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Autore: abhainnjees    24/07/2014    6 recensioni
About our mistakes
About sex
About family

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Questa storia si basa leggermente sulla frase "spero che nella 5 stagione sia Ian il primo a dire 'ti amo', perchè sinceramente in questa stagione ha fatto tutto Mickey" (l'avrò letta qualche mesata fa su Tumblr, ma non mi ricordo assolutamente dove)
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Credo che questa sia stata tipo la peggior notte della mia vita, non ho fatto altro che sognare di galleggiare da qualche cazzo di parte e di non riuscire mai ad arrivare alla riva. Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo e che quella troia di Svetlana ci sta fissando dalla poltrona della stanza accanto. La porta è misteriosamente aperta, e lei se ne sta seduta comodamente a osservarmi con la faccia inclinata un po’ di lato, o forse sono io che la vedo così, aggrottando le sopracciglia. Forse non avrà niente di meglio da fare che guardarmi, ma per un po’ sostengo lo sguardo, cercando di capire che cacchio voglia. Sposto di poco la testa sul cuscino e mi accorgo che la mano di Ian se ne sta a penzoloni sulla base del mio collo. Sento i suoi polpastrelli che poggiano sul collo e sulle spalle, mentre il resto del braccio mi sfiora la schiena. Per un momento cerco di concentrarmi sulle mie sensazioni, capire che effetto fanno e come gestirle; penso a Ian che è qui, dietro di me, esattamente dove dovrebbe sempre essere. E arrivo alla conclusione che non c’è niente da pensare. Che va bene così, che mi basta che non cambi per starmene contento. Riguardo Svetlana, che non ha smesso per un momento di fissarmi.
Non capisco cosa cazzo ha da guardare, ormai dovrebbe essere abituata a vederci a letto insieme. A volte credo che non mi abbia mai perdonato. Forse continua a chiedersi perché anche lei non può avere qualcuno che tiene a lei come io tengo a Ian. O forse sta solo immaginando di alzarsi, perdere l’acetone dal bagno, venire in camera e farmelo bere a forza, uccidendomi lentamente, per poi squartare Ian e vendere la sua carne a qualche macellaio russo. Non so quale idea mi faccia più paura.
Sicuramente adesso ho paura di girarmi; non voglio svegliarlo, e poi questo cucchiaio non m’infastidisce. Anzi, riesco a sentire ogni minino sospiro del soldato, e mi piace. Il suo braccio sinistro, quello libero, quello che non si adagia sul mio collo e sulla lunghezza della mia schiena, se ne sta sotto il mio fianco, schiacciato tra la mia pelle e le lenzuola, e sento una leggera pressione, a spasmi regolari, il suo battito tranquillo.
Vorrei muovermi perché altrimenti quando si sveglierà, avrà dolore, ma che cazzo, se gli fa male, mi sposta da solo, no? E che palle! Se mi muovo lo sveglio e se lo sveglio può darsi che sta male e non voglio vederlo mai più in quello stato, a costo di farlo destare da Svetlana tutte le mattine e di farmi vedere solo quando sono sicuro che sta meglio; ma questa è la prima cosa che si aspetta che io faccia, e non posso permettermi di sgarrare, o dovremo scopare nei bagni di un ospedale. E lui dovrebbe anche mangiarci, e dormirci e passarci le mattinate soleggiate... no. Però è anche vero che se continuo a preoccuparmi così, per il suo umore, per il braccino indolenzito, per il suo torace scoperto e per quella cazzo di finestra aperta alle sue spalle, diventerò così frocio che inizieranno a spuntarmi le tette. E ho anche voglia di spingere i fianchi verso di lui, perché è il mio ragazzo e ho il diritto di avere il soldato Ryan di prima mattina, ma no, cazzo non sono una troia, sono un Milkovich e non so perché non voglio dare questa soddisfazione al piccolo rosso. Mi sa che sono fregato.
