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Autore: Erule    27/07/2014    0 recensioni
Alden sembra quasi stufo quando, per l’ennesima volta in cinque minuti, un vecchietto gli si avvicina e lo abbraccia. Posso capirlo, anche con mia nonna è stato lo stesso. Ti chiedi se loro capiscano davvero ciò che stai provando, se ti sono vicini perché amavano tua madre o perché amavano i loro cari più di lei e li ricordano. Parlo di madre, perché in questo caso è morta Patricia. Io la conoscevo poco, ma mi sembrava giusto essere qui per dirle addio. È questo che si fa ai funerali: si ricorda qualcuno tutti insieme per cercare di sentire meno dolore, ma è inutile. Per quanto tu voglia essere forte, per quanto ti sia portata dietro un solo pacchetto di fazzoletti, tu continui a piangere. E non ti serve una stupida parola di conforto, perché non riporterà indietro chi hai perso per sempre. Ti serve solo un abbraccio più forte degli altri, più stretto. Anche se no, non servirà davvero a farti stare meglio. E se credi che sia così, be’, allora sei un bugiardo di prima categoria.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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So cold
 
 
Prologo – Rain

 
Fa freddo. È l’unica cosa che riesco a pensare in questo momento.
Sta cominciando a piovere. Non sono sicura di sapere esattamente perché sono qui, ma ci sono. È strano sentirsi così, tristi ma allo stesso tempo indifferenti. Forse la ragione è che non riguarda me. Non direttamente, perlomeno. Per una volta sono fuori da tutto questo. Ma resta comunque il fatto che non dovrei proprio essere qui, davvero.
Ci sono lapidi grigie dappertutto, mi sento come in trappola. Il mio abito nero profuma di lavanda. Non lo tiro fuori dall’armadio dalla morte di mia nonna, due anni fa. Il prete continua a parlare senza sosta da più o meno quaranta minuti. Direi che non ci vuole molto per capire che sono ad un funerale.
Due file più in là ci sono i familiari della defunta. A sinistra c’è Phoebe, la figlia minore, con i lunghi capelli castani stretti in una coda; a destra, accanto a lei, c’è il fratello, Alden; vicino a lui c’è un posto vuoto, riservato al padre, divorziato dalla moglie fin da quando i figli erano piccoli, assente. Non riesco ancora a credere che non sia venuto. Non è mai stato molto presente per i figli, ma solo perché la madre non gliel’aveva mai permesso. E adesso lei è morta. Patricia era una brava donna, ha lavorato tanto per riuscire a stare a casa con i bambini il più possibile, finché non fossero cresciuti.
Il prete ha finito di parlare. È tutto finito. Si alzano tutti, la bara viene seppellita. Phoebe scoppia a piangere ed Alden la stringe a sé con un braccio. In questi momenti non sai mai cosa fare, se avvicinarti e porgere le tue condoglianze o andartene e basta. Opto per rimanere in disparte a decidere, mentre gli altri partecipanti si avvicinano a loro in silenzio. Alden sembra quasi stufo quando, per l’ennesima volta in cinque minuti, un vecchietto gli si avvicina e lo abbraccia. Posso capirlo, anche con mia nonna è stato lo stesso. Ti chiedi se loro capiscano davvero ciò che stai provando, se ti sono vicini perché amavano tua madre o perché amavano i loro cari più di lei e li ricordano. Parlo di madre, perché in questo caso è morta Patricia. Io la conoscevo poco, ma mi sembrava giusto essere qui per dirle addio. È questo che si fa ai funerali: si ricorda qualcuno tutti insieme per cercare di sentire meno dolore, ma è inutile. Per quanto tu voglia essere forte, per quanto ti sia portata dietro un solo pacchetto di fazzoletti, tu continui a piangere. E non ti serve una stupida parola di conforto, perché non riporterà indietro chi hai perso per sempre. Ti serve solo un abbraccio più forte degli altri, più stretto. Anche se no, non servirà davvero a farti stare meglio. E se credi che sia così, be’, allora sei un bugiardo di prima categoria.
