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Autore: Bluemask    24/07/2014    3 recensioni
“Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti.”
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Hermione si rifiuta categoricamente di credere che Harry sia impazzito perché lui ha solo una strana influenza, ma presto si riprenderà, certamente, presto uscirà dal San Mungo.
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Harry sistema sempre, ogni sera, una sedia finemente decorata – di quelle che piacciono a lui – vicino a sé, per permettergli di fargli compagnia.
Lui si siede con un movimento aggraziato e sinuoso sulla sedia, accavallando le gambe, il tramonto che incendia le nuvole davanti a loro; ma Harry può fare anche a meno del tramonto, se ha l’occasione di perdersi negli occhi di Draco Malfoy.
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||Gli eventi alla fine dell’ultimo libro sono modificati; Draco/Harry.||
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Di tramonti e autunni         
 
 
 
                                                                                                                                                                  A Rigel.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                      
                      
« Sai, quando si è molto tristi si amano i tramonti. »
– Il piccolo principe; Antoine de Saint-Exupéry
 
 
 
 
 
Ron Weasley non sa esattamente perché si è ritrovato a fissare un tramonto.
Pochi minuti prima, entrato in quella camera enorme, ha trovato il suo migliore amico seduto su una poltrona blu scuro davanti alla vetrata; Ron non ha potuto che fare lo stesso, accomodandosi su una sedia – finemente decorata – accanto all’altro.
“Mi piacciono i tramonti.”

Ron sussulta e si gira di scatto. Harry Potter sta ancora fissando il tramonto, un leggero sorriso che gli piega le labbra piene.
Ron vorrebbe dire che lui preferisce l’alba, al tramonto: uno squarcio rosso, rosso sangue, rosso morte, che macchia la serenità del cielo azzurro, lasciando il posto a una notte buia; l’alba, al contrario, dipinge le nuvole di rosa e di colori tenui, dà speranza, riporta la tranquillità del mattino, di quando Hermione si sveglia con i capelli arruffati e lui le bacia la fronte e lei gli sorride.
“Quando si è molto tristi si amano i tramonti.”
Viene scosso – di nuovo – dalla voce pacata di Harry.
Ron aggrotta la fronte, perplesso, ma prima che possa parlare Harry ride tra sé.
“È la frase di un libro babbano” gli spiega. “Lo aveva regalato zia Petunia e Dudley, qualcosa come un milione di anni fa, ma lui l’ha ritenuto troppo noioso e così l’ho letto io. Era bellissimo.”
“Un libro sui tramonti?” butta lì Ron, che quando Harry parla, raramente, della sua infanzia – in realtà, ultimamente parla raramente e basta – non sa come comportarsi.
Harry rimane in silenzio, perdendosi nelle sfumature del tramonto davanti a sé. Quel rosso acceso, rosso passione, rosso vivo, gli infonde calma, riportandogli alla mente un amore proibito, i sussurri nascosti.
I pianti soffocati.
“No” gli risponde alla fine, quando Ron quasi non ci spera più. “Parla di un piccolo principe con i capelli d’orati e gli occhi chiari. Forse grigi, in effetti.”
Ron vede i suoi occhi farsi vacui e sa con assoluta certezza a cosa – a chi – sta pensando; così rimane in silenzio, a fissare il tramonto.
Quando la notte incombe su di loro e le stelle incominciano a brillare, Harry si riprende.
“Mi manca.”
Ron sospira. “Lo so.”
Harry annuisce.
“Manca a tutti” prova a dire Ron, ma la bugia rimane bloccata sulla punta della lingua. Harry non gli crederebbe mai e in fondo non manca a nessuno.
Forse perché le uniche persone a cui potrebbe mancare sono già morte o rinchiuse ad Azkaban; tranne Harry, ovviamente, ma lui è rinchiuso al San Mungo.
“Mi manca” ripete Harry.
Ha perso il conto delle volte che lo dice durante il giorno, infilando quelle due parole in qualsiasi risposta rivolta a qualsiasi persona.
“Lo so” ripete Ron, che davvero vorrebbe dire qualcosa, ma non sa cosa.
Harry lo guarda all’improvviso con gli occhi pieni di lacrime, rabbia, tristezza, amore, paura, morte, vita. “Io lo amo.”
Ron sostiene il suo sguardo per pochi attimi, poi non ci riesce più. “Tornerò domani” gli promette, alzandosi. “Come tutte le sere.”
Harry annuisce e torna a guardare il tramonto che non c’è più, aspettando con impazienza quello del giorno dopo.
 
