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Autore: soulouis    28/07/2014    2 recensioni
Cosa tenesse ancora tutti i pezzi di Louis Tomlinson insieme nemmeno lui lo sapeva. Dopo quell’avvenimento si aspettava di non resistere a lungo, massimo un anno, e poi sarebbe crollato definitivamente facendo sì che anche la sua vita giungesse al termine. Invece no, era resistito.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Autrice:
Ebbene sì, eccomi qua, alle due e mezza di notte a pubblicare questa one shot.
Non voglio farla lunga, vi dico solo che c’ho messo meno di una settimana a scriverla e sono per metà orgogliosa e metà.. spaventata? Boh.

Allora, prima di cominciare a leggere è importantissimo che voi prima guardiate questo video perché mi sono ispirata a lui. Subito dalla prima volta che l’ho visto ho detto “devo scriverci una os assolutamente”, e poi ho continuato a vederlo per settanta volte di fila durante la scrittura. Quindi un grande ringraziamento va a lei , creatrice del video!

Fatemi sapere cosa ne pensate, quindi potete recensire e sapete che potete trovarmi sempre qui .

Me ne vado, adios, buona lettura!
Giulia.
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I’ll be watching you.



Cosa tenesse ancora tutti i pezzi di Louis Tomlinson insieme nemmeno lui lo sapeva. Dopo quell’avvenimento si aspettava di non resistere a lungo, massimo un anno, e poi sarebbe crollato definitivamente facendo sì che anche la sua vita giungesse al termine. Invece no, era resistito. Certo, aveva avuto delle crisi, che all’inizio erano molto più frequenti rispetto ad adesso, ma che si avvertivano soprattutto di notte quando si ritrovava in quel letto decisamente troppo grande per una persona sola e nessun corpo da stringere a sé. Invece adesso, di notte, aveva imparato a lasciarsi drogare e cullare da quella voce che quasi lo tormentava e lo illudeva che Lui fosse ancora lì.
A volte, addirittura, quando Louis si ritrovava in mezzo ad una delle sue crisi, soleva parlare con Lui, credendo che Lui lo ascoltasse, perché lui lo sapeva che lo stava ascoltando. Sapeva che era sempre con lui, che due anni fa non l’aveva abbandonato. Gliel’aveva pure detto, che sarebbe rimasto con lui. E – oh, si sentiva così ridicolo solo a pensare queste cose. Però lui ci credeva, anzi, sapeva che Lui aveva mantenuto la sua promessa. Perché lo sentiva – nonostante a volte avesse ancora delle sensazioni di smarrimento in cui entrava in completa confusione e cominciava a piangere – che lui c’era, era lì e ci sarebbe sempre stato.
Il segreto di Louis rientrava nel non fermarsi mai a pensare, perché se pensava era decisamente la fine. Perché sapeva che qualsiasi cosa avrebbe pensato, poi, l’avrebbe ricollegata a Lui ed a quanto gli mancasse. Ma, soprattutto, a cosa gli mancasse. 
Le crisi, soprattutto, lo travolgevano nei momenti in cui – stanco, dopo ore di lavoro sfiancante in ufficio ed un mal di testa allucinante – si buttava sul letto e chiudeva gli occhi, nel silenzio, respirando piano. E nemmeno due minuti dopo, già si ritrovava a pensare alle cose più disparate, ma ovviamente, tutte ricollegate a Lui. Per esempio, pensava che se in quel momento Lui fosse stato lì, gli avrebbe accarezzato i capelli, portato del tè, e poi si sarebbe accoccolato sul suo petto solo dopo avergli lasciato un bacio sulle labbra.
