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Autore: mgrandier    25/07/2014    17 recensioni
Lo studio in cui so trovava era ampio, elegante e ben illuminato; vi era stato accompagnato perché potesse attendere il rientro a palazzo della figlia del Generale. Aveva chiesto di incontrarla, ma gli era stato risposto che lei non era ancora rientrata dalla caserma della Guardia Permanente e che probabilmente sarebbe arrivata a breve e lo avrebbe potuto ricevere proprio lì.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Notti'
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Lo studio in cui so trovava era ampio, elegante e ben illuminato; vi era stato accompagnato perché potesse attendere il rientro a palazzo della figlia del Generale. Aveva chiesto di incontrarla, ma gli era stato risposto che lei non era ancora rientrata dalla caserma della Guardia Permanente e che probabilmente sarebbe arrivata a breve e lo avrebbe potuto ricevere proprio lì. Ricordava di essere già stato in quello stesso ambiente, non molto tempo prima, ma ora poteva osservarlo con occhi diversi, rispetto alla precedente occasione.
Il condottiero vittorioso torna a testa alta nei luoghi in cui ha combattuto una battaglia gloriosa, costata impegno, costruita con il lavoro e la perizia di uno stratega preparando con pazienza e ponderazione ogni singola mossa, e avanza altero raccogliendo ad ogni passo la gloria dei suoi successi, posando lo sguardo su ciò che lo circonda e rivedendo, oltre agli elementi del paesaggio, i corpi, le armi, l’ardore e le azioni dello scontro terminato in successo.
Nello stesso modo, ora, il Conte, elegantemente accomodato su una poltrona, sfiorava con il suo sguardo grigio e trasparente l’ampio ambiente in cui era stato fatto accomodare. Nella sua precedente visita, non aveva avuto modo di notare il soffitto che lo sovrastava, possente e robusto, con la sua successione serrata di travi scure e possenti. Si soffermò sulle mensole di appoggio di quelle travi, nel cui legno bruno si intravedeva un motivo geometrico dall’intaglio sapiente e preciso. Alle pareti, nelle eleganti boiseries, anch’esse in legno scuro, erano sistemate delle tele dal gradevole tema vedutistico: le osservò con attenzione, notando come i paesaggi ritratti probabilmente fossero quelli della tenuta circostante il palazzo, che si poteva anche riconoscere in alcune di quelle stesse tele, immersa in un ambiente quasi ovattato e rarefatto, senza tempo. L’arredo era essenziale e di indubbio gusto; fra tutti gli elementi presenti, a poca distanza dalla sua poltrona, lo incuriosì una vetrinetta alta e slanciata che custodiva una collezione di pugnali d’argento dal cesello raffinato, probabilmente oggetti riportati da Generale in occasione dei suoi numerosi viaggi, oppure appartenuti da tempo alla famiglia Jarjayes. Alle proprie spalle, notò invece su una consolle con un elegante piano di marmo, un elaborato trionfo di figure mitologiche che sorreggeva un orologio dorato, dietro al quale un ampio specchio rimandava l’immagine dell’intero salone e delle ampie vetrate poste sulla parete opposta.
Si accomodò meglio sulla poltrona su cui sedeva, sfiorando con i polpastrelli le borchie lucide che fissavano la seta del rivestimento color porpora del bracciolo che poco prima copriva con il suo gomito. Appoggiando le spalle allo schienale leggermente imbottito per mettersi più a suo agio, alzò la gamba destra per accavallarla sull’altra, cominciando a ondeggiare il piede sospeso in un movimento lento e misurato, mentre le dita della mano destra prendevano a tamburellare ritmicamente sulla testa di leone intagliata dove il bracciolo della poltrona incontrava il suo sostegno.
Sulla quella stessa poltrona, ricordava bene, si era seduto quando il Generale aveva accettato di incontrarlo, accordandogli un incontro privato. Si era recato a palazzo nel tardo pomeriggio, all’orario indicatogli, ed era stato condotto in quello studio, dove aveva trovato il Generale già in attesa. Aveva percepito il suo sguardo di ghiaccio su di sé, e sull’elegante abito che aveva preferito alla consueta uniforme della Guardia Reale, perché in quel momento aveva scelto di essere Conte, piuttosto che Maggiore, e si era sentito come scrutato fino nell’animo, quasi fosse trasparente a quelle pupille indagatrici … In quello sguardo, severo e tagliente, aveva immediatamente riconosciuto quello della figlia, fiero e imperscrutabile, che per anni lo aveva trapassato come una spada ad ogni ordine impartito. Con lo stesso sguardo gelido e un tono fermo, il Generale, riducendo all’essenziale i convenevoli di rito, gli aveva poi chiesto direttamente “Accomodatevi, Conte Girodel. E ditemi, a cosa devo la vostra richiesta di incontrarmi?”
