Libri > I Miserabili
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Autore: SmartieMiz    25/07/2014    4 recensioni
Sono tutti liceali così differenti tra loro con le loro passioni e i loro segreti, i loro sogni e le loro incertezze; eppure sono i perdenti, gli "sfigati", solo perché non seguono la massa o perché strani, "diversi" agli occhi altrui.
Solo perché c'è chi ama la propria patria. Chi la poesia. Chi la libertà. Chi l'amore.
[AU! Lycée; e/R - Jehan/Courfeyrac - Eponine/Combeferre - Marius/Cosette + other ships]
Rating dovuto alle tematiche trattate.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Courfeyrac, Enjolras, Eponine, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo V ~ Un sabato sera differente



Quel giovedì Grantaire non si presentò a scuola. Jehan non si preoccupò più di tanto: la sera precedente l’aveva accompagnato a casa e si era addormentato come una pera cotta.
La giornata passò molto lentamente. Durante la pausa Jehan restò da solo nell’aula di storia: senza Grantaire si sentiva come un pesce fuori dall’acqua.
Quando la campanella suonò, fu costretto a lasciare l’aula per prendere i libri di matematica. Si avvicinò al proprio armadietto e mise a posto le sue cose.
«Jehan! Ciao!».
All’udire il proprio nome, rimase immobile per qualche secondo per lo stupore. Chi lo stava salutando?
Si voltò e vide Enjolras e Combeferre.
Jehan sorrise, lievemente. «Ciao».
«Stiamo lavorando sulle proposte e abbiamo intenzione di attendere l’elezione dei rappresentanti d’istituto per poterle presentare in presidenza», lo informò Enjolras.
«Sempre se ci permettono di dialogare con il preside», precisò Combeferre.
Jehan annuì. «Grandioso. Speriamo ci diano ascolto…».
«Già», confermò Enjolras: «Devono farlo».
Combeferre si guardò un po’ intorno. «Jehan, ma quell’amico tuo dov’è? Mi sembra si chiami Grantaire…».
Al sentire quel nome, Enjolras assunse un’espressione indignata.
«Oggi non c’è», rispose semplicemente Jehan.
«Ah va bene. Ci vediamo, a presto!», lo salutò Combeferre, per poi andare via con Enjolras.
Jehan sospirò: il pensiero che Enjolras e Combeferre si fossero ricordati di lui lo sollevava.
Il ragazzo prese finalmente i suoi libri e si incamminò verso l’aula di matematica. Durante il suo percorso, lo vide.
Aveva i capelli castani e ricci, morbidi e arruffati. I suoi occhi a mandorla erano vivaci e pieni di vita e risaltavano sul suo bel viso pallido. Le labbra erano sempre incurvate leggermente all’insù.
«Ciao!».
Courfeyrac salutò Jehan, molto naturalmente, con un sorriso.
Non era solo: era affiancato da Alain, Pierre e Vincent.
Tra i tre, Pierre e Vincent erano coloro che, tra tanti ragazzi a scuola, lo schernivano e lo seccavano. Alain era sempre stato molto neutrale, o almeno non aveva mai offeso Jehan in modo diretto.
Tuttavia, Jehan li ignorò completamente e sorrise dolcemente a Courfeyrac. «Ciao!», rispose, rosso in viso come suo solito, per poi andare via.
 
«Chi hai salutato?», chiese immediatamente Alain a Courfeyrac una volta certo che Jehan fosse andato via.
«Un ragazzo», rispose lui, molto vagamente.
«Un ragazzo?», rise Pierre: «Insomma, l’hai guardato bene? Quello che tu definisci ragazzo sprizza tutto tranne che virilità».
«Come lo conosci?», chiese invece Vincent.
«È un interrogatorio?», chiese Courfeyrac, innervosito: «Non è permesso salutare persone in questa scuola?».
«Oh per carità, nessuno ha detto questo, ma soddisfa la curiosità dei tuoi amici», lo rinfrancò Alain: «È che ci sembra strano che uno come te conosca certa gente».
«Certa gente? È per caso un assassino, un furfante, una cattiva persona?», rispose Courfeyrac, spazientito. Il ragazzo quasi si meravigliò della sua reazione eccessiva: non conosceva nemmeno quel Jean Prouvaire, aveva scambiato con lui sì e no due parole e gli aveva dato un fastidio immane sentir parlare di lui in quel modo. A primo impatto gli era apparso come un ragazzo molto timido e riservato; tutto tranne che una brutta persona.
«È un frocio del cazzo, e questo dovrebbe bastarti», rispose Vincent, inasprito.
«Quindi?», chiese Courfeyrac, seccato: «Che cosa dovrei fare?».
«Quindi ti converrebbe stare attento», rispose Alain, tranquillo: «L’hai visto come ti guarda?».
«È solo molto timido», provò a giustificarlo Courfeyrac, invano.
«Un ragazzo semplicemente timido non guarda un altro ragazzo in quel modo», concluse Alain, poi disse: «Io e Pierre abbiamo matematica adesso. Ci vediamo dopo!».
 
