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Autore: abhainnjees    24/08/2014    4 recensioni
About our mistakes
About sex
About family

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Questa storia si basa leggermente sulla frase "spero che nella 5 stagione sia Ian il primo a dire 'ti amo', perchè sinceramente in questa stagione ha fatto tutto Mickey" (l'avrò letta qualche mesata fa su Tumblr, ma non mi ricordo assolutamente dove)
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come al solito il primo a svegliarsi sono io. Ian se ne sta rannicchiato sotto le lenzuola, aggrappato come un koala al mio petto. Ha le mani strette in due pugni che mi fanno una tenerezza enorme, e sbuffa come un treno in corsa. Quando lo vedo così naturale, così sciolto da ogni tensione, mi prende una voglia di abbracciarlo che non riesco a controllare – e quindi menomale che dorme solo nel nostro letto-. Con la mano destra gli accarezzo i capelli, soffici dietro la nuca come in cima nonostante la lunghezza differente. Lui si muove e una gamba fugge dalle coperte, restando scoperta. E no, no che non va bene. Mi tiro su e cerco di ricoprirlo, o altrimenti prenderà il raffreddore. Già me lo immagino, a letto rannicchiato sotto migliaia di plaid, caldo di febbre, mentre inclina pericolosamente la testa all’indietro per poi scattare improvvisamente e schizzare più sulle coperte che sul fazzoletto. Impacciato com’è, gli resterebbe un po’ di moccio a colargli dal naso, e io disgustato lo pulirei. Lui cercherebbe di baciarmi, magari pure davanti al medico che Lip rapirebbe per farlo visitare, e io lo caccerei in malo modo bofonchiando che non voglio prendermi il suo raffreddore del cazzo. Sorrido, consapevole che probabilmente finiremo l’uno a curare la sifilide dell’altro, e lo bacio trai capelli. Trattengo il contatto a lungo, perché mi fa stare bene, perché voglio fargli sentire quanto ci tengo a lui.
Si sta per svegliare, lo capisco dal respiro accelerato e dalle sopracciglia rosse rosse che si avvicinano, aggrottandosi.
-Buongiorno, Cenerella!
-Mmmm
-Mmm? Ian è da mezz’ora che non posso muovermi perché tu te la spassi a dormirmi sulle palle e tu mi fai “mmm”?
-Non ti ho dormito sulle palle.. mm..
-A no?
Alzo il lenzuolo e gli faccio notare che il suo futtuto ginocchio sta lì lì, esattamente sta le mie gambe, sotto le palle, a spingerle verso l’alto. Ian guarda divertito e mi chiede se mi piace. Che cosa? Avere un ginocchio sulle palle? Oh si guarda, è proprio il massimo dell’erotismo. Esasperato getto la testa all’indietro, in segno di resa.
-Basta, ci rinuncio Ian!
Questi mi sale e addosso a cavalcioni e ridendo mi dice:
-E’ da un po’ che non fai altro che chiamarmi Ian!
-A deficiente, e come altro dovrei chiamarti, Topolino?
-Non mi chiamavi mica Ian l’anno scorso.
- Mi scusi, Fiona.
-Mickey!- mi rimprovera!
- O forse dovrei chiamarti Franck?
-Meglio Fiona!
- E’ perché ti senti donna? Uh guardate le mie tettine! Uh uh!
Gli faccio il verso mentre gli strofino i capezzoli, facendogli il solletico. E si, Ian è fatto tutto al contrario. Se lo tocchi dove dovresti ride e se lo tocchi in posti impensabili quasi ti viene in mano. Eeee , cosa sta succedendo? Che mi sono perso? Perché Ian mi sta baciando? E soprattutto perché il suo bacino del cazzo non sta fermo? Che fa, si struscia? E che spera di ottenere? Rispondendo al bacio, ma mi ritraggo col resto del corpo e quando lui mi si avvicina di nuovo allargo le gambe per fargli lo spazio che si merita. Lui mugola. Mi stringe la coscia col palmo della mano, e a quest’ora però più che un invito, mi sembra una carezza. E improvvisamente è tutto un vagare di mani che si cercano, baci fugaci su pelle nuda e gambe che si avvinghiano sempre di più. Che figata essere froci. O forse è bello solo perché è di Ian che stiamo parlando.
