Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Amy Dickinson    26/07/2014    2 recensioni
Una piccola favola, semplice e priva di pretese, dedicata al mio OTP in questo fandom: SanSan ❤ 
Sansa è una bambina che vive tranquilla la sua vita nel villaggio di Winterfell, scandita dalle passeggiate con Lady, dalle faccende di casa e dai litigi con sua sorella Arya. Un incontro segnerà una svolta nella sua esistenza e un evento incredibile la cambierà per sempre :3
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Amy Dickinson © 2014 (26/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

 

 

 

 

____________________________________________________________________

 

––––

––––––

- Capitolo Cinque -

Alla luce mattutina la Foresta del lupo appariva vuota e spettrale, con i suoi alberi intirizziti dal vento e coperti da una leggera crosta di ghiaccio. Regnava un silenzio inquietante e l’unica cosa che trasmetteva a Sansa un po’ di tranquillità era la vicinanza di Lady, che in parte rimaneva pur sempre un lupo. 

“Questi pini-soldato sembrano tutti uguali” pensò, girando la testa da una parte all’altra. “E di rocce non vedo nemmeno l’ombra. Come farò a ritrovarlo se non so in che direzione andare?” 

La determinazione iniziale si affievoliva ogni passo di più, quella foresta era davvero grande e lei non aveva la minima idea di dove iniziare a cercare. Le sembrava di non avanzare, anzi, temeva che quella di girare in tondo non fosse solo una sensazione. Stava iniziando a perdere le speranze quando Lady fiutò qualcosa nell’aria e drizzò le orecchie.

«Che succede? Hai forse trovato la strada?» chiese la piccola, osservando l’animale annusare il terreno. 

La meta-lupa non le rispose, naturalmente, ma prese a seguire quella che doveva essere una pista e Sansa dovette correre per starle dietro. 

Per parecchi, lunghi minuti gli alberi sembrarono volersi chiudere su quelle due figure ma poi, inaspettatamente, si aprirono, portando uno spiraglio di livida luce tra tutto quel verde e marrone, rivelando un piccolo sentiero. 

“Questa dev’essere la strada per Torrhen’s Square” realizzò la bambina, notando minuscoli profili di case lontane. “Quando la cercavo non l’ho trovata. Adesso che non mi serve più, eccola qui. Che ironia!”

Ma, al contrario di lei, Lady non si fermò e raggiunse il sentiero con un balzo. 

«Aspetta, non è lì che dobbiamo andare!» la richiamò. 

Ma l’amica canina non le prestò alcuna attenzione e continuò a scendere lungo il sentiero. Sansa scosse la testa e le corse appresso. 

La stradina presentava una curva. Come aveva fatto Lady, la fanciulla svoltò e, subito dopo, si lasciò sfuggire un sussulto.

“Oh, Madre, cosa ci fa lui qui?”     

Joffrey era proprio lì, a una ventina di passi da lei. Era girato di spalle ma era certa si trattasse di lui, i capelli biondi e il farsetto porpora bordato d’oro sotto il mantello svolazzante erano inconfondibili. Poco distante da lui c’era Meryn, l’uomo che l’aveva schiaffeggiata, intento a cercare qualcosa in un cespuglio. In una mano teneva stretto il guinzaglio al quale era legato Gregor, anche lui impegnato nella ricerca.

«Cercate bene» stava dicendo il ragazzino, battendo un piede in terra per l’impazienza. «Deve esserci. È stato proprio qui che ho mirato a quello stupido coniglio»

«Credo che fosse una lepre...» fece l’uomo.

«Quello che è! Le frecce dorate sono un regalo di mia madre e, se scopre che ne ho persa una, non mi comprerà mai la balestra nuova che mi ha promesso per il mio compleanno. Avrò anche perso il trofeo di caccia, ma la freccia devo riaverla!» 

La grossa testa di Gregor emerse dal cespuglio senza preavviso, si volse dalla parte del suo padrone ed iniziò a ringhiare. 

«Che ti prende adesso, stupido cane?» 

Gregor non prestò la minima attenzione a Joffrey, lo superò con un balzo, trascinandosi dietro Meryn, e si scontrò con Lady, scivolata di soppiatto alle spalle del ragazzino. 