Jehan prese posto al primo banco.
«Dammi il quaderno», gli disse Pierre non appena gli fu vicino.
«Copia velocemente», si limitò a dire Jehan.
Pierre inarcò un sopracciglio. «No, forse non ci siamo capiti: dammi il tuo quaderno e basta», disse, con un sorriso impercettibile.
«Mi serve».
A quella risposta, Pierre s’innervosì.
«Senti, fiorellino», Pierre gli si accostò, appoggiando le mani sul banco e parlando sottovoce: «io non ci metto niente a stenderti con un pugno, e lo sai bene. Avanti, fa’ il bravo e non fare tante storie».
Jehan si fece rosso, questa volta di rabbia. Era in momenti come quelli che si sentiva impotente e completamente inutile. Si sentiva debole e aveva una gran voglia di parlare, di esprimersi. Ma non ci riusciva, o almeno non ci riusciva più, non come prima.
Jehan era troppo buono per prendersela con gli altri, perciò se la prendeva sempre con se stesso.
Gli diede il quaderno, senza nemmeno guardarlo in faccia. «Oggi mi sento così buono che ho voglia di ringraziarti. Grazie, sei un tesoro!», fece Pierre con un falso sorriso, per poi rifugiarsi all’ultimo banco. Jehan sospirò, rassegnato.
Una ragazza si avvicinò al suo banco. «Posso sedermi qui?», domandò.
Jehan non la guardò nemmeno. «Come vuoi tu», rispose.
La ragazza prese posto accanto a lui, sistemò la propria borsa e aprì un libro sul banco: il professore doveva ancora arrivare. Impaziente, picchiettò le dita contro il banco per qualche minuto. Anche se lo faceva con molta discrezione, non aveva smesso nemmeno un secondo di osservare il ragazzo sedutole accanto per capire cosa fosse successo.
«Okay», disse improvvisamente, destando l’attenzione del compagno: «ti vedo agitatissimo. Devi essere interrogato?».
«No».
La ragazza sospirò. «Hai dimenticato il quaderno?».
«No. L’ho regalato a Pierre, praticamente», disse, con un sorriso cinico.
La ragazza si voltò indietro. «Ah, Pierre, ho capito. Beh, puoi sempre prendere un foglio e copiare gli esercizi da me prima che arrivi il prof., se vuoi», cercò di rassicurarlo.
Jehan non capì perché tutta quella gentilezza. C’era un doppio fine?
«N-non preoccuparti…».
«Oh, ma non preoccuparti tu!», fece lei, amichevolmente, porgendogli il quaderno: «Fa’ pure».
«Io non so come ringraziarti…».
Lei sorrise, semplicemente. «Cosette Valjean, piacere di conoscerti».
«Jean Prouvaire», rispose lui: «Sei molto gentile», osò aggiungere.
Cosette si limitò a sorridere, un sorriso dolce e assolutamente sincero.
Per un momento pensò al sorriso di Courfeyrac.
 
