“Lo amo”
“Nonostante tutto?”
“Nonostante tutto”
[Sakura-
Sasuke]
Shadows
on the moon
Camminavano fianco a fianco su grigi marciapiedi di una
rumorosa cittadina: nessuno dei due parlava, andava avanti così da mezz’ora. Il
teso silenzio fra loro era intervallato da certi sbuffi irritati di lui o da
colpetti forzati di tosse di lei. Le loro mani quasi si sfioravano, soltanto
qualche istante prima le loro dita si sarebbero intrecciate, sempre su decisione
femminile, ma ora, neanche parlarne.
I capelli della ragazza ondeggiavano profumati sulle sue
minute spalle: ciuffi rosa sul cappotto rosso; spesso li muoveva nervosamente,
cercando di occupare il tempo opprimente in altro modo che unicamente in quel
camminare estenuante. Spesso lo guardava con la coda dell’occhio, rintracciava
il volto di quell’uomo, irrigidito dal freddo e da un’espressione severa e
implicitamente dolorante e il suo cuore saltava un battito, le sue labbra si
schiudevano, si curvavano, per poi tornare a serrarsi bruscamente.
Stavano per giungere
alle mani, lo sentiva.
Non sopportava più la
vista di quel combattimento a parole fra due uomini così maledettamente simili.
Erano fratelli,
dannazione! Perché tutto quell’odio?
Non era naturale…
…no…
“Basta!”
Si era slanciata in
mezzo ai due: aveva chiesto scusa col capo ad Itachi e, con tutta la forza che
possedeva, aveva tirato da parte Sasuke, il suo ragazzo.
“Come ti permetti?”
“Lui non ti…detesta”
“Ah sì? E’ stato lui
a spingere papà al suicidio, a furia di tormentarlo con i dispiaceri”
“Lo sai che…”
“Zitta! Non osare
pronunciare altro. Non sai nulla, sciocca donna. Nulla”
La strattonò forte,
per un braccio, e infine la scostò gelidamente, precipitandosi alla porta.
Non le restò che
seguirlo, accompagnata all’uscita da Itachi che le sorrise debolmente, triste.
Il semaforo cambiò in rosso, lui fece una smorfia, prima
di fermarsi alla destra di lei e chiudersi in sé stesso, perdendosi a fissare
il vuoto.
Faceva finta che non
ci fosse. Una statua scura vicino ad una donna bellissima.
Aprì e richiuse la bocca sottile e rossa, più volte
incapace di dar suono alle parole. Trattenne il fiato e, delicatamente, tese il
braccio verso l’uomo, andando ad afferrarne la manica del giubbotto; mentre la
tirava alzò il capo e i suoi occhi verdi risplenderono nella notte, di timore
ed improvvisa eccitazione, alla ricerca delle sue iridi scure.
“Che c’è?”
Con le dita dalle unghie curate strinse forte, tirò forte,
d’impulso, la manica nera.
Non sapeva nemmeno lei il perché. Tutto fuorché
l’insensata stasi.
“Sasuke…” La sua limpida voce non era mai suonata tanto
implorante; un vecchio si girò da essa richiamato: il grinzoso viso s’increspò
alla compassione.
E tornò il verde.
Il vecchio li lasciò soli avviandosi dall’altra parte
della strada; inosservato e pensieroso non osò girarsi: conosceva fin troppo
gli uomini.
“Vuoi insistere?”
Una brezza gelida la scosse in profondità: il naturale
tremolio del corpo fu solo una minima manifestazione esterna in confronto al
tramestio interiore. I pensieri si susseguivano confusi come le emozioni che il
vento non riusciva a portare altrove.
La rabbia lecita era sopraffatta dal timore, il timore era
mescolato ad amarezza, l’amarezza sottostava all’amore. Perché l’amava
tantissimo, nonostante tutto, come succede al cane ferito dal padrone.
Tese anche l’altro braccio, l’alzò piano: desiderava
carezzare il volto del suo uomo, quelle guance candide si prestavano solo al
suo tocco.
Voci sempre più vicine, di gente in attesa di attraversare
la strada.