La folla sciama verso l’uscita. Phoebe è attorniata da qualche parente o amico, gli occhi rossi e spossati, un fazzoletto a coprire il naso. Ha solo ventidue anni, non si è ancora laureata e sua madre è morta. Non vorrei mai essere nei suoi panni.
Sposto lo sguardo più lontano e noto Alden che sta accendendo una sigaretta. È sempre stato il suo vizio peggiore, probabilmente. Ha iniziato a quindici anni e non ha mai smesso. Ora ne ha ventotto, come me. Si appoggia al muretto, noncurante. Magari è solo stanco di essere attorniato da tutta quella gente. Mi avvicino piano a lui, tenendo il soprabito fra le mani. La pioggia continua ad aumentare, ma per il momento non mi va di prendere l’ombrello dalla borsetta.
<< Ehi. >> dico, con il tono più dolce che ho. Alden mi rivolge un’occhiata, poi torna alla sua sigaretta.
<< Ciao. >>
<< Mi dispiace per tua madre. >>
<< Grazie. >>
Annuisco, poi resto a guardarlo per un po’. Ha gli stessi occhi grigi di allora, un po’ di barba in più, il pizzetto, i capelli ricci e castani lunghi fino alle spalle, tanti, il petto più ampio per l’allenamento in palestra, la pelle ancor più pallida, tipica dei Londinesi, che risalta di più per via dell’abito nero che porta. Si slaccia la cravatta e la lascia penzolare sulla camicia bianca, la giacca nera aperta. Lascia cadere la sigaretta consumata e la schiaccia con la punta del piede. Le scarpe eleganti devono essere di sicuro di una marca italiana o comunque di una di buona manifattura. Non gli sono mai mancati i soldi, anche se non era ricco.
<< Vado, ho da fare. Mi ha fatto piacere rivederti. Saluta Phoebe da parte mia. >> dico, poi mi volto per andarmene.
<< Perché sei venuta? >> chiede, con voce piatta, ma alta e decisa come al solito. Mi volto.
<< Perché siamo amici. Ci conosciamo da una vita. >>
<< Non è detto che siamo amici solo per questo motivo. >> risponde. Non capisco perché mi sta trattando in questo modo. Forse solo per la morte di Patricia. Lascio correre. Solitamente non lo farei. Sono una che si arrabbia facilmente. È un mio difetto.
<< Eravamo nella stessa classe alle elementari e poi alle medie. Alle superiori eri fidanzato con una mia compagna di classe. Ci siamo rincontrati all’università, anche se tu frequentavi un’altra facoltà. Siamo usciti insieme un paio di volte. Io direi che siamo amici. >>
Alden resta per un attimo in silenzio, inumidendosi le labbra. Lo fa sempre. Sorride con un angolo della bocca. Anche questo è un suo particolare. Mi osserva con le mani in tasca, mettendomi in soggezione. Odio quando lo fa. È come se mi stesse valutando.
<< Forse hai ragione. Saluterò Phoebe da parte tua. Grazie per essere venuta. >>
Scrollo le spalle.
<< Figurati. >>
La pioggia diventa più fitta. Prendo l’ombrello dalla borsa e lo apro. Prima di tornare indietro mi giro e vedo Alden che abbraccia Phoebe, cercando di confortarla. Mi viene in mente solo ora che aveva un paio d’ombre sotto gli occhi e la linea della clavicola più netta del normale. L’ho visto quando si è slacciato i primi due bottoni della camicia. Non ha pianto, ma non ha nemmeno dormito né mangiato. Credo che sia umano che ognuno reagisca al dolore in un modo tutto suo. Che importa? Tanto non lo vedrò mai più.
Salgo in auto e metto in moto.


Angolo autrice:
Non è la prima storia che pubblico su Efp (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2501738&i=1), ma è la prima che tratta di una storia che non ha niente a che fare con qualcosa di magico. Tratta di tematiche reali e talvolta difficili da affrontare e sì, non manca di cliché e di colpi di scena. 
Questo è solo il prologo. Non dice nulla di davvero importante, ma il primo capitolo sarà già più corposo.
Spero che vi piaccia! Ditemi cosa ne pensate in una recensione :)
Erule 
  
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