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Autore: Lux_daisy    29/07/2014    5 recensioni
"Perché? Perché è andato a finire tutto così? Era solo una stupida scommessa! Io… io non posso fare una cosa del genere… Gokudera… non posso fargli questo… non a lui…"
Takeshi rimase lì, immobile, le spalle chine, la mazza impugnata debolmente che toccava terra e gli occhi fissi nel vuoto.
Cosa succederebbe se Yamamoto fosse costretto a mentire a Gokudera a causa di una scommessa? E cosa succederebbe se le conseguenze di questo gesto cambiassero il rapporto tra i due?
La mia seconda 8059 dopo un anno circa :3
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Nuovo Personaggio, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il destino mescola le carte e noi giochiamo*

*Arthur Schopenhauer

 



Quotidianità.
Gokudera non aveva mai dato peso a questa parola e a tutto ciò ad essa collegato, semplicemente perché non c’era mai stato niente a cui dare peso.
La quotidianità implicava routine, schemi e azioni che si ripetevano sempre uguali e che proprio per questo loro essere sicuri non destabilizzavano la normale vita di tutti i giorni.
Ma quella mattina qualcosa cominciò a cambiare. Dall’esterno sarebbe potuto sembrare tutto ordinario: Sawada, Gokudera e Yamamoto che entravano a scuola insieme, una vista a cui tutti erano ormai abituati. E anche i tre ragazzi si comportavano come al solito e Tsuna si sentì subito sollevato al pensiero che i suoi migliori amici avessero finalmente risolto i loro problemi.
Takeshi rideva e chiacchierava come al solito, ma un occhio attento avrebbe notato un ombra di imbarazzo e disagio, soprattutto quando i suoi occhi incontravano quelli di Hayato; e alla Tempesta tutto questo non sfuggì.

Per la prima volta si sentì davvero consapevole della presenza della Pioggia vicino a lui: del modo in cui camminava e in cui ogni tanto si accarezzava la nuca in un gesto inconscio, della mano che si stringeva alla tracolla della borsa o delle dita lunghe e affusolate che battevano ritmicamente sulla superficie.
Era una sensazione strana e fastidiosa, che lo portava a chiedersi se stesse osservando l’altro più del dovuto o se quei dettagli li cogliesse senza rendersene conto. Gli sembrava assurdo il suo stesso modo di pensare, ma  da quando gli aveva concesso una tregua, chiedendo di avere più tempo, le cose che sembravano esser tornate come prima, in realtà non lo erano. O almeno non del tutto.
Erano piccole cose, dettagli a cui era difficile fare attenzione, ma erano diversi. Non tanto da diventare gravi, ma abbastanza da destabilizzare la sua quotidianità.
Prima d’ora Gokudera non aveva mai notato come la presenza di Yamamoto riempisse il suo spazio circostante e questo era ormai innegabile.
Così tanto da rendergli quasi impossibile ignorarlo, fingere di non sentirlo.

Come quando una mattina, durante una pausa tra una lezione e l’altra, nell’attesa che arrivasse l’insegnante, la risata cristallina del moro risuonò nell’aula e nonostante le voci e i rumori, l’argenteo si voltò e i suoi occhi si posarono subito su Yamamoto. Era in piedi, appoggiato al suo banco e chiacchierava allegro con altri due ragazzi. D’un tratto uno di questi mise una mano sulla spalla del Guardiano, dicendogli qualcosa che Gokudera non riuscì a sentire, ma che dovette essere molto divertente perché Yamamoto scoppiò a ridere, contagiando gli altri.
Guardandoli, la Tempesta provò un insolito fastidio alla bocca dello stomaco a cui non seppe dare un nome, ma che lo portò ad aggrottare le sopracciglia e a serrare le labbra.
In quell’istante la Pioggia, sentendosi osservato, lasciò vagare lo sguardo per la classe fino ad incrociare quello dell’argenteo; sgranò leggermente gli occhi, sorpreso che l’altro lo stesse fissando, ma non fece in tempo a fare altro perché Gokudera, capendo di essere stato beccato, si voltò subito dall’altra parte e poggiò la testa sul banco.
Nessuno si accorse che era arrossito fino alle orecchie.
 
