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Autore: mgrandier    24/07/2014    21 recensioni
Siamo di ritorno da Versailles, finalmente. Il sole si sta avvicinando all’orizzonte e il cielo si è tinto di una infinita serie di tonalità di arancione e di giallo, quante nemmeno avrei potuto immaginare che ne esistessero, facendo sì che tutto, attorno a noi, appaia ancora più caldo di quanto non sia già. Non ricordo un’estate così torrida e soffocante, dal mio arrivo a Palazzo Jarjayes. Non credo che sopporterò ancora a lungo questa estate.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Notti'
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Siamo di ritorno da Versailles, finalmente. Il sole si sta avvicinando all’orizzonte e il cielo si è tinto di una infinita serie di tonalità di arancione e di giallo, quante nemmeno avrei potuto immaginare che ne esistessero, facendo sì che tutto, attorno a noi, appaia ancora più caldo di quanto non sia già. Non ricordo un’estate così torrida e soffocante, dal mio arrivo a Palazzo Jarjayes. Non credo che sopporterò ancora a lungo questa estate.
Mi sono tolto la giacca e ho slacciato la camicia fino a che mi è stato possibile, confidando nel fatto che con questo caldo, tu non ami accelerare l’andatura per non affaticare ulteriormente i cavalli, e quindi avrò modo di ricompormi adeguatamente prima di giungere a casa. Cavalco alle tue spalle; come sempre, ti seguo, e questo mi permette di prendermi qualche libertà in merito al mio abbigliamento. Ormai sono certo che tu lo sappia, ormai mi conosci bene, e non ne sembri infastidita. Anzi, spesso in questi casi, mi chiami con una scusa, un pretesto per scambiare due chiacchiere e indurmi ad affiancare Alexander a Cesar. Discutiamo, a volte di qualche questione legata al tuo incarico di Comandante delle Guardie Reali, altre volte di semplici sciocchezze, e intanto mi lanci occhiate furtive. In qualche caso, ti ho visto anche arrossire, ma di solito, quando senti le gote calde, abbassi lo sguardo, ti volti di scatto. Ma poi torni a cercarmi con gli occhi e io non mi sottraggo al tuo sguardo, perché di questi momenti, mi nutro, nutro il sentimento che mi lega a te e che nemmeno se volessi, potrei soffocare.
So bene che non dovrei, ma lo faccio. Sì, continuo a farlo. Sapere che i tuoi occhi si posano sul mio corpo, che mi cercano, che tornano insistenti su di me, mi accende un fuoco dentro … So bene che non guardi nessun altro, come guardi me, e questo mi permette di sopportare l’idea che comunque, tra di noi non potrà mai esserci niente di più che questo legame unico, vitale e inscindibile che ci unisce. Un legame indescrivibile, in cui nessuno può intromettersi, esclusivo e, agli occhi di molti, incomprensibile, che non corrisponde a nessun vocabolo esistente, che nessuno ha mai sperimentato prima di noi. Un legame, il nostro, che se non esistesse l’abisso che ci divide, che separa i mondi in cui siamo nati, non potrebbe che chiamarsi amore.
Mi perdo in questi pensieri, di nuovo. Fino a quando la tua voce non mi porta al presente, alla realtà.
- Credi che i soldati siano stati all’altezza, durante l’esercitazione di oggi? –
Ecco, sapevo che lo avresti fatto. La domanda inutile è arrivata. Ma io sto al gioco, e tu lo sai bene. Sprono Alexander e mi affianco a te. Sei visibilmente accaldata anche tu, proprio come me.
- Non ho notato grandi imprecisioni … a dire il vero. –
- Mi sorprendi, André. Tu sei molto attento, di solito. – intanto slacci la giacca; nemmeno il tuo rigore di Comandante sopporta più questa afa.
- Forse questo caldo non me lo permette … e nemmeno i tuoi soldati riescono mantenersi sempre all’altezza delle tue aspettative. –
Mi guardi con il sopracciglio alzato.
- Sono militari: il loro dovere non dovrebbe dipendere dalle condizioni climatiche! – ti togli la giacca.
- Hai caldo anche tu, Oscar. – ti rispondo impertinente, mentre vedo che allenti anche il fiocco che chiude la camicia, lasciando che questa si apra un po’.
- Durante il servizio a corte, cerco di non pensarci, io. –
- Se fossero come te, non saresti il loro Comandante – drizzi la schiena; sei sicura del tuo valore militare e anche attraverso questi piccoli gesti io leggo la tua consapevolezza. Credo che ti piaccia essere al comando di quei soldati; anzi, ne sono certo. Mi guardi, socchiudi gli occhi, e mi rendo conto che non stai fissando i miei occhi, come poco prima, ma un po’ più sotto, dove la mia camicia offre la mia pelle al tuo sguardo impudente. Le mie labbra si piegano leggermente in un sorriso soddisfatto che voglio nascondere.
Guardami, Oscar. Guardami, perché io non mi nasconderò mai al tuo sguardo.
Potremmo proseguire per ore. Non importa se poi finiamo a parlare di tutt’altro. L’importante è che restiamo affiancati, con un pretesto qualunque per non allontanarci, e tu ami questo gioco quanto me, perché sei tu che lo conduci, da sempre.
 
