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Autore: Katonoffirecrow    26/07/2014    1 recensioni
Dopo 20 anni dalla sconfitta di un indicibile male, che sconvolse le terre di Equestria, e la capitale del mondo umano, sembrava che finalmente la pace avesse trovato un fondamento sulla Convenzione dell'Unicorno, stipulata dalle principesse del regno di Equestria e dal presidente dell'U.U.G. (Unione Umana Globale). Seppur ancora ostici i contatti tra umani e pony sembrano essere quasi ad una svolta, ma l'ombra del male è sempre in aguato, pronta a manifestarsi sotto varie forme, ed è da questi fenomeni che la nostra leggenda comincia.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Le sei protagoniste, Nuovo personaggio, Princess Celestia, Princess Luna, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alzai lo sguardo alla luna piena, osservandola in tutta la sua bellezza nel cielo limpido e stellato.
Per un breve momento ebbi l’impressione di vedervi impressa la sagoma di quella puledra, Nighmare Moon, la famosa sorella minore di Celestia corrotta dagli elementi dell’armonia o qualcosa del genere.
Non ero molto propenso ad ascoltare le dicerie provenienti da Equestria, in quanto mi sono sempre limitato a svolgere il mio compito di Tenente senza destare particolare attenzione a tutto ciò che mi circondava allora come adesso, perdendo sempre più di vista le cose realmente importanti della mia vita.
Un grave errore, e forse l’unico rimpianto che mi porterò nella tomba.
Le urla gioiose, i suoni ed i profumi della festa della Cerimonia dell’Unione che si stava svolgendo nel centro della città mi giunsero all’orecchio, intaccando la quiete del cimitero di Capitol Seven.
Non mi trovavo in quel posto per errore, e nemmeno per colpa di una sbronza.
Il motivo era un altro; loro mi stavano aspettando.
Continuai a camminare in silenzio tra le lapidi dei caduti dello scontro di vent’anni prima guardandomi intorno, constatando come fossi l’unico presente in quella quiete quasi soprannaturale, quando finalmente le vidi entrambe poco distanti da me.
Sembravano guardarmi, rimaste ferme nello stesso punto per tutto quel tempo come per attendere il mio ritorno.
Mi avvicinai con passo sostenuto tenendo lo sguardo puntato su di loro; Elizabeth e Cloud Dawson.
Un nuovo rimpianto si aggiunse alla mia lista nel momento in cui le vidi.
«Papà è tornato…» sussurrai, per non intaccare la tranquillità del posto.
Iniziai a maledire con tutto me stesso quel dannato giorno, odiandomi a mia volta per non essere riuscito ad arrivare in tempo per loro; tutto ciò di più prezioso che avevo al mondo.
Mi chinai sulle due lapidi restando in silenzio, strappando qualche erbaccia che copriva alcune lettere del nome di mia moglie.
Fu in quel momento che i raggi della luna iniziarono ad illuminarle entrambe sotto il suo magico bagliore come un buffo segno del fato.
Sembrava come se volesse dirmi “non essere triste, ci sono io con te”.
«Sempre insieme…».
La sua calda voce iniziò a pervadermi la mente, facendo riaffiorare in me tanti ricordi di un passato ormai andato distrutto vent’anni fa.
«Sempre insieme nonostante tutto. Come dicevi tu, Elizabeth…».
Poggiai la mano sulla sua lapide mentre una lacrima mi corse lungo la guancia.
«Ho mantenuto la mia parola. Sono tornato anche questa volta… di nuovo insieme…».
Puntai lo sguardo verso la yomba vuota di Cloud.
«Sono già passati vent’anni…».
Un flebile vento mi scompigliò i capelli in quel momento, portandosi via con sé una mia lacrima e carezzandomi il volto con la sua stessa delicatezza, facendomi tornare a rivivere una dolce sensazione già provata in passato e che mai avrei dimenticato per il resto della mia esistenza.
«Elizabeth… Cloud…spero possiate mai perdonarmi…».
Chinai la testa osservando le mie stesse lacrime bagnare il terreno.
«Non si comprende mai il vero valore di qualcosa, fino a quando questo non ti viene strappato via…».
All’improvviso udii una risata giungermi da dietro le spalle seguita dal suono di una pistola alla quale venne caricato il colpo in canna.
«Una scena commovente Tenente, davvero degna di nota. Hai mai pensato di recitare ?».
Quella voce così fredda mi fece tornare alla realtà, mentre i ricordi gioiosi del mio passato si dissolsero lentamente nella mia mente.
«Chi sei ?» chiesi rimanendo immobile, quando un improvviso colpo centrò in pieno la lapide di mio figlio sull’iniziale del suo nome.
Una seconda risata mi raggiunse subito dopo.
«Non credo ti possa interessare granché, visto che a breve i cittadini troveranno un terzo cadavere vicino a queste due lapidi».
Un altro colpo raggiunse anche la lapide di Elizabeth davanti ai miei occhi. Fu come morire una seconda volta per me.
«Coraggio, alzati. Non aver paura, non colpisco mai un uomo che mi da le spalle ».
Rimasi immobile, osservando in silenzio le due lapidi raggiunte dai proiettili di quel cane alle mie spalle.
L’aver assistito a quella scena mi svuotò di tutta la tristezza che avevo in corpo fino a quel momento, lasciando abbondante spazio ad un’altra emozione ben più distruttiva e difficile da reprimere.
Feci come mi disse, rialzandomi e dando le spalle al mio misterioso aggressore.
«Elizabeth… Cloud…».
Strinsi i pugni, ascoltando i suoi passi farsi sempre più vicini fino a sentire il cane venir caricato.
«Prima che tu lo faccia… perché ?».
«Oh, nulla di personale Dawson. Diciamo che c’è gente più in alto di te che ti ritiene una potenziale minaccia per i suoi progetti, così come i tuoi due adorati pargoli. Ma non temere, presto anche loro ti raggiungeranno, così potrete riunirvi tutti quanti nell’alto dei cieli».
Sbarrai gli occhi all’udire quelle parole, mentre sentii la canna della pistola poggiarsi alla mia testa.
«Ultime parole ?».
Feci un respiro profondo, abbassando lo sguardo sulle due lapidi di fronte a me.
«Sei un povero idiota…».
«Che cos-».
Mi voltai di scatto verso il mio aggressore, bloccandogli il braccio ed esercitando quanta più forza potevo sul suo gomito fino a sentirne il rumore delle ossa spezzarsi di netto, accompagnato dalle sua urla di dolore.
Subito dopo gli strappai la pistola di mano, osservandolo portarsi l’altra mano sul braccio rotto digrignando i denti.
Lo fissai dritto in volto osservando incredulo la giovane figura che mi si prestava davanti; un teppistello uscito da poco dall’età dell’adolescenza.
«Il mio braccio! Guarda che cosa mi hai fatto!».
Storsi il naso incredulo. Un moccioso che si improvvisa killer, roba da non credere.
«Regola n.1 ragazzo, mai abbassare la guardia contro il tuo avversario…» dissi, avvicinandomi a lui e colpendolo in pieno sul naso con il calcio dell’arma, ascoltando le sue urla mentre cadde a terra dal dolore con il volto completamente insanguinato.
«AAAAAHH! Il mio naso! Il mio naso!… C-Come osi colpire con tanta crudeltà un povero ragazzino come me?!» urlò.
«Un povero ragazzino, uh?…».
Mi avvicinai a lui, costringendolo a terra con il piede poggiato sul suo petto.
«Quanti anni hai?».
Mi fissò con astio, sputandomi del sangue sul pantalone come segno di ribellione. Tipico dei giovani d’oggi.
«Forse non hai capito la domanda… vediamo se così ti è più chiaro…».
Alzai la gamba e gli pestai nuovamente il petto con tutta la prepotenza che avevo, ascoltandolo lanciare un urlo di dolore.
«V-Ventidue…» mormorò nuovamente tossendo.
«Così giovane…» sospirai. «Bravo, è già un inizio. Ora ho un’altra domanda, e sono certo che mi risponderai da bravo ragazzino, vero?».
«Fottiti, maniaco bastardo!».
Lo fissai furioso dritto negli occhi. Aveva fegato quel ragazzino, lo ammetto.
«Va bene…» mormorai, caricando la pistola e puntandogliela al ginocchio sinistro.
«Fermo! No! Che vuoi fare?!».
«Vedi… per la legge, raggiunta la tua età, posso tranquillamente pestarti a sangue ed addirittura ucciderti, giustificando il mio atto come “difesa personale”…».
«Che cosa?!».
«… A meno che tu non decida di collaborare».
«Balle! Non ti crederà nessuno!».
«Tu credi? E’ la tua parola da teppistello contro quella di un Tenente, a chi pensi che crederà la gente?».
All’udire la mia domanda il ragazzo sgranò gli occhi incredulo. Gli potevo leggere nello sguardo tutta la paura che provava in quel momento.
«Questo… questo è abuso di potere!».
«Può essere…» sghignazzai. «… ma dato che hai cercato di farmi fuori, e per lo più non vuoi collaborare, dubito che puoi tornarmi utile…».
Caricai il cane della pistola, pronto a far fuoco, quando le sue urla mi supplicarono di fermarmi.
«Fermo! Ti prego! Aspetta!».
Sogghignai all’udire le sue parole.
«Chi ti ha ingaggiato?».
«C-Cento bit!» balbettò terrorizzato.
«Come?».
«Cento bit!» ripeté. «Mi… mi hanno offerto 100 bit per il lavoro!».
«Cento bit…» ripetei io, alzando lo sguardo e voltandomi verso le lapidi dei miei cari. «… Cento bit…».
«T-Ti prego! Ti prego lasciami andare! Farò finta che tutto questo non sia mai successo! Ti prego!» piagnucolò.
«Dov’è finito il tuo caratteraccio da macho, uh?» gli ringhiai, posando lo sguardo su di lui e chinandomi sul suo petto, afferrandolo per i lunghi capelli verdi e sollevandolo di peso.
