inutile girarci intorno”, sospira rilassata, contenta che sia stato lui ad intraprendere il discorso. “quello che sta succedendo a te e Pi...”
“Non sta succedendo nulla”, lo interrompe improvvisamente. Tono basso, nessuna irruenza o acidità nella voce. “Aspetto un bambino papà, perché non riesci a dirlo?” è stanca di sentirlo parlare di particolare situazione, o usare vocaboli come quello o questo.
“Scusami, non volevo. Devo solo abituarmi, mi ci vorrà del tempo.”
“Spero ti basteranno i mesi che mancano, perché quando sarà nato avrò bisogno di te, lo sai vero?” Le servirà averlo vicino, spera che lui sarà disposto ad aiutarla e consigliarla. “Mi dispiace che sia accaduto, mi dispiace che tu non sia pronto, ma...” lascia cadere la forchetta, con cui stava timidamente giochicchiando, nel piatto. Lo scontro del metallo con la ceramica si disperde in un suono acuto e stridente. “Anzi, sai una cosa? Sono stanca di dovermi scusare continuamente. Sono sempre stata attenta ed è capitato comunque quindi non devo chiedere scusa.” Le parole escono veloci, lo sforzo le fa arrossare le guance e seccare la gola. Beve un po’ d’acqua che sembra placare quella rabbia che in un secondo l’aveva assalita e non sa se siano già gli ormoni oppure se quello che aveva dentro, tenuto nascosto per giorni, avesse deciso di venir fuori in una volta sola. “Tu eri poco più giovane di me, dovresti riuscire a capirmi”, bisbiglia fissandolo con gli occhi di ghiaccio velati di lacrime.
“Tesoro capisco il tuo punto di vista e hai ragione, non devi scusarti. Ma esattamente come tu sostieni di non doverti scusare, io credo che non dovremmo continuare a fare paragoni tra me e te. Erano tempi diversi, io ero diverso da come sei e anche tua madre lo era, ma soprattutto non voglio che in questo caso tu ti riveda in me perché non desidero che tu o Pi passiate quello che ho passato io. Non voglio che fraintenda e ora credo tu sia abbastanza grande per capire.” Fa una pausa perdendosi nei suoi ricordi, in quelli tristi e amari di un tempo. “Non voglio che lasci Pi in disparte durante la gravidanza, non voglio che lui lasci te, perché se lo dovesse fare o anche solo progettasse di farlo gli farei cambiare idea in un modo che credo preferirebbe non sperimentare. Io sono stato fortunato ad avere te e spero voi possiate avere la mia stessa fortuna. Sai, non sono arrabbiato perché aspetti un bambino, non sono arrabbiato perché lo aspetti da Pi e non lo sarei in nessun caso. Non sono arrabbiato, sono indispettito e deluso. Tu non te la sei sentita di parlare con me, quando lo hai scoperto hai preferito non dirmelo per paura e non ti nascondo che questo mi abbia fatto dubitare sulle mie capacità di genitore.”
La rossa sbarra gli occhi a quell’affermazione, incredula e dispiaciuta di aver fatto provare a suo padre quella sensazione di inadeguatezza. L’ha cresciuta, ha fatto sforzi e sacrifici, le ha dato tutto quello che desiderasse a tal punto che anche la mancanza di sua madre non si era mai fatta sentire più di tanto se non in determinate situazioni. “Io... non credevo ti fossi sentito così. Avevo paura nel dirtelo, è vero, ma non era mia intenzione farti credere che tu non sia un bravo genitore. Lo sei, sei il migliore papà del mondo e lo sai bene. La verità è che anche io dovevo pensare. Quello che ho detto in ospedale... non è vero, non temevo una tua scenata, tutt’altro. Se non avessi aspettato, se te lo avessi detto subito tu saresti stato così comprensivo nei miei confronti e probabilmente io mi sarei sentita in colpa. Egoisticamente ho pensato solo a me, a quanto fossi sconvolta quando il medico ha confermato i miei sospetti, dovevo discuterne con Pi, capire quanto la nostra relazione fosse solida, se lo fosse abbastanza da poter portare avanti un cosa che credevo più grande di me, e mi è servito più tempo di quanto credessi per digerire la notizia.”
“È giusto che tu abbia pensato a te e che abbia avuto voglia di mantenere questo segreto. Prima di ogni altra cosa dovevate affrontarla tu e Pi”, con amarezza ripensa a quando Meredith gli aveva dato la notizia, alla velocità con cui dopo era scomparsa, non facendosi più sentire, non rispondendo alle sue telefonate, ricomparendo poi dal nulla, decisa a portare avanti quella gravidanza con lui non appena si fossero sposati. Aveva preso la sua decisione, da sola, e nonostante lui l’appoggiasse in pieno, avrebbe preferito poter avere voce in capitolo, un confronto faccia a faccia, agire insieme. “Solo una cosa voglio sapere e poi non ne parleremo più a meno che tu non voglia.”
“Dimmi...” lo invita a proseguire con un velato timore e tremolio nella voce.
“Sei felice? Voglio solo saperti sicura e felice della tua decisione.”
In un gesto involontario si posa le mani sul ventre, accarezzando quella pancia che le sembra crescere ogni giorno di più. Quando se ne rende conto contempla le movenze delle sue dita sottili e finalmente quei movimenti la rilassano e la fanno sorridere. “Quando ho parlato con Kate, un paio di giorni fa, avevo ancora così tanti dubbi. Ero felice perché lo era Pi, lui ne è entusiasta.”
“Me lo immagino”, bofonchia ironicamente.
“Già...”, ridacchia, “ma adesso io sono felice, lo sono davvero. Mi servivi tu papà, mi serviva questa chiacchierata. Sarei dovuta venire prima.”
“Lo hai detto tu, non sarebbe stato uguale. Ogni cosa ha il suo tempo”, le sorride con quel luccichio negli occhi, quello di padre orgoglioso ed innamorato della sua bambina ormai donna e quasi madre. “Allora... che ne dici del dolce adesso? Ho fatto la torta al cioccolato.”
“Dico che è perfetto.”
 