“Non odiarmi perché non lo odio”
“Sei noiosa, Sakura, noiosa”
Indugiò occhi negli occhioni spauriti di lei,nel volto la
sua carezza, nei sensi il profumo dei fiori di ciliegio. Riuscì a pensare
solamente al verde di quelle iridi, a quel contatto tiepido- d’altronde lui era
un pezzo di ghiaccio-a quell’odore- pericolosamente inebriante- prima di
ricominciare il frenetico ragionamento rabbioso, folle,cattivo. Prima che fosse
troppo tardi: avrebbe potuto sciogliersi, cullato dai Sakura. E invece…voltò le
spalle al paradiso, non senza un quasi impercettibile sorriso- assurdo,
dolorosamente stonante quel curvarsi di labbra- e allontanò la donna che
l’aveva fatto il centro dell’universo;l’unica capace di infondergli la voglia
di amare e accentuare però assieme quella fastidiosa di odiare.
“Perché?”
“Sei proprio una seccatura”
Scattò il verde. La gente si fiondò dall’altra parte della
strada, sotto i portici della salvezza; rimase
quella che pareva una bella coppia, davanti al semaforo rosso e alle vetture in
momentanea stasi.
Alcuni individui osservavano proprio loro due [la donna e
l’uomo splendidi], coi nasi appiccati ai finestrini a formare l’inconfondibile
alone: stavano per vestire il duro ruolo di spettatori impotenti e commossi.
“Non mi lascerai mai,
vero?”
“E basta…”
“Ti prego,
rispondimi”
“Umfh”
“Resterai sempre al
mio fianco?”
“…”
“Sì?”
“S ì”
“Grazie”
“Ora però fine
dell’interrogatorio, okei?
“Beccato! Come sei
carino quando t’imbarazzi…”
“Sakura!”
Il loro non era mai stato un rapporto come gli altri;
scegliendo lui, lei coscientemente era andata in contro ad un’esistenza
complicata, senza alcuna possibile via d’uscita. Ma d’altronde solamente una
donna quale lei era poteva illuminare l’oscurità e non essere da essa
completamente spenta, per così tanto tempo. Cinque anni.
Non aveva mia cercato il principe azzurro né la frivola
felicità. Tutto quel che aveva sempre desiderato aveva nome Sasuke.
Non era facile amarlo; ma se lo fosse stato il piacere
sicuramente sarebbe divenuto minore. Il prezzo da pagare per il capriccio di
possederlo era un lento ed altalenante filo di malinconia: perché ai momenti belli, puri, seguivano attimi cupi, nei
quali i primi erano rimpianti disperatamente.
Non vi era mai stato equilibrio; il nero vinceva spesso i
colori pastello.
Di certo ora era
tornata la notte: - dov’era la luna? Sakura alzò la testa d’impulso, scrutando
la volta blu ricamata da nuvole e qualche solitaria stella; e poi la vide, una
falce al di sotto di una tendina di ombre che ne filtravano la lattea luce: uno
spettacolo tanto pericolosamente affascinate quanto magnificamente inquietante.
Cosa significava?
D’istinto portò le mani giunte al cuore e lo sguardo
sull’uomo; notò che le aveva voltato le spalle.
“Ti vuole uccidere,
Itachi”
“Lo so. Ma non
permetterò che si rovini l’esistenza”
“Devi lottare, devi
dimostrargli che…”
“Shh…devo
semplicemente darci un taglio”
“Ascoltami”
Sasuke, che aveva cominciato ad avanzare, si bloccò.
“Itachi vuole morire”
“Ah sì? Ho strada libera quindi”
La distanza che da lui la separava aumentò
precipitosamente; nell’atto di slanciasi per inseguirlo perse la borsetta rossa
la quale cadde a terra con un tonfo sordo, portandosi dietro, riposte in un
reparto del taccuino, le foto più care che aveva: lei e lui in primo piano,
intenti a baciarsi, e lui in tutta la sua essenza. Frammenti che non
abbandonava mai.
Cosa significava?
“E’ tutto sbagliato”
Lo raggiunse in mezzo alla strada.