Nei primi tempi dopo l’evento, invece, Louis non aveva nemmeno bisogno di pensare per entrare in una delle sue crisi. Aveva dei cali di tanto in tanto, all’improvviso, in cui semplicemente quel buco nel petto si faceva sentire. Quel vuoto che sentiva dentro di sé gli bruciava così tanto, tanto quanto le immagini di Lui sorridente gli bruciavano le iridi in ogni momento. Quei cali erano molto pericolosi per lui, perché potevano verificarsi in qualsiasi momento, in modi disparati. Era capitato a volte, mentre magari era in giro per strada, in macchina o a piedi, che gli occhi gli si colmassero di lacrime al ricordo di qualche conversazione o semplici ricordi e lui solamente cercasse di controllarsi chiudendo le palpebre, tirando un lungo sospiro e proseguendo per la sua strada. Oppure, quando una volta nel suo ufficio, fu colto in pieno da un attacco di panico, il respiro gli si bloccò nei polmoni che bruciavano, e lui era sbiancato boccheggiando alla ricerca di aria, sentendo le lacrime formarsi per poi crollare giù. Crollare giù come quel piccolo vasetto in vetro mezzo pieno di caramelle, tra cui una mezza scartata. Ormai il vasetto era distrutto, e le caramelle sparse per tutta la stanza. E mentre diverse persone tra cui Niall, il suo migliore amico e collega, accorrevano per aiutarlo vedendolo così, lui se ne stava inerme senza riuscire a respirare e gli occhi spalancati al ricordo maledetto che solo delle stupide caramelle gli avevano portato.
"Dai Lou muoviti, voglio andare a casa, uffa" si era lamentato il riccio, seduto sulla scrivania dietro quella di Louis.
Era venuto lì dopo l'Università per poi ritornare a casa insieme, solo che Louis aveva ancora bisogno di qualche minuto per ricontrollare un paio di documenti, ma il ragazzo proprio non ne voleva sapere di aspettare. Così, dopo aver notato che tutte le sue lamentele non fruttavano niente, si sporse verso il cassetto che si trovava sotto alla scrivania e raccolse il vasettino contenente delle caramelle per poi..
"Amore?" Dire, e poi tirargli una caramella contro.
"Dai amore hai finito?" Tirargliene un'altra.
"Haz, se non la smetti subito sai dove vanno a finire quelle caramelle?" brontolò il liscio, per poi voltarsi e rifilare un sorriso malizioso al suo ragazzo.
“Beh, sempre meglio di stare qui a guardarti fare il finto impiegato serio” ribatté l’altro con fare offeso, con lo stesso tono di un bambino quando non viene accontentato.
Pochi secondi dopo Louis aveva già sistemato tutte le carte e si era già fiondato dal suo ricciolino che gli era mancato, nonostante non si vedessero da quella stessa mattina. Lo abbracciò e gli rifilò un bacio sul collo, mentre l’altro godeva delle sue attenzioni scartando una caramella dietro la schiena del suo ragazzo. Peccato però che Louis gliela levò dalle mani e, dopo averla poggiata nel vasetto apposito, mise il tutto dentro il cassetto sotto la scrivania accompagnato dalle lamentele di Harry.
“Ma io volevo la mia caramella!”
“Ah sì? Preferisci le caramelle a me? Va bene” Louis si finse triste e fece per spostarsi dal suo posto tra le gambe di Harry, ma quest’ultimo invece lo tirò di nuovo a sé e “baciami, stupido” gli sorrise, con quelle fossette in cui Louis amava tanto infilarci le dita. Il liscio non se lo fece ripetere due volte e dopo aver incastrato le dita tra la guancia e la zona sotto l’orecchio, si avvicinò e solo dopo averlo guardato negli occhi così verdi in cui si perdeva ogni volta, baciò quelle labbra rosse morbide delicatamente, quasi venerandole, più volte e poi dopo aver impresso un bacio più forte su quelle labbra ed aver inalato il suo stesso respiro, si staccò spinto con delicatezza dal riccio che subito dopo aveva poggiato la fronte contro quella di Louis e “voglio fare l’amore con te” aveva affermato, specchiandosi negli occhi blu.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, aveva semplicemente ripreso conoscenza su una barella dell’ospedale con Niall che gli teneva la mano. Adesso respirava, i polmoni non gli bruciavano più, ma invece il cuore continuava a farlo. Niall, vedendolo sveglio, subito lo abbracciò. “Ehi Lou, non farlo mai più! Stavo quasi per rifiutare del cibo per quanto mi hai fatto preoccupare!” subito il biondo cercò di strappargli un sorriso, ma, inutile dirlo, non ci riuscì. L’unica cosa che il castano riusciva a fare era ritenersi deluso di non essere finalmente morto, e di non essersi risvegliato tra le braccia accoglienti di Harry. 
 
