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Autore: Whity    28/07/2014    0 recensioni
Bill Kaulitz e Anis Ferchichi: due cantanti, due personaggi pubblici, due amanti che hanno smesso di nascondere la loro relazione anche ai rotocalchi.
Una coppia fortissima, bellissima, innamoratissima, issima.
Una sera, però, qualcosa non funziona.-
- Dai, Anis, sono appena tornato distrutto da Hamburg… non mi va… -.
A volte, in effetti, è solo questione di voglia.
Voglia di amare, essere amati, sorridere, gioire, godere. Ma anche vivere e lottare.
[Postata sul mio archivio dal 01.04.2010 al 08.06.2010]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Intermezzo Primo – parte prima
Zoom into me US
 
 


Non è così che passa in fretta 
Questa dolce malattia 
Mi butterei da quella stella 
Spenta di malinconia

[Notti senza cuore – Gianna Nannini]


 
 
Era iniziato tutto con un litigio.
Stupido come lo erano tutte le loro discussioni.
Di norma, però, queste si concludevano con una scopata o una cena fuori per farsi perdonare. Quella volta, il diverbio si era concluso con una porta sbattuta e due piatti rotti.
Bill kaulitz, il ventiseienne più famoso di Germania, aveva appena chiuso la porta con un calcio, mormorando a denti stretti un “Vaffanculo Anis” che sapeva in egual misura di dolore e di rancore. Con un sospiro l’uomo prese il proprio trolley e si incamminò verso l’ascensore del palazzo, combattendo contro la voglia di mollare tutto lì, mandare a puttane un importante incontro di lavoro a Leipzig e rientrare in casa. Baciarlo, saggiarne il sapore, fare la pace e – perché no? – fare l’amore.
Il blackberry iniziò a suonare, notificandogli l’ennesima telefonata di Tom, probabilmente già sotto casa sua ansioso di poterlo quantomeno accompagnare in stazione. 
Doveva andare.
Lanciò un ultimo sguardo alla porta dell’appartamento, prima di accogliere la chiamata e chiudere le porte dell’ascensore.
- Tomi – mormorò – Sto scendendo -.
Il gemello, prevedibilmente, ne aveva fiutato scazzo e tristezza.
- Niente – si affrettò a tentare di tranquillizzarlo il moro – Solo una discussione stupida… -.
Quella discussione stupida – in ogni caso – gli sarebbe costata molto altro. 
Due parole di troppo e la posta in gioco si era inesorabilmente alzata.
Solamente che lui non lo sapeva.