 
 
 
Imbarazzo.
Gokudera non riusciva a pensare a nessun’altra parola che spiegasse come si sentiva in quel momento mentre camminava per strada con Yamamoto al suo fianco.
Erano ormai passati quasi dieci minuti da quando si erano separati da Tsuna e in quel lasso di tempo nessuno dei due aveva spiccicato parola e la Tempesta non aveva potuto evitare di maledirsi per aver annunciato che dato che sarebbe dovuto passare da una libreria, non avrebbe potuto accompagnare a casa il Decimo quel pomeriggio.
Tsuna avrebbe anche potuto unirsi a lui, se Reborn non gli avesse ordinato di tornare subito a casa dopo la scuola, facendogli temere per la sua vita per il modo in cui gliel’aveva detto. “Sicuramente non sarà niente di buono”, aveva pensato con ansia, ma non aveva potuto fare niente se non salutare i suoi amici.
 
Non prima però di suggerire a Yamamoto di accompagnare Gokudera, pensando che sarebbe stata una buona occasione per stare un po’ da soli e chiarire meglio le cose tra loro. Anche se non aveva detto niente, a Tsuna non era sfuggito il fatto che il comportamento dei due negli ultimi giorni sembrasse normale solo all’apparenza. All’inizio non ci aveva fatto caso, convinto che fosse tutto a posto, ma dopo diversi giorni era stato costretto a ricredersi: anche se chiacchieravano tra loro tre, Yamamoto non parlava direttamente con Gokudera e questi faceva altrettanto, tanto che non aveva neanche più chiamato l’altro “idiota del baseball, come invece era solito fare sempre.
Entrambi davano l’impressione di voler portare avanti una convivenza pacifica senza interagire tra loro, ma semplicemente accettando la mera presenza dell’altro e a Tsuna tutto questo non piaceva per niente. Sentiva che c’era qualcosa di sbagliato, ma non aveva la più pallida di cosa fare per sistemare le cose.
Aveva provato a parlarne con tutti e due, ma sia Yamamoto che Gokudera gli avevano dato la stessa risposta, ovvero che era tutto a posto e che lui non doveva preoccuparsi. Ma questo era ovviamente impossibile.
Magari l’idea di lasciarli da soli non sarebbe servita a niente, ma male non avrebbe fatto. O almeno era quello che Tsuna sperava in cuor suo.
 
 
<< Non c’è bisogno che vieni con me, anche se l’ha detto il Decimo >> disse all’improvviso Gokudera, rompendo il silenzio che si era protratto a lungo, << non mi serve la scorta: non sono mica una ragazza >>.
<< Lo so bene che sai badare a te stesso, ma per me non è un problema accompagnarti >> replicò il moro con tono sereno, << e poi non mi dispiace passare un po’ di tempo con te >>.
Il cuore di Hayato accelerò per un attimo, mandandolo in confusione. << E allora perché te ne sei stato zitto tutto il tempo? >> rispose con voce irritata.
<< Pensavo che ti avrebbe dato fastidio se mi fossi messo a parlare, così sono rimasto in silenzio >>.
Il bombarolo lo guardò con la coda dell’occhio e ancora una volta vide quel sorriso forzato che tanto lo aveva irritato. Stava pensando a cosa dire, quando si accorse che erano appena arrivati a destinazione e ringraziò il cielo per averlo tolto da quella situazione imbarazzante.
 
 
Una volta dentro, Gokudera si diresse al reparto che lo interessava e Yamamoto finì per seguirlo, salvo poi spostarsi verso gli scaffali dedicati allo sport. La sua attenzione fu subito catturata dalle copertine dei libri dedicati al baseball e prima che se ne rendesse conto ne aveva già controllati diversi.
Quando ne notò uno interessante in cima allo scaffale, si tolse di dosso il borsone che lo intralciava nei movimenti e si allungò per recuperare il libro; proprio in quell’istante qualcuno gli passò accanto e rallentò appena gli fu dietro.
Fu un movimento rapido di cui Yamamoto neanche si accorse e quando ebbe il volume tra le mani, lo sconosciuto era già arrivato all’uscita senza dare nell’occhio.
 
