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Autore: BlackSocks    26/07/2014    2 recensioni
E' la metà del 1900: l'epoca delle caldarroste sulle strade, delle cabine telefoniche, delle favolose ascese sociali, del misero dopoguerra.
Quali amori, quali vicende e avventure sconvolgeranno la vita di un'audace e splendida ragazza?
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Terzo - Pace e Precipizi 

LA GUERRA ERA FINITA! L'OTTO MAGGIO LA GERMANIA SI ERA ARRESA, PER LE STRADE C'ERA GIOIA E I CUORI DI TUTTI CANTAVANO: FINALMENTE LA PACE!

Dopo i primi festeggiamenti la vita era tornata alla normalità in Europa: si riavviavano i pochi negozi rimasti, si riaprivano le serrande delle case, si ricostruivano gli edifici crollati, il tutto molto, molto lentamente.


Seconda metà di Giugno 1945, Avellino, Campania.

Aveva temuto quel momento fin dal principio, fin da quando gli era stato annunciato.
Aveva sempre odiato quel genere di sorpresa. Ed inoltre la vedeva come una cosa inutile e fastidiosa.
Non tanto per il fatto che era anche umiliante, starsene lì in piedi nudi fino all'ultimo calzino, insieme a tutti i propri commilitoni, in una stanza piccola e stretta, con lo sguardo attento e penetrante delle infermiere puntato addosso, ma la cosa che lo terrorizzava era l'ago lungo come minimo quindici centimetri che incombeva contro di lui.
Si domandò se ne valesse la pena. Quasi quasi preferiva ammalarsi... se non fosse stato obbligatorio...
Quando uscì, come tutti gli altri prima di lui, si massaggiava la natica violentata.
Doveva però rimettersi in forma. Quella sera Angelo sarebbe uscito con l'incantevole Claudia. Ora la guerra era finita, i cinema stavano riaprendo (o meglio, l'unico cinema aveva riaperto) e la gente aveva voglia di passeggiare e ballare.
Indossò la grigia divisa perfettamente stirata e le scarpe lucide, poi si pettinò i baffetti e i mossi capelli scuri, che portava corti come tutti i soldati, nonostante odiasse quanto mettessero in evidenza le orecchie.
Il venerdì era la sua serata di libertà. Uscì con due suoi amici, Carlo e Gianni, dalla caserma e si diresse verso il quartiere più bello e ricco della città. Avevano appuntamento per le sette.
Giusto in tempo per la fine del turno delle ragazze, come domestiche, e l'inizio del cinema.
«Un giorno abiterò in un palazzo così» sussurrò Angelo sovrappensiero, ma non così lievemente perchè gli altri non lo sentissero.
«Si! Ti piacerebbe eh!» lo canzonò Carlo. Angelo non si risentì più di tanto, soprattutto poiché in quel momento fu distratto dall'arrivo delle tre ragazze.
«Buonasera!» dissero in coro i ragazzi. Le tre ragazze si guardarono tra loro e sorrisero.
Che figura da idioti che abbiamo fatto pensò Angelo. Poi prese Claudia sottobraccio e incominciarono ad incamminarsi verso il cinema.
«Ti fa ancora male la spalla?» gli chiese lei.
«Mmh, non proprio... però dovrò andare di nuovo all'ospedale a farmi ricontrollare.» rispose lui.
«Che coraggioso!» esclamò la ragazza. Angelo sorrise.
«Non direi. Comunque che vi va di vedere?» chiese lui, cambiando imbarazzato argomento, rivolto a tutti.
«Qualcosa di divertente!» propose Claudia, e le altre ragazze annuirono convinte.
Le labbra di Claudia erano morbide e sapevano di dolce, adorava baciarla. Le piaceva il suo profumo, il suo corpo, i suoi capelli... ma non era sicuro di volerla un giorno sposare. Di certo lei si aspettava questo. Comunque Claudia credeva, anche, che lui ne avesse venti, di anni. Le aveva lasciato credere quello che lei pensava, quindi non la considerava un vera e propria bugia.
A diciassette anni sposarsi è fuori questione, anche se con una ragazza bella come quella. Non riusciva ad immaginare di svegliarsi tutte le mattine con lei al fianco, anche se riusciva benissimo a congetturare le notti.
Quella sera quando rientrò in caserma si sentiva oppresso leggermente dal senso di colpa. Non stava forse ingannando quella ragazza? Non era come tradirla?
«Angelo Del Colle?» chiese il portinaio.
«Si?» rispose Angelo avvicinandosi all'uomo, mentre i compagni lo aspettavano.
«Una lettera» disse consegnandogli una busta di carta marrone, sulla quale l'indirizzo era scritto in maniera sicura, ma sbadata, infatti c'erano macchie d'inchiostro.
«Grazie!» rispose. Andò nello stanzone dove dormivano e si sdraiò sul letto.