L’ascensore iniziò a scendere sino al pian terreno dell’elegante complesso residenziale in Charlottemburg che ospitava l’appartamento che lui e Anis avevano acquistato quattro anni prima, dopo un anno abbondantemente di “fidanzamento” – posto fosse plausibile porre la situazione in quei termini -.
La sua storia con il tunisino – storia che gli era costata cuore, cazzo e quasi un gemello – era iniziata nell’estate del 2010, dopo l’Humanoid City Tour che aveva impegnato la band tedesca in tutta europa. Una sera era uscito con Tom, Andi, Larissa e altri e le stelle del Tresor avevano benedetto una storia strana, surreale, scomoda. Si erano visti un paio di volte per una birra – lui e Bushido – prima di decidere implicitamente fosse il caso di mettere le cose in chiaro. 
Le carte in tavola, inaspettatamente, si erano rivelati la scala di cuori che li aveva condotti ad una relazione quasi stabile, un appartamento, un animale peloso – che Anis non faceva mistero di sopportare ben poco - e la voglia di costruire qualcosa insieme.
La prima volta l’aveva baciato Anis. Lui – a dirla tutta – era sufficientemente alticcio da non rendersi conto di quanto lucido fosse l’altro mentre sfiorava le sue labbra con le proprie, poco prima di sussurrargli direttamente nell’orecchio una bestemmia dal sapore incredibilmente dolce.
Ti voglio, ti desidero, mi piaci.
A quella bestemmia Bill si era aggrappato con l’ostinazione di chi crede ancora nell’amore, di chi – come amava dire Anis mentre lo osservava fumare appoggiato alla veranda – sogna anche mentre scopa. 
La prima volta era successo dopo una serata al Puro.
Anis – con il solito sorriso da Joker e da baro navigato – aveva proposto il bicchiere della staffa, che si era trasformato in una serata sudata, umidiccia, intrisa di quell’odore acido che solo il sesso sa avere. 
Bill – inaspettatamente – aveva reagito nel modo più stupido fosse possibile concepire: era sparito.
Tre giorni di assoluto silenzio.
All’alba del quarto giorno – ed era veramente il caso di parlare d’alba, visto che il campanello aveva trillato alle sei del mattino – il tunisino gli si era letteralmente presentato sotto casa.
Era sempre stato così tra loro due: Anis non gli concedeva fughe di comodo o scappatoie di sorta, voleva prendesse la vita di petto e – se non ce l’avesse fatta da solo – l’avrebbero fatto insieme.
Come sempre.
Quel mattino, in ogni caso, la prima cosa che Bushido fece fu mollargli una sberla sufficientemente forte da svegliarlo del tutto.
- Sentimi bene – gli aveva sibilato in faccia, con una ferocia che tanto diceva di un uomo che non sapeva mentire in nessun caso - Se cercavi la scopata, l’hai avuta. Abbi almeno le palle di ammetterlo, però -.
Tutto quello che Bill riuscì a fare fu - letteralmente - pigolare.
E la monolitica imperscrutabilità dell’uomo nero cadde in pezzi…
Finirono per rintanarsi in uno Starbucks sulla statale, prima di tornare nella barocca villa gialla di Anis per fare l’amore un’altra volta.
Quella decisiva, dopotutto.
In quel caso, Bill aveva deciso di rimanere.
Inserire Anis all’interno del proprio rapporto con il gemello fu il primo vero banco di prova della loro relazione, la prima barriera contro la quale si scontrarono.
La reazione di Tom, poi, non fu nemmeno la peggiore. Semplicemente perché Tom non aveva realizzato. Il suo gemello – a conti fatti – aveva iniziato a capire veramente cosa stesse succedendo nel momento in cui lo aveva visto impilare le proprie cose e metterle in valigia, e non era stata una bella scena. Era iniziato un assurdo gioco di recriminazioni che si era concluso solo il giorno di Natale dell’anno dopo, quando Simone li aveva invitati a pranzo e – dopo aver deciso la colpa fosse da imputare ad entrambi – si era esibita in una ramanzina come non ne aveva fatte nemmeno quando avrebbe avuto tutte le ragioni del caso.
Avevano fatto pace due giorni dopo, in un modo che era tutto loro e tanto diceva del loro legame. Bill si era infilato nel suo letto e gli si era stretto addosso – aveva abbracciato il gemello rinunciando ad una notte d’amore con Anis -, come quando si crogiolavano in una culla liquida e confortevole. Quell’uno – ed era questo che il moro tentava maldestramente di fargli capire – avrebbero continuato ad esserlo. In quel momento come allora.
Immer und für immer. [1]
Dopo Tom – evidentemente – era stata la volta della Mama, di Sercan, dell’Ersguterjunge. Una sfida continua, una messa in discussione perpetua che sembrava rafforzare una storia nata una notte di dicembre sotto stelle troppo luminose per essere reali.
La famiglia di Anis – perché per il tunisino era quella la famiglia, amici ingombranti compresi – non aveva accolto bene la loro relazione. Non l’aveva accolta bene per nulla. Sercan, poi, era quello che l’aveva presa peggio di tutti.
Voleva troppo bene al fratello – nei fatti – per pensare fosse qualcosa di diverso da un modello da emulare ad ogni costo.
Nemmeno le parole della Mama erano riuscite a trasformare quell’affetto enorme in qualcosa di diverso da un rifiuto, da una mano aperta davanti ad un paio d’occhi che si rifiutavano di vedere. 
Di andare oltre.
Di percepire l’amore prima di tutto il resto.
Volendo essere onesti, Sercan aveva ripreso a parlare al fratello da un annetto scarso, e solo dopo l’intervento – disperato ed esasperato – di Bill. 
Dopotutto, anche quello era amore: sacrificare un poco dello spazio dedicato a se stesso per recuperare un rapporto troppo importante per essere gettato al vento come se - davvero – non valesse nulla. 
Ce l’aveva fatta, il piccolo Billi, era riuscito a dare all’uomo che amava quel pezzo di cuore che aveva perso per strada.
Era grazie all’amore infinito del suo uomo che Bushido aveva riconquistato l’amore del proprio fratello, il rispetto dell’uomo che aveva cresciuto quasi come un figlio.