Quel pomeriggio – come quasi tutti i pomeriggi – Enjolras era a casa di Combeferre (o viceversa). I due amici erano inseparabili: studiavano insieme e organizzavano praticamente qualsiasi cosa insieme.
«E se quest’anno spostassimo l’incontro de les Amis de l’ABC dal mercoledì pomeriggio al venerdì sera? E magari ne facciamo due a settimana, anche il sabato sera», propose Enjolras, mentre Combeferre sistemava i propri libri in ordine alfabetico.
«Il sabato sera non verrebbe nessuno, e neanche il venerdì», rispose il ragazzo: «Forse solo Feuilly sarebbe disposto a cambiare giorno».
Enjolras annuì, pensoso. «Ma converrebbe anche a Joly, Bossuet e Bahorel. Anche loro hanno impegni e devono studiare, no?».
«Fidati, Enjolras, già è tanto che riusciamo a vederci una volta a settimana», disse l’amico.
Enjolras sbuffò. «Mi chiedo cosa facciano il sabato sera!».
Combeferre rise con leggerezza, divertito. «I comuni adolescenti escono a quest’età, amico mio. Siamo noi gli unici asociali a leggere trattati di diritto o medicina e a guardarci Star Wars e i film che piacciono soltanto a noi», disse con assoluta normalità, ignorando il fatto che anche lui fosse un adolescente.
«È triste come cosa?», chiese il ragazzo.
«Un pochino, ma non mi lamento», sorrise Combeferre.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi Combeferre esordì con una domanda: «Posso chiederti una cosa?».
«Siamo in democrazia», si limitò a rispondere Enjolras.
«Non mi hai detto proprio niente di questo Grantaire. All’improvviso si è presentato per il nostro incontro. Non mi sto lamentando mica, ma questa cosa mi incuriosisce parecchio».
«Cosa vuoi sapere?», chiese Enjolras, senza rendersi conto di essersi inasprito.
«Cosa ti ha spinto a convocare anche lui?».
Prima di rispondere, Enjolras pensò bene a cosa dire. «Credo sia un ragazzo intelligente, sagace, e la società ha bisogno di menti giovani e brillanti. Tutti lo vedono come l’alcolizzato. La gente vede soltanto i lati negativi delle persone. È stato… strano. Una parte di me ha voluto dargli fiducia, l’altra diceva in continuazione “ma cosa stai facendo, Enjolras? Non lo conosci nemmeno”. Ho voluto dare una speranza ad un completo sconosciuto o quasi, ed ecco le conseguenze».
«Non devi essere troppo severo con lui», gli suggerì Combeferre: «Non perdere così le speranze. Anche Bahorel sembrava e ancora sembra un menefreghista e invece è realmente interessato alla nostra causa. Secondo me Grantaire è un bravo ragazzo e può fare tanto con noi, ovviamente solo se lo vuole anche lui».
«Tutto questo se non bevesse. Ma beve, ed è soltanto d’intralcio con le sue idee improponibili», protestò Enjolras.
«Ma siamo in democrazia e vanno ascoltate tutte le proposte, no?», lo rimbeccò Combeferre.
«Il fatto che vadano ascoltate non implica che vadano anche accettate», fece Enjolras, poi disse: «Cambiamo argomento, per piacere. Mi secca parlare di quel Grantaire…».
Combeferre si limitò ad annuire, ma non avrebbe di certo lasciato in sospeso quella questione.
 
«Chi è?».
«Jehan».
Grantaire gli aprì la porta. «Ah amico, sei tu. Come va?», disse.
«Bene, piuttosto tu come stai?», gli rispose Jehan gentilmente, entrando in casa.
«Meglio», rispose lui, sedendosi sul divano.
Ci fu un breve silenzio. Grantaire quasi deglutì prima di dire: «Ieri ho combinato un disastro, vero?».
«Ti mentirei se ti dicessi di no, purtroppo…», rispose il ragazzo, sincero.
Grantaire si portò una mano alla fronte. «Diamine», imprecò: «Ovviamente ho fatto la figura dell’idiota, come sempre. Chissà adesso cosa penserà Enjolras di me…».
Il modo in cui lo disse fece tenerezza a Jehan. Il ragazzo prese posto accanto a lui. «Non abbatterti. C’è sempre una seconda occasione».
Grantaire annuì, poco convinto. «E comunque dovresti moderarti col bere, sai? Non ti fa di certo bene bere tutto quest’alcool», aggiunse Jehan.
«È come se mi stessi chiedendo di morire», rispose Grantaire, quasi divertito.
«Ci sono ben altri modi per dimenticarsi del mondo e per vivere davvero, se è questo che intendi. Bere di certo non ti aiuta».
Jehan era spaventosamente serio. Questa volta era Grantaire a sentire le sue parole sagge e veritiere, e nessuno prima d’ora gli aveva mai parlato in quel modo, così profondamente.
«Anch’io avrei potuto darmi all’alcool anni fa se avessi voluto, ma non l’ho fatto. Bisogna essere più forti di certe cose», continuò Jehan, per poi interrompersi e concludere il discorso.
Grantaire non seppe che cosa dire, e non osò chiedergli altro per non metterlo a disagio. «Ti ringrazio», si limitò a dirgli sottovoce, accennando un sorriso: «Sei un bravissimo ragazzo, Jehan».
Jehan sorrise, un sorriso molto tenue e breve. La malinconia stava ritornando ad impadronirsi di lui.
 