Dopo quell'episodio non ebbe più attacchi di panico, o meglio, riuscì a placarli. 




 
 

 
Ed io non vivo più,
perché mi manchi tu,
e questo cielo blu
non lo posso sopportare.
[Alex Baroni – La Distanza Di Un Amore]


C'era stato un periodo in cui Louis indossava solo cose di Harry e tutti, nell'accorgersene – dato che gli andavano abbastanza grandi – lo guardavano con un'ombra di pena negli occhi. Ma lui non voleva pena, affatto. Voleva essere capito se non essere lasciato in pace. 
Le persone che più odiava erano quelle che gli dicevano “dai, la puoi superare, sei forte” e lo spingevano in ogni modo a superare Harry. Ma come poteva superarlo? Lui era l’amore della sua vita, il suo sole, il suo piccolo, la sua “metà”. E non “metà” tanto per dire, una parola fatta. Louis se n’era accorto come i lori corpi combaciassero e cozzassero perfettamente quando facevano l’amore, come le loro dita si incastrassero perfettamente quando si davano la mano, come le labbra più carnose e grandi del più piccolo fossero fatte perfettamente per racchiudere ed avviluppare quelle del più grande, come i loro caratteri fossero complici. Lui aveva solo bisogno di tempo e non l’avrebbe superato ma l’avrebbe accettato, in qualche modo.

Dopo il fatto Louis aveva avuto l’appoggio di tutti, addirittura sua madre gli aveva proposto di ritornare a vivere da lei. Ma no, non l’avrebbe fatto, perché tanto cosa avrebbe cambiato il suo trasferimento? Sì, è vero, non vivere più nel posto in cui aveva vissuto con Harry per due anni – si erano trasferiti lì quando Harry aveva compiuto diciotto anni, regalo di compleanno – un pochino lo avrebbe aiutato ma non del tutto. Lo avrebbe aiutato a non vederlo più in ogni angolo della casa, lo avrebbe aiutato a non rivivere squarci di ricordi insieme alle allucinazioni. Non avrebbe più sentito ancora l’eco della voce del riccio rimbalzare su quelle pareti, forse. Ma lasciò stare. Lasciò che nei momenti in cui si sentiva solo, si rannicchiasse sul divano e si guardasse intorno lasciando che i ricordi lo travolgessero piano piano.
Pure in quel momento, dopo due anni dalla scomparsa di Harry, si ritrovava in quella posizione. Ormai la ferita sul suo petto non bruciava più, era rimasta la cicatrice ovviamente, ma adesso sembrava averlo accettato. O forse il suo petto si era squarciato talmente tanto che non lo sentiva più bruciare, e ci aveva preso l’abitudine. Non lo sapeva nemmeno lui. Ma ormai aveva iniziato ad amare quei momenti in cui, dopo il lavoro e gli amici, in cui si comportava in maniera assolutamente normale, si ritrovava solo nella sua casa, con i suoi ricordi, e si sfogava. Lo faceva stare bene, quindi perché impedirselo?
Quel giorno partì guardando la cucina, fissando il suo sguardo su ogni cosa la componesse.
“Lou, ti va di aiutarmi a cucinare stasera?” il riccio, che si trovava davanti al piano cottura, si era voltato verso Louis, che invece se ne stava seduto su uno degli sgabelli attorno all’isola che si trovava in mezzo alla stanza.
“Ma io non so fare a cucinare, lo sai che sono un disastro” rispose Louis che, davvero, avrebbe voluto aiutare il suo ragazzo, ma avrebbe bruciato tutto quindi era meglio evitare. Harry gli sorrise dolcemente, “ti insegno io, adesso vieni qua”  il liscio si avvicinò, e dopo averlo abbracciato da dietro ed aver poggiato il mento sulla sua spalla destra “che vorrebbe cucinare, Chef?” mormorò. L’altro si fece fintamente pensieroso, picchiettandosi l’indice subito sotto le sue labbra e “mh, io proporrei una torta” disse. Louis pensò che l’ultima volta che aveva provato a farne una da solo era il giorno del diciannovesimo compleanno di Harry, e stavano per poter dire addio alla loro cucina. “E che torta sia” alla fine concordò, tanto ‘sta volta ci sarebbe stato il suo ricciolino con lui.
Dire che alla fine il progetto di fare una torta sfumò sembrerebbe quasi inutile. Nemmeno mezz’ora dopo stavano già lottando – in una guerra che
ovviamente aveva cominciato Louis – lanciandosi ogni ingrediente possibile e ridendo a crepapelle quando “Lou, Lou, la farina e le uova nei capelli no ti prego, ti scongiuro, no!” lo pregò il riccio cercando di pararsi con le mani, mentre l’altro lo guardava con lo stesso sguardo con cui un cacciatore guarda la sua preda. Inutile dirlo, Louis non lo ascoltò, sporcando tutti i capelli del riccio che subito dopo urlò “ahhh voglio un nuovo fidanzato!”, ma che se ne pentì subito dopo quando – ancora ridendo – il liscio lo strinse a sé, ancora entrambi tutti sporchi, e gli riempì le guance di baci. “Ti amo anch’io, Haz”.

