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Autore: Elle_writer    27/07/2014    1 recensioni
"Molti si chiedevano come facessero quelle due a essere tanto legate:
Vanessa era un peperino, i capelli tinti di rosso le ricadevano disordinatamente sulle spalle e gli occhi verde chiaro le illuminavano il viso dai lineamenti decisi.
Lucrezia invece era esattamente l’opposto; Vanessa la chiamava “Bambi”, e non c’era soprannome più calzante: sul suo chiaro visino delicato, incorniciato da lunghi boccoli scuri, risaltavano due grandi occhi marroni che la facevano sembrare un cerbiattino spaurito".

Se sei omofobo non entrare.
Storia sospesa fino a data da destinarsi.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo III - Lucrezia


Questo capitolo è dedicato interamente a Lucrezia, quindi il PoV è solo suo.
Credo di aver sempre saputo di essere lesbica, ma quando ci si trova di fronte alla pura realtà, senza alcun dubbio e senza la possibilità di stare sbagliando, è difficile.
Non feci troppa fatica ad accettarmi, ma piansi, quel giorno.
Piansi perché avevo capito che avrei dovuto tenermi tutto dentro: a chi potevo dire di essere lesbica?
Ai miei genitori, che non vedevo quasi mai - e non sapevo neanche come la pensassero sull’argomento - ?
A Vanessa, che era etero e che comunque era proprio la persona di cui ero innamorata?
Era un bel disastro, ma ne sarei uscita da sola senza far soffrire nessuno.
Chissà, forse mi ritenevo capace di “dislesbicarmi”.
Erano passati due giorni da quella famosa uscita, e io, passata da un attimo dalla felicità alla disperazione, non ero più uscita di casa neanche per andare a scuola, fingendomi malata.
Ma quella farsa non poteva continuare a lungo, avrei presto dovuto affrontare la realtà.
In più quella sera ci sarebbe stata la solita cena con mamma e papà, che si svolgeva come da (triste) tradizione la prima domenica di ogni mese. E molte volte, era l’unico momento in cui riuscivo a parlarci.
In quei due giorni mi ero chiesta molte volte se fosse il caso di accennare all’omosessualità come argomento generale per tastare un po’ il terreno, ma avevo ben presto scartato l’idea per due motivi principali: il primo era che non volevo sapere davvero la risposta, il secondo era che non me ne importava assolutamente nulla.
Per cui quella sera avrei indossato il mio bel vestito - rosa pallido, come la maggior parte dei miei abiti. Vanessa diceva che come colore mi donava - e la mia bella maschera sorridente, avrei mangiato cibo costoso nel solito ristorante di lusso e avrei detto le solite cose sulla scuola per poi sentirli parlare di lavoro tutta la serata.
La cena era fissata alle otto, quindi avevo ancora circa tre ore libere prima di prepararmi, che avevo deciso di passare davanti alla tv insieme a tanto cioccolato e popcorn al burro.
Dovendo fare tutto da sola non mangiavo esattamente roba sana, ma non ingrassavo perciò ero contenta così.
Ero concentrata a guardare Gossip Girl, quando suonarono al campanello. Per la sorpresa quasi caddi giù dal divano e i popcorn volarono tutti in aria. Il bellissimo tappeto bianco - il preferito di mia madre - era ora tutto unticcio e pieno di palline gialle burrose.
«Merda» mormorai mentre tentavo di pulire.
Il campanello suonò ancora una volta, e mi decisi finalmente a precipitarmi verso la porta.
Prima però decisi di guardare nello spioncino.
Dall’altra parte, una ragazza dai capelli rossi con un gelato in mano e l’aria impaziente era intenta a pulire gli anfibi sullo zerbino. Il mio cuore cominciò a battere velocissimo.
Aprì la porta con un sorrisone.
«Ehilà, cerbiatta!» mi salutò Vanessa.
Sorrisi, incapace di fare altro - se non, ovviamente, saltarle addosso, ma non era proprio il caso.
Nel frattempo lei si era già precipitata in salotto, con il gelato in mano e due cucchiaini.
«L’ho preso alla nocciola, visto che brava?»
Per tutta risposta afferrai il cucchiaino e mi riempii la bocca per evitare di parlare. Non avevo detto una sola parola, ma in effetti era lei di solito che parlava per tutte e due. Non quel giorno, però. Vanessa appariva infatti piuttosto silenziosa. Mangiammo in silenzio guardando Jenny Humphrey alle prese con Chuck Bass, o qualcosa del genere, finché non mi decisi a dire qualcosa.
«Beh… che avete fatto a scuola oggi?»
«A saperlo!» rise lei «non ho sentito una sola parola della Rovelli. E lei sembra essersene accorta»
Fui contagiata dalla sua risata allegra, ma presto Vanessa tornò seria.
«E tu? Stai meglio?»
«Direi di sì… forse domani torno»
«Oh, grandioso! Stasera c’è la cena con i tuoi genitori, no?»
«Sì»
sospirai.
Vanessa mi sorrise dolcemente e «andrà tutto bene, Bambi» mi disse abbracciandomi.
Mi sentii improvvisamente al sicuro, e lei sembrò capirlo, perché mi strinse più forte.
Il pomeriggio volò, e alle sette dovetti congedare Vanessa per andare a prepararmi per quella stupidissima cena.
«Ci vediamo, piccola» mi sussurrò baciandomi sulla guancia e affrettandosi a uscire.
Mi sentii avvampare violentemente e, rimasta sola, sentii l’assoluto bisogno di fare una doccia fredda.

