Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: Halloween_    27/07/2014    6 recensioni
Aysel non ha null'altro che un telo scuro nella testa: niente ricordi e per lei tutto parte dal momento in cui si sveglia in una strana stanza.
Ha paura, sì, ma è anche intenzionata a fare l'impossibile per riavere la sua memoria e, forse, la sua attrazione quasi maniacale per il cielo notturno significa qualcosa.
Il destino, però, le rema contro e tra tutte le sfortune è riuscita a stuzzicare anche la curiosità dell'Oracolo di Kou. La terrorizza, quel Judal, eppure la attira come un cielo stellato terribilmente oscuro e affascinante.
~.~.~.~.~.
{STORIA IN REVISIONE}
.~.~.~.~.~
Kuro❤︎
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Judal, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Solito, piccolo, avviso.
Non ho impiegato troppo ad aggiornare, visto?
In effetti, ero indecisa se farlo oppure no, e ci tengo voi lo sappiate. È un peccato vedere il fandom di un anime/manga così bello, tanto desolato... E il fatto mi stava spingendo a non aggiornare, optando per attendere tempi migliori. Però non lo farò. Andrò avanti perché non ho intenzione di abbandonare questa storia, ci tengo troppo per farlo, quindi vi chiedo con tutto il cuore di non abbandonare me. Chiedo, a voi che leggete, di recensire ogni tanto e farmi sapere cosa pensate, se avete critiche o errori da segnalare oppure, semplicemente, dirmi che vi piace. Anche poche righe mi fanno piacere, davvero.
Grazie per l'attenzione. ❤︎









Capitolo V

Rukh.



La mattina seguente si risvegliò in un bagno di sudore freddo. Il cuore le pompava così rapido nel petto che pensò avrebbe finito con il frantumarle una costola, e il respiro era tanto accelerato che temette di strozzarsi nel tentativo di respirare. Scalciò con urgenza le coperte divenute, di un tratto, soffocanti come una prigione di soffice stoffa dalla bella tonalità candida come una nuvola. Saltando fuori dal letto incespicò perché il piede rimase incastrato in una piega della coperta e finì bocconi sul pavimento meravigliosamente fresco: rimase lì seduta cercando di ricordare, inutilmente, cos’avesse sognato di così sconvolgente.
«Diamine…» borbottò a denti stretti, tamponandosi il viso umido con la manica dell’hanfu semplice e leggero utilizzato per dormire. Ma era fradicio anche quello, quindi non servì a molto.
Lentamente si calmò: il cuore smise di scalpitarle nel torace e il respiro tornò tranquillo; sciolse le ginocchia dal petto e stese le gambe semi-coperte lungo il pavimento di lucido legno. Aveva bisogno assolutamente di un bagno rilassante, almeno si sarebbe tolta di dosso un po’ di quello sconvolgimento e, con un pizzico di fortuna, anche la sensazione orribile come di un coltello che le affondava nel basso ventre. Quel dolore che la colpiva con lancinanti fitte –terribilmente regolari– sembrava dirle che doveva ricordare un qualcosa di molto importante, ma, al contempo, era un’informazione che le scivolava via dalle mani come sabbia. Forse era un evento così traumatico o doloroso che il suo cervello le vietava di avvicinarvisi, spingendola lontano ogni volta si sentiva vicina a capirci qualcosa.
Per ora andava bene così. Infondo, se vi era legata la risata crudele e beffarda che le rimbombava roca tra le pareti del cervello, preferiva non ricordare affatto. Le metteva i brividi quel suono.
Si raggomitolò ancora, Aysel, tentando di scacciare le risate derisorie dalla mente ancora annebbiata.