Un singhiozzo ruppe il silenzio nella casa e Louis quasi si spaventò, per poi accorgersi che ovviamente era lui quello a star singhiozzando a quei ricordi. Si passò le mani sotto agli occhi, per poi strusciarle contro questi ultimi cercando di migliorare un po’ la situazione, ma infondo, pensò, era meglio così, allentare la tensione dentro di sé e sfogarsi gli avrebbe fatto solo del bene.
In quel momento si ricordò di tutte le volte in cui si era ritrovato in quella stessa situazione nei primi tempi dopo l’accaduto, e ripensò a quante volte aveva alzato gli occhi completamente distrutti, rossicci e gonfi, al cielo e “ti prego piccolo, dimmi che è tutto uno scherzo e che tu adesso entrerai in casa prendendomi in giro. Ti scongiuro, perché io non reggo più senza di te”. Adesso non lo diceva più, ma lo sperava ancora silenziosamente.

Poi, un secondo dopo, qualcosa scattò nel suo cervello.
Un flashback lo assalì, quasi fosse in un film e – poteva giurarlo – gli sembrava quasi di rivivere quel momento per una seconda volta.

Il tempo ormai era scaduto. I due mesi di “scadenza” che il dottor Payne aveva dato loro erano giunti al termine e Louis non poteva sentirsi peggio. Il giorno dopo avrebbero ricoverato Harry, perché non era più nella condizione di stare a casa – o almeno così dicevano i dottori. Lui, invece, lo vedeva come il solito ragazzo di cui si era innamorato quattro anni prima. Non sapeva se fosse il riccio a fingere alla sua presenza, abbozzando sempre un sorriso, fingendo qualche risata, nonostante ormai fosse costretto sempre a letto, perché la malattia lo mangiava da dentro e forse per questo a Louis sembrava che tutto fosse normale se non la debolezza del suo ragazzo che aumentava di giorno in giorno. Per il resto, le fossette erano ancora lì – che spuntavano sempre ogni volta che, in quei due mesi, Louis tornava da lavoro e dopo avergli assestato un bacio sulla fronte gli diceva “eccomi, amore” – , i suoi ricci pure, ormai pochi, ma c’erano – ma Louis continuava ad accarezzarli – e le sue labbra rosse da far male, pure.
Era ovvio che, se non fosse per la debolezza di Harry che andava via via aumentandosi in quegli ultimi due mesi, la perdita di capelli ed il suo corpo che continuava a dimagrire nessuno avrebbe mai notato la malattia dall’esterno prima.
Prima era normalissimo, poi aveva cominciato a sentirsi debole e Louis dopo un mese di questa manifestazione decise di portarlo all’ospedale per un controllo – accompagnato dalle lamentele di Harry che “uffa, come sei pignolo, presto passerà dai”. Invece non era stato affatto pignolo, anzi, quando il dottor Payne diede gli esiti degli esami rifilandogli con il tono più dolce possibile e con tanto di occhi lucidi, che Harry avesse un tumore e che ormai era troppo tardi, Louis si sentì tremendamente in colpa per non essersene accorto prima. Questo pensiero lo tormentava, lo portava a voler morire al posto del suo ragazzo, perché era solo colpa
sua.
Anche Harry aveva pianto, all’inizio. Poi aveva iniziato a fare forza al suo ragazzo, a stringerlo nelle notti in cui lo sentiva singhiozzare, a rassicurarlo che lui sarebbe stato sempre lì nel suo cuore.