«Hai sparato alla lapide di mio figlio e di mia moglie… le hai rovinate per 100 merdosi bit!…».
Lo spintonai subito dopo, lasciandolo andare e facendolo cadere col sedere sul terreno.
«Ti preg-».
Non gli diedi il tempo di completare la frase che lo colpii con un pugno in pieno viso, costringendolo nuovamente a terra, subendomi le sue lagne.
Subito dopo lo riafferrai nuovamente per il colletto della maglia sudicia che indossava e me lo portai viso a viso, fissandolo dritto nelle pupille.
«Te la farò pagare per quello che hai appena fatto!… Al confronto, l’inferno ti sembrerà un parco giochi per bambini!».
Scosse leggermente la testa tremando come una foglia, quando un assordante colpo esplose come un tuono poco distante da noi.
Udii i suoi lamenti subito dopo, osservando il ragazzo cadere in ginocchio sotto i miei occhi mentre dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue.
Una grossa chiazza rossa comparì nello stesso istante sul suo petto, proprio nel punto in cui gli si poteva intravedere fin troppo chiaramente un grosso buco.
«Un cecchino!».
Alzai lo sguardo verso una collina poco distante quando un piccolo lampo, seguito da un secondo potente colpo, esplose sotto al mio sguardo.
Mi scostai in tempo per evitare il proiettile che, tuttavia, mi sfiorò la guancia destra ferendomi.
Il ragazzo non era solo.
Mi riparai dietro ad un albero vicino in attesa di udire altri spari ma, per mia fortuna, quelli furono gli unici due colpi che esplosero.
Uscii dal mio riparo, abbassando lo sguardo sul corpo senza vita del ragazzo davanti ai miei piedi.
Mi chinai su di lui, poggiandogli la mano sul viso e chiudendogli gli occhi, mentre sentii crescermi dentro una rabbia indescrivibile.
La presenza di un cecchino in una situazione simile può significare una sola cosa.
«Qualcuno voleva essere certo che il lavoro venisse portato a termine…».
Mi rialzai, infilandomi la pistola nella cinta dei pantaloni e volgendo lo sguardo verso le due lapidi alle mie spalle.
«”Così come i tuoi due adorati figli…”».
Sbarrai gli occhi. Forse avevo capito tutto. Ma mi occorrevano prove per confermare la mia teoria. E di certo non potevo agire d’impulso.
«Questa volta la pagherai cara…» ringhiai, stringendo i pugni e volgendo lo sguardo verso la città.
Corsi lungo il sentiero per raggiungere l’uscita del cimitero, accompagnato da un vento caldo che mi smosse i capelli con la sua familiare delicatezza. Sembrava volesse salutarmi un’ultima volta.
«Questo non è un addio…» mormorai.
Arrivai alle porte del cimitero scorgendo la mia spada trafitta nel terreno, esattamente dove l’avevo lasciata prima di entrarvi.
L’afferrai e la riposi nel fodero sulla schiena correndo in direzione delle porte della città.
Se i miei sospetti erano giusti non avevo tempo da perdere; Grifus andava avvertito quanto prima, ed i miei figli avevano bisogno di me.
«La mia lama presto assaggerà il tuo sangue, maledetta carogna!».
Centinaia di domande iniziarono ad assillarmi numerose in quel momento, confondendomi sempre più.
« Perché? A quale scopo? Un’alleanza segreta con Equestria? Che cos’aveva in mente quel folle? »
Arrivai presto alla festa nel centro della città.
I ministri erano tutti presenti, lo si poteva capire dalle auto presidenziali posteggiate in un angolo improvvisato a parcheggio e tenuto sotto controllo da numerose guardie che mi salutarono con il nostro saluto militare.
«Buonasera Tenete Dawson».
«Fatevi da parte! Non ho tempo da perdere!» urlai loro, scavalcandoli e ritrovandomi in balia del chaos più totale.
In ogni direzione in cui posavo lo sguardo non vedevo nient’altro che gente allegra e spensierata che chiacchierava con amici e conoscenti, giovani ragazzi che festeggiavano nelle maniere più blasonate, talvolta anche vecchie conoscenze e compagni militari ormai in pensione.
Non avevo idea di come avrei fatto a trovare Grifus nel bel mezzo di quel macello.
«Non posso arrendermi!».
Presi coraggio e mi buttai nel bel mezzo della mischia, facendomi strada tra i cittadini e cercando di non farmi fermare da nessuno, anche se si rivelò essere un’ardua impresa.
In men che non si dica venni circondato dai cittadini e dai miei vecchi compagni, tutti gioiosi di vedermi per porgermi i loro saluti e ringraziamenti per il mio servizio svolto fino a quel momento.
Cercai di evitarli per quanto meglio potevo, ignorando le loro parole e limitandomi a fare svariati accenni con la testa nella speranza di potermeli togliere tutti di mezzo, quando un’irritante e familiare voce giunse alle mie spalle.
«Guarda guarda chi c’è, il Tenente Dawson!… Come sta Tenente? Chi non muore si rivede!».
Mi voltai verso quell’essere che tanto non sopportavo osservando il suo viso asiatico da schiaffi.
Di tutte le persone che non volevo vedere in quel momento, lui era quello che più di tutti non potevo sopportare.
«Ministro…» gli ringhiai, cercando tuttavia di mantenere un’espressione il più pacifica possibile.
La sua sola voce mi faceva prudere le mani in una maniera indescrivibile.
«… Ha proprio detto bene… chi non muore si rivede…» mormorai avvicinandomi a lui, quando venni fermato da due sue guardie in giacca e cravatta che mi si posero davanti.
«Non può avvicinarsi al Ministro in questo stato, signore ».
Abbassai lo sguardo su quel cane che vidi fissarmi a sua volta con aria divertita, circondato da decine di ragazze che, sicuramente, erano più attratte dai suoi soldi che dal suo aspetto.
«Ma certo…» risposi, indietreggiando di qualche passo. «… Si goda la festa Ministro, tanto ha ancora ben poco da ridere » sogghignai furioso.
«Molto divertente, Tenente. Vogliamo invece parlare di lei?».
«Che cosa intende dire?».
«Oh beh, tanto per cominciare, con quale sfacciataggine si permette di presentarsi ad una festa armato come un militare che sta per andare in guerra? Ha forse paura di Kryserion?» ridacchiò divertito.
La mano mi tremava. Ardevo dalla voglia di affettarlo come un salame per togliermelo dai piedi una volta per tutte, ma dovetti trattenermi.
«Sono in servizio…» mi limitai a rispondergli. «… E non ho tempo da perdere dietro ad un verme come te. Ho cose più importanti a cui pensare! ».
All’improvviso le luci che illuminavano il centro della città si spensero in sequenza, lasciando ben presto gli invitati al buio.
La piazza centrale venne illuminata dalla pallida luce lunare, mentre l’improvvisa voce di Grifus attirò la mia attenzione.
«Signori invitati vi prego di non allarmarvi, si tratta di un semplice blackout. A breve la corrente verrà ripristinata!».
Iniziai a correre in direzione della sua voce facendomi strada tra i cittadini.
« Presidente Grifus! Signor Presidente!» urlai, sperando di riuscire ad attirare la sua attenzione.
«Uh?… Questa voce… Dawson?».
Finalmente lo vidi; fermo nel bel mezzo della piazza con a seguito tutti gli altri ministri e numerose guardie.
«Tenente Dawson! Qual buon vento la porta qui?».
«Signore, ho delle cose importanti da…».
Un gelido vento si alzò all’improvviso, ribaltando sedie e tavoli e costringendomi a coprirmi gli occhi con la mano.
«Che diavolo sta succedendo?!».
Quando potei riaprire finalmente gli occhi ascoltai curioso le numerose urla di terrore che si sollevarono dalla piazza, mentre la gente iniziò a correre in ogni direzione creando caos e confusione.
«Ma che…».
«Tenente Dawson! Dietro di lei!» urlò Grifus, costringendomi a voltarmi per osservare attonito la figura di quel maledetto cavaliere che mi fissò in silenzio.
Da quella sua sottospecie di elmo che indossava riuscii a scorgergli soltanto gli occhi; gli stessi occhi malevoli che avevo intravisto vent’anni prima e che mai avrei potuto dimenticare.
«Kryserion…».
La sua immagine fece riaffiorare in me tutti i ricordi, gli incubi e la distruzione che quel maledetto si era portato dietro anni prima.
«Si allontani Presidente! Qui non è sicuro!» urlai, senza distogliere lo sguardo dal cavaliere poco distante da me, il quale mi continuò a fissare in silenzio portandosi la mano aperta all’altezza del petto.
Mi portai la mano dietro alla schiena, stringendo il manico della spada ed estraendola con prontezza, pronto ad un eventuale scontro.
Non potevo e non avrei permesso il ripetersi degli eventi una seconda volta; quel mostro andava fermato.
Un alone violaceo comparve al suo fianco improvvisamente, mutando ed assumendo le sembianze della sua spada che strinse nella mano destra, puntandola poi verso di me.
«Ci incontriamo di nuovo, Tenente… ti trovo invecchiato…» ringhiò il mio nemico con voce grottesca.
«Che cosa vuoi ancora Kryserion ?!» tuonai di tutta risposta, cercando di trattenere repressa in me l’ira ed il forte desiderio di vendetta che provavo in quel preciso istante.
Non potevo commettere errori, non in quel momento.
Grifus andava protetto, ed io, nonostante le mie capacità, non ero in grado di tener testa a quel mostro.
Dovevo trovare un modo per far allontanare dalla piazza il Presidente incolume.
«Non sono giunto in questo marciume per prendere le vostre vite, non questa volta…».
«Che cosa ?!».
Alzò la spada in cielo in quel momento, facendomi temere il peggio.
«Vi porto un messaggio…» sogghignò.
Che diavolo stava blaterando quel mostro?
«… PRESTO IL GRANDE E POTENTE XANATHOS, SIGNORE DEGLI INFERI E PADRONE DI QUESTE MISERABILI TERRE, TORNERA' A MARCIARVICI CON I SUOI ESERCITI!».