Ricordava distintamente il brivido che lo aveva colto all’udire quelle parole, e che si era impegnato con tutta la sua forza perché restasse nascosto agli occhi del Generale. Una lieve esitazione e poi un discorso preparato in ogni singolo dettaglio con la perizia di una battaglia, una parte recitata alla perfezione, secondo un copione studiato e provato più volte: un filo rosso teso tra il prestigio del proprio casato e quello della famiglia Jarjayes, l’elogio della carriera militare del Generale, l’espressione della massima stima nei confronti suoi e delle sue indubbie qualità militari e, infine, la richiesta della mano della figlia del Generale, con l’auspicio di potersi rendere degno di affiancare il proprio nome alla gloria della discendenza del Generale.
L’uomo non aveva mostrato subito una reazione tangibile, alla sua proposta, e il Conte non era certo rimasto sorpreso di questa imperscrutabilità. Quello tra di loro aveva avuto i tratti di un confronto condotto con la freddezza di una partita a scacchi, con mosse misurate e attentamente soppesate. Sapeva bene che di tutto il suo discorso elegantemente costruito, il Generale avrebbe selezionato poche parole, e che in quei pochi attimi avrebbe semplicemente vagliato e valutato la convenienza di quella proposta. Il Conte Girodel, negli stessi istanti infiniti tentò di leggere in impercettibili sfumature dello sguardo dell’interlocutore, un segnale che ne anticipasse le parole. Allora, forse infastidito da quegli sguardi indagatori, il Generale si era sollevato dalla poltrona e gli aveva voltato le spalle, mostrandogli le mani giunte dietro la schiena, poi aveva mosso qualche passo verso la vetrata. Era, quindi, rimasto in attesa, il Conte Girodel, per un tempo che gli era parso troppo lungo, perché potesse presagire una risposta affermativa. In quei momenti, tutto, attorno a loro, era scomparso, agli occhi del giovane Conte, che erano rimasti fissi sulla schiena del Generale.
Nel silenzio dell’ambiente, un respiro profondo del Generale aveva fatto intendere al Conte che l’uomo fosse giunto ad una decisione.
Girodel l’aveva visto voltarsi lentamente verso di sé, e aveva potuto riconoscere un lampo negli occhi dell’uomo da cui attendeva una risposta sul proprio futuro, proprio come un imputato che attenda la sentenza dal giudice.
“Bene. E’ con molto piacere che accolgo la vostra richiesta, Conte Girodel. Vi concedo la mano di mia figlia Oscar.” Poche parole, per sancire un accordo che valeva molto di più di un’eredità.
E poi un brindisi, con un vino scelto dal Generale fra i tesori della sua ricca cantina. Un brindisi ad un accordo tra famiglie di alto rango; un brindisi al successo di entrambi, in quella sfida tra uomini, in cui nell’accogliere una richiesta si riconosce implicitamente il valore di chi l’ha avanzata; e in cui formulandola si ha riposto fiducia chi poi l’ha accolta, intessendo un’ardita trama di alleanze e costruendo un ponte che conduca al futuro il buon nome delle famiglie alleate. Un matrimonio nobile era sempre un patto di reciproca stima, ma nel caso del Generale Jarjayes, era molto di più, perché in questa occasione era in gioco l’intera eredità della famiglia, insieme alla mano di quella figlia cresciuta come un militare, come l’erede designato del casato.
E, nel cuore del giovane Conte, quello era un brindisi alla sua personale vittoria, perché in quell’istante sentiva di aver ottenuto per sé non una semplice promessa di matrimonio, ma l’oggetto di un desiderio maturato in anni di silenziosa ammirazione.
