Cap
4
Rilassarsi
… Jack la faceva facile.
Essere
l’Ulfric del Campo era stressante, doveva riconoscerlo,
specialmente quando
tutti si aspettavano che fosse lui a trovare una soluzione a ogni
dannato
problema.
Lui
era il figlio di Ra, l’Ulfric, quello che era al Campo da
più tempo di tutti,
il grande Eroe. D’accordo, potevano anche andargli bene tutti
quegli
appellativi, ma non era un fottuto Oracolo né un sacerdote
o, gli Dei non
volessero, un Profeta. Lui non voleva averci proprio niente a che fare
con
quelle fottute profezie e a chi chiedevano di decifrarle? A lui.
Certo,
non faceva una grinza come ragionamento.
Sbuffò,
dirigendosi verso le scuderie. Una cavalcata gli avrebbe fatto bene,
poco ma
sicuro, soprattutto perché da quelle parti non si aggirava
nessuno; i membri
del Campo erano tutti troppo impegnati a discutere
dell’arrivo delle
delegazioni dei due Campi e del misterioso significato delle parole di
Lars.
Alzò
lo sguardo verso il Sole, provando a inviare una muta richiesta di
aiuto a suo
padre. Silenzio, come sempre del resto.
-
Bè, grazie tante, pà. –
borbottò.
Figlio
di Ra un accidenti, di questo passo avrebbe fatto meglio a farsi
chiamare
“orfano di Ra”.
Raggiunse
la scuderia in cui si trovava il suo cavallo. Era un sauro bruciato
piuttosto
imponente, una cavalcatura da battaglia, che niente aveva a che vedere
con gli
esili e agili purosangue arabi che utilizzavano gli egizi di un tempo.
Bè, del
resto lui non doveva mica combattere tra le dune del deserto come
facevano loro.
S’infilò
nel box, dandogli una grattatina tra le orecchie, e prese a strigliarlo
lentamente. Solo lo stare a contatto con lui funzionava da palliativo;
era
sempre stato così da che aveva memoria, gli animali lo
aiutavano a rilassarsi.
Scherzando, sua madre diceva sempre che andava molto più
d’accordo con loro che
con gli esseri umani. Non aveva tutti i torti; in fin dei conti gli
animali non
potevano tormentarlo con frasi stupide come facevano il resto dei
semidei che
lo circondavano ogni santo giorno.
Un
rumore di passi lo distrasse dal suo lavoro metodico e rilassante.
Harrogate,
il suo stallone, nitrì piano. Lo calmò con un
paio di pacche sul collo e
l’animale riprese a mangiare la biada con cui aveva riempito
la sua mangiatoia.
Lasciò
scorrere la porta del box, chiudendola con il catenaccio, e si sporse
per avere
una visuale di chi aveva osato disturbare il suo momento di pace.
Nives
stava percorrendo il corridoio in ciottolato che separava i due lati
delle
scuderie e si dirigeva verso il centro del Campo, in direzione
dell’Arena.
Probabilmente
tra tutti i semidei che aveva conosciuto nel corso della sua vita lei
era
l’unica che gli andasse a genio, se si escludeva Jack che
avrebbe potuto
definire come il suo unico amico. Non parlava mai troppo né
a sproposito, se ne
stava sulle sue e non era una di quelle ragazzine appiccicose con cui
troppe
volte aveva suo malgrado dovuto fare i conti. E poi combatteva da Dio.
Doveva
riconoscerlo, non aveva mai visto fare cose come quelle che lei era in
grado di
fare con un machete.
Non
sapeva neanche lui perché, ma si ritrovò a
chiamarla e incamminarsi verso di
lei per raggiungerla.
-
Ehy, Nives. –
Gli
occhi verdi incontrarono i suoi e la ragazza corrugò un
sopracciglio, ironica.
-
Peter. Quindi era qui che ti nascondevi? –
-
Non mi stavo nascondendo. –
Le
labbra si stirarono in un piccolo ghigno divertito. – Ah, no?
–
Ecco
fatto, l’aveva beccato.
Sospirò,
passandosi una mano tra i capelli e cercando di rimetterli in ordine.
Doveva
avere un’aria stravolta, ne era certo.
-
Okay, magari stavo cercando un po’ di relax, ma non mi stavo
nascondendo. Non
sono un codardo. – replicò seccamente.