All’udire quel nome mi si ghiacciò il sangue.
Ricordavo fin troppo bene quella mostruosità, e l’idea di un suo potenziale ritorno mi inquietò non poco. Se quello che stava dicendo Kryserion era vero, era davvero la fine per tutti, Equestria compresa.
«Xanathos è morto! Tu e Sharlade siete solo due folli!» urlai furioso, stringendo nella mano la spada ed ascoltando il cavaliere ridere bellamente di me.
«Siete voi i folli!… Inchinatevi dinanzi al potere del mio signore, o perite sotto la mia lama!».
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi lanciai contro quel folle nel disperato tentativo di colpirlo, quando lo vidi parare prontamente il mio colpo con la sua stessa spada.
Sembrava non sforzarsi nemmeno più di tanto, dato che, con una sola mano, stava riuscendo a mettermi in difficoltà.
«Inchinati davanti al mio signore, o muori!» ringhiò nuovamente il mio nemico fissandomi con quei suoi occhi assatanati, costringendomi lentamente a terra con la sua forza.
Cercai disperatamente di oppormi, ma fu del tutto inutile.
«No, mai! Non mi inchinerò MAI di fronte ad un essere mostruoso come Xanathos!» tuonai furioso afferrando, in quel momento, la pistola che tenevo nella cinta, puntandola poi verso il viso del mio nemico.
«Assaggia questo, mostro!» ruggii, quando un colpo mi raggiunse allo stomaco costringendomi a piegarmi dal dolore. Quel farabutto mi aveva colpito con un calcio.
«Patetico sciocco…».
Il mio braccio venne improvvisamente posseduto da quella che presumevo essere la forza del cavaliere; quel cane bastardo stava indirizzando la pistola con tutto il mio braccio verso la folla.
Cercai disperatamente di ribellarmi alla volontà di Kryserion, ma purtroppo fu del tutto inutile.
Gli invitati correvano un grave pericolo.
Il mio braccio si fermò all’improvviso, mentre il dito si posò dolcemente sul grilletto della pistola portandomi a volgere lo sguardo verso il potenziale bersaglio che avevo sotto tiro.
Come vidi a chi sembrava essere destinato il colpo in canna rabbrividii all’istante, cercando in tutti i modi di oppormi alla mostruosa forza che mi assaliva in quel momento.
«No! NO! NOOO!!… Grifus, scappi! Non resti qui! E’ pericoloso!».
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, fissando attonito il Presidente osservare il mio braccio tremante e l’arma rivolta verso di lui.
Se ne stava lì, fermo, a pochi metri di distanza. Il suo sguardo saettava tra la pistola e me.
In quel preciso momento immaginai le tragiche conseguenze che sarebbero potute scaturire dalla sua morte; ogni cosa mi passava davanti come un patetico filmino.
«No!… Si sposti signor Presidente! Si spo-».
Lo sparo tuonò nell’aria con prepotenza, lasciando posto ad un silenzio quasi tombale che si tramutò in urla di terrore da parte degli ospiti alla vista del corpo di Grifus disteso a terra.
Era la fine.
«NOOO!!».
«Davvero commovente, Tenente…» ringhiò Kryserion alle mie spalle, mentre avvertii il braccio liberarsi dalla morsa della sua forza.
Caddi in ginocchio, lasciando andare la pistola che cadde sul terreno tra le mie gambe, mentre dentro di me ribollivo dalla rabbia.
Fissai incredulo il corpo di Grifus, non poteva essere vero.
«Tu… maledetto bastardo!… Tu…».
Pestai i pugni a terra con rabbia, stringendo i denti e chinando la testa.
Il Presidente non poteva essere morto, sicuramente stava solo facendo finta.
Non poteva finire tutto così. Avevamo lottato per mantenere la pace e l’armonia all’interno della città, ed ora tutto era andato a farsi fottere.
«Tu… LA PAGHERAII!!».
Strinsi nella mano il manico della spada, rialzandomi e voltandomi furioso verso il cavaliere, preparandomi a colpirlo con un fendente che incrociò prontamente la lama della sua stessa arma che parò il mio colpo.
«Quanta rabbia… e quanta forza sprecata!» rispose il mio avversario, colpendomi in pieno viso con un pugno che mi costrinse ad indietreggiare, seguito da un calcio che mi scagliò contro una tavolata abbellita di tutto punto con ogni sorta di dessert che mi si ribaltò addosso.
«Davvero divertente questo buffo teatrino! Resterei volentieri, ma ho cose ben più importanti da fare che star qui a perdere tempo con un pagliaccio come te!» ringhiò Kryserion, allungando il braccio e mostrandomi l’anatema della Chimera che comparì nella sua mano.
«Ma quello…».
«Sono certo che Xanathos gradirà con molto piacere questo vostro dono…» sghignazzò allora il cavaliere, mentre mi rialzai dolente tenendo ben stretta nella mano la spada.
«Lascialo immediatamente!» urlai, correndogli incontro e preparandomi a colpirlo con un secondo fendente che, inutile a dirlo, mancò il colpo.
Il corpo del mio rivale svanì nel nulla in una densa coltre di fumo violaceo, portandosi via con sé l’anatema della Chimera.
Avevo fallito.
«Non può essere…».
In quell’istante un lamento mi giunse all’orecchio, proveniva da dietro le mie spalle.
Mi voltai sorpreso, osservando sollevato il Presidente in un suo vano tentativo di rialzarsi. Grazie al cielo stava bene, ma necessitava di cure.
«Signor Presidente! E’ vivo!».
Riposi la spada nel suo fodero dietro alla schiena, avvicinandomi al corpo di Grifus quando venni fermato da due guardie grosse quanto armadi.
«Non si azzardi ad avvicinarsi al Presidente, Tenente Dawson!» tuonò la fastidiosa voce del ministro C.B. cogliendomi di sorpresa.
Mi voltai verso quell’odioso essere fissandolo con astio.
«Che cosa?! Come osa…».
«Come osa lei, Tenente!» rispose C.B. zittendomi «Ha sparato al Presidente! Si rende conto dell’atto che ha appena compiuto?!».
Stentavo a crederci, quella carogna mi stava incolpando di un qualcosa che non avevo fatto.
«Mi sta accusando di aver sparato a Grifus?! Si rende conto della cazzata che sta-».
«Guardie! Arrestate quel traditore !».
In breve tempo venni circondato da una decina di guardie armate fino ai denti che mi puntarono contro i loro fucili. Non potevo crederci a ciò che staba accadendo.
«Io non sono un traditore, lurida carogna bastarda!» ruggii furioso, volgendo poi lo sguardo alle guardie tutt’intorno a me.
«Abbassate le armi, voi! E’ un ordine!».
Le mie parole vennero del tutto ignorate dai soldati, che mantennero le proprie posizioni tenendomi sotto tiro.
«Vi ordino di abbassare quelle maledette armi, dannazione!» ripetei spazientito, quando finalmente capii.
Era ovvio. Quel cane schifoso di un ministro si era comprato in un qualche modo i miei uomini. Ecco spiegato il motivo di tutto questo.
Quello stronzo voleva tagliarmi fuori dai giochi, e ci era riuscito benissimo.
Perlomeno, il Presidente stava bene. Questo bastava come conforto.
Uno dei soldati mi si avvicinò, prendendomi per i polsi ed ammanettandomi sotto i fucili di tutti gli altri suoi compagni che seguivano l’evolversi della scena in silenzio.
«Mi dispiace signore…» farfugliò la guardia a capo chino, intendo a chiudermi i polsi nelle manette.
Il mio sguardo cadde sul ministro poco distante da noi. Il bastardo se la stava ridendo sotto ai baffi, alla vista della mia cattura.
Non poteva finire così. C.B. aveva qualcosa in mente, ed io dovevo capire cosa.
«Dispiace anche a me, soldato…» risposi a bassa voce, osservando la guardia alzare gli occhi su di me guardandomi con aria confusa.
Lo colpii con violenza alla tempia con entrambi i pugni, disorientandolo, avvinghiando poi la catena delle manette intorno al suo collo e stringendo sempre più la presa.
«Avresti mai detto che uno strumento utile per rendere inoffensive le persone potesse essere così pericoloso? Uh?» ringhiai, puntando nuovamente lo sguardo verso il ministro.
Osservare la sua espressione incredula era più appagante di una nottata a letto con una bella donna.
«Abbassate le armi, o lo faccio secco!» tuonai furioso, osservando i soldati puntare i propri sguardi verso C.B. sconvolto. Sembrava quasi spaesato, il maledetto.
«Ordini signore ?» gli domandarono gli uomini, mentre il mio sguardo appagato ora incrociava quello ricolmo di terrore del ministro.
Sghignazzai divertito in quel momento. «Fate come vi dico, o vi giuro che ammazzo il vostro amico! Non sto scherzando!» urlai nuovamente, fissando poi C.B.
«Ministro, dia loro l’ordine di abbassare le armi!».
All’udire le mie parole lo vidi fissarmi di rimando in modo cagnesco. Gli rodeva il fegato alla vista dell’improvviso capovolgimento della situazione, ne ero certo.
«Coraggio!».
Strinsi la catena intorno al collo del ragazzo quasi soffocandolo. Potevo sentire fin troppo chiaramente i suoi lamenti.
«Mi dispiace ragazzo, ma non ho altra scelta» gli sussurrai.
Una macchia simile nella mia carriera non me la sarei mai perdonata. Mi doleva dover fare del male ad uno dei miei uomini, ma se volevo assicurarmi la fuga, era l’unica possibilità che avevo.
«Fate come dice! Abbassate le armi!» ordinò il ministro.
Distanti da noi, tutti gli invitati e gli altri ministri seguivano la scena terrorizzati, seguendo ogni nostro movimento con lo sguardo.
«Si arrenda Tenente! Non può farcela! Non faccia follie e non aggravi ancor di più la sua situazione!» esclamò C.B. avvicinandosi di qualche passo.