“Ma tu non puoi proprio stare zitta?”
Sakura lo vide voltarsi, fissare qualcosa davanti a lui,
spalancare e assottigliare repentinamente gli occhi, lanciarle un’occhiata
impaurita- non da lui- e lo sentì addosso: la strinse talmente forte da
toglierle piacevolmente il respiro.
“Sciocca…vuoi morire?”
Furono le ultime parole che udì, prima d’essere spinta
via, dallo stesso Sasuke, prima d’essere accecata dalla luce, assordata dal
rumore, soprafatta dal dolore.
Era tutto sbagliato, sotto una luna piena d’ombre ed
ogni cosa era destinata a non essere mai più la stessa.
***
“Sakura…Sakura ti prego…”
Un biondino piangeva silenzioso, le mani coprivano il
volto sconvolto, non provavano nemmeno a mandare via le tante lacrime; se ne
stava chino su di un letto d’ospedale, sulla prima donna al mondo conosciuta,
amata, ora dormiente da troppi giorni
in quel rinomato ospedale.
In una notte gli era cambiata l’esistenza: il suo unico
migliore amico era morto in un incidente, la sua migliore amica si trovava nel
limbo. E pensare che l’indomani avrebbe dovuto vederli….
Le spalle magre si alzavano ed abbassavano al ritmo del
pianto, le stesse spalle che, robuste, avevano tenuto la giovane Sakura tante
volte, per divertimento o perché essa si era storta una caviglia.
In corpo scorrevano la rabbia, l’insensato dolore ed un
sentimento dissonante: la speranza. Fortunatamente- assurda parola- si trattava
di lui, se fosse stato un altro, nella sua situazione, non si sarebbe più retto
in piedi.
Lottava con lei, questa era la sua forza: aveva sempre
combattuto per un destino.
Erano giorni che mangiava poco o nulla, del suo antico
splendore rimaneva un leggero bagliore, in tutta quella magrezza e stanchezza.
Inizialmente s’era trovato pieno di cose da fare,
organizzare, disfare: i riconoscimenti – Itachi si era suicidato – i funerali,
l’andare e venire dall’ospedale, il parlare con i medici, con centinaia di
persone gentili, il ringraziare, chiedere…fino a quando era rimasto solo,
Sakura in una specie di coma dovuto allo shock, a passare giorno e notte in
sale d’attesa o in una stanza piccola e disinfettata.
La sera del destino stava osservando la luna: si era
chiesto cosa potesse significare tale spettacolo… Tutto sbagliato.
“Per alcune persone
la felicità sono rari attimi”
“Non è da te il
pessimismo, Saku”
“Non è pessimismo, è
realtà”
Aveva sempre ragione lei, la ragazza ostinata che si era
innamorata del pericolo- e che razza di pericolo…- i primi giorni che si era
messa con l’uchiha aveva cercato di metterla in guardia da chissà cosa- il moro
non gli ispirava. Gelosia?- volendo partecipare ad ogni appuntamento- il suo
cane da guardia. Il migliore- poi però si era affezionato, aveva cominciato a
voler bene a Sasuke, di contro ad ogni aspettativa. E ne era diventato amico,
accettandolo a cuore aperto.
Ma quando vedeva la sua Sakura soffrire d’amore andava nel
loro appartamento e sbraitava fino a che aveva fiato, mettendo l’Uchiha più
volte in guardia, come un padre troppo apprensivo.
Se non avesse rispettato talmente tanto l’orgoglio di
Sasuke, avrebbe di certo risolto di persona i suoi problemi con Itachi. –
Avrebbe fatto solo che bene- si diceva- se solo l’avesse fatto…- si
rimproverava, battendo il pugno sul comodino bianco dell’ospedale- se…-.
Un’infermiera minuta dai grandi occhi chiari entrò e
cambiò la flebo, il nutrimento.
Naruto ne osservò i movimenti calmi e precisi, desiderando
per un attimo di essere come lei, intensamente posato e riflessivo.
“Ha bisogno di qualcosa, signor Uzumaki?”
“Signor… no, no. Ha notizie?”
