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Autore: vero_91    26/07/2014    5 recensioni
[Johanna!centric; accenni a Finnick/Johanna e Gale/Johanna]
“Quando aveva dieci anni, Johanna comprese che l'amore non era per forza un sentimento bidirezionale: puoi amare una persona con tutta te stessa, ma questo non implica che lei ti amerà a sua volta. Può sembrare una cosa stupida, ma Johanna da bambina ne era convinta”.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fuoco e Cenere '
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Titolo: Amare non è sufficiente
Autore (forum e EFP se sono diversi): vero_91 / vero_91@EFP
Fandom: Hunger Games
Pairing: Het
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale.
Rating: Arancione
Introduzione: “Quando aveva dieci anni, Johanna comprese che l'amore non era per forza un sentimento bidirezionale: puoi amare una persona con tutta te stessa, ma questo non implica che lei ti amerà a sua volta. Può sembrare una cosa stupida, ma Johanna da bambina ne era convinta”.
Avvertimenti: Missing Moments

 

 

C'è sulla Terra una sola ebrezza durevole: la sicurità nel possesso di un'altra creatura, la sicurezza assoluta, incrollabile. Io cerco questa ebrezza.
Io vorrei poter dire: la mia amante, vicina o lontana, non vive se non del pensiero di me; ella è sottomessa con gioia ad ogni mio desiderio, ha la mia volontà per unica legge; s'io cessassi d'amarla, ella morirebbe; spirando ella non rimpiangerà se non il mio amore.
[Gabriele D'Annunzio, “Il trionfo della morte”]

*

Quando aveva dieci anni, Johanna comprese che l'amore non era per forza un sentimento bidirezionale: puoi amare una persona con tutta te stessa, ma questo non implica che lei ti amerà a sua volta. Può sembrare una cosa stupida, ma Johanna da bambina ne era convinta. Se avesse trasmesso a sua madre tutto l'amore che provava per lei, a un certo punto sua madre avrebbe smesso di paragonarla al perfetto fratello maggiore e l'avrebbe amata, con la sua stessa intensità.
D'altronde con suo padre aveva funzionato: Johanna lo amava, e lui ricambiava con semplici ma preziosi gesti d'affetto, raccontandole miti greci prima di addormentarsi [1] o permettendo a Johanna di aiutarlo con i suoi lavori di falegnameria. Insieme levigavano il legno e costruivano oggetti bellissimi, tanto che Johanna era sempre un po' triste quando un cliente ne comprava uno che avevano costruito insieme. Era una prova tangibile del loro amore, un amore che il padre ricambiava.
Una mattina di novembre, quando Johanna aveva dieci anni, suo padre si suicidò. Lo trovarono appeso nel capanno da lavoro, il corpo rigido e gli occhi spalancati. Mentre intorno a lei il resto del mondo si agitava, Johanna restò immobile a fissare il cadavere del padre, con una domanda inespressa che le impediva di respirare. Sapeva che suo padre soffriva di depressione, ma non poteva accontentarsi di una giustificazione del genere, non era abbastanza.

“Perché?” riuscì infine a chiedere.

La madre la guardò, e soppesò per un attimo la risposta. “Non ti amava abbastanza” disse infine.

Johanna spostò febbrilmente lo sguardo sul padre, come se stesse aspettando che lui negasse. Ma suo padre era morto, e come risposta Johanna ottenne solo un tacito assenso.
Poco importa che sua madre in realtà parlasse di se stessa, Johanna aveva trovato alla sua domanda una risposta più che soddisfacente.

*

Sette anni dopo, Johanna fu sorteggiata per i Settantunesimi Hunger Games.

“Non ce l'ha fatta tuo fratello, mi chiedo come potresti riuscirci tu.”

Questa fu l'ultima frase che Johanna sentì pronunciata dalla bocca di sua madre, prima di lasciare il Palazzo di Giustizia. D'altronde suo fratello maggiore era morto sei anni prima nell'arena, quindi era inimmaginabile che per Johanna ci fosse una sorte migliore; sua madre la credeva una debole, una perdente, per lei quello era un addio definitivo. E se lo credeva lei, la donna che l'aveva messa al mondo e che avrebbe dovuto amarla più di ogni altra cosa, perché le altre persone avrebbero dovuto dubitarne? Johanna accettò che tutti la pensassero come sua madre, aiutata anche dal suo fisico magro e asciutto. Le bastò mostrarsi spaventata e innocente, versare qualche lacrima al momento giusto, per far sì che la visione di sua madre diventasse di pubblico dominio.
Johanna, a differenza del fratello che era stato ucciso a metà dei giochi, vinse gli Hunger Games, smentendo tutti i pronostici. Quando tornò al Distetto 7 come vincitrice, sua madre non le rivolse mai la parola, come se Johanna fosse davvero morta nell'arena e a fare ritorno fosse stato solo il suo fantasma.

*

Un mese esatto dopo la vittoria, il presidente Snow propose a Johanna di donare il suo giovane corpo ai ricchi abitanti di Capitol City, e in cambio avrebbe ricevuto abbondanti ricompense. Johanna stracciò la raffinata lettera davanti agli occhi dell'emissario capitolino, che, guardando i pezzi di carta sparsi sul pavimento, chiese se c'era una risposta.

Johanna annuì. “Sì, digli che l'unico che deve andare a farsi fottere qui, è lui.” disse, sbattendogli poi la porta in faccia.