Svetlana mi sta ancora davanti agli occhi, che mi fissa, ma non lo fa come Ian. Lui ha sempre avuto quest’orribile abitudine di fissarmi, di sostenere lo sguardo e di alzare il sopracciglio destro quasi a volermi sfidare. L’ha sempre fatto, quello strafottente. Sempre lì a chiedermi qualcosa d’impossibile. Porca puttana se ho cercato di accontentarlo, e fanculo a chi dice che non l’ho fatto. Anche adesso, che dovrebbe starsene buono a fare quello che gli dice il medico, sono io che lo imbocco di sciroppo e gli ficco a forza le pillole in gola. Deve avere qualcosa a che fare con la madre, forse ha paura di diventare come lei, o che io diventi come Frank. Fa fottutamente male vederlo in quello stato.
Dal primo attacco di depressione, è successo solo altre due volte. Il mio Ian –si ho detto il mio , ma questo non vi autorizza a pensare che ci siamo dati dei nomignoli come ‘cicìpopò’ o ‘croco-cocolocò’ – non parlò entrambe le volte, manco un “mi gira la testa/ mi sento giù/ voglio la mamma” prima e neanche un “”grazie” dopo. La prima se n’è stato a letto per tre giorni di fila, non ha pianto, non ha gridato, non ha fatto niente di niente. Se ne stato la. A malapena si riusciva a farlo mangiare. Io avrei preferito che mi picchiasse, che distruggesse il soggiorno, che accoltellasse Svetlana a quello. Vederlo spento mi da un fastidio che non può essere alleviato. La seconda volta è stata anche peggio. Ian era accoccolato dentro la doccia, in posizione fetale e piangeva. Piangeva a singhiozzi, come i bambini. L’acqua non scorreva e il piano della vasca non era bagnato, ma inspiegabilmente Ian era lì, nudo ed inerme. Quando entrai in doccia con lui, lo calmai e scoprii che aveva avuto quell'attacco perché non era riuscito a girare la manovella incrostata. Ci lavammo e la cosa finì li. Però dopo quell'incidente io e mamma chioccia siamo andati e reclamare a gran voce da quel pezzo di merda del dottore una dose più forte di tranquillanti, che ce li concesse sotto gli stimoli giusti . Se sapete cosa intendo.
Ho spinto il bacino verso il suo, e a quanto pare quando si risveglierà, giocheremo a maritino e mogliettina. Guardo per l’ultima volta Svetlana, che deve essersi accorta del mio movimento, e mi rimanda uno sguardo carico di disgusto; ma io ho le mie buone ragioni per essere così, cara Svetlana.


Credo che stiamo davvero diventando una coppia, perché ormai il round mattutino è saltato, e nonostante io sto preparando la colazione a quella puttana di mia moglie e al rosso, non mi da fastidio. Non sento di aver saltato qualcosa di fondamentale, anzi credo che vederlo alzarsi, un po’ di mala voglia, e incamminarsi verso il mobile alto per prendere i piatti e darmi una mano- e una timida carezza sulla nuca, dolce, dal basso verso l’alto- sia persino meglio del sesso. Okay, forse no, certamente no, ma non sono da meno. Non sono cose meno importanti e adesso capisco perché Ian ha sempre insistito tanto perché dicessi la verità a quelli stronzi. Perché voleva che mi sentissi così dannatamente frocio da farmelo venire duro a una minima carezza.
Mi fa venir voglia di baciarlo quando fa così, deve sempre avere il controllo della situazione, che cazzo di problema gli creava aspettare che un povero stronzo(io) gli servisse la colazione? E invece no, lui si alza, e sembra carino perché pare che mi voglia aiutare, ma una volta pensato al suo stomaco, si appoggia al lavello e mangiare infischiandosene degli altri.
-Eh, che ti aspettavi?
e quella faccia che accompagna sta frase masticata tra un boccone e l’ altro mi sa tanto di ‘no my wife, no my bisness’. Ho anche voglia di prenderlo a schiaffi. Chissà se avrebbe qualcosa da ridire se provassi a fare tutte e due le cose contemporaneamente, baciarlo e schiaffeggiarlo intendo. Probabilmente mi ritroverei inculato prima di poter dire “Gallagher”.
Servo mia moglie e lei, che ha capito fin troppo bene in che situazione del cazzo mi sono cacciato, se la ride sotto i baffi e dice incomprensibili parole al bambino, che alle mie orecchie suonano più o meno come un’esortazione a non diventare un frocione come il paparino. La creatura, però non sembra approvare, e risponde benigna al sorriso che gli offro. Il mio campione, piccolo eppure così ingombrante! Non ha fatto che guai da quando è venuto al mondo, ma non lo baratterei neppure per un centinaio di grammi di coca sintetica.