Alla vista del suo gesto strinsi ancor di più la catena. Il soldato che avevo sotto mano si irrigidì come un pezzo di legno.
«La prego! La prego signore, non mi uccida!» mi implorò lui con voce soffocata, portandosi entrambe le mani alla catena.
«Non dipende da me ragazzo, dipende dal ministro! Se si avvicina, tu sei morto!» ringhiai indietreggiando, alzando poi lo sguardo su quella carogna.
«Le sue sono belle parole, ministro, ma se non vuole un morto sulla coscienza le consiglio caldamente di non avvicinarsi di un altro passo!».
«Si rende conto di quello che sta-».
«Chiuda quella merdosa bocca, dannazione! E dica ai suoi cazzo di uomini di non avvicinarsi!» sbottai inferocito allontanandomi di qualche altro passo.
«Signore… la prego! La prego!».
«Chiudi la bocca anche tu, soldato!… Ora tu verrai con me!».
Mi allontanai dalla piazza sotto gli sguardi atterriti di tutti, giungendo nei pressi della periferia della città.
Avevo i minuti contati, e dovevo muovermi in fretta. Non potevo permettermi di perdere altro tempo.
«C-Che cosa ha intenzione d-di fare?… E’ riuscito a f-fuggire, e…».
«No, non ancora! E’ solo questione di tempo, prima che tutte le guardie della città mi siano addosso».
«M-Ma…».
«Consegnami le chiavi delle manette e ti do la mia parola che ti lascerò andare».
Il ragazzo annuì tremando, infilando la mano nella tasca della propria divisa e porgendomi ciò che gli avevo chiesto.
«Aprile, forza!».
«S-Subito!».
Senza batter ciglio la guardia mi liberò entrambi i polsi, ancora avvinghiato nella morsa della catena attorno al suo collo.
«Bene…».
Colpii poi con un doloroso gancio destro il ragazzo in pieno viso, facendolo crollare a terra privo di sensi.
«Perdonami ragazzo, ma è per il tuo bene!».
Mi chinai sul suo corpo, recuperando la sua arma ed alcuni caricatori che aveva con sé, mentre, in lontananza, iniziavo ad udire le urla dei soldati farsi sempre più vicine.
«Dannazione!».
Raccolsi alla svelta tutto il necessario e corsi a nascondermi in un angusto vicolo buio, allontanandomi dalla zona il più in fretta possibile ed avanzando in direzione della piazza; avevo bisogno di un mezzo di trasporto.
Nascosto nel buio di un vicolo osservai attentamente la piazza centrale della città.
La maggior parte degli ospiti era tornata alle proprie case, ed ora, il centro era pieno di soldati armati fino ai denti intenti a tutelare la salvaguardia dei ministri.
Vidi, in un angolo, le auto presidenziali tenute sotto controllo da qualche guardia. Prenderne una sarebbe stato un gioco da ragazzi, ma prima dovevo sbarazzarmi degli occhi indiscreti che le tenevano sotto controllo. Dovevo solo aspettare il momento giusto, e quel momento era appena arrivato.
Uno degli autisti personali dei ministri si avvicinò ad una delle auto, scambiando quattro chiacchiere con una delle guardie lì presenti. Era il momento perfetto per agire!
Mi avvicinai di soppiatto avanzando furtivo nell’ombra, nascondendomi dietro l’auto presidenziale più vicina ed ascoltando con attenzione il discorso di quei due; non erano molto lontani.
«Certo che quel Tenente, quel Dawson, ha combinato un bel macello» esclamò l’autista.
«Già… per non parlare del Presidente e di Kryserion» gli rispose la guardia senza distogliere l’attenzione dalla zona tutt’intorno.
«Dovrebbero condannarlo a morte quel tipo… che roba. Sparare al Presidente nel bel mezzo di una festa! E’ matto da legare!».
Mi avvicinai gattonando all’auto vicino alla quale si trovavano i due, ignari della situazione, quando la mia attenzione ricadde su una piccola bottiglia di plastica che per poco non stavo schiacciando.
Mi fermai giusto in tempo per evitarla.
«La gente incivile non manca mai!» pensai, raccogliendola e tirando fuori il mio vecchio coltello svizzero.
Dovevo trovare un modo per stenderli entrambi senza dar loro la possibilità di chiamare aiuto, e la guardia aveva la priorità.
«Spero solo che lo trovino e che gli diano ciò che merita!».
«Presto lo troveremo. E’ solo questione di tempo… piuttosto, cosa hanno detto di Grifus?».
«Se la caverà. Il proiettile lo ha colpito al fianco sinistro, ma non è nulla di grave. Si rimetterà nel giro di qualche giorno… gli è andata bene, per fortuna».
«Già, proprio fortuna!».
Mi accovacciai dietro il muso dell’auto, stringendo nella mano la pistola e puntandola verso il militare.
«Spero che funzioni…».
Premetti il grilletto, osservando compiaciuto il militare crollare a terra lanciando urla di dolore, portandosi entrambe le mani al ginocchio alla quale avevo mirato.
«Cazzo! Cazzo! Che dolore! Cristo!».
Mi alzai, uscendo da dietro l’auto e volgendo lo sguardo verso l’autista, puntandogli contro la pistola alla quale avevo attaccato la bottiglia di plastica.
«Niente male per un silenziatore fatto in casa, uh?» sghignazzai, colpendo poi con un calcio la guardia in pieno viso.
«Fuori uno…».
«Sei… il Tenente!».
«Prova ad urlare e giuro che ti riempirò di così tanti buchi che le budella ti sanguineranno piombo!» ringhiai, allungando la mano verso di lui.
«Le chiavi, forza…».
«C-Che cosa?!».
«Le chiavi dell’auto… dammele!».
«Ma… Ma questa è l’auto presiden…».
Puntai l’arma all’altezza della sua fronte prendendo la mira.
«Sono già stato fin troppo buono a non farti saltare quella testa che ti ritrovi… forza, consegnami le chiavi e ti lascerò andare…».
L’autista mi squadrò tremante per qualche secondo, infilando poi la mano nella tasca e lanciandomi le chiavi dell’auto che raccolsi al volo, tenendo lo sguardo fisso su di lui.
«Molto bene… grazie per la tua gentile collaborazione…».
Aprii la portiera dell’auto sotto lo sguardo terrorizzato di quell’omuncolo da due soldi, puntandogli la pistola all’altezza del ginocchio sinistro e facendo fuoco.
Quell’idiota cadde a terra lanciando urla di dolore come una femminuccia.
«Avevi detto che mi avresti lasciato andaree!» piagnucolò.
«Non ho detto che non ti avrei lasciato andare incolume… questo è per quello che hai detto su di me, pezzo di stronzo…».
Salii in auto e misi in moto il motore, ingranando la marcia e pestando a tavoletta l’acceleratore.
L’auto balzò in avanti facendo stridere le gomme, attirando l’attenzione degli altri soldati che mi corsero dietro, tentando di fermarmi sparandomi addosso.
Osservai divertito i proiettili colpire la carrozzeria dell’auto senza nemmeno scalfirla, mentre mi allontanavo dalla piazza dirigendomi verso le porte della città.
«Zack, Johanna, resistete! Sto arrivando!».
In breve tempo arrivai al confine della città, delimitato da un’imponente recinzione metallica in cui trovava posto la nostra frontiera.
«Ci sono!».
Pestai l’acceleratore a tavoletta, avvicinandomi a gran velocità alla frontiera dove vidi degli inservienti farmi cenno di rallentare.
Ingranai la marcia successiva e puntai dritto contro la sbarra del casello evitando per un pelo quel folle di un uomo che si scostò giusto in tempo per non farsi tirare sotto da me. Finalmente avevo abbandonato la città.
Ora tutto quello che dovevo fare era trovare Zack e Johanna, sperando che stessero bene.
La luna sembrava accompagnarmi con la sua pallida presenza durante il viaggio.
Avevo lasciato il confine di Capitol Seven da più di mezz’ora ormai, ed ero abbastanza certo ce mancava sempre meno ad Equestria, sempre se sarei riuscito a raggiungerla.
«Dannazione!… Muoviti, merdoso pezzo d’acciaio blindato!».
Ingranai la retromarcia e pestai l’acceleratore a tavoletta, ascoltandole ruote posteriori slittare nel fango.
Ingranai poi la prima ed accelerai a tavoletta, sobbalzando ad ogni movimento brusco dell’auto impantanata nel terreno umido.
«Coraggio! Coraggio!».
Battei la mano sul cruscotto furioso, cercando di trattenermi dall’imprecare mentre continuavo a ingranare le diverse marce nella speranza di uscire da quell’inferno di fango.
«Non posso bloccarmi proprio ora!».
Ingranai la seconda e pestai di nuovo l’acceleratore, ascoltando le ruote slittare per poi sentire l’auto procedere a bassa velocità sul terreno.
«Sì! Finalmente, dannazione!».
Mi allontanai in fretta, lasciandomi alle spalle quel maledetto terreno fangoso ed avanzando a tutta velocità per recuperare il tempo perso, quando un lampo colse la mia attenzione.
Non era un vero e proprio lampo, sembrava essere più un bagliore.
«Cazzo!».
Subito dopo aver udito quello sparo assordante vidi una densa coltre di fumo bianco innalzarsi dal muso della macchina. Non era decisamente un buon segno.
Un altro lampo, un altro sparo.
Il secondo proiettile penetrò senza difficoltà il parabrezza blindato dell’auto centrando in pieno il poggiatesta del sedile al mio fianco.
Alla vita di quella scena ringraziai di non essere seduto come passeggero.
Mi chinai subito dopo sotto il sedile, evitando per un pelo un terzo proiettile che, questa volta, centrò in pieno il mio poggiatesta.
Chiunque stava sparando disponeva di un fucile di grosso calibro, e probabilmente si trattava dello stesso cecchino che tentò di farmi la pelle nel cimitero, vista la sua pessima mira.
