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Autore: Fiamma Erin Gaunt    28/07/2014    4 recensioni
[Storia a OC]
Una nuova profezia incombe sul Campo Mezzosangue, nuovi Semidei e nuove avventure attendono i nostri eroi. Sarai tu l’Eroe della profezia?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap 4

 

 

 

 

 

 

Rilassarsi … Jack la faceva facile.

Essere l’Ulfric del Campo era stressante, doveva riconoscerlo, specialmente quando tutti si aspettavano che fosse lui a trovare una soluzione a ogni dannato problema.

Lui era il figlio di Ra, l’Ulfric, quello che era al Campo da più tempo di tutti, il grande Eroe. D’accordo, potevano anche andargli bene tutti quegli appellativi, ma non era un fottuto Oracolo né un sacerdote o, gli Dei non volessero, un Profeta. Lui non voleva averci proprio niente a che fare con quelle fottute profezie e a chi chiedevano di decifrarle? A lui.

Certo, non faceva una grinza come ragionamento.

Sbuffò, dirigendosi verso le scuderie. Una cavalcata gli avrebbe fatto bene, poco ma sicuro, soprattutto perché da quelle parti non si aggirava nessuno; i membri del Campo erano tutti troppo impegnati a discutere dell’arrivo delle delegazioni dei due Campi e del misterioso significato delle parole di Lars.

Alzò lo sguardo verso il Sole, provando a inviare una muta richiesta di aiuto a suo padre. Silenzio, come sempre del resto.

- Bè, grazie tante, pà. – borbottò.

Figlio di Ra un accidenti, di questo passo avrebbe fatto meglio a farsi chiamare “orfano di Ra”.

Raggiunse la scuderia in cui si trovava il suo cavallo. Era un sauro bruciato piuttosto imponente, una cavalcatura da battaglia, che niente aveva a che vedere con gli esili e agili purosangue arabi che utilizzavano gli egizi di un tempo. Bè, del resto lui non doveva mica combattere tra le dune del deserto come facevano loro.

S’infilò nel box, dandogli una grattatina tra le orecchie, e prese a strigliarlo lentamente. Solo lo stare a contatto con lui funzionava da palliativo; era sempre stato così da che aveva memoria, gli animali lo aiutavano a rilassarsi. Scherzando, sua madre diceva sempre che andava molto più d’accordo con loro che con gli esseri umani. Non aveva tutti i torti; in fin dei conti gli animali non potevano tormentarlo con frasi stupide come facevano il resto dei semidei che lo circondavano ogni santo giorno.

Un rumore di passi lo distrasse dal suo lavoro metodico e rilassante.

Harrogate, il suo stallone, nitrì piano. Lo calmò con un paio di pacche sul collo e l’animale riprese a mangiare la biada con cui aveva riempito la sua mangiatoia.

Lasciò scorrere la porta del box, chiudendola con il catenaccio, e si sporse per avere una visuale di chi aveva osato disturbare il suo momento di pace.

Nives stava percorrendo il corridoio in ciottolato che separava i due lati delle scuderie e si dirigeva verso il centro del Campo, in direzione dell’Arena.

Probabilmente tra tutti i semidei che aveva conosciuto nel corso della sua vita lei era l’unica che gli andasse a genio, se si escludeva Jack che avrebbe potuto definire come il suo unico amico. Non parlava mai troppo né a sproposito, se ne stava sulle sue e non era una di quelle ragazzine appiccicose con cui troppe volte aveva suo malgrado dovuto fare i conti. E poi combatteva da Dio. Doveva riconoscerlo, non aveva mai visto fare cose come quelle che lei era in grado di fare con un machete.

Non sapeva neanche lui perché, ma si ritrovò a chiamarla e incamminarsi verso di lei per raggiungerla.

- Ehy, Nives. –

Gli occhi verdi incontrarono i suoi e la ragazza corrugò un sopracciglio, ironica.

- Peter. Quindi era qui che ti nascondevi? –

- Non mi stavo nascondendo. –

Le labbra si stirarono in un piccolo ghigno divertito. – Ah, no? –

Ecco fatto, l’aveva beccato.

Sospirò, passandosi una mano tra i capelli e cercando di rimetterli in ordine.