Siamo giunti a casa, lasciamo i cavalli alle scuderie e tu aspetti che io me ne occupi rimanendo in piedi nella penombra, ad osservarmi. Ora sei silenziosa, perché ora non hai bisogno di una scusa, per indugiare con il tuo sguardo su di me. Lo sento, come una carezza, sulla mia schiena, mentre tolgo la sella a Cesar, mentre gli porto dell’acqua fresca e sistemo del fieno nel suo box. Ripeto le stesse operazioni con Alexander, ma tu sei inaspettatamente paziente e non perdi nemmeno uno dei miei movimenti. Non ho bisogno di controllare, per sapere che segui ogni mio gesto. D’un tratto mi volto verso di te.
- Ho quasi terminato, Oscar … - me ne sono accorto, Oscar, hai gli occhi socchiusi e respiri lentamente … cosa ti succede?
- Ti aspetto- mi rispondi – qui si sta bene, non fa caldo come fuori –
Ho finito.
Raccolgo le nostre giacche, che erano rimaste in disparte, su un cavalletto di sostegno per le selle, e ti raggiungo. Mi fermo davanti a te; porto istintivamente le mani ai lembi della tua camicia e tu non sei minimamente intimorita dal mio gesto, ma mi lasci fare. Ti sistemo lo scollo, riducendo considerevolmente il triangolo di pelle che offrivi al mio sguardo, in modo che non si possa più nemmeno intuire la presenza delle fasce che costringono il tuo seno. Desidererei fare esattamente il gesto opposto e credo che tu lo sappia bene … eppure accetti con naturalezza disarmante le mie attenzioni, e anche di questo ti sono grato, perché so bene che non concedi a nessuno ciò che permetti a me.
Alzi il viso, mentre ancora le mie mani indugiano trattenendo la tua camicia. Siamo vicini, tanto che posso percepire distintamente il tuo profumo e il soffio del tuo respiro lento sul mio mento.
Cosa fai, Oscar? Perché non usciamo di qui? Dovremmo farlo, subito.
Cerco di mantenere il controllo di me stesso, anche quando schiudi le labbra in un leggero sospiro e mi accorgo che cerchi di alzare ancora di più il viso, cercando il mio.
Mi stai sfidando, Oscar? Vuoi capire quale sia il mio limite? Ti assicuro che ci sei arrivata pericolosamente vicina …
Io ho il volto rivolto a te, il respiro affannato si spezza quando mi imiti portando le tue mani piccole e affusolate al mio petto, afferrando lo scollo della mia camicia. Però mi sorprendi, perché, al contrario di quello che ho fatto io, tu le stai allontanando aprendo la camicia slacciata fino a sfilarla dai miei pantaloni. Sono ipnotizzato dal tuo sguardo, rapito dal tuo profumo, soggiogato da ogni tuo minimo movimento. Il mio petto si offre alla tua vista, sgrani gli occhi, inspiri profondamente. Poi torni sul mio volto.
Punto gli occhi sulle tue labbra invitanti, mi sento attratto da loro e mi avvicino impercettibilmente al tuo viso, assecondando inconsciamente il tuo tirare la mia camicia verso di te.
Socchiudo anche io le labbra, inclino impercettibilmente il capo carezzando il tuo viso con il mio naso, con la mia guancia. Hai chiuso gli occhi, mi lasci fare, sei sorprendentemente arrendevole, sei come non ti ho mai vista prima; eppure sento che sei la Oscar vera, quella che conosco solo io.
Continuo a muovermi lentamente, in quella carezza tra i nostri volti, fino a non poterne fare a meno … e con le mie labbra schiuse mi avvicino alle tue. E’ una carezza; le mie labbra sfiorano delicate le tue, senza osare fermarsi, ma continuando ad accarezzarle delicatamente. Il mio corpo brucia. Non resisterò ancora a lungo … lo so. Sto per perdere la ragione.
Ma non posso.
In un gesto quasi disperato, senza allontanarmi da te, mi mordo le labbra, ritraendole dalle tue, quasi ad imprimere in modo indelebile nella mie mente la memoria di quel tocco leggero, proibito. Chiudo gli occhi. Non ho il coraggio di guardarti mentre alzo il mio viso dal tuo, lasciando di colpo la presa sulla tua camicia e alzando le mani come in segno di resa. Sospiro profondamente. Sento che anche tu lasci la mia camicia. Sento che anche tu fai respiri profondi.
Aspetto. Ti sento muovere qualche passo. Quando riapro gli occhi, vedo la tua figura snella scomparire avvolta dalla luce abbagliante del sole ormai prossimo al tramonto.
Riverso la testa all’indietro, colto da una sensazione che è un misto doloroso tra lo sconforto e la soddisfazione, che vorrebbe assomigliare alla gioia per la vittoria, ma che ha il sapore della resa e della rinuncia.
Sono avvezzo alla nostra confidenza, perché da anni è ciò di cui nutro il mio amore per te; ma non sono pronto alla provocazione: sono certo che non potrei resistere oltre.
E quello che più mi spaventa, è che questo, tu lo sai bene.
 
 
  
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