Meryn lasciò andare il guinzaglio, Joffrey si scansò e, notando il meta-lupo, si guardò intorno e vide Sansa. 

«Ancora tu!» gridò con irritazione. «Mi stavi seguendo?»

«Nient’affatto» gli rispose cauta la bambina. «Ho solo sbagliato strada»

«Vedo che ti sei ripresa la tua cagna. Sei stata fortunata, è vero, ma rimani una stupida: hai fatto male a portarla qui, non mi sfuggirà una seconda volta. Gregor, avanti, sbranala!»

«Per favore, lasciala stare! Ce ne andremo via subito, promesso» lo pregò. 

«Sai cosa puoi farci con le tue promesse?» ridacchiò mentre un sorrisetto sadico andava dipingendosi sulle sue labbra. «E poi ho deciso: regalerò a mia madre una mantellina di pelliccia di lupo!»   

Mentre i bambini parlavano, i cani lottavano senza sosta e nessuno dei due dava segno di volersi arrendere. Gregor aveva una forza spropositata ma Lady era velocissima a schivare i colpi e ne assestava di molto potenti. 

«Te ne prego...» 

«Prega pure quanto ti pare, la risposta è no!» 

Sansa si sentì tremendamente impotente, si morse il labbro inferiore e osservò il combattimento senza poter fare nulla. 

“Madre, la mia Lady...”

Una folata di vento le fece chiudere gli occhi per un istante. Quando li riaprì vide che Lady osservava i movimenti di Gregor ringhiando spaventosamente, ma a combattere con il bestione c’era un altro cane. 

«Mastino!» esclamò la fanciulla, lasciando cadere il cestino che aveva in mano e non potendo fare a meno di sorridere. 

«Meryn, pensi anche tu che sia lui?» domandò Joffrey all’uomo. 

«Sì, è Sandor, ci scommetto» fu la sua risposta. 

“Sandor? È dunque questo il suo nome?” pensò lei. “E come fa Joffrey a conoscerlo? Vuol dire che gli è appartenuto?”

«Prendilo, voglio riportarlo a casa e dargli una lezione che non scorderà facilmente!» 

L’uomo annuì all’ordine e si avvicinò ai cani in lotta. Impugnò una frusta e la face schioccare, una prima volta per separarli, una seconda per colpire Sandor. Ma la bestia schivò il colpo e l’arma colpì Gregor di striscio, facendolo guaire. Il mastino ringhiò contro Meryn, costringendolo ad indietreggiare, poi si avventò di nuovo sull’avversario. Lo scontro riprese e si fece sempre più violento, lasciandoli entrambi coperti di ferite. Lady si spostava da una parte all’altra, abbaiando e ringhiando contro Gregor.  

«Si può sapere che stai aspettando? Colpisci!» sbraitò Joffrey. 

Meryn si avvicinò di nuovo ma Lady arrivò a sbarrargli la strada. 

«Levati di mezzo!» gridò, cercando di colpirla con la frusta. 

Con un rapido scatto, la lupa afferrò un’estremità dell’arma e la strinse fra i denti, poi la strattonò via dalle mani dell’uomo e la lanciò lontano, in mezzo all’erba ai margini del sentiero.

«Cagna rognosa che non sei altro!» esclamò, assestandole un calcio. 

Lady guaì, ma non si lasciò intimorire e gli si avventò addosso, scaraventandolo a terra.

«Basta, lascialo andare» ordinò Sansa. «Tu sei buona, non sei come Gregor. Lady, vieni da me!»

Ma la cagnetta non sentì ragioni, ignorò la padroncina e affondò i denti in uno dei polpacci dell’uomo, vendicandosi del calcio. Meryn gridò un’imprecazione mentre si portava entrambe le mani alla gamba sanguinante. 

Un guaito disperato risuonò allora nell’aria, richiamando l’attenzione sui due mastini. Uno dei due era riverso in terra, la gola dilaniata e rossa di sangue. 

“Dei...” pensò Sansa. 

«Il mio mastino!» urlò Joffrey, prima incredulo, poi sempre più arrabbiato. «Meryn, lascia perdere la cagna e uccidi questa lurida bestiaccia!» 