Johanna camminò per la stanza qualche minuto, avanti e indietro, come un animale in gabbia, mentre un brutto presentimento le contorceva le viscere. Quando sentì che l'aria stava iniziando a mancarle, uscì di corsa dalla casa, diretta dall'unica persona in grado di tranquillizzarla.

Jason ascoltò il suo racconto in silenzio, seduto sui gradini del portico della sua vecchia casa di legno, mentre Johanna inveiva e gesticolava di fronte a lui. Tuttavia, anche quando Johanna ebbe finito di sfogarsi, Jason continuò a restare in silenzio, le sopracciglia aggrottate in un'espressione concentrata, la stessa che assumeva a scuola quando doveva risolvere un difficile calcolo matematico.

“Hai sentito la parte in cui ho detto che ho rifiutato, vero?” chiese la ragazza.

Jason annuì, poi alzò il viso verso il suo. “Forse non avresti dovuto.”

Johanna lo fissò confusa, chiedendosi se per caso non avesse capito male. Jason sostenne il suo sguardo, con un'intensità e una fermezza che Johanna conosceva bene.

“Vuoi che diventi una puttana?” ringhiò, indignata.

“Se è necessario affinché tu viva, allora sì” rispose con freddezza, ma il gesto nervoso con cui si sistemò gli occhiali tradì il suo reale stato d'animo.

“Sono una vincitrice degli Hunger Games, non può uccidermi come se nulla fosse!”

“Hai ragione, ma esistono infiniti modi in cui potrebbe ferirti”. Johanna lo guardò, non capendo subito a che cosa si riferisse, e pensò a dolori fisici, come punizioni o torture. Poi, osservando il lieve tremore della mano di Jason, comprese.

“Non ti farà del male. Non lo permetterò.” disse con tono sicuro, afferrando la mano che Jason aveva affondato nei suoi folti capelli ricci.

Il ragazzo ricambiò la stretta, stringendo tanto forte da farle male, se solo avesse avuto più muscoli.

“Ti ho già protetto in passato” continuò Johanna, forzando la bocca nel suo solito ghigno.

“Stavolta non è dai bulli che dovrai proteggermi. E poi non ci sono solo io, anche tua madre è in pericolo.”

Johanna sentì un principio di panico scorrergli nelle vene, mentre il peso del suo rifiuto al presidente Snow diventava sempre più opprimente. Aveva rifiutato la proposta d'istinto, ma come succedeva spesso, non aveva pensato alle conseguenze.

“E in ogni caso, vincitrice o no, anche tu sei in pericolo. Potrebbe far passare la tua morte come accidentale, un incidente nei boschi, un albero caduto al momento sbagliato, un'intossicazione alimentare...” Jason scosse la testa, come se i modi per uccidere Johanna fossero talmente tanti da mandare il suo incredibile cervello in cortocircuito. E alla fine, Johanna sapeva che aveva ragione. Jason era timido e introverso, ma era il ragazzo più intelligente che avesse mai conosciuto. Per questo gli piaceva così tanto, loro due si compensavano: lei era tutto istinto e impulsività, lui era mente e razionalità.

“Cosa mi stai dicendo, Jason?” chiese, anche se in realtà sapeva già la risposta.

“Chiama il presidente Snow, digli che hai cambiato idea, accetta la sua proposta”.

Johanna si morse il labbro inferiore, mentre l'impotenza e la rabbia montavano dentro di lei, fino a quando non sentì in bocca il sapore ferroso del sangue.

“E' questo il prezzo che devo pagare per le nostre vite?” chiese disgustata, come se avesse appena ingoiato un boccone troppo amaro.

Per un attimo, Johanna provò davvero a immaginarsi accondiscendente e lasciva, mentre trascinava in un letto un abitante di Capitol City, e soddisfaceva le sue voglie e i suoi desideri. Ci provò, e il panico la invase. In quel momento, seppe che non ci sarebbe mai riuscita: non appena si fosse trovata davanti il primo Capitolino bavoso, non appena lui avesse provato a sfiorarla, lei gli avrebbe tagliato la gola. D'altronde, era quella la sua natura.

Jason studiò il volto della ragazza, e come faceva spesso, riuscì a intuire i suoi pensieri senza il bisogno di inutili parole. “Dobbiamo lasciarci, Johanna” disse, infine.

Johanna spalancò gli occhi, il suo cuore perse un battito. “Ci dev'essere un altro modo! Possiamo andarcene, scappare per i boschi...”

“E' l'unica soluzione” Jason la interruppe, alzandosi in piedi “tu hai già preso la tua decisione, questa invece è la mia”. Johanna si rese conto di avergli dato uno schiaffo solo quando ne sentì il rumore. La mano le pulsava, e pensò che Jason era una delle poche persone su cui non aveva mai alzato le mani fino ad ora.

“Sei un codardo” mormorò, mentre Jason si chinava a raccogliere gli occhiali caduti per l'impatto. “Non voglio guardarti morire, Johanna. E neanch'io voglio morire, non a causa del tuo orgoglio”.