Il giorno dopo Eponine era piuttosto ansiosa. Camminava nervosamente per i corridoi della scuola, cercando il volto di Marius invano. Si era decisa a chiedergli di uscire e perciò era molto agitata.
L’unico volto che sfortunatamente trovò fu quello di Montparnasse.
«Ci si rivede, Thénardier», la salutò, appoggiandosi all’armadietto adiacente a quello della ragazza.
«Hey, Montparnasse», fece lei, seccata: «Che gioia vederti».
«Lo so che sei sempre felice di vedermi, è inutile farmelo notare sempre», scherzò lui, cinico.
Eponine sbuffò. «Sei libera domani sera?», le domandò Montparnasse.
Lei alzò il volto, guardandolo sorpresa. «Perché me lo chiedi?».
«Tranquilla, bocconcino, non ti sto chiedendo nessun appuntamento», rise lui, facendole alzare gli occhi al cielo: «Tuo padre ed io abbiamo degli affari di cui discutere e lui vuole che tu sia presente».
«Col cavolo che sarò presente», sbuffò Eponine: «Quante volte vi ho detto che non voglio essere coinvolta nei vostri loschi piani?».
Montparnasse si limitò a ridere, facendo innervosire la ragazza. «Pensaci bene, Eponine. Pensa a cosa è davvero importante per te», disse, per poi andare via.
Eponine sbatté il proprio armadietto con forza. «Di certo non siete voi la mia priorità», mormorò, indignata.
Tra i ragazzi, Eponine finalmente scorse Marius.
«Marius!», lo chiamò da lontano: «Marius! Hey!».
Marius salutò gli amici, per poi avvicinarsi a lei. «Eponine, ciao! Dimmi che sei riuscita a fare quello che ti avevo chiesto! Ti prego!».
«Cosa?», rispose Eponine, senza nemmeno pensarci.
Chiedere il numero a Cosette.
Quando quel pensiero le tornò in mente, si sentì malissimo. «No. Ancora devo avere un dialogo con quella ragazza», disse, con un sorriso sprezzante.
Marius sembrava intristito. «Ah, che peccato. Ci conto però! Ora devo andare, a presto ‘Ponine!», e si congedò.
Eponine strinse i pugni per la rabbia. Non aveva avuto nemmeno il tempo di parlare e di chiedergli di uscire.
 
Cosette camminava per i corridoi. Era passata poco più di una settimana in quella scuola e ancora non era riuscita ad ambientarsi completamente.
Non aveva un amico, e questo la faceva sentire davvero sola e triste. Tutti i ragazzi erano gentili con lei – o almeno fingevano di esserlo – ma nessuno sembrava davvero interessato a frequentarla e ad averla come amica.
«Eponine, ma quando lo capisci che non ti fila nessuno?».
«Nemmeno ci rinunci, eh? Lui è popolare, non ripiegherà mai su una sfigata come te».
«Non sarai nemmeno la sua ruota di scorta».
Erano queste le parole che aveva udito Cosette mentre cercava l’aula di storia. Vide tre ragazze accanto ad una dai capelli bruni.
«Non credo che questi siano affari che vi riguardano», rispose quella che doveva chiamarsi Eponine.
«Oh sì, invece, dal momento che già c’è un interesse verso di lui qui a scuola. Rassegnati, Eponine: morirai sola».
«Non mi sembra la cosa più sconcertante di questo mondo. La più brutta cosa sapete qual è? Essere delle povere ignoranti come voi!».
Non era stata Eponine a rispondere, bensì la ragazza nuova dai capelli biondi e gli occhi chiari.
Cosette.
Quando la vide, Eponine sgranò gli occhi: l’interesse amoroso di Marius era lì, di fronte a lei, e l’aveva appena difesa.
Le tre ragazze si guardarono tra loro, visibilmente offese e a corto di parole. «Ragazza nuova, stai attenta», si limitò a dire una delle tre: «Non ci piaci nemmeno un po’».
«Neanche a me piacete molto», rispose Cosette con un sorriso impercettibile.
Le ragazze le riservarono un’ultima occhiata per poi andare via.
Eponine non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto ringraziare Cosette?
Macché! Era lei la sua rovina, il suo intralcio, il suo ostacolo.
Avrei potuto cavarmela da sola, pensò di dire Eponine. Anche se la detestava, non riusciva a dirle una cosa del genere.
Era stata gentile, e non voleva essere scortese.
«Grazie», disse, semplicemente, senza nemmeno guardarla in faccia.
«Prego, non ho fatto niente di che», Cosette le sorrise, sincera, poi per rompere il ghiaccio le domandò: «Che ora hai adesso?».
«Storia», rispose Eponine.
«Ah bene, anch’io! Possiamo andarci insieme se vuoi».
Eponine si limitò ad un sorriso falso.
Sei felice adesso, Marius? Stiamo per diventare amiche, pensò Eponine, crucciata.
 