L’uomo però era ancora bloccato sotto Lady e perciò non poteva fare come gli veniva detto. Il ragazzino capì che, finché la bestia lo teneva in scacco, il suo scagnozzo non avrebbe potuto farla pagare a Sandor. Andava distratta e lui sapeva bene come. 

Rapidissimo, si avvicinò a Sansa e la trascinò verso di sé, poi afferrò una delle frecce dorate dalla faretra sulla sua schiena e la puntò al collo della fanciulla. Spinse l’estremità di metallo contro quella morbida pelle finché non le uscì di bocca un lamento. 

Lady, sentendo la voce della sua padroncina, si allontanò dall’uomo all’istante e si avvicinò a Joffrey, ringhiando. 

«Meryn, fa’ qualcosa!» 

Non avendo altro con sé al momento, l’uomo armeggiò con delle pietre focaie e incendiò la punta di un rametto colto lì per lì. Si avvicinò al ragazzino e agitò la fiaccola davanti a Lady, che fu costretta a indietreggiare per non bruciarsi. 

Sandor, dopo aver abbandonato il corpo in fin di vita di Gregor, arrivò a dare man forte a Lady. Insieme attaccarono Joffrey ripetutamente, ma Meryn agitava il rametto infuocato a un palmo dai loro musi e li teneva a bada con facilità. Le bestie però erano tenaci e continuavano a provare, anche se invano. 

Il ragazzino sembrava molto divertito dal vedere come i cani ripetevano il tentativo senza sosta, ridendo ogni qualvolta fallivano. Stretta a lui suo malgrado, la povera Sansa non riusciva a muoversi ed era costretta a vedere i cani lottare disperatamente per liberarla. 

Meryn continuava ad agitare la fiaccola davanti al muso di una Lady ormai stanca e che non osava avanzare oltre. Sandor però non era dello stesso avviso e, stufo di indietreggiare, si scagliò in direzione di Joffrey. Meryn fu veloce e frappose il rametto infuocato tra il viso del fanciullo e il muso del cane. Inaspettatamente, la bestia non retrocesse. Le fiamme divamparono, bruciando il lato sinistro della testa dell’animale, affondandovi senza pietà. 

«No, no, no, no, no!» urlò Sansa, agitandosi nella morsa di Joffrey. 

«Sta’ ferma e goditi lo spettacolo!» le intimò lui, lasciandosi andare a sadiche risate. 

“Devo fare qualcosa!” pensò, disperata. 

Ma Sandor, nonostante il dolore atroce che era costretto a sopportare, non si fermò e, ululando mostruosamente, assestò una fortissima zampata al braccio di Meryn, facendolo vacillare e cadere lateralmente. 

“Adesso!”

Sansa piegò la testa in avanti senza alcun preavviso e morse il braccio di Joffrey più forte che poté. Lui gridò e lei ne approfittò per balzare in avanti, allontanando dal proprio collo la punta della freccia con una mano. Lady allora si avventò sull’uomo mentre Sandor si avvicinò a Joffrey. 

«Non fare un altro passo o io...»

Stava per minacciarlo, ma poi si rese conto di non avere nulla con cui difendersi, poiché aveva lasciato la balestra sul cocchio, fermo una decina di passi più avanti, e quindi non poteva usare le frecce. Lasciò la frase a metà e corse lontano, saltando oltre il corpo di Gregor alla velocità fulminea di un topolino spaventato. 

«Lascia perdere, andiamocene via!» ordinò, la voce incrinata dalla paura. 

Anche Meryn si avviò al cocchio, agitando la fiaccola davanti al muso di Lady, sperando di tenere lontana almeno lei. La cagnetta non fu temeraria quanto il mastino, ma continuò a ringhiare minacciosa all’indirizzò dell’uomo finché non lo vide salire a bordo. 

«Giuro che la pagherete cara!» strillò Joffrey, prima di rifugiarsi dietro il portello. 

Mentre il cocchio si allontanava, Sansa si avvicinò a Sandor. La bestia stava scuotendo la testa da una parte all’altra, forsennatamente, tentando di spegnere le fiamme che divoravano il suo muso, emettendo lugubri latrati che esprimevano solo in parte il dolore che stava provando. 