La notte dell’ultimo giorno prima del ricovero, erano entrambi sdraiati sul letto. Louis era semplicemente distrutto, perché sentiva che da quando Harry sarebbe uscito da quella casa non ci sarebbe più rientrato. Ma lui, mentre in quel momento stringeva l’altro tra le braccia, lasciandogli baci su tutto il viso, venerandolo, cercava di mostrarsi forte.
Louis si sistemò meglio sul letto, fece in modo che Harry si posasse sul suo petto e gli accarezzò lentamente la schiena, fino arrivare all’osso sacro e risalire. Se ne stavano zitti, ma Harry sentiva il respiro affatto regolare dell’altro, e Louis sentiva che Harry era in procinto di voler dire qualcosa ma poi si fermava. Il riccio affondò lentamente il viso nell’incavo del collo del liscio ed inspirò profondamente, poi allungò il braccio così da cingere la vita del suo ragazzo e, solo dopo aver recuperato la mano dell’altro, intrecciare le dita con le sue. Sentì l’altro ragazzo fremere, tremare, come se stesse per crollare ma si trattenesse. E sapeva fosse così. Quella situazione li stava schiacciando e soffocando, ma ormai, almeno Harry, se ne era fatto una ragione. Però, Dio, lui non voleva lasciare Louis, aveva paura di cosa potesse combinare dopo la sua morte. Il pensiero che potesse fare qualcosa di veramente brutto gli fece bruciare gli occhi così tanto che si ritrovò a lasciarsi scappare un singhiozzo mal celato.
“Piccolo…” lo richiamò Louis, regalandogli l’ennesima carezza.
“Lou- Lou, io ho bisogno che tu mi prometti una cosa” annunciò Harry, puntando i gomiti contro il petto dell’altro, guardandolo negli occhi mordendosi le labbra.
Louis eliminò il groppo in gola prima di rispondere. Le promesse odoravano di addio, e lui ancora non poteva accettare il fatto che tra poco… Oh, non riusciva nemmeno a pensarlo. Se non era ancora crollato definitivamente era perché ancora il suo cervello non aveva realizzato, non per altro. “Dimmi amore mio” ed Harry arrossì, come aveva sempre fatto, ancora dopo quattro anni quei nomignoli facevano diventare le sue guance paonazze, non poteva farci nulla. Il labbro inferiore di Louis tremolò a quella scena, Harry se ne accorse, e abbassò il suo viso fino ad appoggiare la fronte contro quella del liscio e, dopo aver inspirato il suo stesso respiro, fissò gli occhi nei suoi. Stavano in silenzio, ma si stavano parlando più di quanto qualcuno potesse solo immaginare.
Il riccio gli lasciò un bacio a stampo sulle labbra e poi parlò, ancora con gli occhi fissati in quelli dell’altro e i nasi a sfiorarsi.
“Louis, sai che da domani mi ricovereranno e.. sappiamo entrambi come andrà a finire. Andrà così e-” subito Louis si agitò, e “no, non parlarne come se fosse giusto! Ti sembra giusto che un ragazzo di vent’anni se ne vada così? Per colpa di una fottuta malattia? Anzi-” ansimò, tra le lacrime che già avevano iniziato ad inondare la sua faccia, “Anzi, per – per colpa mia, perché se me ne fossi accorto fottutamente prima-” fu bloccato dalle labbra di Harry sulle sue. Il più piccolo lo baciò lentamente, premendo semplicemente le labbra su quelle dell’altro e poi staccandosi, più volte. Sapeva che così l’avrebbe calmato, ed infatti, ci riuscì.
“Louis, lo sai che non è colpa tua” iniziò, asciugandogli le lacrime con i palmi delle mani. “E’ capitato, il destino ha deciso così, chi siamo noi per cambiarlo? Nessuno. Ma, ritornando a prima, voglio che tu mi prometta una cosa” il liscio annuì. “Sai quanto ti amo, vero Lou? Ti amo da morire – dio, non puoi nemmeno immaginare. Io- io davvero voglio che quando io non ci sarò p-più-” la voce del più piccolo tremò “voglio che quando io non ci sarò più, tu continui a vivere. Voglio che tu trovi la forza in qualsiasi cosa, in qualsiasi persona, voglio che tu non ti distrugga per me” il più piccolo vide il grande scuotere la testa e mordersi il labbro a sangue mentre gli occhi ritornavano lucidi. Ormai da due mesi gli occhi rossi e gonfi di pianto, per loro, erano un abitudine. Il riccio gli baciò una guancia e passando una mano tra i capelli dell’altro “tu sei forte, Louis” gli sorrise dolcemente, “tu sei forte, Louis, e so che tu adesso penserai che non è vero, che tutto questo è un’ingiustizia e basta. Sì, amore, è vero, però se è così è così, capisci. Pensi che io non avessi in mente un futuro insieme a te? Un lavoro subito dopo l’Università, o – che ne so – un figlio” finì con la voce incrinata “avevo persino fatto una lista con qualche nome, non so nemmeno dove l’ho messa” esalando una risata breve e bagnata. Poi cominciò a lasciargli dei baci lungo la mascella fino ad arrivare all’orecchio, dove sussurrò “ogni volta che penserai di non farcela più e penserai di mollare, ti prego amore, pensa solo che io sono con te e non devi mollare. Io ero, sono e sarò sempre vicino a te”. Inutile dire che entrambi finirono per piangere dopo quelle parole, perché – era vero, Harry non lo avrebbe abbandonato ma erano così
troppo giovani per sopportare un dolore così grande.