Sabato arrivò. La settimana dopo avrebbero finalmente svelato i nomi dei nuovi rappresentanti d’istituto.
Enjolras aveva già accettato con pazienza l’imminente sconfitta: era consapevole che in un istituto intero avrebbe avuto soltanto i voti di Combeferre, Joly, Bossuet, Bahorel e forse di qualcun altro, e che non ce l’avrebbe mai fatta a diventare rappresentante.
Ad Enjolras poco importava: sapeva di poter fare comunque qualcosa per quell’istituto, anche se non ne sarebbe divenuto il rappresentante.
Era per questo che per quell’anno, ancora più fortemente rispetto agli anni precedenti, aveva in serbo più riunioni e incontri de les Amis de l’ABC: i progetti da realizzare erano tanti, e la determinazione di Enjolras era anche maggiore.
Fu per questo che quel sabato pomeriggio Enjolras aveva inviato un sms ai suoi amici chiedendo loro di venire a casa sua. Tutti avevano protestato per la pessima scelta del giorno, ma Enjolras li aveva calmati dicendo che come premio avrebbero potuto guardare il film che aveva noleggiato Combeferre.
Grantaire fu sorpreso di leggere quell’sms. Quel pomeriggio era a casa di Jehan quando il cellulare di quest’ultimo aveva squillato.
«È impossibile. Avrò bevuto senza accorgermene!».
«Ma leggi tu stesso! Se vuoi puoi portare anche il tuo amico», ripeté Jehan, leggendo il messaggio ricevuto da Courfeyrac: «È chiaro che per mio amico intende esclusivamente te».
Grantaire scosse il capo. «E dopo la scenata dell’altra volta Enjolras riuscirebbe mai a guardarmi senza disprezzo?».
«Sei troppo duro con te stesso. Magari l’avrà anche dimenticato…».
Grantaire inarcò un sopracciglio. «Sii serio, Jehan: come ci si può dimenticare di un pazzo ubriacone che ha delirato un pomeriggio intero?».
Jehan sospirò. «Okay, forse non l’ha dimenticato, ma almeno tu hai imparato qualcosa. Stasera niente alcool, intesi?».
«È sabato sera, cavolo… neanche un bicchierino?», si lamentò il ragazzo.
«Neanche un bicchierino».
«Una birretta? Piccola piccola?».
«Non m’incanti. Nemmeno una birretta», rispose Jehan, con un piccolo sorriso: «Lo sai che lo faccio per te, vero?».
Grantaire sbuffò. «Sei odioso e sei inquietante quando sorridi così», disse, per poi ridere: «ma purtroppo hai totalmente ragione».
 
Eponine si era chiusa nella sua stanza che condivideva con sua sorella Azelma e il fratellino Gavroche. Poteva sentire suo padre nell’altra stanza bisbigliare con alcuni amici di famiglia.
Eponine sapeva che suo padre non era una brava persona, ma non aveva mai voluto approfondire la cosa. Quando Montparnasse l’aveva “invitata” ad essere presente a quella riunione, aveva quasi avuto timore: forse suo padre la considerava abbastanza grande per occuparsi di chissà che cosa.
Aveva rifiutato, ed era per questo che si era rinchiusa nella sua stanza. Non voleva avere niente a che fare con quella gente e ancor meno con il suo vecchio amico Montparnasse.
Qualcuno bussò alla porta.
«Ti ho già detto di no, Montparnasse!», sbuffò Eponine.
«Sono Gavroche».
«Ah».
Eponine si alzò e aprì la porta. «Che carina questa maglietta! Dove vai di bello?», chiese la ragazza al fratellino: erano quasi rari i momenti nei quali quel bambino fosse a casa.
«Vado a casa di alcuni amici», rispose Gavroche: «Hanno la tua età, più o meno. Sono dei tipi in gamba».
Eponine aggrottò le sopracciglia. «E ti trovi bene con loro?», domandò.
«Certo che sì. Parliamo di cose serie, noi. Sarà un modo diverso e interessante per passare il sabato sera».
Senza nemmeno pensarci due volte, Eponine afferrò il cappotto. «Vengo con te. Per piacere! So di non essere invitata, ma ho un bisogno enorme di lasciare questa casa, anche se per qualche ora. Sto per impazzire».
«Non credo sia un problema. Azelma?».
«È uscita con un’amica».
«Perfetto. Scendiamo ora».
 