«Acqua, serve dell’acqua!» disse allarmata la fanciulla, guardandosi intorno disperatamente. «Se solo ci fosse un ruscello o...»

Il cane scattò su e corse via, immergendosi nei cespugli ai lati della strada, rischiando quasi di incendiarli.  

La fanciulla avvertì una stretta allo stomaco. Era preoccupata per il suo amico e non riusciva a pensare ad altro. Lady la raggiunse e le stette accanto, guaendo la sua comprensione.

«Dei, siate misericordiosi...» singhiozzò. 

I minuti iniziarono a scorrere e ben presto lo fece anche la pioggia, prima lieve, poi fitta. Sansa e Lady s’infradiciarono da capo a piedi in men che non si dica, ma non si mossero, quasi come se non ne avvertissero il costante ticchettio addosso. 

La piccola era immersa in un’invisibile nuvola di rimorso. Sentiva che avrebbe dovuto seguire il mastino, assicurarsi che riuscisse a spegnere le fiamme, tentare in tutti i modi di essergli d’aiuto. Ma una cosa l’aveva trattenuta – e continuava a trattenerla – dal correre a cercarlo: la paura. Arya l’aveva sempre presa in giro per via del suo costante timore di tutto e tutti. Perché Sansa aveva paura di sbagliare, di deludere i suoi genitori, di non ricevere più elogi, di essere punita, di farsi male. E, in quel momento difficile, aveva paura per Sandor, al punto da non avere il coraggio di seguirlo. Gli amici non si comportavano così, ne era consapevole, ma le sue gambe sembravano essere rigide e immobili come pezzi di ghiaccio e il suo stomaco era diventato pesantissimo. 

La pioggia era cessata da pochi istanti quando l’aria si riempì di rumori in lontananza. Voci ed abbaiare di cani la distrassero dallo stato di ansia e preoccupazione in cui versava. Lady alzò il muso al cielo, fiutò gli odori dispersi nel vento e stette in attesa. 

Tre dei meta-lupi di casa Stark sopraggiunsero, come avevano fatto la mattina precedente alle porte della foresta, e la circondarono, abbaiando. 

«Sansa!» esclamò Eddard, correndo dietro ai cani. 

«Padre...» mormorò lei, vedendolo arrivare.

Insieme a lui accorsero anche Rodrik, stretto collaboratore del sindaco, e Hodor, il ragazzone dalla mente semplice che lavorava al maneggio di Winterfell.  

«Hai disobbedito. Di nuovo. Non me lo sarei mai aspettato, non da te!» continuò il podestà. «Se volevi portare il cibo a quel cane avresti dovuto chiedermelo. Non ti avrei negato il permesso, anzi, ti avrei fatta accompagnare nella foresta e a quest’ora saresti già a casa. Invece ci hai fatto preoccupare. Tua madre era fuori di sé dall’angoscia quando ha letto il biglietto e non ti ha trovata. È la seconda volta che fai una cosa simile e stai pur certa che mi assicurerò sia anche l’ultima»

La figlia riconobbe di aver sbagliato ancora, così chinò il capo e neppure tentò di ribattere.  

«Vieni, andiamo a casa»

«Prometto, padre, che d’ora in poi farò tutto quello che mi direte ma prima, vi prego, consentitemi di cercare Sandor»

«Sandor?» 

«È il vero nome di Mastino. Mentre lo cercavo mi sono imbattuta in Joffrey e allora...»

«Lo cercheremo un’altra volta, ora noi...»

«No, dobbiamo cercalo adesso!» riprese a singhiozzare. «Voi non capite: Joffrey ha minacciato di farmi del male con una freccia e...»

«Che cosa ha fatto?»

«...lui gli si è lanciato addosso e il fuoco... Il suo muso ha preso fuoco! Lo ha fatto per me, per salvarmi, e io non posso lasciarlo solo!» 

Ned non poté restare indifferente davanti al tremore che iniziò a scuotere la sua bambina, l’abbracciò e le accarezzò i capelli umidi sotto il cappuccio. 

«Calmati» disse, il tono di voce improvvisamente addolcito. «Se tieni così tanto a quel cane, allora lo cercheremo»

«Oh, padre, vi ringrazio!»