-Lo sai che queste cose da femminuccia mi fanno rincretinire?
Non so bene se l’ho detto io o se l’ha detto lui, ma in ogni caso sono d’accordo. Mi ritrovo d’avanti la sua mano, spalancata, e senza ragionare –e sai che novità- ci sputo sopra senza curarmi d’aver centrato le dita o il palmo. Tanto Ian sa cosa fare. Mi sento un po’ troia quando lui mi guarda così, approvando i miei gesti oscenamente rozzi e sorridendomi compiaciuto. Stavolta, però opta per qualcosa di diverso. Mi cinge le braccia con me sue e mi avvicina tanto da aderire completamente col mio corpo. E quello a cui riesco a pensare dopo è che tutto è fottutamente bello, che mi sento così amato che potrei morire e non me ne fregherebbe niente. E so che per lui è lo stesso, che sa quanto dannatamente mi piace e anche lui si sente tanto importante quanto mi sento importante io. Cazzo. Quanto amo tutto questo. Adesso abbiamo così tanto tempo. Adesso possiamo rimanere così anche una volta finito. Possiamo goderci in dopo meglio del durante. Sentire i nostri respiri che ovviamente non riescono ad andare all’unisono, tremare ancora l’uno sul corpo dell’altro, abbracciarci e baciarci senza la fratta di essere scoperti da Tizio, Caio o Sempronio.
-Complimenti Fiona!
-Che dire, è un dono innato! Mi passi le sigarette?
-Non esagerare però..
E questa da dove mi è uscita?
-E questa da dove ti è uscita? E dai Mickey, una sigaretta post scopata non la si nega a nessuno!
Gliele passo senza rispondergli. Ha l’aria assorta mentre si accende, ma non indago oltre. La mattinata non poteva iniziare meglio. Se non fosse.. per Ian che ovviamente deve sempre scocciare, rovinare tutto con le sue stupide domande del cazzo.
-Qualche volta potremmo anche invertire i ruoli, che ne dici?


Che ne dico? Di scambiarci le parti? Ma che gli avrei dovuto dire? Lo liquidai con un freddo vedremo e amen. Questa storia non deve andare in porto. No. Non deve. Implicherebbe troppe complicazioni, troppe verità da dire e troppi sentimenti del cazzo da svelare. Ma perché le cose non possono andare lisce? Perché ci devono essere queste emozioni a sfracassare li coglioni? Perché cazzo non posso essere come gli altri miei fratelli? A loro basta una birra e una scopata e tirano avanti per inerzia. Non se ne fregano minimamente del significato che ha il loro cazzo nella bocca di qualcuno, ne tantomeno di come questo cambi rispetto a quel qualcuno. È tutto così fottutamente complicato, e loro non devono fare neanche finta che non gli importi, perchè ops, sono troppo stupidi perché gli importi davvero. E io no, vigile e cosciente dovevo venire al mondo. Scemo e felice era troppo da chiedere. Vanculo. Se poi ci si mette anche Gallagher a complicarmi l’esistenza con le sue domandine del cazzo. Uno non chiede di cambiare le posizioni così, non è una cosa automatica. Io e Ian siamo quello che siamo. Io prendo quello che lui mi da, l’ho sempre fatto. Ho preso le sue paure, i suoi sogni, i suoi problemi, e persino la sua malattia, e me le sono rovesciate addosso, nel più fluido e candido dei liquidi. Se capite cosa intendo. Lui da, io ricevo. Esclusivamente da lui. Si perché bisogna precisare che se il mio cazzo sbatte un po’ ovunque, per il resto tutto appartiene a Ian. In un modo in cui lui non appartiene a me. Non dopo il dottore, o il soldato. E se devo ammetterlo mi piace avere questo vantaggio. Ti avrò anche spaccato il muso un’infinità di volte, ma sono di tua esclusiva proprietà, perché mi fido solo di te. Ma tu? Se ci scambiassimo i ruoli, tu