L’ascensore era arrivato al pian terreno, le porte si erano aperte.
Con la mano stretta alla maniglia del trolley Bill si diresse verso il portone, sperando un paio di occhiali da sole bastassero a nascondere scazzo e delusione. 
Peccato nemmeno Miuccia Prada fosse sufficientemente attrezzata per fregare l’empatia gemellare…
- Non dirmelo – il tono di Tom era così fastidiosamente esasperato da fargli desiderare di poter mandare affanculo pure lui – Di nuovo quella storia! -.
Quella storia era il loro quinto anniversario, che sarebbe ricorso di lì a un paio di mesi. 
Quella storia era – innanzitutto – la pretesa di Bill di festeggiare come una coppia normale, con una vacanza alle Maldive o alle Barbados. Pretesa che si scontrava, però, con gli impegni lavorativi di Anis, con l’incisione di un nuovo album che li avrebbe già tenuti separati a sufficienza fa far sperare Bill sino all’ultimo. 
Speranze inutili, klar.
Così, come nel migliore dei loro collaudatissimi copioni, avevano finito per litigare già dalla colazione, finendo per urlarsi contro recriminazioni inutili e accuse insensate.
E spaccare un paio di stoviglie, klar.
Con un gesto nervoso Bill gli porse il trolley.
- Andiamo, è meglio – sbuffò – sono già in ritardo. -.

La strada era ancora lunga, salite comprese.



[1]: trad: Sempre e per sempre.

 
ATTO PRIMO – Parte Seconda
Long road to Heaven
 

And life was nothing 
But an awful song

(I believe I can fly – Ryan Kelly)


Il treno per Leipzig era in ritardo di dieci minuti, un’inezia se confrontato al ritardo del treno che avrebbe portato un folto numero di turisti a Parigi di lì a poco. Forse.
Con un sospiro Bill si accese l’ennesima sigaretta della giornata, aspirando la nicotina nel vano tentativo di rilassarsi almeno un poco. Il cellulare nella tracolla taceva, come di consueto dopo un litigio particolarmente animato. 
L’altoparlante risuonò nuovamente, per annunciare il treno avesse incrementato il proprio ritardo di un altro po’.
Più che Karma, quella era una maledizione in piena regola.
Con un mugolio scontento si sedette su una panchina, di fianco ad un uomo di mezz’età immerso nella lettura di una rivista di economia. 
Al chiosco della stazione campeggiavano i manifesti dell’imminente concerto degli Stürmer, gruppo all’interno del quale campeggiava – come nelle migliori delle tradizioni commerciali - Gustav Schäfer, a seguito dello scioglimento dei Tokio Hotel. La band si era sciolta nel 2012 senza troppe cerimonie, subito dopo l’uscita del primo album solista di Tom, rimasto in vetta alle classifiche per un paio di mesi. Il gemello, invece, aveva deciso di seguire il modello di David ed affiancarsi a lui nella produzione di artisti emergenti. Aveva preferito – in sostanza – l’altra parte della barricata.
In quel momento, infatti, attendeva il treno che lo avrebbe condotto alla riunione con una piccola casa discografica, con l’intento di strappare un’esclusiva per il primo singolo di una band emergente.
Finalmente annunciarono l’arrivo del treno in stazione.
Con un gesto distratto spense l’ultima cicca della mattinata, prima di afferrare il trolley per la maniglia e attendere le porte si aprissero per permettergli di trovare il proprio posto numerato.
Salì e trovò velocemente il proprio posto, di fianco ad una signora anziana troppo impegnata ad armeggiare con i ferri da maglia per dargli retta.
Avrebbe potuto perdersi ancora un poco nei propri pensieri.
Inaspettatamente, il cellulare vibrò notificandogli l’arrivo di un messaggio.
Era Anis.
Il cuore – manco a dirlo – si impegnò in un paio di capriole mentre apriva il folder dei messaggi.
Dein Hund ist ein Arschlock, der auf meinem Bett schlafen will. [1]
Solo quello, nemmno un bacio un saluto una parola per lui – non necessariamente una scusa, klar -.
Vaffanculo.
Aprì una pagina di testo e iniziò a digitare furioso.
Mein Mann ist ein Arsch und er will nicht mit mir abreisen. [2]
Inutile dire non si fosse sentito nemmeno un briciolo meglio dopo aver inviato quelle poche parole cariche di rancore.
Con un sospiro prese gli auricolari dalla borsa e decise che ascoltare un po’ di musica potesse essere una buona soluzione allo scazzo, prima di combinare qualcosa di cui pentirsi.
Peccato Anis la pensasse diversamente.
Und mein Mann ist ein Kind, der den beleidigten für jede Scheiße spielt. [3]
Vaffanculo vaffanculo vaffanculo!
Gliel’avrebbe fatta scontare, prima o poi…
La vita, invece, a lui sconti non ne avrebbe fatti.

