Prefazione.
 
 
 
Vivevo in una città vicino al mare, il mio unico rifugio felice ai tempi.
La mia casa era situata proprio a 20 minuti di strada dalla spiaggia. Non era grande, né piccola.
Era strutturata su due piani, la mia stanza era la più isolata di tutte, e mi piaceva così.
La mia casa non era fatta per farmi stare bene con le persone che ci abitavano, era fatta per farmi stare sola.
A pensarci bene, non era neanche la mia casa.
Non avevo un passato felice da voler ricordare nei momenti più bui.
Non avevo un futuro sicuro sul quale sperare e sognare.
A pensarci bene, neanche il mio presente era tanto stabile.
C’erano giorni felici e giorni tremendi. Ogni mattina mi svegliavo chiedendomi: cosa dovrò affrontare oggi?
Cercando di essere forte, avevo imparato da sola ad essere la mia fortezza.
Non avevo mai avuto una madre, il giorno dopo del mio primo compleanno scappò con un altro uomo.
Mio padre invece mi lasciò all’età di quattordici anni, scappando con la sorella di mia madre.
Mi accolse la sorella di mio padre, additandomi come la figlia maledetta, il diavolo che venne per mandare in rovina una famiglia. Ed effettivamente non ebbe tutti i torti. Per crescermi al meglio, mia madre decise di lavorare. Al lavoro incontrò quell’uomo che le diede quelle cure che da parte di mio padre mancarono. Mio padre invece, si strinse a mia zia quando cominciai a voler stare sempre assieme a lei. Entrambi speravano che mia zia avrebbe preso il posto di mia madre, ma quando la mia nonna materna li cacciò di casa additandoli con vergogna, mio padre e mia zia decisero di scappare e lasciarmi qui.
Non cerco mai di farci troppo caso a questa storia, difficilmente mi provoca dolore. Di mia madre infatti, non ricordo quasi nulla. Di mio padre ho solo alcuni ricordi, i quali però mi ripugnano. Se una persona ti vuole davvero bene, perché dovrebbe abbandonarti?
 
Da quel giorno passarono ben 6 anni, ero diventata quel tipo di donna alla quale hanno tutti un po’ paura ad avvicinarsi. Trasformai negli anni, infatti, il mio sguardo dolce e indifeso, nello sguardo di una donna che, stanca dalla vita, era fondamentalmente cattiva. Solo due persone conoscevano i miei segreti e i miei reali sentimenti.
Tyler, di un anno più piccolo di me, lo conobbi al terzo anno delle scuole medie. Era sempre stato una vera e propria palla al piede. Ma proprio per questo suo carattere fu la prima persona capace di entrare nel mio cuore. Non era un innamorato. Era qualcosa di più. Eravamo legati da qualcosa di strano che ci univa in un legame profondo e indelebile. Un po’ più tardi della sua conoscenza, capii che quel legame aveva il nome di Amicizia.
E infine c’era Ryan. Era un amico di Tyler. Me lo fece conoscere proprio lui. La sera del 21 marzo del 2012. Tyler mi chiese di uscire quella sera. Non era una novità, uscivo spesso con lui. Mi chiese se volevo accompagnarlo a vedere un suo amico combattere sul ring, accettando incontrai quel sentimento che mi riempì finalmente il cuore. Era lì, con le sue ferite, la sua stanchezza e qualcosa in più negli occhi. Ne rimasi talmente colpita da non riuscire a spostare lo sguardo da quella visione. “piacere, Ryan”, mi disse. E io, risvegliata da quel sonno profondo nel quale vivevo da 18 lunghi anni, strinsi la sua mano. Emanava uno strano tepore. Diverso da quello della mano di Tyler, diverso da quello della mano di mia zia e diverso da quello della mano di mio padre. Era il tepore della mano di Ryan.
Credete nei brividi a prima stretta di mano?