Alle otto in punto ero seduta nel SUV di mio padre, diretta al Chic Ostel , cioè il ristorante più costoso e lussuoso - ma allo stesso tempo freddo e inospitale - nei dintorni.
Alle otto e trentacinque ero seduta al tavolo sedici - lo ricordo benissimo, perché fissai il numerino in argento per tutta la durata della cena.
«Lucrezia cara, prendi la crêpe all’aragosta o il risotto al tartufo?» fu la prima frase che mi rivolse la mia cara mammina, avvolta in un tailleur grigio perla.
«Il risotto, grazie…»
«Dimmi Lucrezina, la scuola come va?» disse poi mio padre
«Molto bene, grazie»
Perfetto: le due domande di rito erano andate. Adesso avrei dovuto semplicemente far finta di ascoltarli, il che dopo anni di esperienza mi appariva molto semplice.
Stavano per portare via il secondo - una schifosissima escargot cotta male - quando i miei, evidentemente a corto di argomenti, presero a far,i alcune domande sulla mia vita. Assurdo.
«Allora, com’è che si chiamava la tua professoressa di matematica… Marsigli...Marsiglietti…»
«Marsigliata, papà»
«Ecco, Marsigliata! Sai Matilde, so che sta poco bene…»
«Sì papà, è morta due anni fa»
«Oh, che cosa orribile!»
intervenne mia madre «cos’è che aveva…un tumore?»
«No, mamma, è morta di infarto mentre dava lezione»
O ancora «Lucrezia, come va il violino?»
«Ho smesso da quando avevo dieci anni»
«Ah, sì, è vero… E il nuoto?»
«Non ho mai fatto nuoto, mamma»

E, dulcis in fundo «Frequenti ancora quella Vanessa?»
«Sì, papà»
«Oh, bello. Mi sta simpatica, forse è un po’ spericolata però. Mi hanno detto che ha un tatuaggio»
«Ha un braccio totalmente tatuato»
«Oh, cielo! Non farti coinvolgere in certe cose, tesoro»
«No, mamma, tranquilla»

Per fortuna il dessert - tiramisù senza caffè perché “sei giovane e la caffeina fa male”- arrivò in fretta, e insieme a lui arrivò anche l’ora di andare a casa.
Mi lasciarono sulla soglia, come al solito, per correre all’aeroporto.
Mia madre mi abbracciò forte e mi baciò sulla fronte. «Scusa piccola, ci vediamo presto» , mi disse.
Io annuii flebilmente e tornai in casa.
Di solito dopo le “cene di famiglia” ero stanca, ma quel giorno non sentivo ancora sonno.
Decisi di guardare un po’ di tv ma non mi aiutò. Feci anche una camomilla, ma nulla.
Allora afferrai il mio portatile dal tavolo della cucina e lo portai su in camera, con l'intenzione di navigare un po’ sul web.
Controllai la mail, poi Facebook.
Mi venne spontaneo andare sul profilo di Vanessa.
C’erano delle foto recenti, fatte probabilmente a scuola, con Giada e altri amici. Succedeva spesso, e la cosa non mi feriva più di tanto. Aveva cambiato anche immagine del profilo. Quant’era bella.
Pensai che come autolesionismo andava anche bene così, e tornai sulla home.
Dopo circa un quarto d’ora stavo per staccare, quando Phoebe, un'amica a distanza conosciuta su un blog, mi contattò. Sorrisi spontaneamente. Non ci sentivamo da molto tempo, forse mesi, ed ero contenta fosse ricomparsa.
Phoebe era una ragazza vivace, italo-tedesca ma con origini americane, ed era stata molto importante per me - non quanto Vanessa - nell’anno precedente, perché delle volte ero riuscita a confidarmi con lei, parlando dei miei genitori, argomento che non toccavo con nessuno - a parte Vanessa, appunto - . Lo feci perché su internet è tutto diverso, ci si sente rassicurati dal computer, vedendo la conversazione come qualcosa di completamente virtuale, come se dall’altra parte non ci fosse un’altra persona.
E con la stessa sensazione, quella sera, le parlai di Vanessa.
- Quindi, sei lesbica?
- Sì, sono lesbica. Wow, è la prima volta che lo dico.
- Stai scrivendo infatti, hahahha
- …non è un problema per te, vero?
- Cosa?
- Il fatto che sono lesbica, ecco.
- Ma che dici? Anzi… anche io sono bisex, sai?
- Davvero? Non me lo hai mai detto!
- Beh ciccia, non lo scrivo sul biglietto da visita haha
Anzi, dammi il tuo numero, dai. Magari se parliamo più spesso posso aiutarti a sbloccare la situazione con la tua “amica” ;)


E così in una sola settimana ero passata da “sola Lucrezia” - “Lucrezia può contare su Vanessa” - “Non è vero perché Lucrezia è lesbica e innamorata di lei” - “Lucrezia ha un’amica bisex di cui si era quasi dimenticata e ora può confidarsi con qualcuno”. Ed era solo l’inizio!






Chiedo umilmente perdono per il ritardo, ho avuto un sacco di problemi, da oggi in poi sarò mooolto più presente!
Come vedete è spuntato un nuovo personaggio che sarà molto importante da ora in poi. Non c'erano riferimenti all'inizio, perché Lucrezia non la sentiva da parecchio.
Neanche questo capitolo è molto lungo, e anche il prossimo sarà più o meno della stessa dimensione, ma da questo capitolo in poi la storia prende una piega un po' diversa... siete pronti? Al prossimo capitolo!

Dimenticavo! Ringrazio tutti coloro che hanno recensito la storia, quelli che l'hanno inserita nei preferiti o nelle seguite o in quelle da ricordare. Grazie di cuore!
  
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