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Autore: mairileni    29/07/2014    3 recensioni
Elucubrare serve. Io sono anni, che elucubro.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ATEO

 

 

 

 

 

Ero uscito sul balcone a respirare un po' d'aria, perché di aria ce n'è anche in casa mia ma quella di fuori è più buona, ed ecco che proprio laggiù si avvicina una processione funebre e che io resto qui impalato a guardarla.

Piangono. E pensare che in certi posti quando qualcuno muore si fa festa. Il primo a dirmi questa cosa è stato un tizio che veniva alle superiori con me e che oltretutto si chiamava Kai. L'«oltretutto» non è a caso, perché chiamarsi con un nome bizzarro e piacevole alla pronuncia come «Kai», per me, costituisce un vero e proprio valore aggiunto all'avermi dispensato una nozione come quella di cui sopra. Tutto questo per dire che in certi posti quando qualcuno muore si fa festa. Se non ho capito male è una cosa legata al dio in questione, come dire: «Che culo che sei morto, così torni dal dio!». 

Sarà. Secondo me quando uno muore muore e basta. Ma non è che io sia fissato con le prove scientifiche e via dicendo, è proprio una questione di buonsenso. Ammettiamo, per un attimo — ammettiamolo, ammettiamolo —, che il tipo laggiù, quello dentro alla cassa, dico, possa ancora sentire qualcosa: ora io dico, già questo povero cristo è morto, che, voglio dire, c'è di meglio. In più si deve anche sorbire tutti questi qui che non fan altro che gridare: «Perché?, Perché ci fai questo?!». 

Insomma, questo è morto e tu gliela fai pure pesare. Mah. Io la religione proprio non la capisco, sul serio. 

In fondo al corteo c'è una signora che si fa il segno della croce, altro mistero che per me resta inspiegabile. Com'è che uno deve farsi questo segno? Cosa comporta? Quando è morto mio nonno, io quella cosa lì mica l'ho fatta. 

Il giorno in cui è morto mio nonno, tre anni fa, è stato il giorno più brutto della mia vita, ho perso una parte di cuore, ruotavo continuamente gli occhi dal prete alla bara, dalla bara al prete, dal prete alla bara, dalla bara al prete, chiedendomi quando accidenti tutti quei parenti inventati al momento e quei sacerdoti con il quadratino bianco al collo avrebbero smesso di far finta di partecipare del mio dolore. Alla fine la messa si è conclusa (ed è logico che si sia conclusa, altrimenti sarei ancora lì e non a elucubrare a casaccio sul balcone di casa mia), e tornando a casa ho iniziato a chiedermi cosa fosse, questa storia della religione. Sono giunto alla conclusione che la religione non è il tizio che fa le acrobazie con l'incenso, non è la cassettina di metallo che ti chiede un'offerta per i meno fortunati di noi grazie di cuore dalla nostra parrocchia. La religione non è e basta, quelle sono tutte storie. Storie false, si intende. 

La storia vera è che se mi pento di qualcosa non ho bisogno che il prete al di là della grata mi faccia da garante per l'arrivo della penitenza a Gesù. 

La storia vera è che se ti becchi uno schiaffo e porgi l'altra guancia ti becchi solo un altro schiaffo. 

La storia vera è che quando mio nonno si è ammalato io ho pregato che non morisse, ma a quanto pare ho pregato male.

Però, se siamo ridotti al punto di dover ascoltare parabole dalla Bibbia quando ci muore un parente, allora non mi stupisce che la religione si sia presa di prepotenza il trono del mondo. No, non mi stupisce affatto. Anzi, più la religione è potente, più non mi stupisce affatto, perché il mondo è fatto d'allodole: buttaci uno specchietto e ce l'hai già in pugno. «Stai sempre ad elucubrare!», mi direbbe mia madre, se potesse leggermi nel pensiero proprio adesso. 

Ma elucubrare serve. Io sono anni, che elucubro. Se ci fosse un diploma speciale per quelli che elucubrano io ce l'avrei stampato a lettere dorate. Elucubro praticamente sempre — metti che si possa, metti che accada, metti che ci sia, metti che si scopra. Serve. A pensare, ad aprirsi, anche se è un controsenso, perché se uno elucubra tutto il giorno è tutto meno che una persona aperta.

Comunque sono ateo. Era a questo che volevo arrivare, ma dato che io non sono uno che arriva dritto al punto (sempre per via delle elucubrazioni e tutto), ho tagliato via una parte di discorso e sono passato direttamente alla conclusione. 

Sono ateo, e se stamattina e ieri mattina già nutrivo il sospetto di esserlo, ora che guardo la processione funebre che veleggia verso di là ne sono più che sicuro. Sì, sono ateo.

Un'altra cosa di cui ho appena acquisito la certezza è che noi atei non abbiamo vita facile — nessun deus ex machina a salvarci dalle paturnie, no. Noi atei facciamo da soli. Bisogno d'aiuto? Si va dagli amici. Bisogno di conforto? Si va dagli amici. Ci si sente in colpa? Si va dagli amici. Non si hanno amici? Ci si piange addosso per un po' e poi si riprende a vivere come si è sempre fatto. Io, per dire, di amici non ne ho. Del resto, uno o elucubra o ha gli amici, a scelta. Io ho scelto di elucubrare.

E mi chiedo che cosa ci sto a fare qui sul balcone, impalato come un allocco, se farlo, finora, è servito soltanto a farmi capire che se mai avrò un problema saranno cazzi miei. 

O forse sono solo tragico io, non saprei. Del resto tendo ad essere una persona che fa le tragedie per ogni cosa — e posso assicurare che non è facile vivere così, con la negatività che incombe.

E pensare che in certi posti quando qualcuno muore si fa festa.






 

   
 
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