Doveva avere un’aria stravolta, ne era certo.

- Okay, magari stavo cercando un po’ di relax, ma non mi stavo nascondendo. Non sono un codardo. – replicò seccamente.

- Eppure scappi dai tuoi doveri come se lo fossi. Credevo fossi un duro, uno di quei ragazzi che sanno sempre cosa vogliono e non si fanno problemi a prenderselo. Mi sarebbe piaciuto un ragazzo così … ma magari mi sbagliavo. –

Lo stava manipolando, era chiaro come la luce del Sole, ma le sue parole andavano tutte a segno.

Maledizione a lei e al suo modo di fare.

- Sai, credevo che mi piacessi Nives, ma adesso sto cominciando a pensare che forse sei un po’ troppo simile a me. – borbottò, prima di aggiungere. – Forza, a quanto pare c’è una profezia che aspetta solo me per essere decifrata. –

La figlia di Ullr gli rivolse un sorrisetto furbo e allo stesso tempo soddisfatto. L’aveva incastrato e riportato all’ordine e ne sembrava fin troppo compiaciuta per i suoi gusti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

La Profezia l’aveva stancato più di quanto gli facesse piacere ammettere. Avrebbe dovuto esserci abituato dopo tutti quegli anni, ma ogni volta che veniva posseduto sentiva le forze che lo lasciavano, gli occhi gli si iniettavano di sangue e gli veniva quel dannatissimo mal di testa.

Era per quel motivo che aveva deciso di mischiarsi ai semidei, malgrado di solito preferisse rimanere nella sua stanza e limitare i contatti a occasioni sporadiche, e si era spinto fino alla mensa. L’ora di colazione era passata da un pezzo e quella di pranzo non era ancora giunta quindi le probabilità di trovare qualcuno lì intorno erano infinitesimali.

Non che i semidei del Campo ricercassero la sua compagnia. Sapeva perfettamente che molti di loro lo trovavano inquietante e non se la sentiva neanche di biasimarli.

L’unico che si degnava di scambiare quattro chiacchiere con lui, nelle rare occasioni in cui si incontravano nella sezione di magia rituale della biblioteca del Campo, era Austin. Come figlio di Seth aveva una certa familiarità con rituali e incantesimi e, per di più, era l’unico che non lo trattasse come se fosse un mostro o un curioso scherzo della natura. Probabilmente era perché lui stesso si considerava così, ma quella era solo una sua supposizione. Comunque non avevano parlato mai di chissà cosa né per chissà quanto tempo.

Non che a lui dispiacesse, che sia chiaro. Trovava la compagnia dei suoi coetanei piuttosto molesta perché la maggior parte di loro si comportava in modo talmente immaturo che non avrebbe semplicemente saputo di cosa discutere, se mai se ne fosse presentata l’occasione.

Quando entrò in mensa, tuttavia, rimase sorpreso nello scoprire di non essere solo.

Una ragazza armeggiava intorno al fornelletto da campo, scaldando l’acqua per un tea o forse una tisana. I lisci capelli neri, adornati da alcune piume, e il fisico snello gli permisero di identificarla all’istante. Era la figlia della Dea Maat, Skyler.

L’aveva osservata spesso, memorizzando ogni dettaglio, perché quella ragazza lo incuriosiva come nessun’altra lì al Campo. Non parlava molto, ma quando lo faceva diceva cose intelligenti e brillanti, e l’aveva sentita fare anche qualche battuta in compagnia dei suoi amici quindi non era una di quelle menti geniali che passavano il tempo nella noia totale. E non poteva neanche negare che fosse molto carina. Insomma, era vero che di solito non perdeva molto tempo dietro alle ragazze, ma gli occhi ce li aveva e, a suo giudizio, quando arrossiva lo diventava ancora di più.

Le si avvicinò, attirando la sua attenzione, e la vide trasalire.

- Scusa, non volevo spaventarti. –

Si chiese distrattamente se gli occhi fossero ancora iniettati di sangue. In quel caso sì che avrebbe avuto ragione di essere allarmata. Probabilmente no, però, perché la possessione era avvenuta ore prima e gli effetti di solito sparivano in un paio d’ore.