☽ ✧ ☾

«Che meraviglia.» sospirò con un certo sollievo, mentre si faceva cullare dall’acqua calda e deliziosamente profumata dei bagni. Erano quelli della servitù del palazzo, ma rimanevano comunque a dir poco magnifici: un’ampia vasca interrata dalla forma a rettangolo, circondata da un pavimento piastrellato di un tenue blu screziato, il medesimo che tingeva sia le pareti sia le colonne portanti enormi e solide nella loro massiccia figura, dominava l’ampia sala da bagno. Come le era stato spiegato da una graziosa ragazza che lavorava lì a palazzo, prima di potersi immergere nella vasca era obbligatorio lavarsi con minuziosa cura; perciò lo spazio antistante era occupato da rialzi quadrati ricavati dal pavimento, ognuno provvisto di prodotti per l’igiene e una tinozza per sciacquarsi.
Aysel però, spossata com’era e desiderosa solamente di rilassarsi nell’acqua, si era distrattamente strofinata con un po’ di sapone dall’intenso profumo di fiori e abbandonata al tepore della vasca. Se l’avesse vista qualcuno… Si sarebbe di certo sorbita una ramanzina lunghissima sulle regole da seguire! Sghignazzò furbescamente ammirando i bagni deserti: c’era solamente lei.
Immersa fino al collo abbandonò la testa sul bordo; persa ad ammirare il soffitto giocava con il vapore che saliva lentamente: vi passava la mano nel mezzo, lo faceva separare e lo osservava ricompattarsi impassibile, mentre mandava goccioline ovunque. Bloccò la mano davanti al viso studiando l’acqua che la percorreva con lunghe scie, arrivando sino al braccio e poi più giù sulla spalla; le dita erano affusolate e sottili, ma i piccoli calli sul palmo le dicevano chiaramente che doveva aver lavorato. Non sapeva quando, per quanto tempo, né per chi o che lavoro avesse svolto, semplicemente aveva fatto qualcosa.
Magari era una contadina, oppure aveva servito in qualche sontuoso palazzo –quello del suo paese natio, sempre ammesso ne avesse uno–, o ancora una pescatrice! A ben pensarci non le sarebbe dispiaciuto e, tra le ipotesi che le balzavano alla mente, quella della pescatrice appariva come la più divertente. Chissà, non poteva esserne sicura, però trovò bello immaginarsi a bordo di una nave –niente di che, giusto una piccola barchetta bianca– mentre aiutava il padre a tirare su le reti colme di pesci che si dibattevano come matti prima a destra e poi a sinistra.
«Un padre, eh.» sospirò e scomparve qualche istante sotto il pelo dell’acqua resa di un tenue verde dalle erbe usate per profumarla.
Riemerse al centro della vasca e si perse a contemplare i suoi capelli che danzavano sinuosi, c’era anche una treccina sottile in mezzo alle ciocche argentee: erano affascinanti, in un certo senso quasi ipnotici.
Quando schiodò lo sguardo per puntarlo nuovamente al soffitto qualcosa era cambiato. C’era più vapore che saliva in ampi sbuffi, e il soffitto era una distesa blu e scura, quasi nera, punteggiata di ordinate gemme argentate: così familiare da essere doloroso.
Un movimento attirò la sua attenzione e si voltò a sinistra, spaesata dall’improvvisa intrusione eppure stranamente tranquilla, trovando una mano, tesa in un invito cordiale, dalla pelle leggermente abbronzata. Appena dietro stava un volto senza tratti distintivi, percorso da alcune gocce e contornato da capelli di un intenso blu, lunghi appena oltre le spalle e zuppi d’acqua. Stava sorridendo.
Aysel sentiva il cuore batterle all’impazzata desideroso di spezzare la costrizione delle costole e fuggire, la assordava e non udì la voce del ragazzo misterioso di cui vide solo le labbra rosate e fini muoversi.
“Ti amo.” Sbatté le palpebre e tutto tornò normale. Chi era? Perché le aveva detto quelle parole?
Una stretta minacciò di soffocarle il cuore: faceva male, dannatamente male. Il gusto di salato le invase la bocca, prepotente. Scappò nuovamente sott’acqua, lasciando le lacrime a mescolarsi con i profumi del bagno e pregando, inutilmente, che il basso fondo della vasca la inghiottisse per sempre.
Faceva davvero troppo male e non sapere il perché rendeva tutto peggiore.