che faresti? Ian è innanzitutto un troietta viziata, che per ripicca ha aperto negli anni un’impresa edile di trapana culi, e chi mi garantisce a me che alla prima occasione non andrà in giro a gambe aperte? (Se già non lo fa.) So già quello che succederà. Io non ho poi così tanto da offrirgli, in nessun senso, e si stancherà di me, e se ne andrà, e mi lascerà nella menda, e cercherà in altri quello che non posso dargli io. Se gli concedessi questa cosa, lui capirebbe che dal punto di vista del sesso non può ottenere granchè da me, e poi.. Poi finirei col dover ammettere che lui sta con me per qualche motivo in più di una semplice scopata. Non posso fare questo passo. Non sono pronto a guardarmi allo specchio è confermarmi una volta per tutto che sono un frocio della malora. E si, perché se non lo sapevate quello che sta sopra è il più frocio nella coppia. Chi sta giù si gode una cosa nuova, assapora sensazioni nuove che nel solito sesso non avrebbe. A chi sta sopra invece, piacciono gli uomini.. piace averli sotto di sè, piace la sensazione d’avere un corpo solido e scolpito tra le mani, e porca puttana se non mi piacerebbe anche a me avere Ian –il mio Ian- tra le braccia, farlo tremare, sentire di raggiungere e abbattere quelle barriere di virilità che spesso imprigionano gli uomini, che imprigionano anche me. Lo voglio da morire. Lo voglio perché si, cazzo, lo amo come può fare un Mildovich, e forse anche di più. Lo voglio perché si merita di sentire quello che sento io. Di sentirsi come mi sento io. Bellissimo. E amato. Ma no. Non posso dargliela vinta un’altra volta. Voglio fingere ancora un po’. Non voglio fare questo passo. E, soprattutto, non voglio guardarlo in faccia è vedere che chiaramente non sono riuscito a soddisfarlo.


Grazie al cielo c’è il mio bimbetto che sorride sempre a papà. Sorride e mi ricorda che ci sarà sempre della merda più grossa ad aspettarmi, quando avrò finito di spalare quella attuale. E già, perché Svetlana ha questa sua idea tutta strana che se cerca di rifarsi una vita, io non devo ostacolarla e che devo prendermi le mie responsabilità e stronzate varie. Però a volte è utile avere la scusa bella è pronta per svignarsela.
-E.. no sai Ian.. Svetalana va dalla contessa e devo portare il bambino dagli zii.
Perché se non lo sapevate uno dei clienti della mia mogliettina è figlio di sei filorussi comunisti che da quando hanno sentito che il figlio se la faceva con una russa, la invitano a pranzo o a cena quasi ogni giorno e la pagano perché legga Il capitale di Marx ai più piccoli. Quando me lo ha detto la prima volta non ci credevo. Lei sembrava una ragazzina, quasi umana, girovagava per la casa con un sorrisone stampato in faccia che metteva allegria solo a vederlo, si provava questo o quel vestito e chiedeva pareri, e –ma che resti tra noi- mi ha persino dato un bacio in bocca. Le dissi che l’America è la terra delle opportunità, e lei mi saltò al collo. Forse per un minuto siamo sembrati una coppia felice, quando lei tutta rossa in viso usciva di casa e io gli facevo gli auguri. Ma è durato un minuto, perché poco dopo è rincasata con delle cesoie –chissà a chi le aveva rubate-, si è tolta le scarpe coi tacchi, e mi ha rincorso per tutta la casa dandomi dello stronzo, coglione e qualche altra parola russa, perché avevo consumato tutta la benzina. Le dovetti sganciare un centone per prendere i mezzi, che poi chissà che ci avrà fatto col resto sta troia, e la rividi la stessa sera, quando mi raccontò tutto. Questa storia