Già, perché in cuor suo, il Conte Victor Clement de Girodel era giunto a decidere di avanzare la richiesta della mano di Oscar al Generale mosso da quello che riconosceva come un profondo sentimento, che sapeva avere radici lontane. L’irritazione iniziale di fronte a quella giovane donna, della quale conosceva la fama dovuta alla bellezza, e che lo aveva sfidato a duello, si era presto sciolta nel riconoscimento del suo valore, fino a rendere persino accettabile il fatto di sottomettersi a lei, divenuta suo superiore. Ritrovandola a Versailles in uniforme, dopo la sua personale sconfitta, Girodel aveva visto una donna differente da quella irriverente e ribelle che l’aveva sfidato. Non riusciva completamente a spiegarsi quale cambiamento l’avesse travolta, ma gli era chiaro che, tra l’iniziale rifiuto per la carica di Comandante delle Guardia Reale e il suo arrivo al servizio della Principessa, in quella donna fosse avvenuto un grande mutamento, del quale si rendeva, almeno in parte, merito. Certamente l’averlo sfidato e vinto, le aveva consegnato la corretta dimensione del suo valore d’armi …
 Forse proprio riconoscendo l’eccezionalità di quella giovane in uniforme che lo aveva battuto, Girodel aveva iniziato a sentirsi attratto dal suo comandante, a guardarla con occhi diversi e a vedere finalmente, al di là dell’uniforme, una donna dal fascino indiscutibile e unico. Averla di fronte a sé ogni giorno a Versailles, ricevere in prima persona i suoi ordini e poterla affiancare in ogni azione della Guardia Reale, aveva alimentato costantemente nel giovane un sentimento che le rigide regole militari avevano imposto di tener soffocato, ma che ugualmente era cresciuto nel suo animo. Il fatto che il Comandante non mostrasse debolezze, che avesse coraggio e determinazione, lo affascinavano, tanto quanto la sua innegabile prestanza fisica e l’abilità con le armi. La sua bellezza, esaltata dall’uniforme, aveva riempito per anni gli sguardi ammirati che Girodel aveva necessariamente imparato a nascondere; la fiducia che lei gli aveva concesso come suo secondo gli aveva dato speranza di essere riuscito a conquistare su di sé l’attenzione del suo Comandante.
Quando, dopo anni a capo della Guardia Reale, il Comandante Oscar François de Jarjayes aveva lasciato il suo ruolo, passando al Comando di un corpo della Guardia Permanente, Girodel era rimasto allibito. Si era chiesto se quella scelta potesse essere imputabile ad un suo comportamento, o alle mancanze di qualche soldato della Guardia Reale; le aveva chiesto spiegazioni cercando di farla tornare sulle sue decisioni … perché riconosceva in lei un ottimo comandante, certo, ma  soprattutto, e questo dovette ammetterlo con se stesso, perché non poteva accettare il fatto di non poter godere più della sua presenza, ogni giorno. Lei lo aveva scelto e indicato quale suo successore a capo della Guardia Reale e questo lo aveva colmato di orgoglio rendendolo certo della sua stima, del suo rispetto e delle sue attenzioni.
D’altra parte, il nobile Tenente Girodel, educato e raffinato nei modi, nelle parole e nei pensieri, era perfettamente consapevole delle proprie qualità e del proprio valore; un giovane di ottima famiglia e di indubbia bella presenza, capace con le armi e gradevole nella conversazione, che molte dame, a Versailles, avevano apprezzato più o meno apertamente, soprattutto dopo il suo passaggio a capo indiscusso della Guardia Reale di Sua Maestà il Re.
Questa piacevole consapevolezza di sé riempiva l’animo del Conte durante l’attesa solitaria, permettendogli di stemperare l’impazienza nel compiacimento per quanto lo stesse aspettando: la consacrazione del suo desiderio di avere per sé la donna che sentiva di amare, di meritare pienamente più di ogni altro uomo, e che, era certo, aveva dimostrato di considerarlo il più degno dei suoi compagni di armi. Sì, la figlia del Generale lo stimava, riconosceva il suo valore; e ora, sarebbe stata sua.