Sentii poi altri svariati colpi centrare in pieno la lamiera corazzata del cofano e tutto il resto dell’auto.
«Ma quando li finirà questi dannati colpi?!».
Da lì a poco non udii più alcuno sparo. Era il momento giusto.
Gattonai tra i sedili raggiungendo le portiere posteriori, quando vidi un’ombra ergersi proprio sopra la mia testa stringendo tra le mani un fucile.
«Se vuoi la mia pelle, dovrai sudartela!» ringhiai, stringendo nella mano la maniglia della portiera ed attendendo solo il momento giusto.
«Coraggio…».
Sentii ad un tratto il suono dell’otturatore caricare il proiettile a pochi centimetri dalla mia testa. Sembrava essere il suono della morte.
Non potevo credere che in una sola serata stavo rischiando per ben due volte di prendermi una pallottola in testa.
Spalancai la portiera lanciandomici contro, urtando la misteriosa ombra che intuii cadere a terra subito dietro la porta blindata dell’auto.
Intravidi il grosso fucile, un calibro 50, cadere a terra poco distante da me.
Era il momento cruciale.
Balzai incontro all’arma impugnandola, rialzandomi poi per puntarla contro il mio misterioso aggressore.
«Un pony ?!».
Osservai incredulo quell’affare rialzarsi lentamente. L’impatto con la portiera sembrava averlo stordito per bene.
Mi avvicinai di qualche passo abbassando leggermente la canna del fucile.
Era un pony di terra biondo e dal manto bianco, nulla di strano.
Ciò che trovai piuttosto insolito, invece, era il fatto che vestiva un paio di short rossi ed una maglia nera, mentre vidi dei guanti e degli stivali del medesimo colore adornargli i quattro zoccoli.
Ascoltai divertito i suoi lamenti mentre si contorceva dal dolore, disteso a terra.
«Questa è davvero bella!… Lo devo ammettere, non me lo sarei mai aspettato…» ridacchiai, stringendo in una mano l’impugnatura del fucile mentre con l’altra tolsi il caricatore che notai contenere le ultime tre cartucce, lanciando via entrambi i due oggetti.
«Cos’è? Vuoi forse vendicare i tuoi compagni caduti in battaglia?… Perché non ti rialzi e mi mostri quel tuo bel musetto bianco, eh?» ringhiai, chinandomi sul mio insolito aggressore ed afferrandolo per la maglia nera, quando lo vidi fissarmi dritto negli occhi e sorridermi.
«Sono una femmina, idiota!» sghignazzò,mentre avvertii un dannato dolore in mezzo alle gambe.
La stronza mi aveva appena colpito con un maledetto calcio diretto.
Il mio urlo spezzò in maniera piuttosto brusca la quiete della sera. Credo che ben poche altre volte avevo urlato con una tale forza in vita mia.
La dannata si rialzò davanti a me, avvicinandosi ed osservandomi con aria compiaciuta.
«Oh, ma che bella voce da maschio che hai, caro… o forse ora dovrei dire “cara”?».
«T-Tu… str-stronza…».
Quella carogna di una femmina mi aveva piegato in due con una sola mossa.
Mi accasciai a terra, osservando la puledra allontanarsi in cerca di qualcosa. Probabilmente stava cercando il proprio fucile.
Approfittai della sua distrazione per tirare fuori la pistola che avevo con me, puntandola dritta alla sua maledetta testa.
«Dì le tue ultime preghiere, maledetta equina!» ringhiai caricando il cane, quando la vidi voltarsi verso di me per fissarmi con un’insolita aria soddisfatta.
«Vedo che sopporti piuttosto bene il dolore. Allora quello che dicono sul tuo conto è vero, Tenente Ryan».
«Che cosa?!».
Fissai quella pony incredulo. Come diavolo facesse a conoscere il mio nome era al momento un mistero, ma non sarebbe durato a lungo.
Prima che potessi premere il grilletto la maledetta scattò verso di me, afferrando con i denti la canna della pistola in un gesto alquanto avventato e togliendomela dalla mano, per poi lanciarla via.
Subito dopo mi colpì con lo zoccolo destro allo stomaco con grande forza, facendomi ricadere di schiena su quella fanghiglia che caratterizzava il terreno sotto di me.
Sentii fin troppo chiaramente le costole risentire del colpo, ma non vi diedi peso. Cercai, invece, di mantenere la calma per non permettere alla rabbia che sentivo crescermi dentro di prendere il controllo sul mio corpo.
Dovevo difendermi dagli attacchi di quell’equina, e con la mente offuscata non avrei di certo fatto molta strada.
Sollevai lo sguardo giusto in tempo per vedere la pony spiccare un salto verso di me, pronta a colpirmi con un altro gancio destro.
«Il trucchetto non funziona due volte!».
Allungai giusto in tempo le braccia di fronte a me incrociandole, osservando compiaciuto il collo di quella stronza colpire in pieno i miei gomiti.
Avevo la situazione in pugno, e nulla mi avrebbe permesso di perdere lo scontro.
Strinsi a me la pony serrando sempre più la presa intorno al suo collo, ascoltando soddisfatto un suo rantolo.
«Spero che ti piaccia il dolore, lurida!» ringhiai, quando sentii un acuto dolore all’addome che si unì a quello delle costole.
La cagna mi aveva colpito una seconda volta, questa volta con gli zoccoli posteriori.
Cercai di ignorare il dolore in quel momento, spingendo la mia rivale lontano con un calcio che si piantò dritto nel suo stomaco e che la fece finire in un cespuglio poco distante.
«La pony ci sa fare…» sospirai, sputando un rivolo di sangue e portandomi la mano sinistra sulla parte dolente, mentre con la destra estrassi la spada tenendola ben stretta nella mano.
Se quella cagna avesse tentato un nuovo attacco, sarei stato più che pronto a farla a pezzi.
«Niente male Tenente. Sei il secondo uomo in grado di tenermi testa… davvero ammirevole. Ma devo ammetterlo, però… mi ritengo offesa per la tua scarsa memoria!» esclamò la sua voce da dietro il cespuglio.
Mi avvicinai furioso a quel banale nascondiglio tenendo alta la guardia; quella tipa ci sapeva fare, ed ero più che certo che non me l’avrebbe data vinta facilmente.
Io però necessitavo delle risposte che cercavo, dato che a causa sua stavo perdendo tempo prezioso per raggiungere Zack e Johanna.
«Cos’è? Credi forse che sia un gioco, uh?!… Credi che stiamo giocando a nascondino?».
Il non udire alcuna risposta in quel momento mi fece inferocire quasi quanto il vedere l’atteggiamento arrogante di Johanna quando si relaziona con me.
«Ascoltami bene, ammasso di carne da macello! E’ stata una pessima serata questa! Non farmi incazzare e vieni fuori!» ruggii furioso, ascoltando la risata della puledra che vidi uscire con apparente sicurezza dal cespuglio sotto ai miei occhi, osservandomi con una strana espressione provocante.
«Dimmi, Tenente… ti chiamano ancora “squarciagole”? O la vecchiaia sta iniziando a farti perdere colpi?» sghignazzò.
La fissai furioso, stringendo ancor di più la spada nella mano.
«Ti farò passare la voglia di prendere per il culo, chiunque tu sia!» ringhiai.
«Bene… dimostramelo!» rispose lei poco prima di corrermi incontro a gran velocità.
«Dannata! Prendi questo!».
Eseguii un fendente nella sua direzione, tenendomi pronto con il braccio sinistro per ogni evenienza.
Osservai stupito la sua figura schivare con prontezza la lama della Fang scartando a sinistra, rimettendoci solo qualche crine biondo, per poi piantare gli zoccoli nel terreno, dandosi così uno slancio per balzare verso di me.
Estesi il braccio sinistro nel tentativo di colpire con un pugno la pony in pieno volto, ma con mia grande sorpresa, questa mi si aggrappò con gli arti ponendosi con l’addome dietro al mio gomito, stringendomi con forza e facendomi cadere al suolo a causa del suo peso.
Quando la sua stretta si fece più salda intorno al mio braccio iniziai a sentire lo scricchiolare delle mie ossa, seguito dalla sua irritante risatina.
«Se fossi in te lascerei la spada, se non vuoi rimetterci il braccio!» esclamò.
Se avesse continuato a stringermi in quel modo, presto avrei potuto dire addio al mio braccio.
Rassegnato, lanciai la Fang a qualche metro da noi due, avvertendo poi la morsa della pony allentarsi sul mio braccio.
«Bravo Tenente, non hai perso il buonsenso dopotutto» mi derise lei, lasciandomi.
Si rialzò di fronte a me, fissandomi in silenzio.
«Battuto ed umiliato da uno schifoso quadrupede… questa serata non poteva andare peggio…» pensai a capo chino.
«Perché tutto questo? Che cosa vuoi da me?» chiesi poi.
«Nulla di personale Dawson, è solo il mio incarico».
Alzai gli occhi sulla puledra in quel momento, fissandola nei suoi lucenti occhi rossi fissi su di me.
«Chi diavolo sei?».
«Hmph! E’ strano che tu non mi riconosca… il nome “Sasha Braille” non ti ricorda nulla ?».
Chinai nuovamente il capo volgendo lo sguardo sul terriccio sotto le mie mani.
Quel nome scatenò in me una furia cieca che difficilmente sarei riuscito a mantenere sotto controllo.
Ora tutto aveva un senso, ed i miei sospetti si rivelarono essere fondati.
«Questa la pagherai molto cara, Ministro…» mormorai.
«Che hai detto ?».
Piantai i piedi nel terreno lanciandomi verso l’equina che, però, vidi evitarmi balzandomi sulla schiena e saltando dietro alle mie spalle.
«Sei prevedibile Tenente !» continuò a deridermi lei.
Ricaddi a terra, stringendo in pugni nel fango. Ogni secondo che passava sentivo la rabbia crescere sempre più in me.
«Prevedibile?…».