L’infermiera posò su di lui il suo fisso sguardo, tingendo
il volto ad un’apprensiva dolcezza.
“Non più di lei. Ma…si sveglierà. Non so spiegarle come,
perché, è una certezza interiore. Le parlo da individuo, non da medico. E
poi…non potrà restare ancora a lungo senza una persona come lei…”
Possibile tanta gentilezza? Se tutti fossero stati come
quella donna….
Fu lasciato nuovamente solo.
I pensieri che fino a quel momento il suo inconscio aveva
scacciato si radicarono nella sua mente, infondendogli una pesante angoscia: e
dopo? Quando si fosse svegliata? Avrebbe dovuto affrontare qualcosa che gli
sembrava troppo grande, troppo brutta. Un attimo si vedeva capace, l’attimo
dopo- insolitamente- si chiedeva come avrebbe trovato la forza necessaria.
Si alzò dolorante, erano due ore che si trovava seduto
sulla scomoda sedia a disposizione, più di ciò che avrebbe potuto, (ma
d’altronde nessuno aveva il coraggio di mandarlo via) e si diresse traballante
alla finestra. Non vi erano tende, il vetro rifletteva nient’altro che la sua
spenta ed arruffata immagine: gli diede fastidio.
Aveva bisogno d’aria e la luna, la luna dov’era finita?
Aprì la finestra, noncurante del divieto e posò i gomiti sul davanzale,
reggendo il viso fra le mani.
L’aria era fresca, lo scalfì cogliendolo di sorpresa:
erano giorni che non metteva il naso fuori di lì; c’erano le stelle e la luna,
quest’ultima regnava circondata da ombre nere. Proprio come tre settimane
addietro- non era cambiato niente? - s’illuse
alla domanda- niente?
Era bella, la luna ricoperta da sottili nuvole; Dio se lo
era…una bellezza dolorosa.
Lontano giunse il rumore di una frenata; sobbalzò come se
si trovasse in strada.
Non era cambiato
niente…in cielo.
“Lo amo”
“Nonostante tutto?”
“Nonostante tutto”
Lei avrebbe aperto gli occhi, lui ne avrebbe rivisto le
iridi verdi; avrebbe pronunciato il suo nome – dell’Uchiha- si sarebbe
spaventata, invasa dai ricordi: non lo avrebbe riconosciuto subito.
L’avrebbe chiamata, le avrebbe preso le mani nelle sue,
bagnandole di lacrime.
- Naruto…- Sakura
l’avrebbe individuato nella luce e poi, inesorabilmente, avrebbe chiesto con
gli occhi spiegazioni. A quel punto avrebbe scosso il capo, lui, mormorando che
gli rimaneva unicamente lei. Avrebbe serrato labbra e pugni per non morire
davanti alla sua reazione, al muto grido di donna, per poter afferrarla nella
sua caduta. E dopo…
Le ombre non volevano abbandonare la luna, né quella notte
né le precedenti; simbolo inequivocabile dell’assurdità del mondo, di un
cambiamento disperato, pregne del significato della monotona bellezza della
facile erroneità dell’universo.
La guardò un’ultima volta [la luna], prima di percepire un
mormorio, voltarsi di scatto; prima di rincontrare le iridi della sua migliore
amica [con un tuffo al cuore].
Si precipitò da lei e scoprì che nella sua espressione non
v’era né dolore né disperazione, ma soltanto una malinconica curiosità.
Fu come assistere ad una seconda nascita: stavolta sarebbe
toccato a nessun altro che a lui il duro compito di padre.
Ogni cosa era cambiata: non la sentì mai più
pronunciare quel nome.
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Fan fic alla quel tengo molto, partecipante al concorso
sulla drammaticità indetto da rolly too.
Spero d’esser riuscita a regalarvi qualche emozione…
Colgo l’occasione per fare i miei più sentiti complimenti
alle podiste! E a tutte le partecipanti al contest. ^_^
Campagna
di Promozione Sociale – Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro
recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
(Chiunque
voglia aderire può copia-incollarlo dove meglio crede.)
Affettuosi saluti
terrastoria