-Lo accompagniamo noi al nido?
da un po’ Ian ha preso quest’insopportabile abitudine di parlare con Svetlana invece che con me delle questioni che riguardano il bambino, e la cosa mi fa contento. Sì, oggi è giovedì, e Svetlana lo accompagna ed io lo devo andare a riprendere.
-Si, Mickey passa a prenderlo alle 12.15.
-Ricevuto, hey tu, rosso, mettiti il cappotto.
-Sisignorcapitano
anche adesso vorrei baciarlo e morderlo insieme, perché che cazzo può anche smetterla di prendermi per il culo a sta' maniera, o almeno dovrebbe finirla di essere così adorabile.
-Fate i bravi.
È l’ultima cosa che sento prima di sbattere definitivamente la porta di casa e di incamminarmi a fianco di Ian. Inutile aggiungere che ci sprechiamo una mattinata in quella merdosa sala d’aspetto –e fanculo che è un medico privato, ma i pazienti hanno anche una vita al di fuori della loro malattia- per poi ritirare due esami “di routine” che non sono serviti in sostanza a un cazzo, ehm cioè sono serviti a escludere gli scompensi del sistema sanguigno con relative conseguenze, parole sue. Almeno siamo usciti da lì in tempo per andare a prendere il piccolo my Lord. Il nido non è troppo lontano e in un quarto d’ora abbondante siamo lì. È strano, considerato che ci sono solo coppie di genitori fuori ad aspettare e la cosa mi rende un pochino agitato. Questo non è il mio quartiere e queste non sono le mie persone, ma c’è qualcosa che mi disturba- magari saranno le loro facce da culo o il loro smielato tenersi per mano, non lo so, non ho ancora deciso-.
-Stai tranquillo, ci possono scambiare per dei fratelli...
e che cazzo Ian
-E che cazzo Ian..solo perché, oh insomma che cosa ti fa pensare che me ne freghi qualcosa? Che cosa ti fa pensare che non voglia che loro sappiano?
agitatissimo vado a prendergli il labbro inferiore accogliendolo tra le mie, e premo abbastanza perché lui si appassioni e ricambi, abbracciandomi. Sicuramente Svletlana, quando ci aveva chiesto di fare i bravi, intendeva, fra le altre cose, non fare questo. E forse lo stiamo pensando entrambi perché Ian mi lascia andare nell’esatto momento in cui io mi ritraggo. La campanella ci salva dagli sguardi degli altri genitori e con la scusa dell’aeroplanino, portiamo il piccolo pargolo lontano da tutti il prima possibile. Quando siamo ormai distanti e iniziamo a camminare a passo più lento, mi accorgo che ho voglia di sorridere, e di farlo a un millimetro dalla bocca di Ian. Non tutti devono sapere quello che ho dentro, ma questo non vuol dire che io non abbia nulla. E uno dei motivi per cui me ne sto zitto zitto è che non ho la più pallida idea di quello che ho dentro. Sono leggero, senza pensieri, come quando dopo una giornata di merda vai a casa e ti fai una doccia calda di un’oretta buona. Solo che è meglio perché non devo pensare alla cazzo di bolletta, questo tipo di calore e di vischiosità che sento addosso è apparentemente eterno, e voglio che duri il più possibile. Si chiamerà felicità? O forse sto solo imparando a fregarmene della gente; di mio figlio che deve essere cambiato una volta arrivati a casa, e deve essere vestito e messo nella culla e dondolato finché non si appisola, il piscone. E m’importa anche di Ian, persino più di prima, così tanto da avere quasi paura. E adesso è un po’ peggio- per un sacco di motivi, la sua cazzo di malattia, mia moglie, le cose non dette e quelle dette male- perché ho fatto delle cose per lui, e mi sono esposto, e me le sono prese di santa ragione, e ho una paura marcia che nonostante questo non me la meriti ancora quella sensazione che ho con Ian.