Sasha Braille, l’agente scelto personalmente da C.B. per affiancare Zack e Johanna nella loro missione.
Se il suo incarico è quello di togliermi di mezzo, allora era possibile che fosse lo stesso con loro.
«Prevedibile…».
Iniziai a ridere sempre più bellamente. La situazione aveva davvero dell’incredibile.
Avrei dovuto saperlo fin dall’inizio.
«Lo trovi divertente ?» mi chiese la puledra alle mie spalle senza ottenere da me alcuna risposta.
Se deve far fuori me, può avere avuto tutto il tempo per togliere di mezzo anche i miei ragazzi.
«La vuoi finire di ridere ? Ti è andato di volta il cervello per la vecchiaia per caso ?».
«PREVEDI QUESTO!» tuonai furioso voltandomi verso la puledra e dandomi un secondo slancio che la colse di sorpresa.
«Cos-».
L’afferrai al collo, tenendola ben stretta nella mia morsa mentre la vidi dimenarsi nel tentativo di liberarsi.
Tenendola salda a me, iniziai a correre incontro all’auto presidenziale contro la quale la feci scontrare.
Ascoltare i suoi lamenti soffocati era una gran bella soddisfazione.
Tenni lo sguardo fisso sui suoi occhi spalancati, mentre caricai il braccio destro.
La vidi dimenarsi e scalciare, colpendomi più volte con gli zoccoli il busto e la parte dolente dove mi aveva colpito poco prima.
«L-Lasciami!».
«Mi trovi ancora prevedibile ?» tuonai, distendendo il braccio per colpire con un pugno il muso di quell’ammasso di carne che però schivò con prontezza il mio colpo.
Centrai in pieno il vetro blindato dell’auto, mandandolo in mille pezzi.
Subito dopo avvertii i denti di quella cagna stringersi intorno al braccio con la quale la sorreggevo, costringendomi a mollare la presa.
«Maledetta!».
Tentai di colpirla con un secondo gancio destro che però lei schivò nuovamente chinandosi.
«Ah! Troppo lento!».
«Troppo sbadata!» ruggii io di tutta risposta, colpendola con una ginocchiata in pieno muso che la lanciò sul cofano dell’auto.
« PRIMA MI HAI PORTATO VIA CLOUD!…».
Saltai a mia volta sul cofano colpendo con un calcio lo stomaco della puledra che cadde dal lato opposto del veicolo.
Balzai nuovamente sul terreno, chinandomi sul corpo della mia rivale ed afferrandola per il crine biondo, sollevandola da terra.
«… E CHI MI DICE CHE NON HAI RISERVATO LA STESSA FINE AI MIEI ALTRI DUE FIGLI ?!» ruggii nuovamente colpendola con un pugno in pieno petto.
All’udire il mio colpo spalancò gli occhi, fissandomi con un’espressione ricolma di dolore mentre vidi un rivolo di sangue colare dalla sua bocca.
Caricai nuovamente il braccio, colpendo Sasha una seconda volta con un pugno in pieno muso che la lanciò vicino alla coda dell’auto.
«Questo è per Cloud…» ringhiai avvicinandomi, quando lei mi colpì alle gambe facendomi cadere a terra.
In un attimo mi fu addosso, riempiendomi di così tanti colpi che la metà bastavano per sfondare un sacco da boxe.
«CLOUD NON E' MORTO A CAUSA MIA! NON E' COSI'! NON E' COSI'I'! » urlò in lacrime.
Sembrava stesse sfogando tutta la rabbia e la frustrazione che si stava portando dentro da quel giorno.
Quando finalmente sembrò calmarsi posò i suoi occhi lucidi su di me, fissandomi in silenzio nel tentativo di trattenere le lacrime.
«Hai finito ?».
Con uno scatto ribaltai la situazione, riacquistando il controllo e sbattendole il muso contro la portiera dell’auto.
«Ciò non toglie che Cloud era una tua responsabilità, ed ora lui non c’è più !».
Con mia sorpresa Sasha non oppose alcuna resistenza, si limitò a restare buona scoppiando in un fiume di lacrime.
«In piedi, forza!» tuonai allora, afferrandola per la maglia ed alzandola, sbattendola poi sul cofano posteriore dell’auto senza fatica.
«Ora ho delle domande da farti, e spero vivamente per te che tu collabori senza fare storie…».
«I… I tuoi figli stanno bene… almeno credo…» mormorò lei cercando di ricomporsi.
«Come sarebbe a dire “almeno credo”?» ringhiai io schiacciandola di nuovo sul cofano.
«L’ultima volta che li ho lasciati stavano bene… erano diretti a Ponyville… da allora non so più nulla di loro…».
«E perché C.B. vuole togliermi di mezzo? Che cos’ ha in mente?».
«L-Lui… mi ha costretta a farlo… ha in ostaggio…».
«Chi? Chi ha in ostaggio?».
«… I miei genitori…».
All’udire quelle parole sembrava che il mondo mi stesse crollando addosso.
Stavo per far fuori una ragazza che è stata costretta ad agire in quel modo per via dei ricatti un sudicio ministro.
«C.B. … fino a che punto ti sei spinto…».
Lasciai dolcemente la presa da Sasha, lasciandola immobile sull’auto.
«Lui… lui non si fermerà… andrà avanti fino a quando non sarà soddisfatto. Fino a quando nessuno potrà più opporsi a lui…» continuò la puledra sdraiata sul cofano.
«Però…».
Scossi la testa per cacciare via le domande che affioravano nella mia mente una dopo l’altra. Di quel passo sarei di certo impazzito.
«… Non hai risposto alla mia domanda. Che cosa vuole fare C.B.?» domandai.
Al termine della frase udii alle mie spalle il suono di un’arma che veniva caricata.
«Non credi di aver infierito anche troppo su quella povera ragazza, Tenente ?» domandò con un’insolita calma una voce a me estranea.
«Com’è che la gente stasera si diverte a puntarmi contro armi di ogni tipo ?» sbuffai, cercando di contenere l’ira dentro di me.
«Non è mia intenzione farti del male ».
«Oh, sei il primo da cui lo sento dire ».
Vidi Sasha alzare leggermente la testa in quel momento, fissando me e chiunque abbia avuto dietro alle spalle in quell’istante.
«Sei qui per la ragazza ?» chiesi.
«No. Lei non centra nulla con me. Il motivo per cui sono qui è un altro ».
«Vuoi me ?» domandai nuovamente.
«No».
Strinsi i pugni dalla rabbia. Se c’era una cosa che detestavo, erano proprio le rispose monosillabi.
«Chi diavolo sei, si può sapere ?!».
L’equina saltò giù dall’auto, volgendo lo sguardo verso il misterioso individuo che in quel momento pareva divertirsi a tenermi sotto tiro.
«Tu… tu assomigli molto a qualcuno…».
«Uh?».
Non ci stavo capendo più niente.
«Capitol Seven. Venti anni fa. Durante il primo attacco di Kryserion e Sharlade. Ti salvai dietro richiesta di Cloud Dawson, figlio del Tenente » esclamò la voce cogliendo me e Sasha di sorpresa.
«Allora… allora tu sei quel tipo che mi ha salvata !» esclamò Sasha incredula.
«Corretto».
Mi voltai verso il misterioso individuo che notai indossare un lungo mantello rosso.
Aveva dei capelli lunghi e neri, e gli occhi di un arancio quasi fosforescente. Il manto che indossava mi impediva di scorgere gli abiti sotto di esso.
Lo vidi continuare a tenermi sotto tiro con una pistola a tre canne rivolta proprio alla mia fronte.
«Tu… tu conoscevi mio figlio ?!» domandai sorpreso.
«Corretto ».
«Come… come fai a-».
«Devi andare a Canterlot. I tuoi figli hanno bisogno di te, Tenente ».
«Che cosa?!».
«Uh?!».
Mi voltai sorpreso verso Sasha all’udire quel misterioso suono digitale, osservandola portarsi uno zoccolo all’orecchio.
Sembrava portare un piccolo auricolare o roba simile.
«Agente Braille!» esclamò una voce elettronica ma inconfondibile alle mie orecchie.
Scattai verso Sasha e la afferrai per la maglia, sbattendola contro l’auto.
«Ugh!».
«Digli che sono morto!» le ringhiai a bassa voce tenendola per la gola.
«Agente Braille! Che sta facendo?!».
Allentai la presa sul suo collo per consentirle di parlare.
«Q-Qui agente Braille signore! La ricevo!» esclamò lei tentennando.
«Hai portato a termine l’incarico?» domandò la voce dall’altra parte.
«Ecco… io…».
Le strinsi il collo tra le mani in quel momento minacciandola di soffocarla.
«Ugh!».
«Agente Breille, per diamine! Ha concluso o no l’incarico che le ho affidato?!».
«S-Sì signore! Dawson… Dawson è morto! Non le sarà più di alcun disturbo!».
«Eccellente lavoro agente! Sapevo di poter contare su di te!».
«S-Signore… a-adesso… i miei genitori…».
«Oh si, certo, non preoccuparti. Si trovano al Royal Duty, sotto la custodia di Darius… presto vi riabbraccerete».
«Allora?! Che cosa ha detto il verme ?» le chiesi spazientito.
«I… i miei genitori…».
«Non mi importa di loro! Io voglio sapere se ha creduto alla mia morte!».
Sasha mi fulminò con lo sguardo in quel momento, anche se non mi importò granché.
La vidi poi annuire in silenzio con quell’espressione furiosa.
«Bene!…» conclusi sollevato. «…Ottimo lavoro femmina».
«Il tempo non ti ha cambiato, Tenente. Sei stronzo come sempre !» ringhiò Sasha furiosa.
Feci spallucce fregandomene altamente della sua opinione.
«Suvvia, così mi fai arrossire » ringhiai a mia volta con crudo sarcasmo, lanciando diverse occhiate all’auto.
Il radiatore era andato, e senza auto, non sarei mai riuscito a raggiungere Zack e Johanna in tempo.
«Grandioso…».
«Che cosa fai?» mi chiese lei.