Alla cassa Gokudera pagò due libri, mentre Yamamoto, seppur desideroso di acquistarne uno, preferì non spendere soldi, date le spese extra che avevano avuto al ristorante a causa di un guasto al congelatore che era stato sostituito d’urgenza.
“Lo prenderò la prossima volta”, si disse sereno, mentre uscivano dalla libreria.
Ma proprio nell’istante in cui oltrepassarono i rilevatori posti all’ingresso, questi presero a suonare, facendo voltare tutti gli sguardi sui due ragazzi, che a loro volta si scambiarono un’occhiata confusa.
“Sarà un falso contatto”, pensò Gokudera. Lui e Takeshi tornarono indietro e riprovarono ad uscire, ma l’allarme trillò nuovamente e sui volti dei due commessi comparvero delle espressioni sospettose. Chiesero loro di controllare le borse e per quanto infastiditi da quella situazione, soprattutto il bombarolo, acconsentirono alla richiesta, sapendo di non avere nulla da nascondere.

Ma quando uno dei commessi -  un ragazzo di circa venticinque anni dal volto regolare e i capelli scuri corti – aprì il borsone di Yamamoto, i suoi occhi si sgranarono per poi affilarsi e il suo viso si irrigidì all’istante.
<< Avevate intenzione di filarvela dopo aver rubato? >>, proruppe all’improvviso con voce fredda, mostrando ai ragazzi il maltolto: una penna stilografica in edizione limitata dal prezzo di 33,500
¥ (circa 245 € ndr).
A quella vista l’incredulità e lo shock si impadronirono dei due Guardiani. Gokudera lanciò un’occhiata al moro e lo vide impallidire, come se tutto il sangue gli fosse defluito dal corpo; aveva l’espressione di chi era stato appena colpito da qualcosa ma non aveva capito né cosa come.
<< I-io… non capisco… >> disse infatti, la voce un sussurro confuso.
Il commesso aggrottò le sopracciglia. << Fammi indovinare: stavi solamente osservando la penna e, senza sapere come, ti è scivolata in borsa senza che tu te ne accorgessi >>. Parlò col tono infastidito e sarcastico di chi ha sentito scuse del genere fin troppe volte e ci ha ormai fatto l’abitudine, seppur controvoglia.
<< No, no, io non ho fatto niente. Non l’avevo neanche vista questa penna. Non l’ho presa io >> si difese Yamamoto con voce accorata, stringendo i pugni.
<< Ma questa borsa è tua, no? Come lo spieghi allora? >> continuò il commesso, che chiaramente non credeva alle parole del ragazzo.
Lo sguardo di Gokudera si era alternato tra i due, la mente in confusione. Una situazione del genere era a dir poco assurda: non poteva credere che stesse succedendo davvero.

<< Io non lo so… >> rispose mesto Takeshi, che sul serio non sapeva come quella penna fosse finita nella sua borsa. Lui non aveva mai rubato nulla in vita sua, neanche una caramella e come figlio di un commerciante biasimava il furto più di altri. Non aveva alcun motivo per rubare, ma era lampante che i commessi non gli credevano. Del resto come avrebbero potuto? Non era nemmeno in grado di dare una spiegazione. Al loro posto, probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo, ma lui era innocente e lo stavano accusando di un crimine che non aveva commesso.
Gli sembrò di essere finito in una di quelle candid camera che si vedono spesso in televisione e desiderò con tutto il cuore che qualcuno uscisse e gli dicesse con un sorriso che era stato tutto uno scherzo.
Ma nessuno uscì e nessuno sorrise.
<< Molto bene >> disse il commesso con tono piatto, << ora chiamerò la polizia e vediamo se continuerai a negare anche davanti agli agenti >>.
Alla parola “polizia” gli occhi dei due ragazzi si sgranarono ancora di più e Gokudera non ci vide più dalla rabbia. << Non prendetemi per il culo! >> sbraitò, battendo i pugni sul bancone e facendo sussultare gli altri, << questo qui >> disse, afferrando Yamamoto per il polso, << è il ragazzo più ingenuo e corretto che io conosca! Non farebbe mai qualcosa di stupido come rubare! Vi state sbagliando >>.
Gli occhi nocciola della Pioggia si posarono sorpresi sull’amico e per un lungo momento Takeshi si dimenticò della situazione in cui si trovava e riuscì solo a pensare al fatto che Gokudera l’avesse difeso con tanta forza, nonostante quello che era successo tra di loro. Sentì il petto invaso da un senso di sollievo all’idea che l’altro si fidasse ancora di lui.