-
Eppure scappi dai tuoi doveri come se lo fossi. Credevo fossi un duro,
uno di
quei ragazzi che sanno sempre cosa vogliono e non si fanno problemi a
prenderselo. Mi sarebbe piaciuto un ragazzo così
… ma magari mi sbagliavo. –
Lo
stava manipolando, era chiaro come la luce del Sole, ma le sue parole
andavano
tutte a segno.
Maledizione
a lei e al suo modo di fare.
-
Sai, credevo che mi piacessi Nives, ma adesso sto cominciando a pensare
che
forse sei un po’ troppo simile a me. –
borbottò, prima di aggiungere. – Forza,
a quanto pare c’è una profezia che aspetta solo me
per essere decifrata. –
La
figlia di Ullr gli rivolse un sorrisetto furbo e allo stesso tempo
soddisfatto.
L’aveva incastrato e riportato all’ordine e ne
sembrava fin troppo compiaciuta
per i suoi gusti.
*
La
Profezia l’aveva stancato più di quanto gli
facesse piacere ammettere. Avrebbe
dovuto esserci abituato dopo tutti quegli anni, ma ogni volta che
veniva
posseduto sentiva le forze che lo lasciavano, gli occhi gli si
iniettavano di
sangue e gli veniva quel dannatissimo mal di testa.
Era
per quel motivo che aveva deciso di mischiarsi ai semidei, malgrado di
solito
preferisse rimanere nella sua stanza e limitare i contatti a occasioni
sporadiche, e si era spinto fino alla mensa. L’ora di
colazione era passata da
un pezzo e quella di pranzo non era ancora giunta quindi le
probabilità di
trovare qualcuno lì intorno erano infinitesimali.
Non
che i semidei del Campo ricercassero la sua compagnia. Sapeva
perfettamente che
molti di loro lo trovavano inquietante e non se la sentiva neanche di
biasimarli.
L’unico
che si degnava di scambiare quattro chiacchiere con lui, nelle rare
occasioni
in cui si incontravano nella sezione di magia rituale della biblioteca
del
Campo, era Austin. Come figlio di Seth aveva una certa
familiarità con rituali
e incantesimi e, per di più, era l’unico che non
lo trattasse come se fosse un
mostro o un curioso scherzo della natura. Probabilmente era
perché lui stesso
si considerava così, ma quella era solo una sua
supposizione. Comunque non
avevano parlato mai di chissà cosa né per
chissà quanto tempo.
Non
che a lui dispiacesse, che sia chiaro. Trovava la compagnia dei suoi
coetanei
piuttosto molesta perché la maggior parte di loro si
comportava in modo
talmente immaturo che non avrebbe semplicemente saputo di cosa
discutere, se
mai se ne fosse presentata l’occasione.
Quando
entrò in mensa, tuttavia, rimase sorpreso nello scoprire di
non essere solo.
Una
ragazza armeggiava intorno al fornelletto da campo, scaldando
l’acqua per un
tea o forse una tisana. I lisci capelli neri, adornati da alcune piume,
e il
fisico snello gli permisero di identificarla all’istante. Era
la figlia della
Dea Maat, Skyler.
L’aveva
osservata spesso, memorizzando ogni dettaglio, perché quella
ragazza lo
incuriosiva come nessun’altra lì al Campo. Non
parlava molto, ma quando lo
faceva diceva cose intelligenti e brillanti, e l’aveva
sentita fare anche
qualche battuta in compagnia dei suoi amici quindi non era una di
quelle menti
geniali che passavano il tempo nella noia totale. E non poteva neanche
negare
che fosse molto carina. Insomma, era vero che di solito non perdeva
molto tempo
dietro alle ragazze, ma gli occhi ce li aveva e, a suo giudizio, quando
arrossiva lo diventava ancora di più.
Le
si avvicinò, attirando la sua attenzione, e la vide
trasalire.
-
Scusa, non volevo spaventarti. –
Si
chiese distrattamente se gli occhi fossero ancora iniettati di sangue.
In quel
caso sì che avrebbe avuto ragione di essere allarmata.
Probabilmente no, però,
perché la possessione era avvenuta ore prima e gli effetti
di solito sparivano
in un paio d’ore.
-
Non mi hai spaventata. – mentì rapidamente. Poi
aggiunse, lievemente
imbarazzata, - I tuoi occhi … è normale che siano
così rossi? –
Perfetto.