Alla seconda traccia iniziò ad assopirsi lentamente, cadendo in quel simil torpore che caratterizzava i minuti prima del sonno, cullato in quell’universo tiepido che gli ricordava le notti in cui fare l’amore era – innanzitutto – riscoprirsi come tutt’uno.
Le tracce scorrevano mentre si addormentava lentamente, cullato tra ricordi vecchi e nuovi.

Era il loro secondo Natale insieme, quello.
Avrebbero passato la giornata con Tomi e Larissa e Sercan e la Mama, che per l’occasione aveva confezionato una bellissima tovaglia ricamata.
Il fatto – poi – Anis di notma non festeggiasse nemmeno e lo facesso solamente per farlo felice, rendeva alla perfezione la gratuità dell’amore che li legava.
In quel momento stava controllando che la teglia di Köfte che aveva ordinato in rosticceria si stesse scaldando a dovere, quando un paio di braccia gli si strinsero alla vita.
Dolcezza e possesso, in un ossimoro che passava innanzitutto per l’eccezionalità del loro essere in quanto coppia e in quanto uno.
- Che fai? – mormorò all’indirizzo del tunisino, decisamente impegnato a mordergli il collo – Dai che rischiamo di far bruciare tutto… -.
Cercò blandamente di sottrarsi alla presa dell’altro, prima di voltarsi e decidere che – a fronte di un pranzo praticamente pronto – due coccole potevano pure concedersele. 
Ad interromperli giunse però Schnee, il barboncino bianco che Tom gli aveva regalato al momento del trasloco, che iniziò ad abbaiare con un accanimento quasi comico.
Bill sorrise e si staccò dalla presa dell’altro, prima di chinarsi a terra e prendere la bestiola in braccio.
- Vuoi le coccole anche tu? – mormorò, prima di sfiorargli il tartufo bagnato con le labbra.
Anis sbuffò.
- Sia chiaro che ora mi rifiuto di baciarti fino a che non ti sarai disinfettato a dovere – borbottò.
Chissà perché – invece – quando gli ospiti erano arrivati i due si stavano ancora rivestendo.


Fu la risata squillante della signora seduta di fianco a lui – che aveva evidentemente abbandonato ferri da calza e gomitoli – a farlo svegliare di soprassalto.
Diede un occhio all’orologio, rendendosi conto fossero presumibilmente quasi arrivati. Si stiracchiò leggermente, prima di decidere potesse anche concedersi un paio di passi lungo il corridoio del treno.
Prese con sé il blackberry e uscì dallo scompartimento, guadagnandosi un’occhiata perplessa da una signora seduta lì vicino.
Anis taceva, come sempre quando voleva costringerlo a ragionare sulle cose. 
Non si imponeva con discorsi di sorta, non pretendeva di dimostrare di aver ragione se non con i fatti, inchiodandolo a verià anche scomode.
La verità, in quel caso, era riconducibile ad un unico fattore: paura.
Era terrorizzato dall’ipotesi di saperlo in studio con gli altri e non con lui, si sentiva letteralmente smarrito di fronte al fatto di non essere perennemente l’unica priorità attorno alla quale il tunisino costruiva un’esistenza intera.
Sospirò.
Ma valeva veramente la pena fasciarsi la testa così?
Prese il telefono in mano e digitò un pugno di cifre che aveva imparato a memoria eoni prima: doveva parlare con Tom, confrontarsi con quell’altra metà di se stesso che – forse – avrebbe avuto il potere di far tornare le cose a posto.
Non gli diede nemmeno il tempo di alzare la cornetta che iniziò a sommergerlo con le proprie parole.
- Secondo te sbaglio? – mugolò, prima di sedersi direttamente sul bordo del finestrino.
Dall’altra parte, il gemello mugolò.
- Bill – sospirò estenuato – ancora con questa storia delle vacanze? -.
Il moro si passò una mano sugli occhi.
- Non so veramente come comportarmi, a volte, con lui… - mugolò – Tutto quello che faccio non va bene, di recente… -.
Tutto ciò che gli giunse in risposta fu un sospiro estenuato.
- Billi – cercò di farlo ragionare il fratello – A volte nelle coppie capita, per quanto queste siano poco canoniche… -.
- Io vorrei… - le parole di Bill finirono nel vuoto.
Il treno era passato sotto una galleria e la comunicazione si era interrotta.
- Scheiße – mugolò, prima di infilarsi il telefono in tasca e rientrare nello scompartimento.
Si preannunciava una giornata lunga.
Lunga ed estenuante.
Scheiße.