Sollievo che però si spense quando la voce contrariata del commesso riempì di nuovo l’ambiente. << Bene, se sei così convinto dell’innocenza del tuo amico, spiegaci com’è finita la penna nella sua borsa >>.
Hayato si morse il labbro, incapace di rispondere e pur sapendo che quel tipo stava solo facendo il suo lavoro, dovette trattenere a fatica il violento impulso di spaccargli la faccia.
Credeva in Yamamoto al 100%. Sapeva che non sarebbe mai stato capace di rubare, eppure non c’era niente a cui potesse aggrapparsi per difenderlo. L’unica spiegazione che gli veniva in mente era che qualcuno aveva messo di nascosto la penna nella sua borsa, ma non poteva provarlo in alcun modo e senza una prova di qualche tipo, non aveva la più pallida idea di come uscire da quella situazione ai limiti dell’inverosimile.
Il commesso fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altro e interpretando quel silenzio come ammissione di colpevolezza, afferrò il telefono e chiamò la polizia.
 
 
 
 
 
Quel mattina Gokudera arrivò a scuola di pessimo umore. Aveva già fumato tre sigarette da quando si era svegliato, ma come ormai gli succedeva da tre giorni, neanche la sua fidata nicotina riuscì a calmare i suoi nervi.
La sua mente continuava a rivivere quello che era successo alla libreria e lui sentiva la rabbia e il senso d’impotenza invadergli le vene e fargliele ribollire.
 
Dopo l’arrivo della polizia, Yamamoto era stato condotto alla centrale e Gokudera era riuscito a convincere gli agenti a farlo venire con loro.
Non riusciva a dare una spiegazione logica al suo comportamento, ma sapeva di non voler lasciare l’altro da solo. Per tutto il tempo Takeshi aveva tenuto lo sguardo basso e le mani intrecciate tra loro, mentre il bombarolo non aveva potuto fare altro che osservarlo in silenzio, senza sapere cosa dire. Quando poi il padre li aveva raggiunti alla stazione, il volto dello spadaccino era stato trasfigurato dall’imbarazzo e dalla vergogna e Gokudera poté quasi giurare di vedere i suoi occhi farsi lucidi. L’uomo però gli aveva sorriso e gli aveva accarezzato i capelli in un gesto affettuoso e la Tempesta seppe con certezza che, come lui, anche il padre era convinto dell’innocenza del figlio. L’aveva cresciuto lui e lo conosceva meglio di chiunque altro: non avrebbe mai potuto dubitare del suo Takeshi – come più volte l’aveva chiamato.

Dal canto suo Hayato aveva inconsciamente provato un sentimento d’invidia nei confronti di quel rapporto così stretto che lui non aveva mai potuto sperimentare, ma allo stesso tempo si era sentito un po’ sollevato all’idea che almeno a casa sua il moro non avrebbe avuto qualcuno che lo accusava e rimproverava ingiustamente.
Data la minore età del figlio, Yamamoto senior aveva potuto riportarlo a casa e i tre si erano salutati a metà strada e mentre Gokudera li guardava allontanarsi, si disse che la faccenda non era ancora conclusa.
 
 
 
Il giorno dopo era arrivata la notizia della sospensione da scuola di Yamamoto.
Nonostante lui continuasse a dichiararsi innocente e nonostante le condizioni attenuanti, il Preside della Namimori non aveva potuto ignorare la comunicazione delle autorità ed aveva stabilito la sospensione dalle lezioni per due settimane.
La novità non era certo potuta rimanere nascosta e tutta la scuola non faceva che parlare dell’accaduto. Ogni volta che sentiva i pettegolezzi su Yamamoto, Gokudera provava l’istinto di prendere a pugni qualcuno o far saltare in aria qualcosa, ma l’intervento calmo di Tsuna riusciva a placare la sua rabbia.
Il Braccio Destro aveva raccontato i fatti al Decimo, ritrovando ovviamente anche in lui la fiducia nell’innocenza di Yamamoto, ma la preoccupazione di entrambi non si attenuava.
 
Più ci pensava, più Gokudera si convinceva che dietro tutta quella storia ci fosse Tamamura e ogni volta che la sua faccia gli tornava in mente, lo facevano anche le parole che aveva sentito pronunciare a lui e al suo amico giorni prima.
 