della contessa – noi chiamiamo “contessa” la madre del ragazzo, perché Svetlana dice che indossa la pelliccia che dovrebbe essere appartenuta a qualche commerciante russo anche quando va al cesso- va avanti da un paio di settimane, e io ci ottengo solo qualche bottiglia di liquori d’annata e qualche bacetto sulla guancia di ringraziamento da Svetlana. E ho anche imparato - a mie spese- come far mangiare il pupo e come occuparmi di lui quando mammina non c’è. Menomale che almeno il bimbo mi permette di inventare scuse ingegnosissime quando ho voglia di staccare la spina. Dopo la domanda di Ian, ho passato tutta la mattinata in un bar pieno di papà single che, frustrati, ordinavano un’aranciata in due per se stessi e i loro figli. Ho cercato di mettere più distanza possibile tra me e il mio mondo, tra me e Ina. Quando rientro, con bambino felicemente addormentato tra le mie braccia – pare che starsene in braccio per tre quarti d’ora in metropolitana lo abbia ucciso di sonno- lo metto subito nella culla e poi mi precipito in bagno. Vana è ovviamente la speranza di pisciare in pace. Come mi vede Ian si cerca di entrare nel bagno con me, e anche se vorrei chiudergli la porta in faccia, il tono con cui pronuncia il mio nome, quasi come una preghiera, mi impedisce persino di provarci.
- E’ per quello che ti ho chiesto stamattina?
-Cosa?
- Che sei rientrato tardi.
-Non iniziare con ste stronzate Ian.
- Ma voglio spiegarti!
- Ian smettila!
-Devo farmi perdonare, sai quello che hai detto l’altro giorno.
-Zitto.
- Voglio rimediare ai miei errori, voglio dimostrarti che mi fido di te..
-Non mi devi dimostrare un bel niente. Come ti viene in mente che..
-Ti amo. Voglio dimostrarti che ti amo.
Adesso come diavolo faccio a guardarti in faccia? Dio, sono solo due parole, e sono due parole così banali e smielate! Non dovrebbero farmi quest’effetto. Non dovrebbero farmi sentire così felice, così speranzoso, così leggero. Perché mi sudano le mani? Perché mi stremano le gambe? Perché ho così paura se sto così bene? D’un tratto sento un forte calore alla mano, me la guardo e vedo che è stata raggiunta da quella di Ian. Seguo il percorso che porta dal suo polso ai suoi occhi e, quando li incontro, mi rendo conto che non potrei mai dirgli di no. Neanche se significa quello che significa.
-Ti credo sulla parola. Non dimostrarmi nulla.
Sento sempre più caldo, lo stomaco si contorce e mi si attorcigliano le budella. Lui non si stacca dal mio braccio, e quasi con le lacrime agli occhi, continua:
- E perché non mi vuoi?
-Cristo Ian sta zitto!
- NO! Dimmi perché non vuoi!
-Smettila!
-No.
-Lasciami il braccio!
-Rispondimi!
E mentre cerco di divincolarmi dalla sua presa disperata, lo spingo via con troppa forza e lui perde l’equilibrio e cade. Ho voglia di scappare. Ma non posso. Mi asciugo le lacrime con la manica e cerco di mettere insieme le parole.
-Maledizione Ian! Andiamo.. guardati, e poi.. poi guarda me. Credo che a me manche parecchio non ti sembra?
- Sul serio Mickey? Tutta questa storia per il complesso del cazzo piccolo?
-Ecco vedi! Lo sapevo che non mi avresti capito!
Mi abbasso e gli offro la mano per tirarlo su, ma quel cane – come sempre- mi strascina verso il basso, e mi stringe tra le braccia. Mi sento un bambino. E lui mi culla. Mi bacia i capelli, mi accarezza le braccia, mi stringe a se.
-Ma chi cazzo se ne frega Mickey? Chi cazzo se ne frega..
Forse la consistenza del mio corpo è fragile e delicata come quella del piccolo; sicuramente lo è tra le braccia di Ian.