Va da Madison, entra piano nella stanza dopo aver concluso la chiamata in cui Alexis lo informava di essere arrivata a casa. In fondo è ancora la sua bambina.
La guarda dormire serena, le braccia stese sopra la testa, le manine bene aperte. Le carezza la fronte sedendosi poi sulla sedia accanto al lettino, adora farlo, bisogno che si amplifica in lui quando Kate non è presente.
Come se il solo pensare a lei potesse farla materializzare, ecco che la porta della stanza cigola aprendosi del tutto. La figura di Kate si staglia contro la luce proveniente dal corridoio, tra le sue braccia Sarah con la testa poggiata sulla sua spalla e il respiro pesante.
“Ehi... è crollata?”
“Il tragitto verso casa è stato lungo. Non ho fatto in tempo a metterla nel seggiolino che già dormiva. Madison?”
“Piombata nel sonno profondo poco prima che arrivasse qui Alexis.” Tira indietro le coperte aiutandola così a mettere a letto la bambina. La guardano per qualche istante rigirarsi senza aprire gli occhi e sospirando ogni volta che cambia lato. Sorridono entrambi, mentre Rick avvolge Kate in un abbraccio. La bacia sul capo, avviandosi poi con lei verso la loro camera.
Si butta sul letto dopo essersi messo il pigiama, adora la sensazione della testa che affonda nel cuscino. Con i piedi sfiora dei fogli abbandonati sul copriletto qualche ora prima, si siede a rileggerli, prima che la sua attenzione venga richiamata dall’uscita della moglie dal bagno.
Kate si passa le mani sul viso sentendo la crema rinfrescarle la pelle, toglie l’elastico con cui aveva stretto i capelli in una coda poggiandolo sul comodino. “Come è andata con Alexis?” desidera chiederglielo da quando è rincasata, ma si è trattenuta aspettando di essere nell’intimità della loro camera, come se in qualsiasi altra stanza qualcuno avesse potuto ascoltarli invadendo il loro spazio.
“Bene. Bene è riduttivo, alla grande direi. È tutto chiarito, tutto sistemato. Sai, questo mi è servito per capire che a volte il non parlare porta solo a fraintendimenti. Io pensavo una cosa, lei un’altra... e questo mi fa ricordare che è accaduto anche a noi. Negli anni passati spesso non abbiamo comunicato, orgogliosi, testardi ed impauriti. Non succederà più, vero?”
Si sfila la vestaglia lasciandola sulla poltrona, sale sul letto inginocchiandosi alle sue spalle solleticandogli il collo con i capelli. “No, non accadrà più”, si china su di lui baciandolo. Le loro bocche fremono scontrandosi, la passione lascia che le loro lingue si muovano sciolte. Si staccano poggiando le loro fronti l’una contro l’altra sorridendosi.
“Cosa stai guardando?” gli domanda accennando ai fogli. Si siede a gambe incrociate al suo fianco portandosi i capelli dietro le orecchie.
“Sono gli appunti sul caso Gordon e... sulla lettura dei tarocchi che ti ha fatto. Lo so, lo so che non concordi con la mia teoria”, commenta vedendola rabbuiarsi, “avevo solo bisogno di tenermi occupato in attesa dell’arrivo di Alexis. Scusami.”
“Non devi scusarti, sei libero di fare quello che credi. Dormiamo? Sono stanca.” Si stende andando sotto le coperte, dandogli le spalle.
“Kate...” la richiama in un sussurro sporgendosi su di lei. “Non sarà uno di quei momenti di cui parlavamo prima in cui non comunichiamo? Hai promesso.” La punzecchia seguendo le  linee del suo corpo partendo dalla spalla fino al fianco dove il lenzuolo interrompe la sua discesa.
“No”, si volta verso di lui carezzandogli il viso, si perde nei suoi occhi blu che illuminano la stanza lasciata al buio dopo che aveva spento l’abat-jour. “Non è nulla, sono davvero stanca”, mormora dolcemente lasciandogli un bacio a fior di labbra. “E non credo molto a questa storia di Gordon e della sua veggenza. Mi conosci, sono miss scetticismo. Però tu fai tutte le ricerche che vuoi, ok?” un altro bacio prima di dargli la buona notte e chiudere gli occhi. Un brivido la percuote, proprio come la prima volta che Rick gliene aveva parlato.
 