 
 
“Come ti senti?”
È la prima domanda che pronuncia Hermione Granger quando entra nella sua stanza.
Sa perfettamente che è terribilmente stupida, ma non può farne a meno.
Spera ogni giorno di sentirsi un “l’ho dimenticato, Herm, ora sto bene!” che non arriva mai.
Harry la osserva, sdraiato nel letto bianco e pulito, e le sorride appena.
“Io sto bene” continua la donna, un tono forzatamente allegro. “Lo sai che domani è il quinto anniversario mio e di Ron? Passa così in fretta il tempo, vero? Mi ha promesso una cena romantica --” si interrompe e ride con finta naturalezza. “Romantica, capisci? Il romanticismo e Ron sono due cose completamente opposte!” ride di nuovo, quasi istericamente. Harry accenna un sorriso tranquillo.
“Dicevo, una cena romantica in un ristorante costoso dal nome impronunciabile” riprende. “Sarà una bella serata, sì, andrà tutto per il meglio.”
In realtà non ci sarà nessuna cena – romantica o no – in un ristorante, né alcun festeggiamento, ché quello è l’ultimo loro pensiero da quando Harry è malato. Hermione si rifiuta categoricamente di credere che lui sia impazzito perché no, non è così, Harry ha solo una strana influenza ma presto si riprenderà, certamente, presto uscirà da lì.
“Non piangere” Harry le asciuga le lacrime con il dorso di una mano, dolcemente.
Hermione sussulta. “Non sto piangendo, ma che dici?” cerca di ridere, esce solo un rantolo nervoso. “Ora devo proprio andare, ché altrimenti arrivo tardi a lavoro” gli sorride, posandogli un bacio tra i capelli come se lui fosse un piccolo bambino capriccioso e lei la sua paziente madre.
Harry la guarda allontanarsi senza salutarla.
 
 
 
A Harry è stata riservata una stanza grande al San Mungo, ma lui tocca soltanto due cose: il letto bianco e la poltrona blu, su cui si siede ogni sera per ammirare i tramonti.
Sistema sempre una sedia finemente decorata – di quelle che piacciono a lui – vicino a sé, per permettergli di fargli compagnia.
Ma lui se ne deve sempre andare quando arriva Ron – perché Harry non vuole parlargli in presenza di altre persone, lui è solo suo.
Eppure, quella sera, Ron non arriva. Probabilmente ha davvero fatto una sorpresa ad Hermione e forse viene un po’ dopo o forse non viene affatto; tanto Harry sa che anche Hermione e Ron si stancheranno di andare in quella stanza, come si sono stancati tutti gli altri.
Escluse le infermiere e i dottori, si intende.
E – si intende – escluso lui.
Lui si siede con un movimento aggraziato e sinuoso sulla sedia, accavallando le gambe, il tramonto che incendia le nuvole davanti a loro. Harry può fare anche a meno del tramonto, se ha l’occasione di perdersi negli occhi di Draco Malfoy.
“Sei così bello” sospira Draco, sorridendogli con sincerità.
E Harry sa che non è vero: le sue palpebre sono cerchiate da occhiaie violacee per colpa degli incubi, ormai non sono più capelli quelli che ha in testa ma una matassa scura, ha le braccia e le gambe magre piene di graffi – graffiate da lui stesso fino a farle sanguinare, prima che i medimaghi si affrettassero e non fargli crescere più le unghie oltre il polpastrello con un incantesimo.
Mentre lui, lui sì che è bello: le gambe fasciate perfettamente dai pantaloni di velluto nero, la camicia grigia – di seta – con i primi bottoni costosi sbottonati, i capelli d’orati in perfetto ordine e gli occhi chiari – forse grigi, in effetti – illuminati dalla luce del tramonto.
“Mi manchi” sospira, invece, Harry.
Draco si alza dalla sua sedia e gli accarezza una guancia, lasciandogli un bacio sulla punta del naso. “Mi manchi anche tu.”
“Non dovevi morire.”
Draco si stringe nelle spalle. “Nessuno doveva morire.”
“Ma gli altri vengono ricordati!” urla Harry, le lacrime che scendono copiose. “E nessuno ricorda te, Draco! Sei morto in guerra come loro; eri soltanto un ragazzo e sei morto perché eri scappato dai Mangiamorte per venire da noi. Ti sei sacrificato per portarci informazioni utili e loro preferiscono ricordare solo il tuo passato vicino a Voldemort!”
Draco gli sorride. “Non sono venuto da voi, Harry” gli ricorda. “Sono venuto da te.”
Anche Harry gli sorride e smette di gridare.
“Ci siamo amati così tanto di nascosto” sussurra, pentito. “Avrei voluto amarti davanti a tutti, quei giorni in cui ne avevo la possibilità.”
Draco sospira.
Harry anche.
“Sto impazzendo del tutto, vero?” ora le lacrime scivolano di nuovo. “Tu sei solo il frutto della mia immaginazione. Tu non sei davvero qui.”
Draco sorride e la sua figura svanisce nel rosso del tramonto dietro di lui.
Harry non gli chiede di restare, non gli chiede di baciarlo, non gli chiede di amarlo, non gli chiede quello che gli ha chiesto le scorse volte; non gli chiede nulla.
Rimane solo immobile, seduto, le spalle curve e i gli occhi che ammirano il tramonto.
Perché, si sa, quando si è molto tristi si amano i tramonti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Un giorno, tre autunni."
                                     
Espressione cinese che viene utilizzata                                    
quando ad una persona manca qualcuno.
Come se un giorno senza quel qualcuno
durasse tre autunni.
 



 


 
  
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