Questo solo pensiero fu sufficiente a farlo fremere. Nella sua uniforme impeccabile la figlia del Generale non aveva mai potuto celare completamente la curva gentile dei fianchi, né le forme tornite delle lunghe e agili gambe. Girodel aveva trascorso giorni e giorni studiando quelle linee sinuose nei suoi sguardi furtivi, celati nel rigore militare, ma non per questo soffocati. Conosceva bene il suo collo lungo e fiero, che si insinuava sottile nel colletto dell’uniforme lasciando a mala pena intuire l’incavo delicato posto alla sua base; sulla linea morbida di quel collo privo di pomo d’Adamo, Girodel aveva fantasticato, potendo solo cercare di immaginare cosa si celasse sotto la giubba dell’uniforme. Pur non avendo mai avuto la possibilità di sfiorare quella stoffa rossa e quegli alamari dorati, aveva maturato la certezza del fatto che, sebbene mortificate da quell’abbigliamento, il Comandante avesse curve morbide e seni pieni. Aveva colto la linea spezzata del profilo dell’uniforme sul suo petto, osservandola durante le parate, quando a schiena dritta gli si mostrava in tutta la sua fierezza, così come durante i duelli con la spada, quando i movimenti repentini delle braccia tendevano l’uniforme mal celando le curve che di solito restavano nascoste. Ciò che i suoi occhi di Tenente coglievano durante le ore di servizio, la sua immaginazione di uomo gli permetteva di sfiorare di notte, in sogni ricorrenti che colmavano quello che non era permesso nemmeno pensare di giorno.
Paradossalmente, dopo il trasferimento del suo Comandante alla Guardia Permanente di Parigi, i sogni di Girodel si erano fatti anche più insistenti,quasi insostenibili. Quelle mani bianche e affusolate, che aveva visto afferrare con forza inattesa e determinazione sorprendente l’elsa della spada, tornavano ogni notte a posarsi sulle sue braccia, in una carezza che continuava fino a svegliarlo di soprassalto, abbandonandolo alla triste realtà. Il tormento di quelle labbra che si mostravano così morbide e sensuali anche nell’impartire ordini, non gli aveva dato tregua, così come sapeva di impazzire al solo riaffacciarsi alla memoria dell’immagine dei capelli color del grano che, mossi dalla brezza, scoprivano quel lembo di pelle dietro l’orecchio, proibito ad ogni uomo che non sia un amante. Il suo turbamento di uomo era divenuto incontrollabile, tanto da averlo convinto che lui solo avrebbe potuto fare sua quella donna, perché lui solo ne sarebbe stato degno, unico tra i suoi militari che le era stato accanto, l’aveva seguita così da vicino e aveva meritato la sua stima incondizionata. Ora, anche grazie al proseguimento della sua carriera militare nella Guardia Reale, aveva potuto permettersi di avanzare la sua proposta di matrimonio … e finalmente poteva considerarla sua fidanzata a tutti gli effetti. Quella donna perfetta e unica sarebbe stata sua; avrebbe scoperto e assaporato quel corpo celato ad ogni altro uomo … L’avrebbe avuta al suo fianco di fronte alla corte e al mondo e l’avrebbe potuta amare nelle penombra della sua alcova, ogni notte, lontano dagli sguardi indiscreti degli altri uomini. Sua, solo sua.
Si scosse da quei pensieri, cercando di controllarsi e ricominciando a guardarsi attorno. La sua attenzione fu attirata da alcuni oggetti disposti ordinatamente su un tavolino piuttosto basso, posto a fianco della sua poltrona. In particolare, venne incuriosito da un mazzo di carte da gioco. Allungò un braccio per prenderle, le osservò passandole da una mano all’altra più volte, e infine le rimise sul tavolino, tenendone in mano solo due. Si sporse leggermente dalla poltrona in modo da arrivare al tavolino con entrambe le braccia, e dispose le due carte sul ripiano in legno, appoggiandole una all’altra, facendole rimanere in equilibrio. Ne prese altre due dal mazzo e le dispose ai lati delle precedenti, per conferire loro maggiore stabilità. Tolse dal mazzo altre due carte da gioco, disponendole accanto alle altre, di nuovo in equilibrio; e così proseguì con alcune coppie di carte, fino a disporle anche in un secondo livello. A quel punto si allontanò dal tavolino, facendo attenzione a non turbare l’equilibrio della sua opera, e guardando con soddisfazione il suo castello di carte. Aveva compiuto gesti precisi, con indubbia freddezza e abilità, e il risultato era stato ineccepibile, come sempre, quando perseguiva con impegno e determinazione un obiettivo.