Incontrava l’unica semidea che riteneva interessante e i suoi
occhi decidevano
di scegliere proprio quella mattina per fare le bizze e non tornare del
loro
solito colore. Davvero splendido.
-
Capita sempre dopo una possessione. Speravo fossero tornati normali,
perché so
quanto sono inquietanti. – borbottò.
Skyler
scosse la testa, probabilmente decisa a non farlo sentire a disagio.
-
Non sono inquietanti, direi piuttosto particolari. –
-
Non devi essere per forza gentile, Skyler, ho imparato a non offendermi
per le
reazioni altrui. –
La
ragazza si mordicchiò un labbro, indecisa su come affrontare
la questione. Non
le erano mai piaciute le prese in giro a danno degli altri e dal tono
di Lars
sembrava che soffrisse della sua condizione già da
parecchio. Erano ferite
antiche, difficili da rimarginare.
-
Che altri effetti collaterali da il tuo Dono? –
Aveva
calcato leggermente sull’ultima parola perché
voleva che capisse che non lo
considerava uno mostro o chissà cosa.
-
Un mal di testa epocale. Insomma, più rogne che altro.
–
Tolse
l’acqua dal pentolino, mettendovi in infusione una manciata
di foglie di alloro
e balsamina. Suo padre l’aveva praticamente costretta a
imparare a memoria i
nomi di tutti i tipi di piante e gli usi che se ne potevano fare.
Doveva
ammettere che si era rivelata una cosa utile perché non
aveva più avuto bisogno
di alcuna medicina per curarsi, preferendo rimedi naturali.
-
Prova questo. È una tisana di alloro, ottimo per combattere
le emicranie, e di
balsamina, che aiuta a rilassarsi e a riacquistare il controllo e
l’equilibrio
interiore. – disse, porgendogli la tazza bollente.
Lars
lo annusò con circospezione. – Ha un buon odore.
– Ne prese un piccolo sorso,
assaporandolo lentamente. – E anche il sapore non
è niente male. –
-
Qualcuno potrebbe darti del cannibale per quello che stai facendo.
– osservò,
divertita, Skyler.
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.
-
Lars in svedese significa “alloro” o
“colui che porta la corona di alloro”. –
spiegò.
Scoppiò
a ridere. – Non lo sapevo, ma se le cose stanno
così hai ragione. –
Continuarono
a scherzare e chiacchierare per un po’, finchè
entrambi non ebbero finito le
loro bevande, poi l’ Ur Mau abbandonò la sedia che
aveva occupato.
-
Ho un po’ di cose da fare, devo andare. –
Il
sorriso si cancellò immediatamente dal volto di Skyler.
-
Capisco … Non fa niente, non voglio farti perdere tempo.
–
Lars
scosse la testa. Era in momenti come quelli che detestava la sua
incapacità di
relazionarsi con le persone. Provò a spiegarsi meglio
perché non voleva correre
il rischio che fraintendesse.
-
Mi piacerebbe davvero restare qui con te, ma ho promesso a Manto che
l’avrei
aiutata a sistemare le cose prima dell’arrivo di Chirone e
Lupa. Magari …
magari possiamo rivederci nel tardo pomeriggio. Sempre che tu ne abbia
voglia,
è ovvio. –
Era
una richiesta di appuntamento quella?
Skyler
sentì le guance avvamparle. Non aveva mai prestato
più di tanta attenzione ai
ragazzi, ma non c’era niente di male nel frequentare un tipo
simpatico con cui
si trovava bene a parlare, no?
-
Sì, mi piacerebbe. Ci troviamo qui davanti verso le cinque?
–
Sembrava
un buon orario, abbastanza vicino all’ora di cena per non far
durare l’incontro
troppo a lungo se le cose avessero cominciato a farsi troppo
imbarazzanti.
-
È perfetto. Ora devo davvero andare, però. A
più tardi. –
Lars
le rivolse un bel sorriso, il primo che gli vedeva fare da quando
l’aveva visto
per la prima volta, per poi dirigersi verso l’uscita.
Sospirò,
giocherellando distrattamente con la piuma di struzzo che aveva
assicurato al
ciuffo sulla fronte.
Poteva
ripetersi quanto voleva che quella del pomeriggio sarebbe stata una
semplice
chiacchierata tra amici, ma a lei suonava troppo come un appuntamento.
Al
solo pensare quella parola sentì un sorriso dipingersi
rapidamente sul suo
viso.