☽ ✧ ☾

Dopo essersi rivestita in maniera approssimativa –non aveva ancora imparato come indossare l’hanfu– aveva preso a vagare per il palazzo, con i capelli ancora gocciolanti e lo sguardo perduto per chissà quali lande desolate. La sua mente era da tutt’altra parte e sommersa da pensieri di ogni genere, ma tutti conducevano al quesito più pressante: chi era il ragazzo che aveva visto?
Strofinò gli occhi; probabilmente si era rilassata fin troppo: doveva ritrovare la sua memoria e non socializzare con l’intero palazzo imperiale! Trovando i ricordi, avrebbe rivisto anche il ragazzo dai capelli blu. «Aveva un sorriso così bello…» mormorò sovrappensiero.
«Chi?» la voce, bassa e derisoria, parlò direttamente nel suo orecchio mentre il respiro caldo del Magi le solleticava il collo, con tanto di brividi a correrle lungo la schiena.
Aysel scattò con tanta foga che, se Judal non l’avesse prontamente spinta in avanti, gli avrebbe rifilato una sonora testata. La ragazza incespicò, quasi inciampò nel lungo e fastidioso orlo dell’hanfu, ma alla fine riuscì a recuperare un minimo di equilibrio perché potesse reggersi sulle proprie gambe.
«Judal!» sbraitò, irritata «Ti sembra il caso di arrivarmi così alle spalle?! Diamine! Sei davvero un idiota!» si bloccò. Adesso? Era imprevedibile e Aysel temeva come avrebbe reagito a quell’insulto. Non demorse, però, si aggrappò al misto di rabbia e disperazione che le saturava la mente e sfidò il Magi con i suoi grandi e tristi occhi blu.
Ma lui si limitò a sorridere facendo spallucce, come a restituirle tacitamente l’offesa o come se contassero poco e nulla le sue parole, prima di riderle spudoratamente in faccia.
Tenendosi la pancia e con le lacrime agli occhi, Judal la indicò «Ma come ti sei conciata?! Sei caduta in un lago?»
Aysel, ignorando le guance diventate, di un tratto, bollenti e rosse dalla vergogna, si concentrò su quanto fosse buffo a ridere così sguaiatamente e per un attimo pensò si sarebbe gettato a terra dal troppo deriderla.
Scappò anche a lei un piccolo risolino.
«Sei stupida? Perché ridi?»
«Beh, ridevi in modo buffo quindi mi è venuto spontaneo.» mosse la mano come a voler liquidare in fretta la faccenda. Non aveva per niente voglia di discutere con Judal «Comunque, ti serve qualcosa?» portò i pugni sui fianchi –cercando di atteggiarsi un minimo– e rimase in attesa, battendo lentamente le scarpe dalla sottile suola sul lastricato.
«In verità sì: cercavo qualcuno da infastidire.»
Aysel fece una smorfia «No, grazie per il pensiero ma passo.» fece per andarsene quando si ricordò all’improvviso di una cosa «Ah, giusto. Sei sparito un paio di giorni…» lasciò la frase in sospeso apposta, sperando che il Magi la completasse. Se avesse domandato apertamente, considerò la ragazza, Judal avrebbe potuto pensare che le importasse qualcosa di lui o, peggio ancora, avrebbe ricominciato a darle della maniaca. Al ricordo della scena sotto l’albero avvenuta qualche tempo prima sentì le guance diventare rosse, d’imbarazzo però.
«Avevo da fare con un dungeon… Cos’è, adesso ti preoccupi o è semplicemente riemersa la tua natura da persecutrice?» si chinò verso la ragazza, sorridendo nel suo solito e irritante modo.
Aysel sbiancò per la sorpresa –anche se da una parte immaginava avrebbe detto una cosa del genere, aveva comunque sperato di aver aggirato il problema– e divenne bordò per la terza volta, ma di rabbia «Certo,» fece ironica «perché sono io che passo la mia intera giornata a infastidire gente a caso, no?» aggiunse anche una risatina forzata, senza allegria. «E, comunque, sei un po’ troppo pieno di te, non trovi? Ho già i miei di problemi, figurati se mi avanza della preoccupazione da dedicare a te!» si massaggiò le tempie, colta da un improvviso mal di testa lancinante «Adesso ho pure le allucinazioni.» bofonchiò, ben conscia che anche il ragazzo l’avrebbe sentita –in effetti, tra tutto ciò che aveva detto quella sembrava l’unica cosa ad aver attirato l’attenzione di Judal. Perché l’aveva informato di quel fatto? Non lo sapeva bene nemmeno lei, aveva solo agito d’impulso e pregato di non pentirsene in futuro. «Allucinazioni?» sembrava incuriosito.