Compiaciuto dai questi pensieri, e ora impaziente di raggiungere il suo più grande obiettivo, cioè di poter finalmente incontrare quella donna tanto desiderata e sognata, che presto sarebbe stata tra le sue braccia, Girodel si alzò dalla poltrona, avvicinandosi a quella stessa finestra davanti alla quale il Generale si era fermato, dandogli le spalle, mentre ponderava la sua richiesta, nel loro incontro. La finestra, come le altre due dello studio, era leggermente aperta; da lì gli era possibile ammirare buona parte dell’ampio giardino che dall’ingresso della tenuta della famiglia Jarjayes, conduceva al palazzo. Il vialetto d’accesso, superato l’imponente cancello di ferro battuto con decorazioni di bronzo dorato, procedeva senza curve, fino allo spiazzo antistante il palazzo, dove una ampia fontana circolare ingentiliva l’immagine piuttosto austera della facciata. Osservò come, oltrepassato il cancello, un altro vialetto si staccasse da quello principale, parzialmente nascosto dalla vegetazione, conducendo ad un corpo di fabbrica basso e distaccato, che dovevano essere le scuderie di famiglia e dove scorse la sua carrozza, con il cocchiere in attesa per il rientro. Certamente era lì, in quelle scuderie, che la figlia del Generale ricoverava il suo amato Cesar, lo stallone bianco che cavalcava con abilità indiscutibile. Un alito di vento fresco accarezzò piacevolmente il suo viso, portando con sé nello studio i profumi della vegetazione circostante il palazzo. Un fruscio alle spalle fece voltare il Conte, che constatò con disappunto come la stessa brezza leggera avesse fatto del suo ardito castello un disordinato sovrapporsi di carte … “Tanta dedizione, per nulla …” sussurrò tra sé.
Aggrottando le sopracciglia, tornò con lo sguardo al paesaggio; mentre si soffermava sulle scuderie, l’immagine del suo amato Comandante in sella a Cesar si fece reale ai suoi occhi. La vide giungere dal vialetto laterale, arrestare la corsa dello stallone di fronte alla scuderia e voltarsi verso il cancello d’ingresso, prima di scendere a terra. La vide fiera, mentre con un gesto rapido del capo, che riconosceva come tipicamente suo, portava i lunghi capelli d’oro dietro la spalla, per poi posare una mano sul muso di Cesar in una lenta carezza, come a complimentarsi con lui; non sembrava intenzionata a entrare nella scuderia, ma teneva restava immobile, voltata in direzione dell’accesso al parco.
Il Conte Girodel intuì il motivo della sua attesa, quando vide comparire dallo stesso vialetto da cui era giunta la figlia del Generale, un altro cavallo: questo era scuro, si era fermato accanto a quello bianco e ne era sceso un uomo in uniforme, apparentemente un soldato semplice. Aveva visto la donna restare qualche istante ferma accanto al soldato, che ora, per il confronto con la statura della donna, poteva intuire fosse piuttosto alto e slanciato, con i capelli scuri, che non arrivavano nemmeno alle spalle. I due sembravano intenti a discutere; probabilmente si trattava di un soldato al comando della figlia del Generale, almeno così si poteva desumere a giudicare dalla sua uniforme. Girodel sorrise: quella donna era ancora ligia al suo dovere di militare e non abbandonava i suoi compiti nemmeno quando faceva ritorna a casa …
Continuò a tenere gli occhi sulla donna e la vide consegnare le redini del suo cavallo al soldato, che poi si diresse nella scuderia accompagnandovi entrambi i cavalli, e immaginò che presto, finalmente, lei sarebbe rientrata a palazzo e l’avrebbe incontrata.
Desideroso di vederla al più presto, il Conte lasciò lo studio e percorse a grandi passi il breve corridoio che portava all’atrio di ingresso del palazzo; lo attraversò e varcò l’ingresso, lasciando il palazzo al proprie spalle. Aggirò la fontana, e si avviò verso la scuderia con passo elegante e portamento fiero, un unico pensiero nella sua mente: incontrare la sua promessa sposa, la sua fidanzata.