*
Ria
non riusciva davvero a capire perché, tra le decine di
persone che risiedevano
nel Campo, quel tornado dai capelli rossi dovesse infastidire proprio
lei.
Non
era neanche un combattente, quindi per quale accidenti di motivo si
aggirava
per l’Arena?
-
Non hai proprio nient’altro da fare? Che so, tipo schiantarti
con il tuo
elicottero? – chiese, dopo che ebbe interrotto il suo
allenamento per la quinta
volta.
-
Oh, andiamo, mi sto annoiando. Non fai che menare fendenti con quella
specie di
zappa. –
-
Questo è un khopesh, non una zappa. –
esclamò, indignata, lanciandogli contro
l’arma.
Zephyr
si scansò appena in tempo, fissando in cagnesco
l’arma che era caduta a pochi
centimetri da lui.
-
Ehy, il khope – coso mi ha quasi centrato. Avresti potuto
uccidermi. –
Inarcò
un sopracciglio, fingendosi stupita, - No, davvero? –
-
Lasciatelo dire, Torres, tu mi spaventi. –
decretò, puntandole un dito contro
in modo melodrammatico.
-
E questa paura non ti invoglia a, che so, lasciarmi in pace e girare il
più a
largo possibile? –
Scosse
la testa, sorridendo malandrino. – Per niente, anzi tutto il
contrario. –
Sospirò,
sconsolata.
Che
quell’elfo rosso avesse un desiderio di morte era chiaro come
il Sole dal
momento che passava il suo tempo libero volteggiando in aria su
quell’accrocco,
ma era abbastanza certa che in quel caso si trattasse più di
un piano omicida
sapientemente strutturato per spingerla al suicidio.
-
Te l’ho mai detto che credo di odiarti? –
-
Lo escludo categoricamente. Cioè, guardami: sono troppo
bello per essere odiato
da qualcuno. –
Fece
come aveva detto, scrutandolo dall’alto in basso.
Poco
più di un metro e settanta, capelli rossi e occhi azzurri,
una leggerissima
spruzzata di lentiggini chiarissime sul naso e gli zigomi, sorriso
furbo e
orecchie leggermente a punta.
-
L’unica cosa che riesco a vedere è un elfo di
Babbo Natale scappato dalla
Lapponia. –
-
Groenlandia. –
-
Eh? –
-
Le renne sono quelle della Lapponia,
Babbo Natale è in Groenlandia. – spiegò.
Ria
agitò una mano per aria, come a dire che la cosa non aveva
alcuna importanza, e
recuperò il khopesh, spazzolando via la sabbia e riprendendo
a provare finte e
mimare fendenti contro l’aria.
Era
a metà di una sequenza di attacco piuttosto rapida quando
Zephyr l’interruppe
di nuovo.
-
Ne hai ancora per molto? –
-
Mi sto allenando, sarebbe più facile se non
m’interrompessi ogni due minuti, e
di sicuro finirei prima. – ringhiò per tutta
risposta.
-
Nooooiaaaaaa. Perché non lasci perdere la zappa …
-, si corresse non appena
vide l’occhiata omicida che gli rivolse, - Cioè,
il khope – coso e andiamo a
fare qualcos’altro? –
-
Perché c’è una profezia in ballo e una
futura impresa da assegnare e devo
essere pronta, ecco perché. –
-
Quindi credi davvero di poter uccidere qualcuno a colpi di zappa?
– domandò,
osservando l’arma con aria scettica.
Okay,
adesso era davvero giunta al limite di sopportazione giornaliero.
Dall’occhiata
che gli rivolse, Zephyr capì che avrebbe fatto meglio a
iniziare a correre … a
correre molto velocemente. Sfrecciò
via, inseguito da Ria che sventolava
minacciosamente il khopesh.
-
Vieni qui e proviamo a vedere se riesco a uccidere qualcuno. –
*
Hellen
aveva passato tutta la mattinata nella Biblioteca del Campo, in
compagnia di
Eric e di Hannah, che si era offerta di aiutarla nella ricerca.
Da
quando aveva avuto quella mezza intuizione circa la profezia e ne aveva
parlato
con il figlio di Horus, il ragazzo si era immediatamente acceso di un
entusiasmo quasi inquietante e aveva iniziato a ripetere che aveva
ragione lui
e che sarebbe riuscito a convincere Peter anche a costo di ficcargli a
forza le
sue idee dentro la testa.