Ma il tuo piano non è riuscito, Tama-chan. Nonostante il casino che hai creato, Yamamoto non ha fatto niente di male e non puoi buttarlo fuori dalla squadra. Che farai adesso?
 
Non lo so ancora, ma qualcosa mi inventerò.
 
 
La Tempesta sapeva che quel tipo non aveva ancora abbandonato l’idea di sbarazzarsi di Yamamoto e questo “incidente” sembrava avere avuto un tempismo fin troppo perfetto, considerato soprattutto il fatto che la sospensione da scuola implicava anche la sospensione dalle attività del club di baseball.
Sospensione che sarebbe potuta diventare permanente se Tamamura avesse convinto l’allenatore e la squadra a non riprendere Yamamoto.
“Dannato bastardo!”.
Il solo fatto che il colpevole delle voci sulla relazione tra lui e Yamamoto fosse proprio Tamamura, per Gokudera era un motivo più che sufficiente per odiarlo e per desiderare di vendicarsi, ma tutto quello era più di quanto avrebbe mai potuto sospettare.
Non aveva nessuna prova che il Capitano della squadra avesse incastrato Yamamoto, ma la Tempesta lo sapeva.
Lo sapeva in un modo illogico e inconscio che non riusciva a spiegare a parole, ma che allo stesso tempo gli sembrava fin troppo chiaro per ignorarlo.
Doveva parlare con Takeshi e forse insieme avrebbe potuto organizzare un contrattacco.
 
 
 
<< Che vuol dire che non farai niente?! >>, sbraitò il bombarolo, fissando il moro con aria incredula.
 
Erano nella stanza di Yamamoto e mentre questi era seduto per terra con le gambe incrociate sotto il tavolino, Gokudera se ne stava in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi e gli occhi sbarrati.
Come deciso a scuola di mattina, quello stesso pomeriggio l’argenteo era andato a casa di Takeshi e gli aveva raccontato tutto ciò che aveva saputo su Tamamura, condividendo la sua idea su come il suo Capitano fosse il colpevole anche del furto alla libreria.
Si era aspettato una reazione sorpresa, sconvolta, invece, Yamamoto gli era sembrato più che altro ferito. In realtà aveva già avuto un sospetto su quali fossero le intenzioni di Tamamura, ma al posto di rabbia riusciva solo a provare sofferenza e rassegnazione.
 
<< L’hai capito o no che quello stronzo vuole buttarti fuori dal club?! >> continuò Gokudera a voce alta, << e hai comunque intenzione di startene fermo a lasciargli fare quello che gli pare?! >>.
Il moro alzò lo sguardo verso l’amico e pur capendo in parte la sua rabbia, non la condivideva. << Quando sono entrato nel club, il senpai è stato un punto di riferimento per me. Nonostante le cose che può o meno aver fatto, non voglio vendicarmi di lui >>.
L’altro schiuse la bocca e sentì la rabbia stringergli la gola per un attimo. << E quindi lascerai che lui ti faccia passare per un ladro, che ti butti fuori dalla squadra, solo perché in passato è stato gentile con te?! Cavolo, sapevo che eri un’idiota, ma non fino a questo punto >>.
Non riusciva proprio a capirlo! Da quando era diventato il tipo di persona che si arrende senza combattere?
 
Senza spostarsi dalla sua posizione, Yamamoto parlò nuovamente con tono calmo. << Non puoi avere la certezza che sia stato lui. La tua è soltanto una supposizione: come fai a sapere…>>.
<< LO SO E BASTA! >> gridò ancora più forte Gokudera, sorprendendo se stesso l’istante dopo e lasciando l’altro ad occhi sgranati.
Perché se la stava prendendo tanto? Perché non riusciva a darsi pace? La scuola aveva già dimenticato le voci sulla presunta relazione tra loro due e ormai lui non aveva più niente a che vedere con tutta quella faccenda, ma allora perché?
Perché lo faceva incazzare così tanto che Yamamoto non reagisse?
<< Lo so e basta >> ripeté con voce molto più bassa, << e non riesco a credere che tu non voglia neanche difendere il tuo orgoglio. Che razza di Guardiano sei? Stai persino facendo preoccupare il Decimo! E poi non dicevi che il baseball era la cosa più importante per te? E lo vuoi perdere così, senza neanche provare?! >>.
 