«Non farlo, ti ricordo che sei in castigo»

Sansa annuì, sciolse l’abbraccio e andò da Lady.

«Tu conosci il suo odore, sei l’unica che sa dove cercare» sussurrò. «Portami da Sandor»

La cagnetta si prese del tempo per annusare prima la strada, poi l’aria ed infine abbaiò, addentrandosi in mezzo all’alta erba bagnata, quasi scomparendo alla vista. Sansa e i meta-lupi le corsero dietro, subito seguiti dagli uomini. 

La traccia portava oltre il prato, Lady la seguì meglio che poté, correndo a più non posso per non perderla, addentrandosi tra gli alberi della Foresta del lupo, scivolando rapida come un fulmine in mezzo ai tronchi e al fogliame dei rami più bassi. La sua padroncina aveva il fiato corto e i muscoli così tesi da farle male, ma continuava imperterrita a spingersi in avanti per non perdere terreno. Il suo dolore non era nulla in confronto a quello che provava il povero mastino, lo sapeva, per questo ignorava il cuore che batteva all’impazzata per la fatica e le urla di suo padre che le diceva di rallentare. Ma Sansa non poteva rallentare, doveva trovare Sandor, tutto il resto avrebbe aspettato. 

La pioggia poteva anche aver estinto il fuoco, ma questo era un avversario infido che mordeva senza indugi e in profondità, senza mai lasciare la presa finché non rimaneva nulla da consumare. Per centinaia di volte l’aveva visto divorare famelico i ciocchi di legno e mai, prima di allora, si era accorta di quanto potesse essere crudele e definitivo lo sfavillare di quelle ipnotiche fiammelle. Ma gli alberi erano ormai morti quando venivano gettati nel camino e non provavano più dolore. Il suo buon amico era vivo, invece, e i suoi versi erano terrificanti e disperati, li sentiva ancora risuonare nelle proprie orecchie e le davano i brividi. 

Quando Lady finalmente si fermò, la fanciulla lo vide. Era disteso su un tappeto di aghi di pino, immobile e scomposto. Sansa rallentò la corsa e andò ad inginocchiarglisi al fianco, mentre l’amica cercava di scuoterlo con le zampe. 

«No!» esclamò, coprendosi la bocca con entrambe le mani, gli occhi sbarrati.   

Del fuoco ormai non era rimasta che la traccia. Metà del muso del cane era stata duramente deformata dal calore, il pelo era stato bruciato e al suo posto restava solo carne secca e annerita. 

Sansa circondò delicatamente quella grossa testa con le braccia e calde lacrime caddero dalle sue guance, andandosi ad infrangere sul lato sano di quel muso martoriato e ancora bagnato di pioggia. 

«Non piangere, Sansa» mormorò Ned, posando un ginocchio a terra e toccando la spalla della bambina. 

«Guardatelo, padre. Guardate!» implorò, scostandosi per lasciare che l’uomo vedesse l’ustione. «Come potrei non piangere?»

Sebbene rimase serio mentre esaminava la bruciatura, la mascella dell’uomo si contrasse involontariamente.    

«È una ferita orribile, questo è vero» disse, toccando il collo dell’animale con due dita. «Ma è ancora vivo, per fortuna»

«Cosa?» sussultò lei. «Ne siete certo?» 

Ned annuì e Sansa avvicinò il palmo di una mano al muso del mastino. Attese un istante e le sfuggì un sospiro di sollievo non appena sentì un debole respiro scaldarle la pelle. 

«Sì, è vivo» confermò mentre un sorriso le si dipingeva sulle labbra. 

«Vedrai che se la caverà» 

«Hodor!» si aggregò anche l’enorme ragazzo dietro di loro. 

«Anche se porterà per sempre quella cicatrice» fu il tetro commento di Rodrik. 

«Per quanto sgradevole sia, meglio portare una cicatrice che perdere la vita» replicò Ned, gelido come il vento che fece gonfiare i loro mantelli. 

«È pieno di ferite» fece notare la fanciulla. «Dobbiamo curarlo» 

«Gli sei molto legata, lo vedo, ma è un altro cane e a casa ne abbiamo già sei. Non possiamo tenere anche lui, lo capisci, vero?»