- Non mi hai spaventata. – mentì rapidamente. Poi aggiunse, lievemente imbarazzata, - I tuoi occhi … è normale che siano così rossi? –

Perfetto. Incontrava l’unica semidea che riteneva interessante e i suoi occhi decidevano di scegliere proprio quella mattina per fare le bizze e non tornare del loro solito colore. Davvero splendido.

- Capita sempre dopo una possessione. Speravo fossero tornati normali, perché so quanto sono inquietanti. – borbottò.

Skyler scosse la testa, probabilmente decisa a non farlo sentire a disagio.

- Non sono inquietanti, direi piuttosto particolari. –

- Non devi essere per forza gentile, Skyler, ho imparato a non offendermi per le reazioni altrui. –

La ragazza si mordicchiò un labbro, indecisa su come affrontare la questione. Non le erano mai piaciute le prese in giro a danno degli altri e dal tono di Lars sembrava che soffrisse della sua condizione già da parecchio. Erano ferite antiche, difficili da rimarginare.

- Che altri effetti collaterali da il tuo Dono? –

Aveva calcato leggermente sull’ultima parola perché voleva che capisse che non lo considerava uno mostro o chissà cosa.

- Un mal di testa epocale. Insomma, più rogne che altro. –

Tolse l’acqua dal pentolino, mettendovi in infusione una manciata di foglie di alloro e balsamina. Suo padre l’aveva praticamente costretta a imparare a memoria i nomi di tutti i tipi di piante e gli usi che se ne potevano fare. Doveva ammettere che si era rivelata una cosa utile perché non aveva più avuto bisogno di alcuna medicina per curarsi, preferendo rimedi naturali.

- Prova questo. È una tisana di alloro, ottimo per combattere le emicranie, e di balsamina, che aiuta a rilassarsi e a riacquistare il controllo e l’equilibrio interiore. – disse, porgendogli la tazza bollente.

Lars lo annusò con circospezione. – Ha un buon odore. – Ne prese un piccolo sorso, assaporandolo lentamente. – E anche il sapore non è niente male. –

- Qualcuno potrebbe darti del cannibale per quello che stai facendo. – osservò, divertita, Skyler.

Il ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.

- Lars in svedese significa “alloro” o “colui che porta la corona di alloro”. – spiegò.

Scoppiò a ridere. – Non lo sapevo, ma se le cose stanno così hai ragione. –

Continuarono a scherzare e chiacchierare per un po’, finchè entrambi non ebbero finito le loro bevande, poi l’ Ur Mau abbandonò la sedia che aveva occupato.

- Ho un po’ di cose da fare, devo andare. –

Il sorriso si cancellò immediatamente dal volto di Skyler.

- Capisco … Non fa niente, non voglio farti perdere tempo. –

Lars scosse la testa. Era in momenti come quelli che detestava la sua incapacità di relazionarsi con le persone. Provò a spiegarsi meglio perché non voleva correre il rischio che fraintendesse.

- Mi piacerebbe davvero restare qui con te, ma ho promesso a Manto che l’avrei aiutata a sistemare le cose prima dell’arrivo di Chirone e Lupa. Magari … magari possiamo rivederci nel tardo pomeriggio. Sempre che tu ne abbia voglia, è ovvio. –

Era una richiesta di appuntamento quella?

Skyler sentì le guance avvamparle. Non aveva mai prestato più di tanta attenzione ai ragazzi, ma non c’era niente di male nel frequentare un tipo simpatico con cui si trovava bene a parlare, no?

- Sì, mi piacerebbe. Ci troviamo qui davanti verso le cinque? –

Sembrava un buon orario, abbastanza vicino all’ora di cena per non far durare l’incontro troppo a lungo se le cose avessero cominciato a farsi troppo imbarazzanti.

- È perfetto. Ora devo davvero andare, però. A più tardi. –

Lars le rivolse un bel sorriso, il primo che gli vedeva fare da quando l’aveva visto per la prima volta, per poi dirigersi verso l’uscita.

Sospirò, giocherellando distrattamente con la piuma di struzzo che aveva assicurato al ciuffo sulla fronte.