Johanna rimase qualche secondo in silenzio, immobile, poi gli diede le spalle e se ne andò.
Con la mente offuscata dalla rabbia e dal dolore, le parole di sua madre di alcuni anni prima le rimbombarono nella mente: non ti amava abbastanza. Johanna si convinse che fosse quella la causa della loro rottura, che fosse quello il motivo per cui lui l'avesse spinta ad accettare una proposta del genere.
Cinque giorni dopo, sua madre morì in un incidente nei boschi, mentre Jason soffocò durante un pranzo; le dissero che probabilmente aveva ingoiato un qualche alimento a cui non sapeva di essere allergico.
Se Johanna non fosse stata schiacciata dal dolore, avrebbe pensato che il Presidente Snow avesse uno strano senso dell'umorismo.

*

Quando Johanna entrò in una sala comune del centro d'addestramento, fu sollevata di trovarla vuota. Si versò un bicchiere d'acqua per calmarsi, ma con rabbia notò che la sua mano tremava visibilmente. Scagliò il bicchiere contro la parete di fronte, e i frammenti di vetro volarono come proiettili per la stanza; si sedette su un divanetto e si prese la testa fra le mani, obbligandosi a fare dei respiri profondi. I Settantaduesimi Hunger Games erano iniziati da una settimana e lei aveva già perso entrambi i suoi tributi: la ragazzina era morta nel bagno di sangue, il ragazzo invece era appena stato ucciso dalla ragazza del Distretto 1, impalato alle spalle.

“Sei la Mason, giusto?”

Johanna alzò gli occhi, incontrandone un paio verde mare. “Sai benissimo chi sono, quindi evita certe sceneggiate.” rispose, sostenendo il suo sguardo.

“Volevo solo essere cortese” disse, sedendosi accanto a lei senza chiederle il permesso.

“Sai dove puoi mettertela la tua cortesia?”

Il ragazzo finse di pensarci su. “Sì, un'idea credo di avercela” disse infine con un sorriso sghembo.

Johanna alzò gli occhi al cielo. “Che cosa vuoi, Odair?”

Il sorriso costruito di poco prima svanì, lasciando il posto a un'espressione seria, che Johanna non riuscì a decifrare.“Mi dispiace per Nathan. Sei la sorella minore vero?”

Johanna vide gli occhi di Finnick incupirsi, come il mare prima dell'arrivo di una tempesta, e capì il motivo di quella conversazione. “Non dispiacerti, non l'hai ucciso tu.” disse, guardando la parete di fronte a lei.

“No, però quell'edizione l'ho vinta io. Se...”

“Nathan è morto perché era troppo sicuro di sé. Avrebbe dovuto capire che il vero nemico da sconfiggere eri tu non appena avete messo piede nell'Arena. Invece era troppo orgoglioso di essere entrato nel gruppo dei Favoriti, per rendersi conto che il migliore non era fra quelli.”

Finnick annuì appena e restò in silenzio, seduto accanto a lei, sorseggiando quello che sembrava un superalcolico. Johanna si chiese se le sue parole fossero state di qualche conforto, se avessero alleviato, almeno in piccola parte, il peso che grava su ogni vincitore; anche se ne dubitava.

La ragazza alzò lo sguardo sul tabellone delle scommesse, e si accorse che anche entrambi i tributi di Finnick erano già stati uccisi. Cercò di ricordarne il modo e il momento, ma era troppo concentrata sui suoi tributi per badare agli altri concorrenti, i quali nella sua mente erano stati declassati a semplici nemici da uccidere.

“Ci si abitua?” chiese, voltandosi verso di lui.

“A cosa?” La domanda di Johanna sembrò riportare Finnick alla realtà.

“A quello” disse, indicando con un cenno del capo il tabellone.

Finnick la guardò intensamente, la sua solita espressione sbruffona era sparita; sembrava indeciso se mentire spudoratamente o dire quello che pensava davvero. Qualcosa, nello sguardo di Johanna, lo fece optare per quest'ultima. “Mi auguro proprio di no. Quando succederà, saprò che per me non c'è più speranza”.

“Speranza?” ripeté la ragazza, un sorriso ironico sulle labbra. “Devi essere pazzo, oltre che idiota, Odair, per conservare la speranza in un luogo come questo”.

Finnick fece spallucce. “Speranza, pazzia, ottimismo. Forse sono tutte facce della stessa medaglia. O quello, o mi unisco al club dei morfaminomani del Distretto 6”.

“Mi sembra la scelta meno dolorosa” rispose Johanna, pentendosi subito dopo. Sentì lo sguardo indagatore di Finnick su di lei, e per un momento Johanna si vergognò di essersi mostrata debole davanti a uno sconosciuto qualsiasi. Abbassò lo sguardo, chiedendosi se in quella frase vi fosse un fondo di verità.

Con la coda dell'occhio vide Finnick annuire fra sé e sé, come se avesse preso un'importante decisione. “Mi piaci, Johanna. Diventeremo amici, tu ed io.”

Johanna inarcò le sopracciglia, sul viso un'espressione stupita. “Cos'è questo, il tuo metodo speciale per portarmi a letto?” chiese.

Il ragazzo rise, mostrandole per la prima volta il suo sorriso sincero, quello che gli faceva socchiudere gli occhi e gli creava due fossette ai lati della bocca. “Non preoccuparti, se avessi voluto portarti a letto, a quest'ora non saremmo di certo ancora qui a conversare” rispose, facendo di nuovo quel sorrisetto sghembo e costruito.

Johanna pensò che avrebbe voluto toglierglielo a suon di schiaffi. “Hai ragione. Anzi, credo che a quest'ora ci staremmo già rivestendo” disse, dando un'occhiata all'orologio appeso alla parete.