 
Caro Angiolino,
ti sto scrivendo per informarti che nel giorno del 30 Giugno papà partirà nuovamente per l'America. Questa volta starà via poco, dice. Parte, come sempre, dal porto di Napoli. Ora che la guerra è finita, prenderà la prima nave. Tu sei abbastanza vicino da venirlo a salutare, Antonio forse non verrà, perché la settimana scorsa è andato a Roma.
Qui tutti bene. Mamma ha sempre mal di schiena,lavora troppo.
Nonna ultimamente riposa molto più spesso, credo sia la vecchiaia, ma non si è niente affatto raddolcita. Baiamonte sembra malato di nostalgia, gli manchi molto. Appena puoi fai un salto a casa a salutarlo. Io sto benone invece: tra poco avrò il diploma di terza, lo sai già, e credo che prenderò proprio un bel voto! Ho chiesto alla mamma di fare il liceo in una città più grande, dove si studi sul serio, ma per ora non ne vuole parlare, finché papà non torna, ha bisogno di qualcuno in casa.
Ora ti lascio e vado a studiare. Spero che la lettera ti arrivi in tempo, o che almeno ti arrivi.
 
Saluti, tuo fratello Vito.



Fine Giugno 1945, Napoli, Campania.

Due occhi verdi incontrarono un paio di occhi neri.
«Vito!»
I due fratelli si abbracciarono. Non si vedevano da quasi sei mesi.
«Sei arrivato giusto in tempo: la nave parte tra mezz'ora. Papà ti sta aspettando!»
Prima di abbracciare suo figlio Rocco lo guardò attentamente, notando che era cresciuto. Gli sembravano pochi giorni da quando lo aveva visto nascere e crescere. Era sempre stato così vivace!
Era felice di averlo rivisto dopo tanto tempo. Lo strinse tra le braccia come aveva già fatto con Vito, e lo baciò sulla guancia. Sarebbe stato via per qualche mese, forse sei, come al solito.
Ora che la guerra era finita non c'era un attimo da perdere: bisognava riallacciare tutti i vecchi contatti per vendere l'olio e il grano delle proprie terre, anche oltreoceano.
Prese le sue due piccole valigie e salì sulla transoceanica girandosi indietro un'ultima volta. Sorrise a sua moglie e ai suoi figli.
Rimasero tutti lì, su quel molo, fino a quando la grande nave non si vide più.
«Quando torni?» gli chiese la madre.
«Stasera... ho un permesso solo per una giornata, ma c'è tempo... possiamo farci una passeggiata» sorrise Angelo.
«Noi partiamo con te. Restiamo ad Avellino per qualche giorno» lo informò la madre.
«Mi fa piacere! Ma non potremo comunque vederci spesso... non mi fanno uscire tutte le sere»
«Oh, non ti preoccupare! Troveremo qualcosa da fare» disse allegro Vito.
Il piccolo era contento di vedere Avellino, come lo era di vedere Napoli, perché sperava, un giorno, di venire a studiare lì.
«Qui la città è ancora in rovine, più o meno, quindi per ora non c'è molto da visitare. L'hanno rasa al suolo... ad Avellino è andata meglio, sapete? Lì ci sono state delle bombe, ma fortunatamente alcune sono inesplose. E poi c'era la Madonna di Montervergine a proteggerci. Possiamo andarci, se vi trattenete abbastanza» disse loro Angelo.
La madre era molto religiosa, molto più dei figli, ed era felice di rendere omaggio, quindi acconsentì.
Napoli era quasi distrutta. Era stata bombardata quasi senza sosta durante la guerra. Il porto aveva ripreso a funzionare per i civili, ma il resto della città era paralizzato. Migliaia di persone erano rimaste senza casa, molti, a distanza di settimane, non sapendo dove andare, erano rimasti a vivere nelle cisterne dell'acqua che erano state usate come tunnel sotterranei anti-bombardamento.
Il bellissimo lungomare, il centro storico, la parte alta della città: tutto era stato preso di mira.
Verso sera una macchina della finanza diretta ad Avellino diede loro un passaggio.
Il due visitatori dormirono in un hotel, mentre il cadetto tornò in caserma.
Il venerdì successivo Angelo prese in prestito una macchina e li accompagnò al Santuario, che si trovava su una montagna.
La strada era molto tortuosa, ispida, piena di curve. Di notte sarebbe stato ancora più difficile guidare. C'erano molte persone però, come loro, che facevano quella strada, sia in macchina che a piedi.