Scende in salone, i piedi scalzi accarezzano delicatamente il pavimento. Si guarda intorno, tutto coperto dalla penombra, il silenzio cristallizzato, le foto di cui si vedono a malapena i profili dei soggetti.
Si prende un bicchier d’acqua restando poi poggiata con la schiena al piano della cucina.
Sognare Gordon non è stato piacevole. Sono anni che non ha incubi, che dormire al fianco di Rick la rende serena, sapere che la causa di quella notte agitata sia stato proprio lui le lascia una spiacevole sensazione addosso. Le sue teorie non l’hanno mai sconvolta o toccata più di tanto, al contrario si è sempre divertita ed in fondo rendevano meno cupo il lavoro di tutti i giorni. Eppure il solo pensiero che questa volta lui possa aver ragione ha sconvolto ed influenzato a tal punto la sua psiche e la sua sfera emotiva, che l’idea è tornata a tormentarla. Inoltre a giorni sarebbe arrivato l’assistente sociale, la data dell’udienza per l’affidamento sarebbe stata fissata per prima cosa, la scoperta della dolce attesa di Jenny e di quel piccolo che a pochi mesi ha già l’animo del combattente... Queste notizie hanno aumentato l’agitazione di Kate e la poca acqua bevuta ora non è sufficiente a dissipare dubbi e timori. Ha detto ad Alexis che non deve preoccuparsi, che tutto andrà bene con il bambino, che alla sua nascita ogni cosa andrà a posto. Per Kate, l’udienza è il suo bambino, spera che una volta usciti da quell’aula di tribunale potrà sentirsi più serena, che gli incubi, generati forse da tutta la confusione e la pienezza di quei giorni, svaniranno. Di certo non immagina che quelli ci saranno ogni notte a tenerle compagnia, che l’incontro serale tra sé e il suo io interiore in quel salone vuoto diverrà una costante per le settimane a seguire.





Diletta's coroner:

Il funerale è arrivato, Sarah Grace adesso ha quella bandiera che le ricorderà sempre del suo papà.
Tra tristezza e forse ancora un pizzico di rancore da parte di Scott per quell'affidamento, arriva la notizia di quel bambino di cui nessuno sapeva nulla...
Ma quello di Jenny non è l'unico futuro nascituro, finalmente Rick e Alexis chiariscono tra loro, del resto si adorano e hanno bisogno l'uno dell'altro.
Kate alla fine è un po' seccata dalla cocciutaggine di Rick, e gli incubi che comicnicano a perseguitarla ci riportano esattamente al prologo. Con il prossimo (e ultimo) capitolo vedremo come si concluderà questa piccola "avventura".
Ora smetto o l'angolo autrice rischia di essere più lungo del capitolo ;)
Baci
  
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