Quasi credeva di sentire i punti dove le labbra bagnate di Harry avevano tracciato il loro percorso bruciare, mentre nello stesso momento sentì qualcosa sbloccarsi dentro di lui a quelle parole.
Dal giorno della morte del suo ragazzo a quello si era sempre sentito bloccato ad amare o solo voler bene alle persone. La perdita lo aveva mangiato dentro e lui proprio… non ce la faceva, punto, non sapeva spiegarlo.
Esalò un lungo sospiro, si passò una mano tra i capelli color caramello, sfiorò la collanina con un aereoplanino di carta appeso, e decise.







 
“Buon diciannovesimo compleanno Haz, questo è per te!”
Lo scartò, una collanina con l’aereoplanino appeso.
“E’ bellissima, graz- Lou cos’è questa puzza di bruciato?”
“Cazzo.”


“Signor Tomlinson, di solito i bambini vengono classificati, per farli adottare dagli adulti disposti, in base a chi ne è più bisognoso e chi meno. Al giorno d’oggi, straordinariamente, lei deve scegliere un bambino tra questi cinque, dato che tutti ne necessitano allo stesso modo” la signorina Calder, chiusa in un abito elegante dietro la sua scrivania le illustrò le carte dei bambini dove risiedevano tutte le informazioni su di loro e lui le sorrise gentile.

Due ore dopo inviò un messaggio a Niall: diventerai zio.

 –



Com’era ovvio che fosse, il bambino non gli veniva consegnato subito. Ebbe un mese d’attesa, e lui, con la compagnia di Niall ed il suo ragazzo Josh, era riuscito ad organizzare già la cameretta ed a comprare tutto l’occorrente per un bambino.

