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Autore: moonwhisper    07/09/2008    3 recensioni
E poi era successo tutto molto in fretta.
Troppo in fretta.
Tanto in fretta che per pochi, terribili attimi, sembrava non fosse accaduto nulla.
E invece era accaduto tutto.
Era crollato il mondo, e nessuno le aveva dato il tempo di dire addio.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Swan Song

 

Ispirata a The Swan Song – Within Temptation

 

 

 

 

Winter has come for me, can't carry on.
The Chains to my life are strong but soon they'll be gone.
I'll spread my wings one more time.

 

 

Una folata di vento e un ciuffo di capelli le vola davanti al viso. Si posa sulla punta del naso delicato, scivola di nuovo via quando il vento cessa, e su di lei torna a sentire il calore tiepido del sole di un settembre troppo freddo. Dall’altra parte della strada può vedere il solito albero perdere le sue foglie, scarlatte, insanguinate. L’ultima cade lentamente, arresasi a quel sospiro di vento. Debole, molto debole quel sospiro di vento. E’ la foglia che si è abbandonata, che ha rinunciato. Ed è caduta, è annegata in una pozzanghera nera ai piedi dell’albero, si è bagnata, ed è sparita. Per sempre. Non tornerà indietro, non spunterà di nuovo su quell’albero. Al suo posto ne arriveranno altre, altre faranno la sua fine. Altre si rassegneranno.

Abbassa lo sguardo sulle ginocchia fasciate dai jeans sdruciti.

Anche quello fa male. Anche guardare uno stupido albero che appassisce.

Incrocia le braccia e stringe il torace, forte, come ha imparato a fare durante quell’estate. Quell’estate chiusa in una camera buia, senza voler vedere nessuno, senza voler mangiare… senza voler vivere.

Voler vivere.

E’ diventata una cosa troppo ardua da desiderare. Troppo difficile da raggiungere, come obiettivo, il voler vivere. Il desiderio della vita in lei non esiste più. Agogna una fine, una fine lenta e ovattata o violenta e inaspettata, ma che sia la fine. Di tutto. Dei pezzi di lei che sono rimasti senza scopo sulla terra. Perché che scopo ti rimane, quando tutto ciò per cui vivevi è scomparso? Cosa siamo senza scopo? Nulla. Involucri. Bozzoli abbandonati da farfalle già scomparse. E resti li. Senza sapere nemmeno più perché mangi, perché ti ostini a sopravvivere in quel modo bieco e patetico, perché non ti lasci cadere. Perché non ti arrendi anche tu, al prossimo sospiro del vento?

Respirare le diventa difficile. Un altro attacco di panico, e lui non c’è.

A cosa cazzo ti serve cercare di calmarti? Perché continui a voler stare meglio?

A nulla. Non serve a nulla. E’ lo spirito di sopravvivenza che ha la meglio su di lei. Il maledetto desiderio del suo cuore di continuare a battere, anche se la sua mente agogna, desidera, spasima di raggiungere la fine.

Con lui era più facile. Era tutto più semplicemente facile. Qualsiasi cosa. Con lui era facile tornare a respirare, sopportare i muri sempre più stretti di un mondo in decadenza, tornare a sognare, ma era anche facile sperare e saper volare, trasformarsi, diventare bellissima, diventare… felice. Lui era felicità. Era aria. E lo era inconsapevolmente, straordinariamente.

Solleva gli occhi sulla strada di fronte a lei. Venti minuti prima avrebbe dovuto attraversarla, quella strada. Ma davvero, non ci riesce. E’ più forte di lei. Non ci può riuscire. E pensare che sua madre si è offerta di accompagnarla a scuola quella mattina, il primo giorno di scuola del quinto anno. L’ultimo anno. Ma per quanto la riguarda potrebbe essere anche il primo. Di certo le cose non cambieranno.

Il primo giorno di scuola di un anno prima, quel giorno, l’aveva conosciuto. Era arrivato da non si sapeva dove, non si sapeva perché. Era strano, lontano in qualche modo. Diverso. Quello era il termine giusto. Diverso dalla massa, dalla mediocrità, dall’indifferenza. E lei ricordava dolorosamente tutto. La timidezza del primo saluto, la vergogna, nel ritrovarsi seduta accanto a lui, perché naturalmente nessun altro voleva sedersi vicino a lei. Anche lei era strana, anche lei era diversa, e “diverso” è male in questa società. “Diverso” è da evitare.