[1]: trad: Il tuo cane è uno stronzo che vuole dormire sul mio letto.
[2]: trad: Il mio uomo è uno stronzo e non vuole partire con me.
[3]: trad: E il mio uomo è un bambino che fa l’offeso per ogni stronzata.

Intermezzo Primo – Parte terza
Entfernt

Ich suche dich hinter dem Licht
Wo bist du
Wo bist du
So allein will ich nicht sein

[Wo bist du – Rammstein]


Quando Bill aveva chiuso la porta con un calcio, tutto ciò che Anis aveva fatto era stato sospirare.
Nulla di più, nulla di meno.
Gestire una relazione stabile, vaffanculo, non era per niente semplice, checché ne dicessero un po’ tutti. Soprattutto, poi, se i due soggetti da relazionare erano Bill Kaulitz e Anis Ferchichi.
- Scheiße – borbottò, prima di intercettare il cagnolino di Bill e menargli un calcetto – Il tuo padrone è un poppante… - borbottò all’indirizzo dell’animale – E pure stronzo in sovrapprezzo – concluse comicamente, prima di decidere fosse ridicolo prendersela con la bestiola.
L’uomo si voltò verso la porta, aspettandosi di vedere Bill rientrare, trafelato, di sentire le sue braccia attorno al collo e di poterne saggiare le labbra.
Ovviamente nulla di tutto ciò avvenne.
Si avvicinò alla finestra, senza provare reale interesse per le villette in costruzione nel quartiere limitrofo.
Curiosamente, tutto ciò che lo interessava si stava avvicinando al marciapiede, dove il cassone nero di suo fratello aveva accostato per attenderlo e portarlo poi in stazione.
Lontano da lui.
In quel momento – a rigor di onestà da un po’ di tempo a quella parte – Anis sentiva Bill incredibilmente distante, quasi irraggiungibile, intoccabile, non lo sentiva più suo.
Il suo piccolo bambino sorridente, chissà dov’era.
La Cadillac partì alla volta dell’Hauptbahnhof.
Lontano, per l’ennesima volta.