«Ha bisogno di me, devo stargli vicino»

«Starà bene, si rimetterà in forze da solo»

«Come fate a dirlo? Se non ce la fa nemmeno a stare sulle zampe, come pensate che possa cacciare? Morirà...»

«Senti, mi dispiace per lui ma non posso fare quello che mi chiedi»

«Se non volete portarlo a casa allora vorrà dire che resterò qui con lui, non lo abbandonerò. Lui non l’ha fatto quando ero io ad essere in pericolo»

«Sansa...»

«Non voglio disobbedire ancora, padre, ma se lasciassi Sandor in queste condizioni non me lo perdonerei mai. Sarei una persona orribile, un’egoista, un mostro... Un mostro peggiore di quelli delle storie preferite di Bran!»

Ned aprì bocca per rispondere ma, inaspettatamente, la richiuse subito dopo. Guardò negli occhi lucidi della figlia e vi lesse una profonda disperazione. Ma non solo, in quel delicato azzurro vi era anche qualcosa che credeva non avrebbe mai visto nella sua tranquilla, remissiva e obbediente Sansa: determinazione. In quel momento in lei non vi era una piccola Catelyn Tully, ma un Eddard Stark. 

«D’accordo» sospirò, alzandosi. «Hodor, puoi prenderlo?»

«Hodor!» acconsentì. 

Sotto gli occhi esterrefatti della fanciulla, il ragazzo dalla mente semplice sollevò il bestione da terra come se pesasse quanto un bambino, caricandoselo in spalla. 

«Grazie, davvero» si rivolse a suo padre, l’accenno di un sorriso sulle labbra. 

«Non ti concederò altro, sappilo» le rispose. 

«E io non ve lo chiederò»

«Sarà meglio. Muoviamoci ora» 

In un batter d’occhio si misero in cammino verso Winterfell. I cani lupo aprivano il corteo, eccezion fatta per Lady che non accennava a lasciare il fianco della padroncina, che camminava spedita vicino a suo padre. Dietro di loro c’era Hodor con il suo carico e poi Rodrik che chiudeva la fila. 

Una volta arrivati a casa, Ned disse a Hodor di posare il cane sul tappeto davanti al camino quindi, prima che potesse proferir parola, prese da parte sua moglie e le bisbigliò qualcosa. Catelyn sembrò accigliarsi ancora di più ma si limitò a dirigersi in corridoio per andare a prendere l’ultimo dei suoi figli dalla culla. 

«Lui è Mastino?» domandò Bran a Sansa. 

«Sandor» corresse lei, annuendo. 

«Non mentivi quando dicevi che era grosso» commentò Arya. 

«Che brutta ferita...» fece Jon, scrutando la bruciatura, e Robb annuì. 

«Rodrik è appena andato a chiamare Farlen» annunciò il capofamiglia. «Nessuno conosce i cani meglio di lui, saprà come curare le ferite»  

«Anche la bruciatura, padre?» 

«Non credo che per quella si possa fare molto, Bran»

Sansa si morse il labbro e accarezzò un fianco della bestia ancora priva di conoscenza. Era nervosa e preoccupata ma, se lo diceva suo padre, sentiva di poter confidare nelle capacità di Farlen. 

L’uomo arrivò poco tempo dopo che Hodor se ne fu andato e si dedicò subito a pulire le ferite del mastino, benedicendo la pioggia per averle lavate e per aver spento il fuoco prima che arrivasse all’osso. Ricucì gli squarci più profondi e passò un unguento sui graffi e sulla bruciatura, ricoprendo la parte con una benda di tessuto. Raccomandò a Sansa di applicare altro unguento sulla bruciatura e di usare una benda nuova ogni giorno. 

«Ma starà bene?» gli chiese.

«Fa’ come ti ho detto e pazienta, piccola. Col tempo si rimetterà» le rispose, avviandosi alla porta d’ingresso con Ned. 

In seguito alla visita, la bambina venne mandata ad aiutare sua madre in cucina. Cat non le rivolse la parola, le passò un coltello e le indicò una montagna di cipolle, funghi e carote. La figlia capì che era arrivato il momento di scontare il castigo, non fece obiezioni e si mise subito al lavoro. 