Poteva ripetersi quanto voleva che quella del pomeriggio sarebbe stata una semplice chiacchierata tra amici, ma a lei suonava troppo come un appuntamento.

Al solo pensare quella parola sentì un sorriso dipingersi rapidamente sul suo viso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Ria non riusciva davvero a capire perché, tra le decine di persone che risiedevano nel Campo, quel tornado dai capelli rossi dovesse infastidire proprio lei.

Non era neanche un combattente, quindi per quale accidenti di motivo si aggirava per l’Arena?

- Non hai proprio nient’altro da fare? Che so, tipo schiantarti con il tuo elicottero? – chiese, dopo che ebbe interrotto il suo allenamento per la quinta volta.

- Oh, andiamo, mi sto annoiando. Non fai che menare fendenti con quella specie di zappa. –

- Questo è un khopesh, non una zappa. – esclamò, indignata, lanciandogli contro l’arma.

Zephyr si scansò appena in tempo, fissando in cagnesco l’arma che era caduta a pochi centimetri da lui.

- Ehy, il khope – coso mi ha quasi centrato. Avresti potuto uccidermi. –

Inarcò un sopracciglio, fingendosi stupita, - No, davvero? –

- Lasciatelo dire, Torres, tu mi spaventi. – decretò, puntandole un dito contro in modo melodrammatico.

- E questa paura non ti invoglia a, che so, lasciarmi in pace e girare il più a largo possibile? –

Scosse la testa, sorridendo malandrino. – Per niente, anzi tutto il contrario. –

Sospirò, sconsolata.

Che quell’elfo rosso avesse un desiderio di morte era chiaro come il Sole dal momento che passava il suo tempo libero volteggiando in aria su quell’accrocco, ma era abbastanza certa che in quel caso si trattasse più di un piano omicida sapientemente strutturato per spingerla al suicidio.

- Te l’ho mai detto che credo di odiarti? –

- Lo escludo categoricamente. Cioè, guardami: sono troppo bello per essere odiato da qualcuno. –

Fece come aveva detto, scrutandolo dall’alto in basso.

Poco più di un metro e settanta, capelli rossi e occhi azzurri, una leggerissima spruzzata di lentiggini chiarissime sul naso e gli zigomi, sorriso furbo e orecchie leggermente a punta.

- L’unica cosa che riesco a vedere è un elfo di Babbo Natale scappato dalla Lapponia. –

- Groenlandia. –

- Eh? –

- Le renne sono quelle della  Lapponia, Babbo Natale è in Groenlandia. – spiegò.

Ria agitò una mano per aria, come a dire che la cosa non aveva alcuna importanza, e recuperò il khopesh, spazzolando via la sabbia e riprendendo a provare finte e mimare fendenti contro l’aria.

Era a metà di una sequenza di attacco piuttosto rapida quando Zephyr l’interruppe di nuovo.

- Ne hai ancora per molto? –

- Mi sto allenando, sarebbe più facile se non m’interrompessi ogni due minuti, e di sicuro finirei prima. – ringhiò per tutta risposta.

- Nooooiaaaaaa. Perché non lasci perdere la zappa … -, si corresse non appena vide l’occhiata omicida che gli rivolse, - Cioè, il khope – coso e andiamo a fare qualcos’altro? –

- Perché c’è una profezia in ballo e una futura impresa da assegnare e devo essere pronta, ecco perché. –

- Quindi credi davvero di poter uccidere qualcuno a colpi di zappa? – domandò, osservando l’arma con aria scettica.

Okay, adesso era davvero giunta al limite di sopportazione giornaliero.

Dall’occhiata che gli rivolse, Zephyr capì che avrebbe fatto meglio a iniziare a correre … a correre molto velocemente. Sfrecciò via, inseguito da Ria che sventolava minacciosamente il khopesh.

- Vieni qui e proviamo a vedere se riesco a uccidere qualcuno. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Hellen aveva passato tutta la mattinata nella Biblioteca del Campo, in compagnia di Eric e di Hannah, che si era offerta di aiutarla nella ricerca.

Da quando aveva avuto quella mezza intuizione circa la profezia e ne aveva parlato con il figlio di Horus, il ragazzo si era immediatamente acceso di un entusiasmo quasi inquietante e aveva iniziato a ripetere che aveva ragione lui e che sarebbe riuscito a convincere Peter anche a costo di ficcargli a forza le sue idee dentro la testa.