Si sedette sul divano del salotto ed afferrò il telecomando, in un maldestro tentativo di scacciare la noia e – plausibilmente – spegnere pure il cervello.
Anche quello era di Bill.
Il suo cervello ed il suo cazzo appartenevano ad un chimera, un sogno troppo bello per essere veramente vissuto. Lui stesso – tutto, senza eccezioni – apparteneva all’amante.
Era così da che avevano iniziato a frequentarsi, a ragion veduta.
Il salotto di Kerner quel giorno ospitava Cristina, ex voce dei LaFée ed ora cantante solista.
- Mah – mugungò Anis, prima di cambiare canale.
Anche su Pro7 non vi era nulla di interessante.
O forse – più plausibilmente – la sua attenzione era tutta rivolta ad altro.
Il cane di Bill abbaiò, prima di dirigersi trotterellando verso la camera da letto e gettarsi sul letto come se si trattasse da sempre della propria cuccia.
Il tunisino si diresse verso la stanza, con tutta l’intenzione di ricordare alla bestiola il suo giaciglio fosse altrove.
- Forza, giù – borbottò all’indirizzo dell’animale.
Per tutta risposta il cane gli morse la mano.
- Arsch -.
Anis prese il cellulare e compose di getto un messaggio.
Dein Hund ist ein Arschlock, der auf meinem Bett schlafen will. [1]
Lo inviò a Bill senza quasi rendersene conto, prima di dirigersi verso il bagno per fare una doccia.
Un modo come un altro per ingannare il tempo, nell’attesa di una risposta che – lo sapeva – non avrebbe tardato a farsi sentire.
Il cellulare gli notificò un messaggio.
Lo aprì senza nemmeno leggere il nome del mittente. 
Mein Mann ist ein Arsch und er will nicht mit mir abreisen. [2]
Sbuffò, stufo dell’ennesima lamentela per una storia che – per quanto lo riguardava – poteva già dirsi chiusa da un pezzo. Bill, al contrario, pretendeva di rimettere in campo pedine già perse, sperando in una vittoria in extremis che questa volta non aveva la benché minima voglia di concedergli.
Aprì l’ennesima pagina di testo vuota, deciso a non dargli la soddisfazione di vederlo spiazzato.
Und mein Mann ist ein Kind, der den beleidigten für jede Scheiße spielt. [3]
In quei momenti la sua storia con Bill gli ricordava disperatamente un campo minato, un solo passo maldestro e sarebbe saltato tutto. Il bello del loro amore, però, stava anche nell’accanimento con cui lottavano, ad ogni livello. Certe volte anche fare l’amore sembrava impegnarsi in una lotta primordiale, in cui il predominio non era mai dello stesso cacciatore, e nessuno dei due poteva dirsi padrone di un solo ruolo.
Una volta in bagno aprì l’acqua della doccia ed iniziò a spogliarsi, senza nemmeno soffermarsi a guardarsi riflesso in uno dei millemila specchi che Bill aveva preteso. 
L’acqua calda gli scivolava addosso senza che l’uomo provasse reale interesse per un gesto che – di norma – non compiva mai da solo ed era sempre corollario di qualcosa d’altro.
Non quella volta, però.
Il cellulare taceva, segno che aveva mosso la pedina giusta. L’aveva messo in difficoltà.
Sospirando, si ritrovò a pensare se quello era veramente ciò che voleva o se la loro storia stesse diventando un gioco al massacro, una stupida lotta per una supremazia nella quale manco credevano.
Uscì dalla doccia ed afferrò l’accappatoio.
Solo dopo esserselo infilato si rese conto fosse quello di Bill. Erano identici, ma l’odore dell’amante rendeva il capo decisamente unico.
Sorridendo ripensò al giorno in cui l’aveva trovato in bagno.

Bill era stravaccato sul divano, con il laptop in grembo ed una mano penzoloni che tentava di accarezzare il cane.
- Schatz – l’aveva chiamato Anis dal bagno – Cosa sono questi? – si avvicinò all’amante con due accappatoi azzurri in mano.
Il moro gli concesse un’occhiata fugace, prima di inviare l’ennesima mail a Jost.
- Due accappatoi – rispose, sbadigliando.
L’altro, per tutta risposta, gli tirò uno scappellotto.
- Non ci sarei mai arrivato -.
- Arsch – aveva borbottato Bill polemico, massaggiandosi la nuca.
- Perché abbiamo due accappatoi azzurri uguali? – insistette il tunisino.
Tutto ciò che ottenne fu una scrollata di spalle.
- Mi piaceva l’idea – mormorò il moro – Ma se non ti piace puoi sempre comprartene uno – concluse con un sospiro prima di spegnare il laptop e stiracchiarsi.
Con un sorriso Anis gli passò una mano tra i capelli.
- Che ne dici di dedicarmi un po’ d’attenzione? Potremmo sempre vedere come ci stanno questi accappatoi – gli sussurrò direttamente sulle labbra – Dopo – concluse prima di sollevarlo di peso, ignorando il laptop franato sul tappeto, e dirigersi con lui in bagno.


Dopo essersi asciugato e vestito, Anis si diresse in cucina.
Mentre apriva il frigo alla ricerca di qualcosa di commestibile, il cellulare iniziò a squillare.
Era Bill.
Accolse immediatamente la chiamata.
- Sono arrivato ora – la voce del moro era incredibilmente fioca – Volevo solo dirtelo -.
Si appoggiò alla penisola in marmo.
- Fatto buon viaggio? – chiese, afferrando distrattamente una mela e dandovi un morso.
Dall’altro capo della linea giunse un borbottio.
- Più o meno – fu la risposta che ottenne – Senti… - iniziò, ma fu interrotto dal tunisino.
- Bill ne abbiamo già parlato un sacco di volte. – la voce di Anis era incredibilmente stanca – Non posso partire. Non mentre dovrei incidere un album. Punkt. -.
La risposta dell’altro si fece sentire immediatamente.
La voce di Bill non gli era mai parsa così risentita. E ferita.
- Io volevo solo fare la pace – iniziò – Ma se non ti interessa… - gli sfuggì un singhiozzo – Passa una buona serata, Anis -.
La comunicazione si interruppe.
Il moro gli aveva prosaicamente sbattuto il telefono in faccia.
- Vaffanculo – mormorò, ma a sentirlo fu solo una stanza vuota.
Il resto – tutto ciò che importava – era incredibilmente lontano.