Arriverà il giorno in cui saprò dire di no a Ian Gallagher, ma quel giorno non è oggi. Né sarà uno dei prossimi. Non adesso che ho finalmente capito cos’è che gli piace tanto della vita di coppia. Per tranquillizzarmi mi ha preparato una tisana, che tra parentesi fa schifo e la sputo immediatamente senza risparmiargli i miei apprezzamenti. Ma lui mi obbliga a bene, dice che sta roba distende i nervi, che l’ha preparata solo per me e stronzate varie. A sorsi piccoli e a bocca stretta, continuo a sorseggiare questa tisana che sa di piscio di gatto, mentre Ian mi massaggia le spalle con tanto impegno che sembra un bambino che prova a fare un disegno per la festa della mamma, a 2 anni. Mi sta martoriando le spalle, ma mi piace.
-Quindi tu.. tu mi fai quella cosa..
-La cena?
-No,no.. Ian.. tu mi fai quella cosa che mi hai detto in bagno..
- Sinceramente non capisco.
-Quella cosa che inizia con la A.
-Aaaaaaaaaa, la cosa che inizia con la A! Bhè, si che te la faccio. Da quando ero piccolo.
-E me lo dici di nuovo?
-Perché?
-Così.
Ian si ferma, si sposta e mi guarda negli occhi mentre mi dice che mi ama. Che mi ama tanto. E io mi sciolgo. Mi fondo. Mi impastiglio e gli sorrido a occhi bassi. Mi guado intorno e gli dico che siamo soli in casa, cercando di sembrare il più indecente possibile. Porca miseria se mi viene duro con poco. Lui mi si siede a cavalcioni come le peggiori troie, e per un secondo vorrei non pensare a dove ha imparato a farlo, prende i lembi della maglia e li fa scorrere lungo il torace, per poi sfilarsela. Respiro, e l’eco risuona in tutta la stanza più forte del dovuto.
-Me la togli tu? – gli chiedo e lui, da bravo soldato, obbedisce.
Quando anche io sono a petto nudo, esattamente prima che Ian inizi a baciarmi il torace –perché sul serio, non ho bisogno di sentirmi ancora più finocchio di come già non mi senta- lo faccio scivolare sotto di me e cadiamo tutti e due sul pavimento, ammortizzandoci il colpo a vicenda.
-Sei così bello.- gli confesso, e lui si scioglie, si fonde e mi sorride distogliendo lo sguardo. La sua espressione di imbarazzo è l’ultima cosa che riesco a distinguere per bene, perché appena ci diamo da fare tutto diventa lucido e sfocato.
-Ancora?
Mi fermo immediatamente, e già rimpiango quel posto chiamato casa che ho appena trovato dentro di lui, preoccupato dal suo tono di voce.
-Che c’è che non va?
-La smetti di dire “Ian”?
Non me ne ero accorto.
-Scusa. Vorrà dire che ti chiamerò Fiona.
-Vuoi essere chiamato Mandy, Mickey, o la smetti?
-Di spingere? Vuoi che smetta di spingere?
-No, cazzo tu spingi ma non chiamarmi e basta!
-Capito Fiona!
Riprendo con un ritmo un po’ più forte, che gli spezza il fiato. Quanto è bello? Quanto cazzo è roscio? E quanto cazzo urla?
-Mandy! Oh MANDY!
Questa me la pagherà. Aspetta a gridare cocco! Lo spingo al limite, al limite più doloroso e fastidioso del mondo, e i suoi mugugni diventano rapidamente gridolini di protesta, finchè quell’esplosione di punti bianchi e arcobaleni non ci colpisce entrambi. Urla. Urla il mio nome. Il mio vero nome. E a ruota lo seguo, gridando su note altissime che lo amo. Non c’è garanzia che mi abbia sentito, ma da come mi sorride, probabilmente l’ha capito.



NdA: puntualissima, eccovi un nuovo capitolo. Mi rimetto come al solito alla vostra clemenza (che è stata già tanta, cioè GRAZIE) e spero che vi piaccia!
Bene al prossimo 24! Un saluto e alla prossima :))
  
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