«I tuoi genitori sono gentili».
«Ti ringrazio».
«Tua madre ci tiene molto a te. Ma anche tuo padre, devo dire».
Jehan sorrise alle parole di Grantaire, semplicemente. Erano diretti alla casa di Enjolras, e durante il tragitto intravidero un ragazzo riccio al fianco di uno molto alto.
Erano Courfeyrac e Marius.
Jehan fece finta di niente, anche se visibilmente agitato.
«Uh, c’è l’amico di Enjolras!», gli fece notare Grantaire.
«Lo so», rispose Jehan, affrettando il passo senza nemmeno accorgersene: «Lo so bene…».
«Ciao!».
Jehan si fermò di botto. Grantaire trattenne le risate. «Allora vi siete decisi, anche voi da Enjolras», fece Courfeyrac con un sorriso.
Jehan maledisse il suo imbarazzo e si chiese perché quel Courfeyrac dovesse sempre sorridere in quel modo così sublime da star male.
«Sì», asserì Grantaire.
«Certo che siete coraggiosi! Mollare il sabato sera per andare da Enjolras!», ridacchiò Courfeyrac.
«Siamo in quattro ad esserlo, allora», rispose Grantaire con una risata.
Grantaire e Courfeyrac subito riuscirono a rompere il ghiaccio; Jehan e Marius erano piuttosto taciturni.
«E tu, Marius? Cosa ne pensi?», chiese Courfeyrac dopo un po’, nel bel mezzo di chissà quale discorso.
«Cosa?», rispose infatti Marius, facendo ridere l’amico.
«Jehan, ti prego, dimmi che almeno tu stavi seguendo la conversazione», fece Courfeyrac.
Diamine.
Jehan boccheggiò qualcosa, poi sparò la prima idiozia che gli fosse venuta in testa. «Sì, e sono completamente d’accordo!».
Grantaire lo guardò, stranito. «Sei completamente d’accordo sul fatto che l’ora di letteratura con Monsieur Leroy sia una palla assoluta?», gli disse.
Jehan sgranò gli occhi. «Ehm, volevo dire l’esatto contrario! N-non sono d’accordo».
Courfeyrac rise, quasi intenerito. Jehan si sentì un completo imbecille. Non voleva fare la figura dell’idiota, ma ormai gli risultava impossibile, soprattutto con quel ragazzo davanti a lui. «Io a-amo la letteratura. E la poesia. C-credo che un uomo sia incompleto senza queste due grandi e incantevoli cose che arricchiscono l’anima…».
«È vero», affermò Courfeyrac: «Bisogna però imparare ad apprezzare queste cose. Sinceramente, Monsieur Leroy mi fa venire voglia di tagliarmi le vene…».
Parlarono per un po’ finché non giunsero da Enjolras.
Attesero che arrivassero anche gli altri. Ad un certo punto fece il suo ingresso un bambino che non poteva avere più di undici dodici anni e una ragazza alta e bruna.
«Ciao a tutti! Ho portato con me mia sorella Eponine, spero non vi dispiaccia», parlò il bambino, poi si presentò a Grantaire e Jehan: «Io sono Gavroche, piacere».
Combeferre impallidì. Avrebbe voluto nascondersi.
«’Vroche, non mi avevi detto che hai una sorella così carina. Non si nascondono queste cose!», scherzò Courfeyrac.
Eponine fulminò Courfeyrac con lo sguardo, poi finalmente si accorse che Marius era lì.
Sorrise inconsciamente. «Marius! Anche tu qui?».
«Hey, Eponine. Sì», rispose il ragazzo.
«E tu la conosci pure e non me l’hai mai presentata? Ma bravo Pontmercy!», fece Courfeyrac, fintamente offeso.
Combeferre storse il viso, ma si trattenne dal dire qualcosa: odiava quando Courfeyrac faceva il cascamorto con le ragazze. Con Eponine, in particolare.
Enjolras sembrava infastidito dalla presenza di una ragazza che non conosceva personalmente; Joly, Bossuet, Bahorel, Feuilly, Grantaire e Jehan furono invece molto aperti nei suoi confronti.
Combeferre si era nascosto dietro Enjolras, praticamente.
«Tu sei della nostra stessa scuola, vero?», le chiese Bossuet.
«Sì, sono al secondo anno», rispose la ragazza.
Combeferre uscì allo scoperto; gli sembrava poco cortese non presentarsi alla ragazza, e sapeva che avrebbe dovuto mantenere la calma come suo solito.
«Combeferre, piacere», le disse, porgendogli la mano.
Eponine riconobbe in lui il suo compagno di banco durante l’ora d’arte. «Piacere», si limitò a dire, accettando la stretta.
«Allora? Diamo il via a questa serata!», parlò Courfeyrac, esaltato: «Ho portato dei dvd, preferite World War Z o The Hunger Games? Ho anche portato Harry Potter e i Doni della Morte!».
«La morte che stai per fare tu se non la smetti di parlare», rispose Enjolras, esasperato.
Tutti tacquero; Bahorel soltanto rise. «Che umorismo macabro», fece Gavroche, divertito.
«Se c’è tempo guardate un film a vostra scelta. Prima il dovere», esordì Enjolras.
«Altro che democrazia, questa è dittatura!», fece Courfeyrac.
«Hai accettato di venire e comunque eri a conoscenza del programma di questo sabato sera», disse semplicemente Enjolras, poi fece: «Posso avere un po’ di attenzione?».
I ragazzi smisero di chiacchierare. Enjolras disse: «Possiamo anche iniziare con la seconda riunione dell’anno de les Amis de l’ABC».
Eponine si sentì frastornata: non sapeva di cosa avrebbero discusso.