[1]: trad: Il tuo cane è uno stronzo che vuole dormire sul mio letto.
[2]: trad: Il mio uomo è uno stronzo e non vuole partire con me.
[3]: trad: E il mio uomo è un bambino che fa l’offeso per ogni stronzata.

 
Intermezzo Primo – Parte Quarta
Dreh dich


Yeh, I don’t wanna hurt, 
There’s so much in this world
To make me bleed. 

[Just Breathe - Pearl Jam]



Anis era uno stronzo.
Un grandissimo, apocalittico stronzo.
L’aveva chiamato con tutta l’intenzione di fare la pace e l’altro se ne era uscito con quella stupidaggine!
Con un gesto nervoso Bill si accese una sigaretta, prima di iniziare a trascinare il proprio bagaglio verso la stazione taxi.
Il tassista era un uomo di mezz’età tarchiato e con una massa di capelli rossicci ed unti. 
- Wohin? [1] – borbottò lui, prima di accendere la radio del taxi ed iniziare a canticchiare una canzone di Nena.

Und ich dreh mich 
Dreh dich und da steh ich 
Nimm mich in den Arm 
Und du küsst mich
 [2]

Quello – in buona sostannza – era tutto ciò che avrebbe voluto urlare al telefono ad Anis.
Voltati. Guardami. Sorridimi. Facciamo la pace.
Il tunisino, però, non sembrava dell’idea di ascoltarlo.
Probabilmente non ne aveva nemmeno voglia…
Con un gesto scontento si portò un paio di ciocche corvine dietro le orecchie, mentre la città scorreva rapidamente al di fuori dell’abitacolo. 
L’Hotel Marriot iniziò a palesarsi, mentre il tassista continuava a canticchiare un qualche motivetto. 
Era stato David a consigliargli l’albergo.
- I bagni in marmo nero ti piaceranno – aveva mormorato affabile.
Probabilmente non aveva realizzato Anis fosse rimasto a casa. L’avesse lasciato solo.
Lasciò la valigia ad un inserviente e si diresse velocemente verso la reception per farsi consegnare le chiavi.
- Tornerò per l’ora di cena – disse alla receptionist – Sarebbe così cortese da farmi recapitare per quell’ora gli eventuali messaggi? -.
La donna annuì.
Doveva incontrare il manager di quei due ragazzini l’ora successiva, il che implicava non avesse tempo per una doccia ma potesse quantomeno concedersi qualcosa da mettere sotto i denti.
Uscì dall’albergo senza realmente sapere dove andare.
Ci fosse stato Anis, con ogni probabilità, avrebbero iniziato ad esplorare la città alla ricerca di un buon posto dove mangiare. Invece niente.
Era solo e con uno scazzo allucinante addosso, punkt.
Con un mugolio scontento addocchiò una panetteria e decise un bretzel fosse più che sufficiente a riempirsi lo stomaco.
Entrò mescolandosi alla piccola folla di donne in attesa del pane da servire in tavola ed aspettò di essere servito.
Ottenuto il pranzo riuscì in strada, decidendo fosse proprio il caso di dirigersi verso la casa discografica, onde evitare di perdersi.
Con quel nervoso addosso non era decisamente il caso, fertig.


La riunione durò più del previsto. Il direttore della casa discografica non ne voleva sapere di mollare, impuntandosi con pretese assurdeche scombinavano del tutto i supposti piani che aveva congeniato con David. Dopo due ore di contrattazioni al limite dell’allucinante – in ogni caso – aveva ottenuto quello che voleva quindi – ignorando l’invito dei pezzi grossi dell’etichetta – decise di tornare in albergo.
Chissà se Anis gli aveva lasciato un messaggio…
La receptionist si mostrò persino desolata nell’annunciargli che non aveva ricevuto messaggi di alcun tipo.
Deglutì, inghiottendo orgoglio e masticando fiele.
- Non si preoccupi – disse alla donna, inforcando nuovamente i propri occhiali da sole – Non ero nemmeno certo ce ne fossero, in effetti -.
Ci aveva sperato, però, come uno stronzo.
Salì in camera e si diresse meccanicamente in bagno, aprendo i rubinetti della vasca e iniziando a spogliarsi. Magari l’acqua calda l’avrebbe riconsegnato ad una realtà un poco più plausibile. Sospirando, non riuscì a fare a meno di pensare ad una delle tante volte in cui, sotto l’acqua, aveva ritrovato l’uomo nero al quale il filo rosso del destino lo aveva unito.