«Già, era…» ma non finì la frase perché qualcos’altro attirò la sua attenzione. Si perse a seguire i volteggi delicati di uno strano uccellino tinto di nero; seguì rapita ogni piccola acrobazia e deviazione, completamente assorta da quella creatura così strana, nuova… No, l’aveva già vista, ma non ricordava bene dove. La seguì fino a incontrare i tratti familiari del Magi, senza però vederlo davvero: in quel momento esisteva solo la creaturina tinta di tenebra.
Judal trovò l’oggetto dell’attenzione della ragazza e fu… Sorpreso. Passò lo sguardo dal rukh che gli stava svolazzando intorno ad Aysel, poi tornò al rukh e infine Aysel. «Lo vedi?» le chiese. Aveva un tono stranamente serio, senza la solita ironia o baldanza.
La ragazza annuì, attratta dall’essere che si librava senza peso «Che cos’è? Tu lo sai, vero, Judal?» allungò il braccio e stese l’indice verso il rukh che parve quasi indeciso: prima si avvicinava e poi si ritraeva, senza mai sfiorarla davvero. Aysel era contrariata da quel comportamento e gonfiò le guance, immusonita. E il Magi, con grande sorpresa di se stesso per primo, la trovò buffa. Non ridicola, solo buffa.
«Un rukh nero.»
«È bello.» constatò «Nero… Ci sono anche di altri colori?»
«Sì, la divisione principale è tra bianchi e neri però.» non gli piaceva spiegare agli altri, era fastidioso, ma aveva risposto in automatico.
Dopo un’altra piccola indecisione, il rukh si posò delicato sul dito che poi Aysel portò a un palmo dal naso per osservarlo meglio. Era grande come una farfalla –e, per certi versi, le somigliava abbastanza, anche se era un uccellino– di un nero molto scuro ma lucido e brillante; le appariva evanescente quasi. Se avesse soffiato un po’, si sarebbe dissolto e ricompattato come il vapore? Ma non tentò, le appariva troppo delicato per un’angheria del genere.
Judal, dal canto suo, quando vide Aysel aprire le sue labbra rosse in un ampio e gioioso sorriso mentre ammirava una cosa per lui così normale –e per lei così straordinaria– come un rukh, non poté fare a meno di trovarla davvero bella. Non aveva mai badato troppo alla bellezza femminile, però non era certo stupido e doveva ammettere che non era certo brutta. Strana forse, problematica di certo, smemorata assolutamente e fastidiosamente sarcastica, ma non aveva nulla di ridire sull’aspetto.
«Judal, smetti di fissarmi. È fastidioso.» Aysel schioccò le dita davanti agli occhi del ragazzo, che le afferrò con un gesto rapido stritolandole nella sua mano finché si udì uno scricchiolio lugubre. Restituì la mano alla ragazza, che massaggiò le dita indolenzite dalla stretta e per fortuna ancora intere, intimandole di non farlo mai più perché quello, sì, che era fastidioso.
«Sì, sì… C’è altro? Io dovrei andare da Koumei.» buttò lì nella speranza di liberarsi del Magi, anche se era una bugia bella e buona. In un’altra occasione avrebbe detto che andava a trovare Kouha, peccato che il principe fosse partito per una qualche missione il giorno prima.
L’Oracolo parve soppressare le sue parole, poi sorrise «In effetti, sì. Devo andare in un posto e tu verrai con me!» annunciò trionfante, come se avesse avuto l’idea del secolo.
«Eh? Assolutamente no!» protestò, pestando un piede per dare enfasi al suo rifiuto. Judal parve solamente divertito da quell’atteggiamento di ribellione infantile «Non hai altra scelta.» decretò lapidario.
Aveva maledettamente ragione: lei non aveva possibilità di decisione su niente. Un baluginio argento attirò lo sguardo di Aysel, che desiderò buttarsi nella traiettoria della lancia di Hakuryuu, almeno avrebbe avuto una scusa buona per rimanere dov’era invece che essere obbligata a seguire Judal ovunque avesse per la mente di trascinarla.
Si consolò pensando che sarebbe finalmente uscita dal palazzo. Almeno una piccola nota positiva cui aggrapparsi l’aveva trovata.
















{Angolo di una Festa}
Spero abbiate apprezzato.
Ad Aysel, poverella, non ne va' dritta una, eh? ^^"
Spero di riuscire ad aggiornare presto, ma, purtroppo, non garantisco nulla.
Mi auguro di essere rimasta IC con Judal, se così non fosse fatemelo sapere senza problemi e cercherò di tornare sulla retta via.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, spero di poter leggere i vostri pareri anche su questo! ❤
Alla prossima e recensite, ci tengo tanto io -e la mia autostima-. ❤


Kuro
   
 
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