Quando il piccolo si addormenta io e Ian usciamo sul retro a fumare, dove ci aspetta un freddo da cani, che però dobbiamo sopportare altrimenti poi il bimbetto si abitua alla nicotina e va a finire che tra qualche anno dalle tasche di papà dovranno uscire anche i soldi per il suo fumo. Ian prende tra le mani due sigarette, una se la appoggia tra le labbra e l’altra la preme contro la mia bocca, che si schiude solo per mandarlo a fanculo ma, vista la sua insistenza – ha ancore il braccio teso, le dita strette attorno alla sigaretta e gli occhi fissi sui miei- l’accetto di buon grado, chiudo le labbra e gli do un’amichevole pacca sulla spalla. Ha voglia di giocare.
–Mi accendi?- e no gente, ogni riferimento ai miei ormoni non è puramente casuale.
–Accenditi da solo.
Eccolo lì, che se ne esce con queste frasi emblematiche che non ti fanno capire se ci è o ci fa, se scherza o è serio. Gli scalcio contro dalla frustrazione, decisamente infastidito dal tono della sua voce, ma il colpo è debole e sembra quasi giocoso. Giocoso un cazzo. Oh, ma guarda chi non si è accorto che deve abbassare la cresta! Ian con tutto questo tirare la corda finirà col spezzarla. Mi sono arcistufato di essere sempre sotto esame, ho mandato a fanculo la famiglia per lui, io. Quindi non gli reggo il gioco quando si mette in posizione da pugile e inizia a menare colpi all’aria, anzi mi accorgo che ho le mani sudate. Mi stanno venendo in mente dei ricordi che bruciano troppo e corro in casa con la sigaretta ancora spenta perché non voglio che Ian si accorga che ho gli occhi rossi.
Quando rientro in casa sbatto la porta violentemente per avvertire Ian che se non vuole prendersi due calci in culo come Dio comanda deve restarsene fuori. Però le porte che sbattono fanno rumore e il rumore sveglia i bambini. Sento il piccolo piangere e mi si appesantisce lo stomaco. Quell’insopportabile e acuto richiamo mi scombina tutte le priorità.
Per un secondo le immagini di Ian che fugge in mutande, o di Ian che se ne và, o di Ian avvinghiato a un tizio che gli mette la mano nei pantaloni, scompaiono e la mia mente viene invasa dai mille possibili pericoli che il mio piccolo potrebbe correre ora come ora stando nella culla. Lo so perfettamente che piange perché ha sentito il rumore, mica sono scemo ma.. e se avesse freddo? O caldo? E se il cuscino fosse troppo spesso, potrebbe soffocare? Mentre mi dirigo verso la culla la mia mente arriva a pensare ad ipotetici topi che invadono la stanza o a pallottole che infrangono i vetri dei vicini.
Quando lo vedo - bruttissimo- piangere come un bambino, mi rassereno. Lo tiro fuori dalla culla con movimenti impacciati e nel momento in cui lo alzo e lo vedo piangere a pochi centimetri dalla mia faccia, mi gira la testa. Mi costringo a non scoppiare in lacrime. Non so un cazzo di quello che dovrei fare quando si rompono le tubature.
Mi accorgo che Ian è entrato ma decido di concentrarmi sul pianto del piccolo. Lo scuoto piano piano, sperando che questa pratica si avvicini all’atto di cullare. Il piccolo, forse per pietà, si calma e con le sue tozze e piene braccia cerca di raggiungere il mio collo, e appena lo avvicino fionda la sua testa sulla mia spalla. Concentrandomi gradualmente sento il suo respiro e cerco di sincronizzarlo al mio. Mi fa uno strano effetto quest’affare. È piccolo, eppure il suo arrivo ha portato così tante guai, e se stringo le mie mani attorno alla sua schiena ed esercito una leggera pressione riesco a contargli le ossa, e commovente vedere che gli bastano le attenzioni di un tipaccio come per ritornare alla serenità! Lo rimetto nella culla e guardo serenamente il suo torace che si alza e si abbassa. Non me ne sono accorto, ma ormai ho la mente svuotata da ogni pensiero e persino cercare di arrabbiarmi di nuovo sarebbe inutile. Il piccolo ha lo stesso effetto della droga, meglio non farlo sapere in giro.
– Sei davvero bravo come padre.
– Davvero? Sono sinceramente stupito, perché credo di essermi appena comportato da deficiente e non d’aver mostrato un innato senso paterno.
– Senti mi dispiace per prima, Mickey .