“L’unica cosa che conta è che Sandor guarisca presto” pensò, grattando via la buccia dalla prima carota. 

Il resto della giornata fu lungo e faticoso per Sansa che dovette svolgere tutti i compiti che le affidava sua madre ma, tra una mansione e l’altra, trovava un istante per inginocchiarsi a controllare lo stato dell’animale steso sul tappeto. Lady le fu molto d’aiuto perché rimase accanto al mastino per tutto il tempo. 

Calò la sera e divenne presto notte, ma la giovane non cessò di assistere l’amico canino. Di tanto in tanto cercava di fargli bere dell’acqua usando un vecchio mestolo di legno e rattizzava il fuoco quando il calore nella stanza diminuiva. 

«Sansa, nostro padre dice di andare a letto» sbadigliò Robb, facendo capolino dal corridoio. 

«Vado subito» rispose distrattamente, sistemando un lembo della fasciatura.

Gli fece un’ultima carezza sul lato sano del muso, poi si alzò e si avviò in corridoio con Lady. Una volta nella propria stanza, si cambiò e si infilò sotto le lenzuola.

«Buonanotte, Lady» mormorò, poco prima di addormentarsi. 

 

La mattina dopo si svegliò presto e il suo primo pensiero fu per Sandor. Si lavò e vestì in fretta e andò in salotto dove, però, l’attendeva una brutta sorpresa. 

«Aiuto!» gridò. «Correte!»

«Che succede?» domandò suo padre poco dopo, uscendo di corsa dalla propria camera. 

«Ma che hai da urlare tanto?» chiese Jon, affacciandosi dal corridoio, subito seguito dagli altri fratelli. 

La fanciulla era in piedi davanti al caminetto e aveva l’aria sconvolta. Il tappeto sotto di lei era vuoto. 

«Sandor è sparito!» esclamò. 

«Hai visto se è in cucina o in qualche altra stanza?»

«Sì, padre, ma non c’è. Sembra come scomparso nel nulla!»

«Non è possibile che sia uscito, è un cane. Sei certa di aver cercato bene?» 

«Ho visto ovunque, eccetto che nella vostra stanza»

«Lì non c’è»

«Dove potrebbe essere, allora? È ferito e debole, e se gli accadesse qualcosa? Non voglio pensarci...»

L’uomo si passò una mano sul viso. Non ne poteva più di andare in giro ogni giorno alla ricerca di qualcuno. Ma conosceva sua figlia e non voleva che stesse male – né che prolungasse ulteriormente il suo castigo uscendo senza permesso. 

«Padre, qui c’è del sangue!» gridò Arya dall’ingresso. 

La figlia minore diceva il vero: una piccola macchia rossa spiccava vivida sul pavimento in cotto. 

«È secco» constatò l’uomo, toccandolo con un dito. 

«Oh, Dei!» esclamò Sansa, appoggiando entrambe le mani sulla testa. 

«Il chiavistello è aperto. Non so come abbia fatto, ma quel cane è davvero intelligente» ammise, esterrefatto, dopo aver dato un’occhiata alla porta. «Comunque non andrà lontano con quelle ferite. Vado a cercarlo»

I suoi figli si mossero tutti contemporaneamente, ma l’uomo li richiamò. 

«Non è necessario che veniate con me, restate qui. Andrò solo con i cani, così farò presto» 

«Ma padre!» protestarono Arya e Bran. 

«Obbedite» rispose seccamente. «Porterò Spettro e Vento grigio»

«Prendete anche Lady, vi sarà utile» propose Sansa. 

Lui annuì, andò a prendersi il mantello e subito dopo uscì di casa. 

I minuti trascorrevano lentissimi e la bambina non riusciva a stare tranquilla. Faceva avanti e indietro dall’ingresso al salotto e viceversa. 

«Piantala di camminare su e giù, mi fai venire mal di testa!» si lamentò la sorella minore. 

“Non può essere lontano” pensò la maggiore, ignorandola. “Lady, trovalo, ti supplico...” 

Un paio d’ore dopo – che le parvero anni – si sentì bussare alla porta. Sansa scattò su e corse per andare ad aprire, rischiando di inciampare in Cagnaccio che sonnecchiava all’inizio del corridoio. 