All’osservazione sul fatto che prima avrebbero dovuto provarglielo, aveva perso un po’ del suo entusiasmo ed era tornato a buttarsi a capofitto su alcuni enormi e polverosi volumi incredibilmente antichi.

- Credo di aver trovato qualcosa. – annunciò Hannah, picchiettando un dito su un paragrafo del libro di astronomia che stava sfogliando.

Si trattava della costellazione di Orione e riportava una scala di luminosità di tutte le stelle che vi appartenevano, ordinandole gerarchicamente dalla prima all’ultima.

- Saiph. È un nome arabo, ma non ho la minima idea di cosa significhi. – lesse, scorrendo il dito lungo la tabella e soffermandosi sulla sesta stella, quella che serviva loro.

- Significa “spada del gigante” o anche “spada di Orione”. Però non riesco a vedere il nesso con la profezia. – ammise Eric, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli.

Tutte quelle ore chiuse a leggere centinaia e centinaia di pagine cominciavano a farsi sentire anche per lui che era abituato a quelle ricerche interminabili.

- Magari non c’è un nesso. –

Hellen scosse la testa. Non ne sapeva granchè di quelle cose, ma non credeva che la stella sarebbe stata nominata se non fosse servita a qualcosa.

- Deve esserci qualcosa che li collega. Cosa sapete di Orione? –

Eric tornò a indossare i panni del perfetto intellettuale, recitando con voce monocorde: - Nella mitologia romana era un gigante generato da Giove, Mercurio e Nettuno, dotato di una bellezza incredibile. Venne preso come compagno di caccia dalla Dea Diana la quale, seppur votata alla castità, finì per invaghirsene. Il gigante la respinse e la Dea, furibonda, lo accecò colpendolo con una delle sue frecce. –

- Praticamente non ci dice nulla se non che è pericoloso far arrabbiare gli Dei. – concluse Hannah, sconsolata.

- Orione aveva una spada o la stella si chiama così solo per caso? –

Gli occhi blu del ragazzo s’illuminarono.

- Ma certo, come ho fatto a non pensarci io? –

Hellen si trattenne dal mandarlo al diavolo per quella sottile insinuazione sul suo essere più intelligente di lei solo perché in quel momento aveva bisogno di risposte e non di discussioni.

- La spada di Orione è un’arma che gli venne consegnata dagli Dei affinchè la tenesse lontana da mani estranee; la sua lama venne forgiata in modo particolare e aveva il potere di privare gli Dei dell’immortalità e, di conseguenza, di ucciderli. –

Hannah emise un lieve fischio.

- Fino a qui ci siamo arrivati, ma per quanto riguarda la prima parte della profezia? –

Pensare di aver trascorso intere ore solo per decifrarne la metà era oltremodo frustrante.

- Abbiamo solo la mia idea circa il fatto che si debba partire dal segno della Vergine, che è il sesto dello zodiaco, ma manca un collegamento logico. – sbuffò Hellen, appoggiando la fronte contro il legno del tavolo, sconsolata.

Eric chiuse il tomo che stava sfogliando con violenza, facendole sobbalzare.

- Sono stufo di stare qui dentro, mi si sta fondendo il cervello. Peter può arrivarci da solo, visto che gli abbiamo risolto metà profezia. Portiamogli quello che abbiamo scoperto e facciamola finita. – decretò.

Mai in tutta la sua vita Hellen era stata più d’accordo su qualcosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Eccoci con il nuovo aggiornamento. Avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma sono riuscita a finire il capitolo solo alle tre di notte (chiedo scusa per eventuali errori, colpa del sonno e della stanchezza) quindi ho preferito aspettare qualche ora invece di pubblicarlo in piena notte. Ho trattato nove OC in questo capitolo e tratterò gli altri nel prossimo perché tutti insieme non è assolutamente fattibile (o meglio, si può fare ma escono minimo ventidue pagine Word … quindi, no grazie U.u). Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi lascio al prossimo  che sicuramente verrà pubblicato domani in giornata/serata. Come sempre vi chiedo di farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

  
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