– Non parliamone più, abbiamo entrambi qualcosa da farci perdonare.. non serve..
– Io non ho niente da farmi perdonare.
– E io sono una fichetta.
– Tecnicamente
- Gallagher non provare a fare il santarellino con me!
- Perché? Scusa che avrei fatto?
- Che avresti fatto?
Mi obbligo ad abbassare la voce, tutto a un tratto le immagini che prima se ne sono andate con tanta facilità della mia mente, riccicciano fuori in un baleno. – Quando Terry ci ha scoperti, tu hai pensato solo a mettere in salvo il tuo bel culo.
Ian apre la bocca, la sua espressione però anticipa le sue parole “quante volte sei scappato tu?”, e lo so, la bilancia è molto più pensante dal mio lato, però questa cosa ho gliela dico adesso o non ci riuscirò mai più.
– Come facevo a mandare a fanculo Terry se ad aspettarmi c’era qualcuno che mi mollava appena vedeva una pistola?
Spero di aver calibrato bene le parole, e che non scoppi in lacrime. Mantiene lo sguardo.
– Se tuo pare mi avesse massacrato di botte, non l’avresti sposata?
-No cazzo!
Ho risposto in fretta, troppo in fretta, e bhè forse l’avrei sposata lo stesso, ma non potevo rischiare perché la domanda di Ian era pericolosamente in bilico tra una speranza e un’accusa. Non riesco a sostenere lo sguardo perché ho paura che Ian crolli sotto il peso del macigno che gli ho appena scaraventato addosso , ma lui è quello buono, quello che capisce, quello che si mette nei panni degli altri. Non mi prende a pugni, ne da di matto. Mi si avvicina e mi abbraccia. E io sento che sotto la spinta delle mie mani, il corpo di Ian in realtà è fragile come quello che strinsi pochi minuti fa; però non avevo la più pallida idea di quale consistenza fosse fatto il mio corpo.


Prima di andarmene a letto, passo a controllare che Mandy stia bene. Da qualche giorno la vedo molto più stanca del solito, e a volte la sento piangere, di notte. Apro la porta cercando di non fare rumore, sbircio dentro e come Mandy mi vede si alza di scatto dal letto per sbattermi la porta in faccia e mandarmi a fanculo. Non ci sono lacrime ne tensione, solo fastidio, la solita dolce Mandy. Me la squaglio in camera mia urlando un buonanotte a Svetlana. Entro in camera e Ian è già a letto, mezzo appisolato. I farmaci lo fanno dormire un sacco. Le lenzuola sono già tiepide. Ian si gira, si fa piccolo piccolo e mi chiede se sono andato a controllare Mandy. Annuisco.
–Anche io ci sono andato prima! Lei non è stata fortunata. – aggiunge.
-In che senso?
– Non ha trovato quello giusto.
–No, non lo ha trovato.
E mi si avvicina stringendosi accanto al mio petto. Gli passo la mano sulla base del collo e poi gli accarezzo lentamente la schiena, baciandogli la fronte. Già, Mandy non è stata fortunata. Avere fortuna per Mandy significherebbe stare con Ian, un ragazzo che la rispetta e l’ascolta. Invece la dea bendata ha voluto regalarla a me, la fortuna di Mandy. Sarei io quello fortunato? Gran bella fortuna del cazzo stare con uno che dovrebbe essere ricoverato, che ti trapana il culo (chi si è mai lamentato, era solo per dire) e per il quale ti sei preso i peggiori pugni della tua vita. Però forse un po’ di fortuna ce l’ho. Ho trovato il più strano, viziato e rompiballe di tutti, ma mi basta guardarlo negli occhi per capire che se sono la persona che sono è merito suo, che se non mi fa più schifo vedermi riflesso lo devo a lui e che in fondo, ne è valsa la pena.


NdA: Allora questa storia verà aggiornata a cadenza mensile, quindi ci vediamo il 24 agosto!
Volevo precisare che eventuali errori o imprecisioni grammaticali sono state aggiunte apposta e con cognizione di causa!
Ora mi ritiro, vado in chiesa e accendo un cero sperando che mi arrivi la grazia di non aver fatto risultare il personaggio di Mickey (pietra miliare dello show e non solo) OOC. Fatemi sapere cosa ne pensate e alla prossima!
  
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