E poi era nato, così. Amore. Non ci aveva mai creduto particolarmente. Difficile pensare all’amore quando la circondavano coppie di adolescenti con la fissa del sesso e adulti che avevano perso da tempo la cognizione del desiderio di amarsi. Eppure non avrebbe saputo chiamarlo in altro modo, se non amore. Non esisteva un’altra parola che l’essere umano potesse comprendere.

Si morde il labbro ed appoggia la testa alle ginocchia, rannicchiandosi su se stessa, seduta sul bordo di un aiuola, appassita e rossa come le altre lungo quella strada di periferia.

Che cosa ci fa qui? Perché… perché.

Chiude gli occhi.

Ha visto tante volte le immagini dei suoi ricordi da credere di poter avvertire di nuovo persino gli odori. Nell'oscurità della sua camera, quando le lacrime erano finite, ed avrebbe potuto giurare che il suo cuore si fosse fermato per sempre, aveva ripercorso tutto. In modo quasi maniacale. Voleva rimanere ancorata a lui. Al suo ricordo. Alla sua immagine. Ai suoi occhi chiarissimi, ai suoi capelli sottili, serici. Al suo sorriso. Al modo in cui piegava le labbra quando la osservava. Alle sue dita. Non poteva dimenticare. In nessun modo. Non voleva dimenticare.

Era la fine della scuola. Un anno prima. Avevano atteso tanto quel momento, perché significava avere davanti innumerevoli giornate solo per loro, dedicate a loro. Giornate in cui il mondo cessava di esistere.

Eccolo. Il ricordo più brutto. Perché tenerli in vita tutti, aveva voluto dire cibare anche quello.

Come facevano gli altri a credere che potesse tornare quella di prima?

Utopia. Pura utopia. Non sarebbe mai tornata quella di prima, perché il suo “prima”, il suo “prima” perfetto, aveva cessato di… vivere. Esistere. Essere. Per sempre.

Lo aspettava dall’altra parte della strada, e tutto era curiosamente giallo. Il sole brillava, accarezzava i loro volti così come faceva quella mattina con lei. Faceva già caldo, un caldo che cominciava a sapere di secco e di estate. Un caldo che instillava una sensazione di benessere dentro di lei.

Lui le sorrideva. Guardandosi negli occhi stavano pensando a cosa avrebbero fatto quel primo giorno di vera vacanza.

E poi era successo tutto molto in fretta.

Troppo in fretta.

Tanto in fretta che per pochi, terribili attimi, sembrava non fosse accaduto nulla.

E invece era accaduto tutto.

Era crollato il mondo, e nessuno le aveva dato il tempo di dire addio.

Il rumore di una frenata, che le aveva trafitto la mente, penetrandole nelle orecchie.

Nemmeno un urlo.

Il rumore dell’impatto. Il rumore di un corpo che si spezza, che si sfalda come burro.

Aveva chiuso gli occhi.

E quando li aveva riaperti… c’era solo sangue.

Lui già non esisteva più.

Riprende a respirare. A fatica. Autonomamente. Quando le crisi di panico gli venivano in sua compagnia, in meno di un minuto stava bene. Bastava un abbraccio. Non servivano nemmeno più le medicine.

Adesso è molto peggio.

Tutto è peggio.

Si alza tremante, rimettendosi in piedi. Le mani abbandonate lungo i fianchi.

Il desiderio di raggiungerlo, ovunque sia, è più forte di qualunque altra cosa.

Ritorna sui suoi passi, tra le foglie danzanti che cadono al suolo. Di nuovo arrese.

Molto presto quel desiderio diventerà più forte dei battiti imperterriti del suo cuore, ed allora, solo allora, troverà la pace.

Attenderà quel momento ripensando a lui.

Ripensando a come era facile sognare.

Ripensando a come era facile vivere. E amare.

 

 

Winter has come for me, can't carry on.
The Chains to my life are strong but soon they'll be gone.
I'll spread my wings one more time.

Is it a dream?
All the ones I have loved calling out my name.
The sun warms my face.
All the days of my life, I see them passing me by.

In my heart I know I can let go.
In the end I will find some peace inside.
New wings are growing tonight.

As I am soaring I'm one with the wind.
I am longing to see you again, it's been so long.
We will be together again.

  
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