Il sorriso autentico di Finnick riapparve di nuovo e Johanna si sentì spiazzata da questo bipolarismo, ma immaginò che portare perennemente una maschera avesse anche questo come effetto collaterale.

“Sento che andremo proprio d'accordo.” disse, convinto. Poi le tese la mano:“Piacere di conoscerti, comunque, io sono Finnick”.

Johanna rimase immobile, scrutandolo con diffidenza, ma il sorriso non abbandonò il volto del ragazzo. Alla fine Johanna tese il braccio e ricambiò la stretta: “Johanna Mason”.

D'altronde in quel momento non aveva più nulla da perdere.

*

Da quel giorno, lei e Finnick diventarono amici. Neanche Johanna aveva ben capito come fosse successo, seppe solo che a un certo punto si ritrovò a passare la maggior parte dei suoi giorni nel Distretto 4, insieme a Finnick e Annie.
Le insegnarono anche a nuotare, o meglio Annie lo fece, paziente e comprensiva anche quando Johanna perdeva le staffe e li malediceva per averla convinta a intraprendere una tale impresa. Finnick si godeva lo spettacolo ridendo dell'incapacità di Johanna, mentre Annie non si arrese fino a quando Johanna non ottenne i primi risultati.
Per Johanna, Annie fu una sorpresa: conoscendola, le sembrò che Annie non fosse pazza, ma solamente più fragile di altre persone. Se la maggior parte di loro, a un certo punto della vita, impara a camminare da sola, Annie invece sembrava aver sempre bisogno di un sostegno, di qualcuno che colmasse le sue insicurezze. Johanna notò che Annie sembrava sentirsi al sicuro solo quando era in acqua, o stretta tra le braccia di Finnick.
Johanna sapeva anche per cos'era famoso Finnick a Capitol City, per questo agli inizi rimase piuttosto stupita per la sua relazione con Annie. Col tempo però, capì che in realtà era proprio Annie il motivo per cui Finnick lo faceva, alimentato forse da quella speranza di cui le aveva parlato.
Finnick aveva avuto il coraggio di fare quel sacrificio che Johanna non era riuscita a compiere: aveva ceduto al ricatto del Presidente Snow e aveva venduto il suo corpo, solo per salvare la vita della persona che amava.

E neanch'io voglio morire, non a causa del tuo orgoglio.

Johanna aveva sempre attribuito a Snow la colpa per la morte di Jason e sua madre, ma in realtà capì che era stata lei a fornire al Presidente l'arma con cui ucciderli, lui aveva solo dovuto premere il grilletto. Quella volta, era stata Johanna a non amare abbastanza.
Forse fu per questo che Johanna cominciò ad ascoltare e ad assecondare l'idea di una rivoluzione che Finnick le sussurrava mentre camminavano sulla spiaggia. Subito gli diede dell'idiota, del pazzo visionario, ma poi si lasciò coinvolgere, perché l'ultima volta che aveva pensato solo a se stessa le due persone che amava di più al mondo erano morte.

*

Johanna conobbe Plutarch Heavensbee la prima sera che arrivò a Capitol City per i Settantacinquesimi Hunger Games. Finnick era in contatto con lui già da qualche mese, e Johanna conosceva a grandi linee il loro piano e le loro intenzioni, ma quella era la prima volta che si riunivano e ne parlavano a quattrocchi, conferendo all'operazione un'aurea di autenticità che prima non aveva mai avuto.

Terminato l'incontro, Johanna lanciò a Finnick un'occhiata scettica.“Se pensi davvero che quella ragazza, la Everdeen, sia il tuo simbolo di speranza, beh sappi che ti sbagli di grosso” disse, mentre attraversavano i corridoi deserti.

“Si è ribellata a Capitol City, ed è l'unica ad averlo fatto tra di noi”.

“Solo per salvarsi la pelle! Quella è l'unica cosa che le importa, salvare lei e la sua famiglia. Il ragazzo è vivo solo perché le serviva per la sua farsa, altrimenti l'avrebbe lasciato morire nell'arena e tanti cari saluti.”

Finnick incrociò lo sguardo di Johanna, ma rimase in silenzio.

Lei lo fissò stupita.“Ti prego, non dirmi che anche tu sei così idiota da credere alla recita degli Innamorati Sventurati”.

Finnick scosse la testa. “Sai bene che non ci ho mai creduto. Eppure hai sentito Plutarch, se vogliamo Katniss dalla nostra parte, dobbiamo proteggere Peeta. Il loro mentore dice che è lui che vuole far vincere in questi giochi”.

“Ti ricordo che Abernathy ha in circolo più alcol che sangue”.

“È vero, ma non è uno sciocco e nemmeno Plutarch. Se hanno detto che vuole salvare Peeta, dev'essere così.”

Johanna si strinse nelle spalle. “Senso di colpa tardivo? Istinti suicidi? Stanca di vivere? Anche se fosse, a lei non gliene fotte un cazzo della nostra ribellione, credimi.”

“Nostra?” chiese Finnick con un sorrisetto divertito.

Johanna si portò le mani ai fianchi, lanciandogli uno sguardo carico di sfida. “È un problema? Sei stato tu a trascinarmi in questo casino, e ora ti stupisci che non me ne tiri indietro? Dovevi pensarci prima, Finnick”.