«Lunedì verranno eletti i rappresentanti d’istituto», parlò Enjolras: «Martedì io e Combeferre ci prendiamo l’impegno di presentare il programma stilato insieme allo scorso incontro. I punti sui quali ci siamo soffermati sono stati sicurezza, dialogo con gli organi principali dell’istituto, bullismo, stimoli per la creatività e il pensiero dello studente e corsi d’orientamento. C’è altro da aggiungere?».
«Per chi fosse stato assente la volta scorsa, praticamente abbiamo intenzione di rendere migliore l’istituto avanzando proposte efficaci ed intelligenti», spiegò Combeferre, rivolgendosi principalmente ad Eponine che, con un cenno del capo, annuì.
Grantaire alzò la mano, destando la curiosità di tutti e la sorpresa di Enjolras che si limitò a dire: «Parla pure».
«Io proporrei qualcosa come una mostra d’arte organizzata dagli studenti, o qualcosa del genere. I fondi ottenuti potrebbero andare alla scuola, per poi essere investiti in modo utile… o almeno si spera!», rispose il ragazzo.
«Sono d’accordo», fu Eponine a parlare: «È un modo per incentivare l’arte, per scoprire il talento degli studenti e per ottenere fondi. Magari una parte di essi potrebbe andare in beneficenza».
«Sì. Aggiungilo alla lista, Combeferre», approvò Enjolras
La serata andò avanti in quel modo. Enjolras sembrava piuttosto entusiasta degli esiti di quell’incontro che addirittura concesse ai ragazzi di ordinare una pizza.
«Allora? Vada per Harry Potter?», chiese Courfeyrac.
«In realtà io avrei noleggiato un film di…».
«No, ‘Ferre, non mi fido! L’altra volta è stata una trappola. Non so se sei peggio tu o Enjolras nella scelta di film. Vi contendete il primo posto», lo interruppe Courfeyrac, facendo ridere gli altri.
«Vediamo World War Z. Non l’ho mai visto, mi intriga», asserì Feuilly, beccandosi lo sguardo sorpreso di Courfeyrac.
«Nah! Stupidi zombie che ti inseguono. È un film idiota», fece Bahorel.
«Non è per niente vero!», parlò Courfeyrac: «È un film così avvincente!».
«Cambiamo film, dai. Che ne dite di Trecento?».
«No, Bahorel! Per carità! Tutto quel sangue… potrei svenire!», si intromise Joly.
«E tu vorresti diventare medico. Dimmi come se ti impressiona tutto!», lo rimbeccò Bahorel.
«Ho anche La madre», fece Courfeyrac.
Solo a pronunciare quel nome, Joly si portò una mano al cuore. «No… non potete farmi questo, davvero!».
«Per me quello è un film comico, altro che dell’orrore!», rise Bahorel.
«Wow, bellissimo!», esultò Gavroche.
«Eponine? Grantaire? Marius? Jehan? Cosa proponete?», chiese loro Courfeyrac.
«Per me è uguale», fece Grantaire.
«Idem», rispose Marius, di poche parole.
«Qual è il film che aveva noleggiato Combeferre?», chiese Eponine.
«Eh infatti, qual è?», disse Jehan.
Combeferre sorrise. «The Truman Show, e sono sicuro che piacerà anche a quell’ingrato di Courf che non apprezza mai niente!».
«Accetto la sfida, allora!», rispose Courfeyrac con un sorriso malandrino.
I ragazzi si riunirono per guardare il film; Enjolras vide il film a tratti in quanto ogni tanto usciva fuori al balcone di casa sua, pensieroso.
Enjolras apprezzava quegli attimi di completa solitudine. C’erano solo lui, la notte e il flusso dei suoi pensieri.
Ad un certo punto non fu più solo: venne raggiunto da Grantaire.
«Ti senti bene? Incominciavo a preoccuparmi…», gli disse il ragazzo.
«Sto bene», rispose Enjolras.
Grantaire annuì, per poi appoggiarsi all’inferriata del balcone. Accese una sigaretta. «Vuoi?», gli chiese Grantaire, tranquillamente, come se gli avesse appena chiesto “vuoi un po’ di torta?”.
Enjolras arricciò il naso. «No, non fumo».
«Io volevo chiederti scusa per l’altra volta», fece Grantaire, mesto: «Ho detto un mucchio di cavolate. Spero non si ripeterà».
«Ma figurati. E lo spero anch’io», fece Enjolras, semplicemente. Non c’era rimprovero nelle sue parole: era assolutamente calmo. I suoi occhi azzurri guardavano un punto indefinito, il suo sguardo era assorto e si perdeva nella bellezza della notte.
Era meraviglioso.
«Sei una bella persona, Enjolras», disse Grantaire, sincero: «Ti ammiro».
Enjolras era piuttosto sorpreso, ma non lo diede a vedere, come suo solito. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, e non sapeva nemmeno se fosse una cosa positiva o negativa. Le emozioni che provò furono molto contrastanti. Era confuso, e ciò lo innervosì.
«Bene», fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«Beh, io torno dentro. E scusami ancora per il disturbo», fece Grantaire, spegnendo la propria sigaretta.
«Nessun disturbo», rispose Enjolras: «a parte il tanfo di quel veleno che ingerisci nei tuoi polmoni».
«La prossima volta non fumerò in tua presenza», disse il ragazzo con un piccolo sorriso, per poi tornare dentro, abbandonando l’altro ai suoi pensieri.