Pioveva con una costanza persino invidiabile, quel giorno.
Lo avevano chiamato per visionare alcuni demo appena arrivati e – come al solito – le cose si erano protratte più del previsto. Era tornato in fretta a casa, voglioso solo di fare un bagno con i fiocchi per togliersi da dosso quell’umidore sgradevole che caratterizzava tutte le giornate piovose berlinesi.
L’appartamento era vuoto, Anis con ogni probabilità era ancora in sala d’incisione con le Bisou.
Con un sospiro si era diretto in bagno, spogliandosi direttamente lungo il cammino che lo conduceva al vano. Si immerse nell’acqua e chiuse gli occhi, godendosi il tepore che pian piano lo avvolgeva.
Si destò dopo un tempo indefinito, al tocco di un paio di mani che conosceva ormai bene.
- Ich glaubte, es gab eine Sirene in der Badewanne – Anis gli soffiò quelle parole direttamente nelle orecchie, prima di mordergli leggermente la grana pallida del collo.
Bill si stiracchiò leggermente, prima di guardarlo con occhi ancora un poco appannati dal sonno.
- Che ora è? – mugolò allungandosi per sfiorargli le labbra con un bacetto umidiccio.
L’uomo sorrise, prima di carezzargli i capelli umidi e rispondere.
- Sono le sei, Schatz -.
L’altro parve persino impressionato di fronte a tale evidenza.
- Ma quanto ho dormito?! – mormorò.
Anis non gli rispose, si limitò a spogliarsi lentamente e ad entrare a sua volta nella vasca.
- Tanto fino all’ora di cena c’è ancora un attimo – considerò - ed in ogni caso sono passato al KaDeWe e ho preso quell’arrosto che ti piace tanto – concluse afferrandolo per la vita ed avvicinandoselo.
Bill gli si sedette a cavalcioni, prima di stringergli le braccia attorno alle spalle e baciarlo.
- Hast du Lust? – gli mormorò il tunisino, interrompendo per un attimo il bacio.
La risposta che ottenne fu un gemito roco.


Fu il telefono che vibrava a destarlo, quella volta.
Uno stupido messaggio pubblicitario aveva interrotto uno dei ricordi più belli serbasse da che conosceva il proprio compagno. 
- Scheiße – borbottò, prima di gettare il cellulare sopra i boxer che aveva lasciato in terra lì vicino ed uscire dalla vasca.
Un’ulteriore vibrazione del telefonino lo fece voltare.
- Chi diamine è? – mugolò, prima di accogliere la chiamata senza nemmeno controllare l’identità del chiamante – Hallo? -.
La voce di Anis lo fece sussultare.
- Disturbo? – mormorò il tunisino.
L’altro sospirò, prima di mordersi un labbro e accingersi a rispondere.
- Ero nella vasca – bisbigliò, sentendosi molto stupido per una risposta che – a tutti gli effetti – non voleva dire davvero nulla.
Lui voleva dire ben altro ad Anis, klar.
- Sono passato in tintoria a ritirare il completo che hai usato al compleanno di Cass – lo informò l’altro, come se non fosse successo nulla e non si fossero lasciati urlandosi addosso come due pazzi.
- Tutto qui? – Bill si morse le labbra.
- Passa una buona serata, Bill – rispose l’altro.
- Vaffanculo – borbottò, prima di chiudere la chiamata e dirigersi verso la propria valigia.
Vaffanculo, stanne certo che lo farò.
Quello che non sapeva era quanto se ne sarebbe pentito dopo.



[1]: trad: Dove? (Inteso – ovviamente – come: “Dove va?” _ NdA)
[2]: La canzone è Dreh dich di Nena.
Vi lascio la traduzione – è ad opera mia, quindi con tutti i limiti del caso -:
E io mi volto
Voltati ed io sono qui
Prendimi tra le braccia
E baciami
[3]: Trad: Credevo ci fosse una sirena nella vasca


 
   
 
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