Il ragazzo si fermò in mezzo al corridoio, poco prima degli ascensori, e si guardò intorno furtivo, controllando che non ci fossero orecchie indiscrete. “Senti, anch'io ho dei dubbi sulla ragazza, ma obiettivamente questa è la migliore possibilità che abbiamo; non ce ne ricapiterà un'altra simile. Inoltre, il fatto che lei voglia proteggere la sua famiglia potrebbe volgere a nostro vantaggio”.

Johanna aggrottò le sopracciglia. “Perché?”

“Perché se hai qualcosa da perdere hai più motivi per combattere.”

Johanna guardò Finnick, chiedendosi per cosa combattesse. Per la speranza di un futuro migliore? Un futuro in cui lui e Annie vivono felici in riva al mare? Gli sembrò utopico e stupido.

E tu? Per che cosa combatti, Johanna?

“Io voglio solo il corpo di Snow disteso di fronte a me, morto. Questo è l'unico vero motivo per cui ho deciso di collaborare a questo disperato piano” disse, anche se in fondo sapeva che non era solo per questo.

Finnick a quelle parole le rivolse un sorrise triste, scuotendo appena la testa.“Puoi avere di meglio, Johanna. Ti meriti di meglio” disse, gentilmente.

Johanna abbassò lo sguardo, sentendosi tutto ad un tratto colpevole, come se l'avesse deluso. Finnick le passò delicatamente una mano tra i capelli, lasciandole un leggero bacio sulla fronte, che Johanna percepì come battito di ciglia. “Buonanotte Johanna, e ricordati che domani inizia lo show” disse, strizzandole l'occhio. Johanna guardò Finnick scomparire dietro le porte dell'ascensore, mentre le faceva un cenno di saluto con la mano.

Ti meriti di meglio. Si chiese se fosse davvero così, si chiese se avesse seguito Finnick per vendetta o solo perché era stato lui a chiederglielo. Pensò a Jason e a sua madre, morti per colpa sua, pensò al nulla che aveva provato alla morte di Nathan, pensò all'amore di Finnick, di cui lei non sarebbe mai stata degna.

No, non lo merito. Ma avrebbe fatto il possibile per riuscirci, un giorno. E la rivoluzione era un buon punto di partenza.

*

Quando aprì gli occhi, all'ospedale del Distretto 13, Finnick era seduto su una sedia accanto a lei. Johanna aveva passato gli ultimi giorni in uno stato di semi incoscienza, passando dal sonno alla veglia in un moto continuo, perdendo la cognizione del tempo. La maggior parte delle volte che apriva gli occhi si ritrovava in una stanza vuota, ogni tanto però, quando era fortunata, c'era la figura di Finnick ad attenderla. Questa volta, anche con la mente ottenebrata dai farmaci, capì che c'era qualcosa di diverso. Gli occhi di Finnick brillavano di luce propria, e a malapena riusciva a stare seduto composto sulla sedia, tanto era forte l'emozione che scorreva dentro di lui. Johanna seppe che cosa le avrebbe detto ancora prima che lui aprisse bocca.

“Io e Annie ci sposiamo”.

Johanna ricordò di aver borbottato qualche frase di convenienza, dicendo poi che, se non avesse avuto niente di meglio da fare, ci sarebbe stata. Finnick le aveva sorriso raggiante, e prima di lasciare la stanza le aveva stretto la mano, mormorando un “ci conto”.
Johanna aspettò che il ragazzo chiudesse la porta prima di sprofondare di nuovo con la testa nel cuscino, socchiudendo gli occhi.

Io e Annie ci sposiamo.

Girò appena il volto, individuando alla sua sinistra la flebo con la morfamina. Allungò il braccio, e con un movimento deciso girò la rotellina, aumentando l'intensità della dose. Chiuse gli occhi, sperando di ricadere velocemente nell'oblio, così da bloccare il flusso di voci nella sua testa. Tuttavia sapeva che, quando avrebbe riaperto gli occhi, la realtà sarebbe stata di nuovo lì ad attenderla.

*

La maggior parte degli invitati era a scatenarsi sulla pista da ballo, quando Johanna decise di sedersi in disparte a lato della piazza, e guardare distrattamente le persone ballare di fronte a lei. Ogni tanto tra la folla intravedeva la coppia di sposi, occupati a ricevere saluti e congratulazioni.
Quando sentì qualcuno sedersi alla sua destra, per un attimo tornò indietro nel tempo, e rivide un Finnick più giovane e sfacciato a Capitol City; invece incontrò due occhi grigi e una massa di capelli scuri. Sorrise, quello che vedeva alla fine non le dispiaceva affatto.

“Hawthorne, pensavo fossi in pista a scatenarti” disse, indicando con un cenno del capo la folla danzante.

Gale si arrotolò le maniche della camicia, la fronte imperlata di sudore. “È stata Sae la Zozza a trascinarmici, io non sono portato per certe cose”.

“Non l'avrei mai detto” rispose, ironica. Johanna aveva scelto quel posto proprio perché era nascosto, così che nessuno potesse infastidirla. Prima aveva visto Hawthorne rifiutare di ballare a tre ragazze diverse, quindi immaginò che anche lui fosse lì per lo stesso motivo.

Gale alzò gli occhi al cielo, ormai era abituato alle frecciatine della ragazza.

“Comunque voi del Distretto 12 mi avete stupito, non siete così noiosi come vi ritraggono di solito” continuò la ragazza. Gale alzò la spalle, passandosi una mano tra i folti capelli scuri. “Diciamo che non abbiamo mai molti motivi per festeggiare”. I suoi occhi, prima brillanti, si oscurarono, come se un qualche brutto ricordo passato fosse ritornato a galla.

“Non avete una festa tradizionale?” insistette Johanna riportandolo alla realtà.

Gale scosse la testa. “Voi sì, invece?” chiese, interessato.

Johanna annuì. “La Festa del Falò, cade il primo giorno d'autunno. Ogni abitante del Distretto quel giorno, deve portare al centro della piazza della legna che ha tagliato con le sue mani, così che dopo il tramonto possiamo dargli fuoco, e per il resto della serata mangiamo e balliamo intorno al Falò che abbiamo costruito. Non so quale fosse la sua reale utilità, però è – Johanna si interruppe, ricordandosi che probabilmente non avrebbe partecipato più a nessuna Festa del Falò – era divertente” si corresse.

“Sembra bello” disse Hawthorne, sorridendo. Johanna pensò che le sarebbe piaciuto vedere quel sorriso più spesso. Studiò il suo profilo, domandandosi se sarebbe riuscita a trascinarlo a ballare. Gale aveva lo sguardo fisso in pista, e non fu difficile capire cosa, o meglio chi, stesse guardando.
Johanna alzò gli occhi al cielo. Hawthorne non aveva rifiutato le altre ragazze perché, come sosteneva lui, non era portato per certe cose, ma perché c'era solo un'unica ragazza con cui avrebbe voluto ballare: Katniss era al centro della pista con sua sorella Prim, e sembrava divertirsi. Non guardava mai nella loro direzione, e Johanna si chiese come non riuscisse a sentire gli occhi penetranti di Gale su di lei. Non era la prima volta che Johanna lo notava, ovviamente. Aveva capito che la storia dei cugini era una balla già sull'Overcraft, quando l'avevano recuperata da Capitol City [2], e in quei mesi di permanenza al Distretto 13 ne aveva avuto la conferma. Hawthorne la seguiva con lo sguardo ovunque andasse, con un'intensità che a Johanna faceva ribollire il sangue.
Se da una parte infatti, si capiva che il modo di amare di Peeta era dolce e incondizionato, quasi reverente, quello di Hawthorne era fuoco e passione pura. Johanna la vedeva bruciare negli occhi del ragazzo ogni volta che posava lo sguardo sulla Everdeen, e si chiese come sarebbe stato, per una volta nella sua vita, essere l'oggetto di tale passione, essere guardata come se lei fosse l'unica donna esistente sulla terra.

Si chiese anche come Gale riuscisse a trattenersi, ma la risposta non fu difficile da trovare: Peeta. Johanna non sapeva definire la relazione tra la Everdeen e i due ragazzi, ma era chiaro che non ci fosse niente di chiaro e definito con nessuno dei due. Avrebbe dovuto dire a Hawthorne di alzare quel suo bel culo e di andare da lei, di smetterla di crogiolarsi in quello stato d'indecisione e di tirare fuori gli attributi. Tuttavia, non riuscì a trovare un motivo valido per farlo: qualcosa, dentro di lei, glielo impediva. Restò lì, con la bocca socchiusa, le parole bloccate in gola, il sorriso del ragazzo impresso nella mente e pensò che quando era con la Everdeen lui non sorrideva mai. E le rare volte che lo faceva era un sorriso triste, rassegnato.
Così chiuse la bocca e rimase in silenzio, auto convincendosi che non erano affari suoi. D'altronde, dove stava scritto che doveva essere lei a farli mettere insieme?

Hawthorne stava ancora fissando la pista da ballo, perso nei suoi pensieri, quando una vocetta stridula richiamò la sua attenzione. Johanna aveva visto la bambina in mensa, e assomigliava così tanto a Gale che non era difficile capire chi fosse; oltre al fatto che gli stava sempre appiccicata. Posy chiese a Gale un ballo, e con un sorriso divertito Hawthorne accettò. Il ragazzo si alzò e prese la bambina per mano, ma rimase in piedi a guardare Johanna, quasi titubante.

Johanna in risposta inarcò un sopracciglio.“Cosa stai aspettando Hawthorne, un segno dal cielo?”

“Gli sposi tra poco si ritireranno. Se ti va dopo, raggiungici.” disse, indicando con un cenno del capo la pista da ballo.

Johanna stava per chiedergli a cosa si riferisse, ma lo sguardo di comprensione che il ragazzo le lanciò, spazzò via ogni dubbio. Si limitò ad annuire, guardando poi Hawthorne sparire tra la folla.

Le bastarono un paio di minuti per trovare con lo sguardo la persona che stava cercando: Finnick e Annie erano a lato della pista, abbracciati, e si dondolavano sul posto incuranti della musica, l'uno perso negli occhi dell'altra. Johanna conosceva a memoria lo sguardo ricolmo d'amore che Finnick riservava a Annie, tante erano le volte che l'aveva visto, ma non sapeva che anche sul suo volto vi fosse uno sguardo simile, finché Hawthorne non l'aveva scoperta, anche lui vittima di una passione irrealizzabile.

*

Plutarch entrò al centro d'addestramento quasi correndo, se quelle sue gambette corte glielo avessero permesso. Johanna buttò a terra il fucile con cui si stava allenando e lo guardò riprendere fiato, battendo nervosamente il piede a terra. Alla fine, lo stratega esalò: “Ce l'abbiamo fatta, Capitol City è caduta!”

Johanna per un attimo si sentì più leggera, come se improvvisamente le avessero tolto un enorme peso dalle spalle. Ma non era così ingenua da credere che non ci fossero state delle vittime.

“Chi?” chiese.

“Chi è morto?” specificò, davanti allo sguardo confuso di Plutarch.

Plutarch elencò alcuni nomi, di cui Johanna riusciva a malapena a ricordarne i volti, finché non lo sentì: Finnick. Plutarch continuò a parlare, ma Johanna riuscì a cogliere solo alcune informazioni che ritenne importanti: Katniss e Hawthorne erano sopravvissuti, Prim era morta in un'esplosione, Snow era stato catturato; tutto il resto del discorso venne risucchiato nella voragine che Johanna sentiva aprirsi dentro di lei.
Abbandonò la stanza mentre Plutarch le stava parlando di una qualche celebrazione, e pensò che alla fine, qualsiasi cosa facesse, tutte le persone che amava erano destinate in qualche modo a lasciarla.

*

Dopo la rivoluzione, Johanna passò il primo periodo in una specie di centro di recupero a Capitol City, per disintossicarsi dalla morfamina. Dopo alcuni mesi il suo psicologo le disse che poteva tornare a casa, così Johanna decise di raggiungere Annie nel Distretto 4, perché in quegli anni, quello era stato il posto più simile a una casa che avesse mai avuto.
Quando arrivò, Annie aveva appena dato alla luce il figlio di Finnick, e Johanna non poté far altro che sentirsi responsabile anche per quel bambino. Quasi riusciva a vederlo Finnick, che con un sorriso fiducioso le sussurrava: “L'aiuterai, vero?”
Johanna avrebbe voluto rispondergli che poneva troppa fiducia in lei, che l'aveva sempre sopravvalutata, ma Finnick era morto, e l'unica persona a cui poteva confessarlo era un bambino con i suoi stessi occhi.
Rimase con loro circa due anni, finché non si rese conto che Annie era in grado di crescere quel bambino da sola, che Annie sarebbe stata il suo sostegno proprio come Finnick lo era stato per lei. Johanna voleva bene a entrambi, ma aveva capito che non era quella la sua casa. Quella era la casa di Annie e Finnick, era la loro famiglia, Johanna era solo subentrata per un po', ma non sarebbe mai stata la sua casa.

Provò a tornare per qualche tempo nel Distretto 7, ma ovunque si girasse Johanna vedeva solo fantasmi; tutte le persone che amava in quel luogo erano morte, e ogni angolo sembrava ricordarglielo. Decise di andarsene anche da lì, prima che il desiderio di annullare la realtà con la morfamina diventasse irresistibile.

Alla fine, Johanna decise di trasferirsi nel Distretto 2 principalmente per curiosità. Per un qualche motivo, in tutto quel tempo non era riuscita a togliersi dalla testa gli occhi grigi, ardenti di passione di Hawthorne, e una domanda nasceva spontanea nella sua testa: che fine aveva fatto?
Sapeva che la Everdeen era tornata al Distretto 12, e che Peeta l'aveva seguita pochi mesi dopo, quindi era chiara alla fine quale fosse stata la scelta della Ghiandaia Imitatrice. Erano passati più di due anni dalla fine della rivolta, e dopo tutto quel tempo Johanna non riusciva a non chiedersi che cosa ne fosse stata di tutta quella passione, se fosse andata sprecata, se Hawthorne fosse riuscito a rifarsi una vita, se ora sorrideva un po' di più.

Così, quando arrivò casualmente nel Distretto 2, quello che vi trovò non le piacque affatto. Gale era caduto in uno stato di totale apatia, in cui ogni genere di sentimento non era consentito. Del fuoco che ribolliva dentro di lui sembrò essere rimasta solo la cenere, ricoprendo ogni cosa. Hawthorne era sopravvissuto alla perdita e al senso di colpa erigendo un muro, disinteressandosi completamente di quello che lo circondava, così che niente e nessuno potesse più scalfirlo [3].
Johanna riuscì a trovare un solo modo per risvegliare Gale dalla sua apatia: infastidendolo. Iniziò a dormire e a mangiare in casa sua, e più lui la cacciava in malo modo, più lei tornava imperterrita.
Alla fine, Gale parve arrendersi. Esausto e rassegnato, assecondò Johanna in quello che a lui sembrava solo un capriccio, convinto che in poco tempo si sarebbe annoiata e avrebbe levato le tende. Johanna, invece, trovò un lavoro in una squadra di boscaioli del Distretto, e sistemò le sue poche cose nella camera degli ospiti.

*

“Johanna, no...”

Gale bloccò la mano della ragazza, posata sul primo bottone dei suoi pantaloni.

Johanna, le labbra posate sul collo di Hawthorne, chiuse per un attimo gli occhi, e affondò il naso nei suoi capelli scuri, inalando il suo profumo. Gli baciò l'orecchio, mordendo delicatamente il lobo, e sentì il ragazzo fare un respiro profondo. “Johanna...” mormorò, afferrandola per le spalle e allontanandola per incontrare il suo sguardo.