Percorrendo il vialetto alzò lo sguardo alla scuderia e si stupì di non vedervi la donna, là dove invece era certo di averla vista poco prima, quando aveva lasciato le redini del suo stallone al soldato. Si guardò attorno, scrutando tra i fusti che costeggiavano il vialetto, ma constatò che non vi erano altri percorsi che conducevano al palazzo, perciò si risolse che, certamente, lei dovesse essere entrata nella scuderia per un ultimo controllo e saluto all’amato Cesar.
Giunse fino all’ingresso della scuderia e vi si fermò, intuendo delle voci provenire dall’interno; si mise in ascolto, per qualche istante. Erano quasi certamente due sole voci, una voce femminile ed una maschile; tenevano un tono piuttosto basso, parlavano tra loro quasi sommessamente e, a tratti ridevano, senza che potesse però sentire distintamente di cosa stessero parlando. Sembrava che stessero scambiandosi battute divertenti, con estrema confidenza. Il Conte aveva pensato che potesse trattarsi della sua fidanzata, ma non riuscì a riconoscere in quella voce e in quell’atteggiamento quelli della donna che conosceva. Questa voce era più acuta, parlava più rapidamente e in tono informale … Probabilmente si era sbagliato e la donna che stava cercando si era recata altrove … ma dove?
Girodel rimase per qualche istante in attesa, sospeso tra il desiderio di incontrare finalmente la sua donna e l’incertezza di trovarsi nella tenuta del Generale, mosso dall’istinto, ma senza sapere esattamente dove poter andare ora che era giunto fino alla scuderia … Ponderò che fosse meglio tornare al palazzo, e nello studio, per attendere che la figlia del generale rientrasse … e lo raggiungesse. Così fece.
A passo spedito, come colto da una sensazione di disagio improvviso, mai provato. Ci sono azioni compiute d’istinto che nell’istante in cui vengono portate a termine appaiono poi in tutta la loro superficialità, e nel loro essere sbagliate, anche se solo un istante prima parevano inevitabili e corrette. Quella non era una situazione che gli era usuale: lui, misurato ed educato, non lasciava mai che il suo istinto avesse il sopravvento; era abituato a dominare l’istinto con la ragione; ora, invece,si era lasciato condurre dal sentimento che provava per la figlia del Generale, per il suo ex Comandante, e si trovava in questa situazione imbarazzante … Ora si sentiva come se quella mossa istintiva e avventata, lo scendere per incontrarla alla scuderia, si fosse rivelata fuori luogo, sbagliata, un errore imperdonabile.
Il Conte raggiunse gli scalini che salivano all’ingresso del palazzo e rimase lì, immobile, con un piede a terra e uno sul primo gradino, le braccia tese lungo i fianchi e i pugni chiusi, unica concessione al subbuglio interiore che lo devastava inconsciamente. Si voltò, come richiamato da una forza impossibile da ignorare, e alzò lo sguardo all’ingresso della scuderia.
Fu allora che la rivide. La donna bionda, che per anni aveva guidato i suoi giorni e turbato le sue notti, stava uscendo in quell’istante dalla scuderia, fiera e sorridente come non l’aveva mai vista. A stento la riconobbe, sembrava un’altra donna, nello stesso corpo, nella sua uniforme. Gli apparve in tutta la sua bellezza, con un sorriso radioso e femminile sulle labbra tese, i movimenti sciolti, armoniosi. Il suo viso era rivolto all’uomo al suo fianco, il soldato visto poco prima, che avanzava insieme a lei, così vicino da poterle tenere una mano sulla spalla, in una specie di abbraccio appena accennato. Anche lui era rivolto verso di lei, i loro visi vicini, i loro sguardi uno nell’altro, i loro sorrisi legati in modo complice.
A quella vista, e solo in quell’istante, si rese conto che quella non era l’immagine della donna che aveva conosciuto e di cui aveva chiesto la mano al Generale Jarjayes. Quella donna che avanzava insieme al soldato era quella che a lui non era mai stato concesso di conoscere, quella che veramente si nascondeva sotto l’uniforme e con la quale aveva trascorso anni alla Guardia Reale. Era ancora fiera, era bellissima ed elegante; ma in quell’istante era davvero sé stessa, autentica, libera, e, soprattutto, visibilmente donna; forse più simile alla donna che lo aveva sfidato, che a quella che lo aveva comandato.