«Controllo se questo catorcio può partire… anche se ne dubito…».
«Io devo andare al Royal Duty… Darius tiene sotto custodia i miei genitori».
«Questo può essere un problema. Al momento Darius è a Canterlot» esclamò all’improvviso quello strano tizio in rosso.
«A me non importa nulla né di questo Darius né dei… ehi! Dov’è finito quel tipo?!».
Mi guardai intorno confuso, alla ricerca di quel tizio che sembrò essere svanito nel nulla.
«Bah… al diavolo pure lui! I miei figli hanno bisogno di me!» conclusi, andando a recuperare la Fang e riponendola nel fodero dietro alla schiena.
«Che ti guardi?… Non devi andare dai tuoi genitori?» le ringhiai.
«Perché non lo hai fatto?» mi domandò lei cogliendomi alla sprovvista.
«Fatto cosa?».
«Uccidermi… perché non lo hai fatto? Sai benissimo che avresti potuto togliermi di mezzo senza problemi… eppure non lo hai fatto».
«Ci tieni così tanto a morire?» le domandai.
«Non ho detto questo… non girarci attorno…».
Mi avvicinai a lei, fermandomi al suo fianco.
«Conoscevi Cloud… eri la sua compagna… ucciderti equivale ad uccidere una parte del suo ricordo…».
Vidi Sasha abbassare lo sguardo rattristato in quel momento.
«Vai dai tuoi genitori, hanno bisogno di te…» conclusi allontanandomi di qualche passo, quando venni nuovamente fermato dall’equina.
«Tenente!».
«Cosa c’è adesso?» domandai spazientito dandole le spalle.
«Le propongo un accordo…».
Stentavo a credere a quello che sentivo.
«Un accordo?… Ah! Fino a cinque minuti fa cercavi di uccidermi, ed ora scendi a patti con me?».
«Proprio così!».
La fermezza nelle sue parole mi fece intuire che non scherzava affatto. Ammiravo la sua determinazione.
«Di che si tratta?».
Sasha mi si avvicinò, ponendosi di fronte a me e fissandomi dritto negli occhi.
«Posso portarla dai suoi ragazzi, a patto che mi porti con sé!».
All’udire le sue parole la fissai incredulo, alzando un sopracciglio e guardandomi intorno divertito.
«Apprezzo il gesto…» ridacchiai «… ma ti faccio presente che non disponiamo di alcun mezzo di trasporto!».
«Si sbaglia!» mi corresse lei, mostrandomi un paio di chiavi elettroniche che avvertii mettere in moto quello che sembrava essere il motore di una moto poco distante da noi.
«Che cos’è?» le chiesi, guardandomi intorno curioso, quando vidi una moto che si avvicinò a noi.
Non potei non riconoscere quella moto.
«Ma quella… è…».
«Proprio così!».
Osservai incredulo la moto un tempo appartenuta a mio figlio Cloud avvicinarsi lentamente a noi. Era perfetta in ogni suo componente. Sembrava come nuova.
«Come fai ad…».
«E’ una lunga storia, ma non abbiamo tempo da perdere, se vogliamo raggiungere Zack e Johanna!» esclamò Sasha.
Osservai ancora la moto vicina per poi puntare lo sguardo su Sasha.
«Che cosa vuoi in cambio?».
«Oltre a venire con te? Voglio il tuo aiuto per raggiungere i miei genitori. Non so perché, ma in tutta questa faccenda c’è qualcosa che mi puzza! E di solito io non sbaglio mai!».
Osservai la puledra in silenzio, pensando attentamente al patto che mi aveva appena proposto.
Una volta salvati i miei ragazzi non vi era più alcuna priorità.
Mi impossessai delle chiavi della moto, avvicinandomi al mezzo e salendovi sopra.
«Sali, forza!».
all’udire le mie parole Sasha montò in sella stringendosi a me.
«Che cosa pensi di fare con C.B?» mi domandò poi.
Già, bella domanda. Non ci avevo pensato.
«Lui? E’ un morto che cammina! Pagherà caro per tutto quello che ha fatto!».
«Vuoi ucciderlo?!» mi chiese lei sorpresa.
«Ah! La morte sarà solo l’ultimo dei suoi problemi, una volta che lo avrò tra le mie mani!» risposi, accelerando a manetta ed ascoltando il rombo del motore rompere il silenzio della notte.

Rapidamente raggiungemmo il castello di Canterlot, dove ci fermammo a poca distanza dall'ingresso.
«Perché ci fermiamo?» mi domandò Sasha appoggiando la sua guancia alla mia.
Puntai il pollice verso l’entrata del palazzo del palazzo delle due regnanti, circondato e controllato da numerose guardie pony vestite in maniera piuttosto insolita ed assurda.
«Da quando i pony vestono in giacca e camicia ?» mi chiesi.
«Quelle non sono guardie! Le guardie reali non vestono in maniera così… casual…» esclamò Sasha.
«Guardie o no, non penserai mica di andargli sotto il naso e chiedergli di entrare, mi auguro…» sussurrai.
«Perché no? Sono sotto la forma equestre, non dovrebbero riconoscermi…» esclamò la mia compagna facendo spallucce.
«E non credi che si insospettirebbero vedendo un pony con dei vestiti?».
«E’ il Gran Galà Galoppante, mio caro. Tutti i pony, in questa speciale serata, sono vestiti… certo, non come quelli, perlomeno…».
«Wow… davvero interessante…» esclamai a mia volta.
«Piuttosto, posso chiederti una cosa?» mi domandò Sasha stuzzicandomi più volte con il proprio naso, poggiandomelo più volte sulla guancia destra.
«Che cosa, rompiscatole?» sospirai.
«Come mai profumi di torta ai fichi?».
«Uh?… Che cosa?».
«E’ vero!» esclamò lei, avvicinandosi col muso al mio viso ed annusandomi con insolito piacere.
«Torta ai fichi, lo si sente da un miglio di distanza!» confermò.
In quel momento mi tornò alla mente lo spiacevole incontro con Kryserion a Capitol Seven. Non potevo certo mentirle.
«Ecco… m-mi hanno… lanciato addosso una torta durante la festa a Capitol Seven…» mentii arrossendo, cercando tuttavia di non darlo a vedere.
Se le avessi detto la verità, mi avrebbe sicuramente deriso per tutto il resto del viaggio.
«Chi?».
«Ehm… vecchi amici…colleghi di vecchia data… gran burloni…».
«Ah-ha! Capisco…».
Sembrava essersela bevuta, la menzogna.
Tornai ad osservare l’ingresso del palazzo, quando degli strani movimenti attirarono la mia attenzione.
«Sasha, guarda!…» sussurrai, facendola avvicinare e mostrandole la scena.
«… Quei pony infighettati stanno costringendo tutti i presenti a rientrare nel palazzo! Non ti sembra strano?» le chiesi.
«Non saprei… potrebbe essere una misura di sicurezza».
«A quale scopo? Non credo ci abbiano visti!».
«Non ne ho idea…».
Alzai lo sguardo alle ampie vetrate dell’edificio, osservando degli strani movimenti.
«Zack e Johanna sono lì dentro! Potrebbero averli scoperti!» esclamai allarmato.
«Dobbiamo aiutarli!».
Annuii, trovandomi d’accordo con la mia compagna.
«Presto! Non abbiamo tempo da perdere! Tu distrai quelle guardie, io penserò al resto!».
«D’accordo!».
Prima che Sasha potesse allontanarsi la fermai, trattenendola per la zampa.
«Sasha, aspetta!».
La vidi voltarsi verso di me, fissandomi con un leggero rossore sul muso.
«Si, Ryan?».
«Ecco… sei sicura che sia una torta ai fichi? Io li detesto i fichi!».
All’udire la mia esclamazione Sasha roteò lo sguardo sbuffando.
«Per amor del cielo!… Diamoci una mossa!».
«Sì, giusto!… Hai ragione!» mormorai.
Risalii sulla moto, seguendo Sasha con lo sguardo mentre la vidi avvicinarsi a quei pony che sembravano essere usciti da una rivista di quei due stilisti famosi conosciuti in tutta Capitol Seven, Dolze e Gambana mi pare si chiamassero, o qualcosa del genere.
Osservai la mia compagna riuscire nel proprio intento in un banale ed infantile tentativo di seduzione di quegli stupidi equini, quando una tremenda esplosione fece esplodere letteralmente le imponenti vetrate del palazzo.
«Che diavolo sta accadendo?!» urlai, osservando numerosi detriti e grosse pezzi della facciata del palazzo crollare a terra, sollevando un polverone che mi impedì di vedere ogni cosa ad un palmo dal naso.
«Dannazione! Sasha! Vieni subito qui!» urlai, quando qualcosa -o meglio qualcuno- attirò la mia attenzione.
Dall’alto della facciata del palazzo intravidi con orrore il corpo di Johanna precipitare nel vuoto; sembrava essere priva di sensi.
«JOHANNA! NO!».
Accesi la moto e partii a tutto gas, correndo incontro ad un grosso detrito della facciata crollato al suolo che decisi di sfruttare come rampa.
Avevo una sola possibilità, e non potevo fallire.
Se avessi ritardato anche solo di un secondo, Johanna si sarebbe schiantata al suolo.
«Johanna! Resisti! Sto arrivando!» urlai, sfrecciando tra i detriti che continuarono a piovere senza sosta tutt’intorno a me.
Salii sulla rampa improvvisata dosando attentamente il gas, lanciandomi poi con la moto nel vuoto nel disperato tentativo di afferrare il corpo di mia figlia.
Staccai entrambe le mani dal manubrio, reggendomi alla moto solo tramite i piedi che incastrai in appositi supporti.
«Johannaa!!».
Mi allungai più che potei, afferrandola per una mano e tirandola verso di me.
«Presa!».
Ancora in aria, strinsi il suo corpo a me con un braccio, mentre con la mano libera riafferrai il manubrio della moto preparandomi ad un brusco atterraggio.