«Padre!» esclamò, vedendolo. 

Ned entrò in casa preceduto dai cani lupo. La figlia li guardò come smarrita.

«Dov’è Sandor?» chiese. 

«Sansa...» cominciò suo padre. 

«Ditemi che l’avete trovato...»

«Vieni con me, sediamoci»

Le appoggiò una mano sulla spalla e la condusse in salotto. In quel momento Catelyn era nella stanza da letto con Rickon, invece gli altri erano in giardino perciò, lupi a parte, padre e figlia erano soli. Si sedettero vicino al focolare in un silenzio teso. 

«Padre? Vi prego, parlate!» incalzò lei, ansiosa e insieme timorosa di conoscere la risposta.  

«Lo abbiamo cercato dappertutto, in paese e al limitare della foresta» rispose. «Ma non era da nessuna parte»

«E se fosse lì, nella foresta?»

Ned scosse la testa e la figlia strinse le labbra con fare nervoso. Era come se le stesse nascondendo qualcosa, non lo sopportava. 

«Come fate ad esserne certo se avete smesso di cercarlo?»

«Era inutile che continuassi» spiegò, non prima di aver fatto un lungo sospiro. «I cani hanno seguito la traccia fino all’Albero-diga, poi si sono fermati, come se si fosse estinta di colpo, e allora Lady ha iniziato a ululare in modo lugubre» tossicchiò. «Lungo la strada c’era del sangue. All’inizio erano piccole macchie come quella all’ingresso, poi però ho visto che si allargavano sempre di più fino a diventare pozze rosse nella neve. L’ultima, la più grande, era a pochi passi dall’Albero-diga. Insieme a questa»

Frugò nella tasca del mantello che portava ancora sulle spalle, ne estrasse qualcosa e lo consegnò alla fanciulla. Sansa ci mise qualche istante a riconoscere l’oggetto e a capire cosa significava averlo tra le mani.

«Non è vero!» gridò, scattando in piedi. 

«Purtroppo è la verità» le rispose. 

«E invece è una bugia!»  

«Sansa...»

«Perché mi fate questo? Sapete quanto sia preoccupata per lui, perché mi mentite?»

«Sansa, guardami!» 

La ragazza era scossa e aveva le lacrime agli occhi. Guardò suo padre e capì che era sincero. L’onestà del genitore arrivò, rapida e dolorosa, come un pugno nello stomaco. 

«Mi dispiace, tesoro mio, ma ormai nessuno poteva fare molto per lui. Non aveva che una possibilità, l’ha detto anche Farlen. Era troppo tardi e lui sapeva che stava per accadere»

Il colpo avvertito un momento prima fu niente in confronto all’effetto che le fecero quelle parole. Si lasciò cadere sul pavimento, sconfitta, atterrando con le ginocchia sul tappeto. Si portò le mani al volto, coprendo le guance rigate dalle lacrime. Il padre si chinò su di lei, la prese in braccio e la condusse in camera, adagiandola sul lettino. Sansa non diede segno di accorgersene, continuò a piangere lacrime amare e a singhiozzare sempre più forte. 

“Sandor non c’è più...” pensò con orrore, trovando il cuscino ed affondandovi la testa. “Mi ha salvata. Mi ha difesa. E poi, quando lui ha avuto bisogno di me, io non ho potuto fare nulla... Nulla!” 

Catelyn e i figli entrarono nella stanza, si sedettero sul letto vicino a Eddard e osservarono la bambina in silenzio, impotenti e rattristati. Anche Lady aveva l’aria mogia e guaiva piano, comunicando alla padroncina la propria vicinanza. 

«È morto» disse a un tratto, la voce rotta dal pianto. «Sandor se n’è andato. Ed è stata solo colpa mia...» 

 

 

 

 

 

____________________________________________________________________

L’angolo di Amy

Ciao gente,

sigh, che situazione spiacevole :( ma qualcosa deve ancora accadere...

Ringrazio sempre chi legge, recensisce e segue questa mia creatura, spero ancora che vi piaccia ^^ 

Un saluto, 

Amy   

 

 

 

 

 

 

  


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Amy Dickinson