All’osservazione
sul fatto che prima avrebbero dovuto provarglielo,
aveva perso un po’
del suo entusiasmo ed era tornato a buttarsi a capofitto su alcuni
enormi e
polverosi volumi incredibilmente antichi.
-
Credo di aver trovato qualcosa. – annunciò Hannah,
picchiettando un dito su un
paragrafo del libro di astronomia che stava sfogliando.
Si
trattava della costellazione di Orione e riportava una scala di
luminosità di
tutte le stelle che vi appartenevano, ordinandole gerarchicamente dalla
prima
all’ultima.
-
Saiph. È un nome arabo, ma non ho la minima idea di cosa
significhi. – lesse,
scorrendo il dito lungo la tabella e soffermandosi sulla sesta stella,
quella
che serviva loro.
-
Significa “spada del gigante” o anche
“spada di Orione”. Però non riesco a
vedere il nesso con la profezia. – ammise Eric,
massaggiandosi le tempie con i
polpastrelli.
Tutte
quelle ore chiuse a leggere centinaia e centinaia di pagine
cominciavano a
farsi sentire anche per lui che era abituato a quelle ricerche
interminabili.
-
Magari non c’è un nesso. –
Hellen
scosse la testa. Non ne sapeva granchè di quelle cose, ma
non credeva che la
stella sarebbe stata nominata se non fosse servita a qualcosa.
-
Deve esserci qualcosa che li collega. Cosa sapete di Orione? –
Eric
tornò a indossare i panni del perfetto intellettuale,
recitando con voce
monocorde: - Nella mitologia romana era un gigante generato da Giove,
Mercurio
e Nettuno, dotato di una bellezza incredibile. Venne preso come
compagno di
caccia dalla Dea Diana la quale, seppur votata alla castità,
finì per
invaghirsene. Il gigante la respinse e la Dea, furibonda, lo
accecò colpendolo
con una delle sue frecce. –
-
Praticamente non ci dice nulla se non che è pericoloso far
arrabbiare gli Dei.
– concluse Hannah, sconsolata.
-
Orione aveva una spada o la stella si chiama così solo per
caso? –
Gli
occhi blu del ragazzo s’illuminarono.
-
Ma certo, come ho fatto a non pensarci io?
–
Hellen
si trattenne dal mandarlo al diavolo per quella sottile insinuazione
sul suo
essere più intelligente di lei solo perché in
quel momento aveva bisogno di
risposte e non di discussioni.
-
La spada di Orione è un’arma che gli venne
consegnata dagli Dei affinchè la
tenesse lontana da mani estranee; la sua lama venne forgiata in modo
particolare e aveva il potere di privare gli Dei
dell’immortalità e, di
conseguenza, di ucciderli. –
Hannah
emise un lieve fischio.
-
Fino a qui ci siamo arrivati, ma per quanto riguarda la prima parte
della
profezia? –
Pensare
di aver trascorso intere ore solo per decifrarne la metà era
oltremodo
frustrante.
-
Abbiamo solo la mia idea circa il fatto che si debba partire dal segno
della
Vergine, che è il sesto dello zodiaco, ma manca un
collegamento logico. –
sbuffò Hellen, appoggiando la fronte contro il legno del
tavolo, sconsolata.
Eric
chiuse il tomo che stava sfogliando con violenza, facendole sobbalzare.
-
Sono stufo di stare qui dentro, mi si sta fondendo il cervello. Peter
può
arrivarci da solo, visto che gli abbiamo risolto metà
profezia. Portiamogli
quello che abbiamo scoperto e facciamola finita. –
decretò.
Mai
in tutta la sua vita Hellen era stata più
d’accordo su qualcosa.
Spazio
autrice:
Eccoci
con il nuovo aggiornamento. Avrei dovuto pubblicarlo ieri, ma sono
riuscita a
finire il capitolo solo alle tre di notte (chiedo scusa per eventuali
errori,
colpa del sonno e della stanchezza) quindi ho preferito aspettare
qualche ora
invece di pubblicarlo in piena notte. Ho trattato nove OC in questo
capitolo e
tratterò gli altri nel prossimo perché tutti
insieme non è assolutamente
fattibile (o meglio, si può fare ma escono minimo ventidue
pagine Word …
quindi, no grazie U.u). Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi
lascio al
prossimo che
sicuramente verrà
pubblicato domani in giornata/serata. Come sempre vi chiedo di farmi
sapere che
ne pensate. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt