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Autore: Angeline Farewell    26/07/2014    6 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Nove. 

 

 

Chris si sentiva come un adolescente in piena fase puberale.

Era a Vancouver già da quasi due settimane, ma aveva la testa da tutt’altra parte. In un piccolo appartamentino di Burbank, per essere precisi, ma era anche piuttosto sicuro di essere il solo ad avere quel problema: Tom era tornato in Inghilterra per girare una miniserie per la BBC, poi sarebbe tornato di Svezia con Branagh, e fino al giorno della partenza si era rifiutato di dire una sola parola sulla loro situazione.

Si era rifiutato di parlare per tutta la settimana che era seguita all’incidente. Chris aveva ricominciato a riferirsi all’accaduto in quel modo, nella sua testa, per non crearsi illusioni pericolose, soprattutto.

Sua madre l’avrebbe raggiunto entro pochi giorni e ancora non era riuscito a decidere se fosse o meno un buon momento, perché sentiva di aver davvero bisogno di lei, ma aveva anche il terrore di dirle cosa gli stava succedendo. Il fatto, ad ogni telefonata, gli chiedesse regolarmente notizie del caro ragazzo inglese, non era certo d’aiuto.

Perché il caro ragazzo inglese era un puzzle che non riusciva a mettere insieme, che non voleva lasciarsi risolvere, e non aiutava il fatto Chris avesse passato metà di quella settimana a pensare come affrontare l’argomento e l’altra metà a come riuscire ad infilargli le mani sotto i vestiti. Magari togliergli i vestiti, anche. E non sapeva ancora se dovesse vergognarsi di quel pensiero o del fatto la voglia di metterlo in atto fosse più forte della vergogna stessa.

“Chris! Torna tra noi, abbiamo una scena da girare!”

“Sì, scusa. Ci sono!”

Si era tagliato i capelli a zero per il ruolo e non gli era dispiaciuto per niente, se avesse potuto avrebbe sempre portato i capelli come Curt, più comodi per nuotare e fare surf. Non avere la frangia sugli occhi lo aiutava a concentrarsi, a non pensare ad altro, a non pensare a quanto a lui sembrava piacere passare le dita tra i suoi capelli mentre si baciavano.

Aveva scosso la testa e si era guardato intorno deciso a non sprecare l’occasione, a giocare bene le sue carte: quel film poteva essere l’occasione che gli mancava, in barba a supereroi e registi blasonati. Non aveva bisogno di Branagh, anche se prima raggiungere Vancouver era stato avvertito dal suo manager che avevano richiamato da Burbank, e per un attimo gli era saltato il cuore in gola, perché era impossibile lui sapesse. Poi aveva specificato che alla Marvel volevano rivederlo per un nuovo provino, data da destinarsi: aveva cercato di non farsi troppe illusioni, perché il primo giro gli era bastato.

La British Columbia era bella ed incontaminata come sanno esserlo solo i luoghi tendenzialmente inospitali per buona parte dell’anno. La primavera era tiepida e piacevole come la fine state inglese, ma gli inverni mordevano feroci chiudendo la regione in una morsa di neve e freddo.

L’Othello Tunnels (1) sembrava irriderlo fin dal nome, ma Chris aveva preferito non pensarci ed girato le sue scene regalando solo un debole pensiero a cosa aveva perso a Londra, deciso a sviare solo per concentrarsi su cosa avrebbe potuto raggiungere negli studi Marvel.

Leonie dormiva in albergo con lui mentre Craig era al sud con Liam, impegnato a Los Angeles con nuovi provini ed altri ruoli. Lo aiutava a ripassare le battute di Curt fingendosi una bionda stupida, per poi imitare un vecchio orbo e creargli l’atmosfera adatta per diventare il Dio del Tuono.

Erano state settimane frenetiche, esaltanti, estenuanti, terribilmente frustranti: cambiava idea sul nuovo provino per la Marvel ogni due ore, non si sentiva all’altezza, l’umiliazione della prima prova gli bruciava ancora. Sua madre lo spronava a non perdere fiducia in se stesso, persino Whedon lo incitava a riprovare con insistenza, sapeva di cosa parlava, diceva, sarebbe stato un Thor perfetto.

E Chris voleva credergli, ma per quel nuovo provino avrebbe dovuto esibirsi davanti a Branagh stesso, avrebbe dovuto ripetere l’avvilente esperienza di recitare un copione che sembrava non riuscire ad afferrare fino in fondo davanti a qualcuno che aveva sentito bestemmiare in una lingua incomprensibile su un Muro e l’impossibilità di mangiare pane irlandese come si deve (2). Visti gli sguardi che aveva ricevuto dagli sceneggiatori ed assistenti di produzione la prima volta, cosa ne avrebbe fatto di lui, uno come Branagh?

Era arrabbiato.

Non era l’unica parte in forse, tra l’altro, aveva ancora un ruolo in gioco e di cui ancora nessuno gli aveva fatto saper nulla, un ruolo che non gl’interessava davvero per il remake di un film di cui non aveva amato nemmeno la prima versione.

Ma si parlava di un grosso studios, del figlio di Tom Cruise che voleva farsi le ossa, di un sacco di soldi in ballo. Persino di Isabel che sarebbe tornata nella sua vita dopo quasi tre anni di separazione. (3)

Eppure non gl’importava nemmeno di lei, non aveva paura di rivederla, né sentiva si sarebbe sentito in imbarazzo. L’unica cosa che gli procurava imbarazzo era il non riuscire a dormire come si deve, perché – terminate le riprese, spente le luci, chiuso il circo di voci e persone – si ritrovava da solo con i suoi ricordi e finiva immancabilmente per tornare a quella settimana, a quell’appartamento, a quel letto.

E si arrabbiava ancora di più, perché in che condizioni avrebbe affrontato il nuovo provino se lavorava e non dormiva? Era tornato un adolescente e la cosa non gli piaceva per niente, perché era più vicino ai trenta che ai venti, ed aveva un carriera da portare avanti, una stella da aggiungere ad un marciapiedi americano, non era il momento di inseguire chimere. Il suo manager aveva ragione, non era il caso di farsi incastrare, in nessun modo, per nessun motivo.

Una settimana in un piccolo appartamento di Burbank non poteva e non doveva essere sufficiente a fargli perdere di vista il suo obiettivo.

In fondo non avevano nemmeno fatto sesso, non si erano nemmeno tolti i vestiti, non una sola volta, sette giorni a fingere di notte non si strusciassero come tredicenni in fregola fino a sciogliersi, ecco quel che c’era stato tra loro.

E Chris era davvero arrabbiato con Tom, perché non voleva passare per un ragazzino alla prima cotta, non era sicuro nemmeno quella fosse una semplice cotta, perché non scambi l’opportunità di sfilare mutandine di pizzo con boxer dall’elastico spesso per una cottarella da niente, non è abbastanza da farti desiderare un corpo troppo uguale al tuo nei punti sbagliati. Chris aveva troppi amici, troppi ottimi amici a cui voleva un bene dell’anima per pensare a Tom come ad uno di loro, non più. Era stato troppo facile farsi baciare, e poi baciarlo, stendersi al buio con lui, tenerlo stretto una notte intera, respirare il suo respiro ed il suo odore sulla pelle. Era stato troppo facile dimenticare se stesso e giocare al vigliacco che non gli piaceva essere, guardare il sorgere del sole e fingere la luna non avesse visto niente, solo perché Tom voleva così.

Ed era arrabbiato, perché non poteva fare a meno di continuare a fingere, giorni e notti ad essere persone diverse senza soluzione di continuità.

Era arrabbiato come non poteva permettere fosse Curt, che poteva solo avere paura al posto suo, come non sapeva se potesse permettere fosse Thor, ma non gl’importava più. Era stanco, voleva solo finisse tutto al più presto, che almeno qualcuno gli desse un onesto no e non sguardi obliqui e silenzi assurdi.

Era arrabbiato quando aveva preso l’aereo per Los Angeles, il taxi per Burbank, quando era entrato in un brutto edificio anonimo, quando era stato lasciato ad aspettare per ore, quando si era ritrovato Branagh davanti e gli aveva urlato tutta la frustrazione di un Dio costretto all’immobilità, di un uomo costretto all’indecisione per volere di qualcun altro.

“Accidenti, ragazzo, dove ti eri nascosto la prima volta? Il primo provino ha fatto schifo e invece guardati ora! Lo sapevo che andavi testato di nuovo, non potevo essermi sbagliato tanto, e che cazzo!”

Quando era salito su un nuovo aereo il giorno dopo, per tornare a Vancouver, era ancora arrabbiato, ma le parole di Branagh erano state un balsamo per l’ego di cui non credeva di avere tanto bisogno.
Ed era stato più semplice completare le riprese, dopo, anche se quel no netto non si era ancora trasformato in un sicuro. Era un punto di partenza e poteva farselo bastare, sarebbe andato avanti da lì.

Whedon sembrava abbastanza convinto ce l’avrebbe fatta e sperava vivamente avesse ragione, voleva fortemente quel ruolo, ora che sapeva di avere una pur piccola possibilità di ottenerlo anche di più. Poteva farcela. Non era come Tom, lui, non gli bastava solo recitare per essere felice, lui voleva arrivare abbastanza in alto da toccare le stelle, voleva le luci, voleva diventare uno di loro.

E non avrebbe voluto pensare a Tom, avrebbe voluto non rivederlo mai più, piuttosto, avrebbe voluto poter desiderare di non rivederlo mai più, stupido inglese che non era altro a pensare di essere il solo ad avere problemi con la loro situazione.

Ma era difficile non farlo quando il lavoro termina, si salutano i colleghi e lo staff, si torna a casa – un appartamento tutto suo, finalmente, non la dependance, basta dependance e ragazzini a cui far da baby sitter – e non c’è nessuno a tenerti impegnate le giornate. Quando le giornate si allungano troppe e ricominciano dal nulla i messaggi dall’altra parte del mondo.

Messaggi a cui non avrebbe voluto rispondere, perché Tom avrebbe dovuto piantarla di far finta di niente, almeno al riparo dello schermo di un cellulare. Invece aveva risposto a tutti, dal primo all’ultimo, sperando contro ogni buon senso di ottenere almeno una delle parole che aspettava.

Ho messo su dieci chili di muscoli, quando ci rivedremo stenterai a riconoscermi. Però i capelli sono sempre lo stesso disastro. ;-P

Invece l’aveva riconosciuto, non solo per il disastro che continuava ad avere sulla (e dentro) la testa. Era giugno inoltrato ed il caldo di Los Angeles cominciava a farsi sentire persino per Chris, abituato all’Australia e ai deserti dei territori settentrionali.
Tom non lo aspettava, non gli aveva chiesto di andarlo a prendere in aeroporto e lui non si era offerto, ma non era stato difficile trovarlo, pur nel caos degli Arrivi Internazionali del LAX (4). E forse era stata la sorpresa a fargli abbassare la guardia, o forse Chris aveva semplicemente giudicato male i suoi silenzi, perché Tom aveva praticamente abbandonato le valige per raggiungerlo e stringerlo tanto forte e tanto a lungo da attirare qualche sguardo obliquo di viaggiatori curiosi.

“Mi sei mancato.”

E Chris stava seriamente per dargli un pugno sul naso. Non si era fatto sentire per settimane, ricompariva dal nulla solo per annunciare il suo ritorno per un ruolo che volevano entrambi, e poi gli si abbarbicava addosso millantando una mancanza che non voleva ammettere avesse divorato lui per primo?

“Hai già un alloggio?”

“Sì, dalle parti di Sherman Oaks. In questo periodo è stato un miracolo riuscire a trovare un posto libero.”

“Avresti potuto chiedere a me.”

Tom non gli aveva risposto, ma non aveva abbassato lo sguardo, anche se era evidente il motivo per cui non gli avesse chiesto di ospitarlo. E Chris obbiettivamente lo capiva, ma visto che avevano buttato il buon senso alle ortiche un bel po’ di tempo fa, almeno nella vita privata, non si sentiva molto disposto ad assecondare i suoi timori. Non si sentiva ancora pronto a sentirsi dire no.

“Vieni, ti accompagno. Ho la macchina.”

Tom aveva chiacchierato quasi per tutto il viaggio verso l’albergo, gli aveva raccontato poco del suo lavoro ma tantissimo dei nuovi amici che aveva lasciato a Londra, era uscito qualche volta con i matti che gli avevano invaso casa quasi un anno prima e Freddie si struggeva per la sua assenza. Anche Brannock, si ricordava di Brannock, vero? Il surfista gallese con cui aveva attaccato bottone alla festa, era stato a fare surf in Portogallo verso la fine dell’inverno, diceva che Chris doveva assolutamente provare le onde dell’Atlantico.

Chris l’aveva ascoltato a tratti, quasi senza parlare, aveva risposto pigramente alle domande di Tom sul suo ultimo film, non aveva avuto voglia nemmeno di parlargli di Joss Whedon e del nuovo provino, non gli aveva riferito le parole di Branagh né chiesto nulla dei suoi futuri impegni.

Erano entrati nella piccola camera d’albergo senza essersi più sfiorati dall’abbraccio all’aeroporto, nemmeno per errore, Tom appariva tranquillo e disinvolto come una copia di cera e Chris temeva di non avere un aspetto migliore. Dov’era finita la naturalezza con la quale si erano avvicinati, capiti, cercati, fin dai primi giorni? Dov’era finita la spontaneità dei gesti, la disinvoltura con cui riuscivano a parlare, ridere e stare in silenzio senza imbarazzi?

L’intimità monca di una sola settimana sembrava aver distrutto tutto piuttosto che rafforzato quello che avevano in precedenza.

Lo aveva guardato poggiare la valigia sul letto, aprire la finestra che dava sul Woodley Park, guardarsi intorno. Una marionetta cui stavano tirando male i fili, impacciato e sgraziato si muoveva in quella stanza in cui non si riusciva quasi a respirare tanto la pensione era palpabile.

“Chi vogliamo prendere in giro? Noi non siamo amici.”

Chris aveva sorpreso persino se stesso, non aveva avuto intenzione di dirlo ad alta voce, ma era la verità ed era stato liberatorio, voleva affrontare alla luce del sole tutte le conseguenze.

Non aveva vacillato nemmeno di fronte all’espressione sospesa tra incredulità e terrore di Tom, autentico terrore, che non gli piaceva, ma almeno era riuscito a farsi guardare negli occhi.

“Lo sai anche tu che non lo siamo più.”

Lo aveva raggiunto attraversando la stanza con poche falcate decise e gli aveva chiuso la bocca con un bacio, non aveva alcuna voglia di ascoltare scuse, preferiva prendersi il rischio di un pugno.

Che però non era arrivato: Tom lo aveva ricambiato quasi sollevato, incurante fuori fosse ancora giorno.

Il suo corpo era cambiato davvero, era più massiccio e forte, i capelli più lunghi ed indomabili, ma a Chris non importava, Tom era mille maschere ed era uno: voleva sfogliare ogni suo strato uno dopo l’altro per arrivare a quell’uno e dirlo suo.

Quando Tom si era ritratto lentamente, Chris si era quasi aspettato un nuovo passo indietro, nuovi silenzi, nuovi sguardi obliqui, un altro forse che non gli serviva a niente.

“Il jet lag mi sta uccidendo. E puzzo, come hai potuto constatare.”

“Non più di tanto.”

“Spiritoso.”

“Quindi domani hai il nuovo provino?”

“Screen test, in realtà.”

“Oh. Bè, allora di deve festeggiare, giusto?”

“Non ho ancora avuto la parte, Chris, siamo nelle stesse condizioni, al momento. Posso andare a fare una doccia adesso?”

“Posso venire con te?”

“No, ma puoi aspettarmi qui e ordinare da mangiare.”

“…”

“…”

“E’ un passo avanti almeno.”

Tom gli aveva sorriso, ma non aveva aggiunto altro. Chris si sentiva ancora in balia di una bussola smagnetizzata, ma mentre Tom si preparava per la sua doccia, poteva almeno avere la debole, consolante certezza di non essersi perso da solo.

 

 

 

 

 

Note:

(1) Parte del Coquihalla Canyon Provincial Park vicino Vancouver, dove sono state girate le scene in esterna di The Cabin in The Woods.

(2) Si riferisce ai Peace Walls, o Muro di Belfast, che divide i Nazionalisti Irlandesi dagli Unionisti. Furono costruiti a partire dal 1969, allo scoppio dei primi Troubles (ovvero gli scontri tra le suddette fazioni), che sono stati anche il motivo dell’allontanamento di Branagh e della sua famiglia dalla nativa Belfast. Branagh, inoltre, pare sia un uomo estremamente terragno, colto e galante quando serve, ma incline alla bestemmia. Che pare sia un tratto molto irlandese. ^^’

(3) Parla di Red Down, remake dell’omonimo film del 1984. Nel cast, oltre ad Isabel Lucas, ex-fidanzata di Hemsworth, appare anche Connor Cruise, figlio di Tom, al suo primo lavoro da attore.

 

   
 
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