Johanna però lo evitò, posando gli occhi sul muro di fronte, perché sapeva cosa avrebbe trovato in quegli occhi grigi: senso di colpa, sofferenza, dolore. Johanna invece, desiderava ben altro.

“Non posso farlo” disse infatti il ragazzo.

“Stai diventando monotono, Hawthorne” replicò Johanna con un sorriso amaro.

“Allora perché insisti?” Gale le afferrò il mento con la mano, obbligando Johanna a guardarlo.

Johanna si sentì ad un tratto a disagio seduta sulle gambe del ragazzo, la poltrona diventata improvvisamente troppo stretta.

Avrebbe potuto rispondere con la sua ironia tagliente, con una battuta provocatoria, ma a che cosa sarebbe servito? In quei mesi di convivenza “forzata”, Johanna si era accorta di desiderarlo come mai aveva desiderato qualcosa, fino a quel momento; stava solo aspettando il giorno in cui avrebbe rivisto comparire quella fiamma da cui era attratta come una calamita.

Johanna si liberò dalla presa e posò le labbra su quelle di Hawthorne. Sentì Gale cercare di allontanarsi, deciso a ricevere la sua risposta, così catturò il suo viso tra le mani, affondando una mano tra i capelli del ragazzo. Si appoggiò a lui, schiacciandolo tra il suo corpo e lo schienale della poltrona. Quando gli morse leggermente il labbro inferiore, sentì Hawthorne mugugnare di protesta, ma le pose comunque una mano sul fianco, avvicinandola ancora di più a sé.

Johanna sapeva che Hawthorne desiderava un'altra donna, l'aveva sempre saputo; non era neanche sicura se pensasse a lei o immaginasse Katniss in momenti come quello. Tuttavia era certa che fosse quello il motivo per cui Hawthorne la rifiutava ogni volta. Johanna quindi decise di fare quello che non aveva avuto il coraggio di fare in passato: amare senza chiedere nulla in cambio. Era frustrante, e doloroso, e le sembrava di avere una lama che la lacerasse dall'interno, ma aveva capito già da molto tempo che il semplice gesto d'amore non basta per ricevere amore in cambio, né per risparmiare dolore alle persone che si amano, né tanto meno per salvarle.

L'amore, anche se totalizzante, non è mai sufficiente.

 

 

--- angolo autrice ---

Salve a tutti! Innanzitutto, se siete riusciti ad arrivare fino a qui, grazie! Credo che questa sia la OS più lunga che abbia mai scritto, e sono anche stata costretta a tagliare delle parti perché non volevo assolutamente dividerla. Era da un po' che avevo in mente di scrivere una storia incentrata su Johanna, ma non ho mai avuto il tempo né il coraggio di farlo. Non sono ancora pienamente soddisfatta, avrei voluto aggiungere più dettagli e informazioni, ma per il momento mi auguro di essere comunque riuscita, almeno in parte, ad approfondire il personaggio di Johanna.
L'idea era di raccontare la sua storia usando come filo conduttore i vari “amori” della sua vita, che in un modo o nell'altro alla fine, non sono mai stati pienamente tali. Ho sempre avuto la sensazione che Johanna, eliminata la sua facciata da dura, in realtà volesse solamente essere amata, ma che la vita le abbia fatto capire che in realtà non è mai così semplice.
Per quanto riguarda il suo rapporto con i genitori e con il fratello, ho una mia idea sul perché il padre si sia suicidato e perché la madre la detesti tanto, ma se l'avessi inserito questa fic sarebbe diventata un papiro! XD Spero di riuscire ad approfondire in qualche OS più avanti (ovviamente tutta questa cosa è inventata da me, diciamo che me la sono sempre immaginata così la famiglia Mason).
Per quanto riguarda Jason (che nel mio immaginario è Ben Whishaw, anche se so di considerarlo carino solo io), mi piaceva l'idea che il primo ragazzo di Johanna fosse il suo opposto, freddo e razionale, e che venisse spesso picchiato (e in seguito aiutato da Johanna) perché diceva alle persone sempre quello che pensava, senza filtri (su questo direi che con Johanna va d'accordo). Spero che la sua idea di convincere Johanna a prostituirsi non venga considerata come menefreghismo, ma semplicemente perché Jason sa che è l'unica cosa logica da fare.
Per il resto, spero che sia Finnick sia Annie risultino IC, anche perché è la prima volta che compaiono in una mia fic quindi non so se sono in grado di muoverli. XD Gale ovviamente non poteva mancare, l'idea iniziale era di scrivere una scena “erotica” fra i due, ma dopo averla scritta mi sono accorta che non ci stava assolutamente con il resto della storia, quindi ho dovuto eliminarla! T.T Il mio animo Ganna però mi ha impedito di terminare la storia con un rifiuto netto di Gale, quindi ho optato per un momento di stasi, in cui entrambi ancora sono alla ricerca di un equilibrio.

Ok ho finito giuro, temo di aver perso il dono della sintesi. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, augurandomi di non aver scritto una cosa così orribile. Suggerimenti e consigli sono sempre ben accetti! :)

A presto spero (se l'ispirazione regge con una fic a raiting rosso)

Vero

 

 

[1] riferimento alla mia storia: “Mi devi una storia”

[2] riferimento alla mia storia: “Aspettami”

[3] riferimento alla mia storia: “Non sono come te. Non sono...”

 

  
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