Avvertii il mezzo atterrare violentemente sul terreno, rimbalzando più volte fino ad allontanarmi a sufficienza per non rischiare di essere colpito dai detriti che continuavano a precipitare incessanti.
«Zack…».
La flebile voce di Johanna attirò la mia attenzione.
Mi voltai verso di lei, constatando il suo stato.
Per fortuna stava bene, aveva solo perso i sensi.
«Johanna! Johanna, mi senti?!».
«Z-Zack… è rimasto… dentro…».
«Tranquilla, torneremo a prenderlo tra poco!».
Alzai lo sguardo sul palazzo, osservandolo nello stato pietoso in cui ora si trovava a causa della forte esplosione.
«… Ora è una questione personale!».
La tenni ben stretta a me, mentre mi allontanai dal palazzo il più in fretta possibile andando a recuperare Sasha.
«Sasha! Dobbiamo andarcene da qui!» urlai, quando la vidi lanciarsi dalla cima di un albero atterrando poco distante dalla moto.
«Ryan!».
«Coraggio! Andiamocene prima di finire catturati!».
Senza batter ciglio la vidi corrermi incontro e saltare sulla moto, sedendosi dietro Johanna.
«Ma questa è…».
«Lo so!».
«Sta bene?».
«Ne parliamo dopo! Ora allontaniamoci!».
Accelerai a manetta, allontanandomi con Sasha e Johanna dal palazzo. Dovevo portarle in un posto sicuro.
«Ryan! Dove stiamo andando?!».
«Il più lontano possibile da qui!».
In breve tempo fummo tutti e tre abbastanza lontani dal palazzo, ormai diventato non più che un piccolo punto insignificante all’orizzonte.
Mi fermai con la moto in un piccolo terreno in cui si ergeva una vecchia capanna all’apparenza abbandonata. Era il posto ideale per fermarsi durante la notte.
«Sasha, pensa a Johanna! Io tengo d’occhio la situazione qui fuori!».
«Subito!» .
«Zack! Dove sei, idiota?!» tuonò la vociastra di Johanna dall’interno della piccola capanna, dando segno che si era appena svegliata.
«Un buongiorno davvero dolce…» borbottai tra me, voltandomi verso l’edificio alle mie spalle ed entrandovi, prepararandomi mentalmente a subire il caratteraccio di Johanna e le sue esagerate reazioni.
All’interno dell’angusta sala vidi Johanna seduta a terra, sul panno sulla quale l’avevo distesa per permettere a Sasha di bendarla.
«Tu?!… Che diavolo ci fai qui, Sasha?!» strillò lei furibonda, quando mi vide comparire dall’ingresso.
«Ben tornata nel mondo dei vivi » fu il mio modo di salutarla.
Come mi vide si zittì all’istante, il ché non sapevo se era un buon segno o meno.
Balzò in piedi e mi fu in un attimo addosso, tirandomi centinaia di pugni all’altezza dei petto in preda alle lacrime.
«Ci risiamo…» pensai scocciato, subendo uno ad un ogni suo colpo senza smuovermi di un centimetro. Ad un tratto ebbi pure l’esigenza di sbadigliare, ma non sarebbe stata una saggia idea. Non con Johanna in quello stato.
«Tu!… TU! SEI SOLO UNO STUPIDO! E’ TUTTA COLPA TUA! CI HAI MANDATO DRITTI NELLE GRINFIE DI SHARLADE! E TI SEI PURE MESSO IN SOCIETA' CON QUELLA LI'!… MI FAI SCHIFO! SCHIFO!».
Subii quella lagna per altri cinque minuti pieni, giusto il tempo di dare a Johanna la possibilità di sfogarsi.
Una volta calmata, sarebbe stato tutto più facile per noi.
Mentre subivo in continuazione pugni su pugni scambiai diverse occhiate con Sasha, intenta a fissarmi in quel momento incredula.
Grazie al cielo non aveva reagito in alcun modo alla frase di Johanna, altrimenti avremmo tirato fino a mattina con insulti di ogni tipo.
Quando mi stancai di quella banale situazione parai entrambi i pugni di mia figlia con le mani, stritolandogliele lentamente e costringendola in ginocchio.
«Hai finito, Johanna?».
La vidi fissarmi dritto negli occhi con un’espressione a metà tra il furioso e l’addolorato, dando per l’ennesima volta libero sfogo a qualsiasi dannato sentimento provasse in quel momento.
«No! NO CHE NON HO FINITO! SHARLADE

HA ATTACCATO IL PALAZZO REALE NEL BEL MEZZO DEL GALA’ E ZACK è ANCORA Lì DENTRO! COME PUOI DIRMI “HAI FINITO!?”. NON HAI ALCUN RISPETTO PER NOI!».
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Liberai la mano destra con la quale colpii con un ceffone Johanna in pieno viso, facendola cadere a terra e mettendo finalmente la parola “fine” a quella lagna.
«Come osi dirmi che non ho alcun rispetto per voi?! Eh?!… Con quale coraggio mi accusi di ciò?!» ruggii furioso, chinandomi su di lei ed afferrandola per il corpetto, sollevandola da terra e sbattendola contro un muro alle mie spalle.
«Ryan! Calmati! Non farle del male!».
«Tu non intrometterti, Sasha! Non è una questione che ti riguarda!» tuonai, volgendo poi lo sguardo verso Johanna.
«Sai che ho ragione, Ryan! Cloud ne è la prova!» si ostinò Johanna, facendomi innervosire ancor di più.
«Credi che sia stato divertente per me sapere che mio figlio è morto? Uh?!…».
Due righi di lacrime segnarono in quel momento il suo viso chino. La sentii singhiozzare più volte, quando una lacrima mi cadde sulla mano sinistra.
Lasciai delicatamente la presa su di lei, poggiandole poi la mano sotto il mento e sollevandole il viso bagnato.
«Johanna…».
Sentivo le parole morirmi in gola in quel momento.
Volevo dirle qualcosa che avesse potuto farla sentire meglio, ma non riuscii a mettere insieme nulla.
La presi delicatamente dalle braccia, tirandola verso di me ed avvolgendola in un abbraccio che speravo con tutto il cuore potesse farla sentire meglio.
«Perdonami Johanna, non volevo…» le sussurrai, avvertendo poi le sue braccia stringersi intorno a me con forza.
Le accarezzai dolcemente i capelli, tenendola tra le braccia nel tentativo di confortarla.
«Tu e Zack siete l’unica cosa più cara che ho che mi sia rimasta… non voglio perdervi…».
«Ryan… perché hai lasciato Zack da solo?… Perché?» singhiozzò lei tenendomi stretto a sé.
«Torneremo a prenderlo Johanna. Non lo lascerò da solo».
«Ehm ehm…» tossì lievemente Sasha da dietro le mie spalle «… se vogliamo entrare nel palazzo reale ci occorrerà un buon piano».
«Come? “Vogliamo”?» domandò Johanna, staccandosi da me e fulminando Sasha con lo sguardo. «… Chi ti dice che te sei la benvenuta?».
«Ah! Ma sentila, la novellina!».
«Novellina a chi, siliconata?!».
«Siliconata?!».
Mi portai le mani al viso in quel momento. Ero disperato.

Sasha aveva ripreso le sue sembianze umane che, a quanto pare, erano una novità per Johanna, oltre che una scocciatura.
«Hmph! La tua è tutta invidia, piccoletta!… E, giusto a titolo informativo, qui è tutta roba naturale! Al contrario di te, che sei più piatta di un’asse da stiro!».
«Che cooosaa?!».
Bloccai Johanna giusto in tempo per impedirle di balzare addosso a Sasha, tentando, nel frattempo, di tenere alla larga anche quest’ultima.
Ero finito nel bel mezzo di una rissa tra ragazze.
«Se ti prendo vedi come ti sgonfio, arpia!».
«Ma davvero?! Coraggio, insetto! Fammi vedere!».
«FINITELA TUTTE E DUE, DANNAZIONE!» tuonai furioso, lanciando entrambe ai due estremi della sala con non so quale forza.
«Dobbiamo andare a salvare Zack, e voi due perdete tempo a bisticciare per chi ha il seno più grosso?! Siete peggio delle ragazzine!».
«Non dare la colpa a me, Tenente! Sei tu che te la sei portata dietro, la miss airbag!».
«La tua è tutta invidia, cimice! Anche tuo padre gradisce le mie forme generose alla tua piattezza! Non è così, Ryanuccio?».
«Ryanuccio?!» ringhiò Johanna puntandomi gli occhi addosso.
«Non sono discorsi importanti! In questo momento la priorità e un’altra!» esclamai, osservando Johanna avvicinarsi a me ringhiando, ritrovandomi il suo naso appiccicato al mio ed i suoi occhi grigi furiosi puntati nei miei.
«Ryan! Spero vivamente che… aspetta un momento…».
«Uh? Che cosa c’è, Johanna?».
«Ryan… perché hai lo stesso odore di una torta ai fichi?!».
«Ohh, dannazione !» sbottai.
« Dei suoi colleghi lo hanno colpito ad una festa a Capitol Seven con una torta ai fichi!» avvisò Sasha in quel momento, precedendomi.
«Oh… capisco… e tu ti sei fatto colpire? Tu, che odi i fichi ?» mi chiese lei, squadrandomi dalla testa ai piedi con aria curiosa.
«Beh… è una lunga storia! Ora possiamo concentrarci sull’andare a salvare Zack per favore ?!».

Vidi Johanna farmi spallucce, avviandosi verso l'uscita della capanna, fulminando Sasha con lo sguardo.

« Sarebbe anche ora !! E' fino adesso che lo ripeto !! » tuonò mia figlia, che in quell'istante non si accorse di essersi salvata per miracolo dal venir strozzata da me.

Lentamente mi voltai, pensando come meritassi senza ombra di dubbio un premio per la mia pazienza, e senza ulteriori indugi mi avviai dietro di lei, seguito a mia volta da Sasha, con un irritante sorrisetto in volto.

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