 


 

Angolo Autrice

Buongiorno a tutti! :)
Innanzitutto voglio ringraziare sentitamente tutti coloro che leggono e recensiscono! <3
Per quanto riguarda questo capitolo, io organizzerei un complotto contro Alain, Pierre e Vincent. *si arma di forconi*
Grantaire ha fatto le sue scuse ad Enjolras e quest'ultimo sembra averle accettate. c: (sembra). E poi abbiamo un momento Enjolras/Combeferre e insomma, Enj si apre a 'Ferre in un modo o nell'altro c: 
Jehan è semplicemente l'amore e io non so cosa dire *w* E il discorso avuto con 'Taire è molto importante per questa storia!
Courf finalmente inizia a farsi valere u.u Ah, e abbiamo di nuovo Montparnasse. Non sarà l'ultima volta in cui lo vediamo, no. (ma che ci posso fare? Nonostante tutto, io lo amo ♥).
Accenni nemmeno troppo velati alla Combeferre/Eponine c: Che dire? Io li shippo molto, spero solo di non fare un guaio nel caratterizzarli xD
Cosette è semplicemente dolcissima e grintosa e lo possiamo notare da come aiuta Jehan e da come difende Eponine. Non odiate né Eponine né Cosette (a seconda delle vostre simpatie XD), la prima è arrabbiata e la seconda è assolutamente innocente. Vi prometto che cambierà il loro rapporto XD
Che dire? La smetto di dire stupidate e vi do appuntamento al prossimo capitolo!
A presto! :D
SmartieMiz
   
 
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