Persino Josh, che non conosceva così bene Louis, era felice per lui. Perché Niall, adesso, aveva un’espressione sempre rilassata e sorridente stampata sul viso. Perché – parole testuali del suo biondo tinto preferito – Louis ne sta uscendo più forte di prima, ce la sta facendo.


Due settimane dopo, mentre Louis era impegnato a scavare in un cassetto del mobile della cucina, in mezzo ai “cosi per le torte” – così li aveva sempre chiamati il liscio – il suo cellulare squillò. Lo sfilò dalla tasca e “pronto?” rispose, continuando a scavare in quel macello con la mano libera.
“Signor Tomlinson? Siamo dell’assistenza sociale. Volevo avvertirla che noi, entro stasera, le porteremo suo figlio a casa. Quindi auguri e-” Louis sorrise alla notizia, ma mentre la signorina Calder continuava a blaterare su varie cose che già sapeva, trovò un foglio in mezzo agli stampi per torte. Iniziò a leggerlo, e gli occhi iniziarono ad umidirglisi mentre il cuore gli si strinse in una stretta soffocante. Si morse le labbra a sangue, pur di non piangere mentre iniziava a leggere. Nomi per Tomlinson Jr! x
“Ehi, signor Tomlinson, mi sta ascoltando?” sbottò la signorina al telefono.
“Sì, certo, ho capito tutto” subito rispose Louis.
“Allora? Che nome segniamo nei documenti per suo figlio? Come vuole chiamarlo?” domandò la ragazza.
Louis scorse, ancora emozionato, gli occhi sul foglio che ancora teneva in mano.
“Thomas, Thomas Tomlinson”.
E Louis, nel pronunciarlo, sentendo l’okay della signorina Calder e fissando ancora quel foglio in cui c’era scritto Thomas (mio preferito!), sentì Harry ancora più vicino a sé.

Quando un paio d’ore dopo, in compagnia di Niall, Josh, una Jay emozionata di diventare nonna – che non faceva altro che abbracciarlo ed essere felice di vedere suo figlio fare una svolta – e quattro sorelle eccitate all’idea di diventare zie, accolsero tutti insieme Thomas Tomlinson.
Il primo a prenderlo in braccio, quel fagotto di sei mesi, fu ovviamente Louis e nemmeno fece in tempo a squadrarlo per bene che già una piccola folla si era creata intorno a lui.
Però, quando lo fece e notò dei leggeri capelli ondulati, degli occhi azzurri a fissarlo e delle fossettine sulle guance, sentì la necessità di consegnare suo figlio a sua madre credendo di essere impazzito.
Ebbe la conferma di non essere affatto pazzo, però, quando sua madre esclamò “amore, non so dirti perché ma negli occhi azzurri ci vedo te, mentre nel resto ci vedo Harry. Io-io non capisco come sia possibile, ma tutto questo è bellissimo” e gli sorrise.

In quel momento, Louis, si sentì sicuro che il suo Haz, o meglio, papà Harry, fosse più vicino a lui di quanto immaginasse. Si sentì protetto, ma soprattutto sicuro che Harry, aveva mantenuto la sua promessa fatta su un letto di un ospedale sulle note di una canzone.

Louis, occhi rossi e gonfi, se ne stava sdraiato sul letto d’ospedale con il viso affondato nell’incavo del collo di Harry, che quel giorno sembrava ancora più debole. Il più grande gli schioccò un bacio sulla guancia e, spostandosi, lasciò che il più piccolo si posasse sul suo petto, per non pesargli troppo. Una volta posatoci, Harry intonò una canzone con voce leggera a malapena udibile dritta sull’orecchio di Louis.

“Every breath you take,
every move you make,
every bond you break,
every step you take..”
L’ultimo respiro.
I’ll be watching you.”

Biiiiiip.
 
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Vi dico solo, che durante la scrittura mio fratello mi fissava e continuava a chiedermi “Giulia, perché stai piangendo?”.
  
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