Girodel si accorse di come il suo sentimento si fosse nutrito per anni di gesti e sguardi dettati dalla circostanza, dall’uniforme e dalle regole militari, senza che davvero quella donna gli si fosse mostrata come stava facendo adesso al braccio di quel soldato.
Li vide avvicinarsi, sempre intenti a parlare tra di loro, anche se l’uomo aveva tolto la mano dalla spalla della donna, sempre rapiti l’uno dallo sguardo dell’altra, fino a che non giunsero a pochi passi da lui e, intuita una presenza sui gradini di ingresso al palazzo, alzarono entrambi lo sguardo su quella figura inattesa.
Il Conte solo allora riconobbe nel soldato al fianco della figlia del Generale quello che un tempo era stato il fedele attendente del suo Comandante; lo guardò con sguardo fiero, senza parole, quasi rivendicando i suoi diritti sulla donna che stava accompagnando, con quell’unica occhiata severa. Poi spostò lo sguardo sulla donna e si accorse, con malcelata delusione, che il sorriso che prima le illuminava il volto, ora che lei gli si era rivolta, si era spento sulle labbra divenute tese quasi in una smorfia di disappunto, mentre portava la sua mano affusolata sulla spalla del soldato, come a trattenerlo accanto a sé.
Istanti silenziosi, tesi e intensi, in cui il Conte comprese come quella certezza di  possesso che ai suoi occhi nobili era concreta e tangibile, di fronte alla reale presenza della donna era divenuta effimera e evanescente. Gli fu chiaro, scrutando nello sguardo limpido della donna, che nessun accordo con il Generale avrebbe mai potuto condurla alla sua mano, tra le sue braccia, nella sua alcova. Lei non si stava nascondendo ai suoi occhi, ma con fiera coerenza gli si stava mostrando nel suo essere libera, nelle sue scelte, nonostante la rigida educazione ricevuta, così come non l’aveva mai vista prima.
Il Conte sciolse i pugni, che fino a quel momento aveva tenuto stretti. La  mano sinistra della donna, dalla spalla dell’uomo in uniforme, scese lentamente lungo il proprio fianco e poi si appoggiò all’elsa della spada, in un atteggiamento rilassato, mentre il soldato manteneva il suo sguardo verde e trasparente sul viso del Conte, senza timore, né sfida.
“Buona sera, Conte Girodel. – disse finalmente la donna con fare pacato – A cosa dobbiamo la vostra visita?”
Ancora un attimo di esitazione del giovane Conte, mentre di nuovo una leggera brezza, si sollevava, muovendo dolcemente i suoi lunghi capelli, e sollevando leggermente quelli biondi della donna, che chiuse gli occhi compiaciuta di quello scompiglio inspirando profondamente. Una ciocca mossa dalla brezza finì sul viso della donna in uniforme; il Conte osservò il soldato alzare d’istinto la mano per scostarla, sistemandola con un gesto delicato come una carezza, e a quella vista abbassò lo sguardo, quasi con composta rassegnazione.
“Non vi incontravo da molto tempo, Madamigella – rispose finalmente il Conte con tono gentile e forzatamente misurato – e desideravo parlarvi ma … credo non ce ne sia più necessità.”  Poi aggiunse, con un velo di tristezza che non passò inosservata alla donna “Vi trovo molto bene, siete radiosa, come non vi ho mai vista … e non posso che esserne felice a mia volta, per voi. Arrivederci Madamigella.”  Poi rivolto al soldato, chinò leggermente il capo in segno di saluto aggiungendo “André …”.
“Arrivederci a voi, Conte Girodel …” salutò Oscar, mentre André rispondeva sorpreso al Conte con un uguale cenno del capo.
Videro il Conte dirigersi lentamente verso la scuderia, a fianco della quale ancora stazionava la carrozza con cui era giunto a palazzo. Restarono a osservarlo mentre, raggiunta la carrozza, si voltava nella loro direzione un ultima volta, prima di risalire sulla vettura che, all’ordine del cocchiere, partì lasciando la tenuta di palazzo Jarjayes.
L’uomo e la donna tornarono a guardarsi, sorpresi di quella apparizione inattesa, poi entrarono nel palazzo insieme, mentre di nuovo la brezza tornava a soffiare leggera.
 
  
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