«Angelo stai attento! Oh!» gridava la madre ad ogni curva «Vai troppo veloce! Poi ti fa anche male la spalla, è pericoloso! Rallenta!»
«Mamma, più piano di così... facciamo prima ad andare a piedi»
«Siamo arrivati? Io dovrei andare in bagno» disse Vito.
«Quasi!»
Alla fine arrivarono presso il luogo di culto, dove c'erano già più di un centinaio di persone.
«Va bene, io vado» disse Vito dirigendosi verso il bosco. Angelo e la madre invece decisero di visitare il monastero. «Non vieni con noi? Va bene, ci rivediamo qui tra due ore, capito?»
«Va bene!» disse Vito, anche se non aveva un orologio. Si sarebbe basato sulle proprie percezioni e sarebbe arrivato in ritardo, beccandosi la solita sgridata.
Il bosco che circondava il posto era grandissimo, tutto in salita. Lì le curve strette continuavano fino alla cima della montagna, e qualche volte erano a precipizio sul vuoto. Gironzolò un po' a caso. Gli piaceva la natura, l'odore della terra e degli alberi, il canto delle cicale, l'aria fresca sul viso. Era salito piuttosto in alto, tanto da non sentire più le voci dei pellegrini, era il caso di tornare indietro, pensò. Forse erano già passate le due ore.
Un urlo.
Voltò la testa ed iniziò a camminare, a correre in quella direzione.
In quel momento sentì qualcuno. «Aiutami!» gli disse
Vito si avvicinò alla staccionata «Ma cosa diamine stai facendo?» le chiese mentre le porgeva la mano per aiutarla a scavalcare.
Con un saltello Jo atterrò sui piedi. «Volevo guardare di sotto» gli disse.
«E perché?» domandò lui, alzando la voce, stupito.
«Per vedere cosa c'era di sotto» rispose lei semplicemente.
«Sei per caso matta?»
«No! Non era mia intenzione di sicuro finire fuori dalla staccionata... sono scivolata!» rispose lei offesa. Vito continuò a guardala in modo strano. Sembrava effettivamente un po' toccata, quella bambina. Si diressero verso il santuario, in discesa.
«Allora... sei anche tu in visita alla Madonna?» chiese Jo.
«Più o meno.»
«Lo hai già visto il Santuario? Io almeno un milione di volte, è molto bello, vero?»
«No, non l'ho visto» rispose lui. Era sempre stato timido con gli estranei, in particolar modo quelli che giudicava strani.
«Ma come! Se vuoi ti faccio da guida» gli propose. Vito annuì sbadatamente.
Jo al contrario trovava simpatico quel ragazzo e voleva rendergli il favore di poco prima, dimenticando che l'aveva chiamata matta. Era estroversa con chi si trovava bene, con i ragazzi della sua età.
Arrivarono nel parcheggio, Jo lo portò a vedere la splendida vista. Poi dentro al monastero, anche se alcune zone era vietate alle donne, Jo riuscì a sgattaiolare senza farsi notare. Le statue era bellissime, come i quadri, e Jo amava tutto ciò che era arte.
«Come ti chiami?» gli chiese.
«Vito» rispose lui, poi, rendendosi conto che lei stava ancora aspettando, le domandò «e tu?»
«Giovanna, ma chiamami Jo»
Il monastero era un luogo molto tetro e scuro, ma con un suo fascino. Alla fine del giro Jo salutò il suo nuovo amico e andò a cercare sua madre.
Vito invece si diresse al parcheggio.
«Allora! E' un'ora che aspettiamo!» lo sgridò la madre.
«Scusa»
Quando, il giorno dopo, partirono in treno, ci furono grandi abbracci.
«Vito, cercherò di convincere mamma a lasciarti venire, ma non prometto nulla» gli disse il fratello maggiore dandogli una pacca sulla spalla.
«Grazie» annuì Vito, raggiante. 

 
ANGOLO AUTRICE: allora, allora! Finalemte un po' di intrecci e intrallazzi, eh? Lo adoro. Il capitolo è uscito più lungo di quanto volessi, quindi magari anche meno scorrevole, mi spiace u.u
Comunque, che ne pensate?
La piccola Jo ha appena conosciuto il suo principe azzurro o preferirà il bel cadetto? Susu, aspetto le vostre opinioni!
A Sabato!
P.S. grazie per le recensioni e per aver messo questa storia tra le seguite, sul serio, vi adoro c:


 
   
 
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