No! Non è quello che voglio dire!
 
<< Se devi combattere per gli altri è okay, ma se si tratta di lottare per te stesso, ti tiri indietro? È questo il vero Yamamoto Takeshi? >>.
 
No, stai zitto! Non dire altro!
 
<< Se le cose stanno così, allora meriti davvero di perdere la cosa più importante >>.
 
No, io non volevo…
Vide il volto del moro contrarsi in un’espressione di sofferenza e per un attimo, in un angolo recondito della sua mente, Gokudera provò lo strano desiderio di abbracciarlo e di confortarlo, come nessuno faceva più con lui da tempo e come lui stesso non era abituato a fare nei confronti degli altri.
Fu rapido come un battito di ciglia, ma abbastanza forte da rimargli impresso e questo non fece altro che aumentare la sua frustrazione.
Da quando era iniziata tutta quella storia non riusciva più a mettere ordine nelle sue emozioni che si ingarbugliavano e accartocciavano su  se stesse, rendendogli impossibile distinguere ciò che era normale da ciò che non lo era più. Anche se era passata poco più di una settimana dal giorno in cui gli aveva tirato un pugno sul naso, a Gokudera sembrò che fosse trascorso molto più tempo e che le cose fossero cambiate molto più di quanto volesse ammettere con se stesso.

Se qualcuno gli avesse detto che un giorno lui si sarebbe preoccupato e angosciato così tanto per una cosa successa all’idiota del baseball, avrebbe preso quel qualcuno a pugni senza pensarci due volte. Invece, ora era là, a casa di Yamamoto, tremante di rabbia verso Tamamura perché era un fottuto bastardo, verso il moro perché non voleva reagire e verso se stesso perché se la stava prendendo tanto da sbraitare.
Non era neanche un problema suo, eppure non riusciva a rimanere calmo e a far finta che andasse tutto bene.
Non sapeva neanche cosa lo facesse incazzare di più, se il fatto che fosse proprio lui quello a prendere più a cuore tutta quella faccenda o il fatto che fosse il moro a non prenderla abbastanza a cuore.
Sapeva solo di essere abbastanza infuriato da non avere intenzione di starsene  con le mani in mano mentre Tamamura gongolava e Yamamato si autocommiserava.
 
Rimasero in silenzio per lunghi momenti, senza neanche guardarsi in faccia, mentre quella stanza sembrava essere diventata d’un tratto troppo piccola.
La Tempesta prese un profondo respiro e lasciò che la rabbia si trasformasse in determinazione.
<< Fa’ come vuoi >> sputò con stizza, per poi voltarsi verso la porta. Posò la mano sulla maniglia e si fermò: sentiva lo sguardo dell’altro su di lui, ma quando parlò di nuovo, non si girò e continuò a dargli le spalle.
<< Se hai intenzione di rimanere qua a piangerti addosso, sono affari tuoi, ma io non resterò fermo a guardare. Se non vuoi salvarti da solo, allora lo farò io per te >>.
La sua voce fu salda e controllata, ma lo stesso non si poté dire del suo corpo e delle sue emozioni. Imbarazzato e confuso dalle sue stesse parole, Gokudera uscì rapido dalla stanza e si precipitò fuori dal ristorante, le guance color porpora e il battito del cuore che gli rimbombava nelle orecchie.








Ciaossu a tutti, bella gente! ^^ innanzitutto mi scuso per il ritardo (anche se spero che non sia troppo) e per non aver risposto alle recensioni dello scorso capitolo... gomen *si inchina* ma in queste settimane sono finita in una sorta di stato semiletargico in cui oltre ad andare a mare quando potevo, non facevo altro che mangiare e dormire, soprattutto dormire XD insomma, ero diventata peggio di un bradipo... poi colpita dall'ispirazione, mi sono ritrovata a scrivere questo capitolo in 2 giorni e come sempre spero che vi sia piaciuto :D come avete visto, i problemi non sono ancora finiti... questa volta sarà Gokudera l'eroe che salverà Takeshi? u.u
devo dire che sto scrivendo qualcosa di diverso dal solito e mi sta piacendo abbastanza, quindi se mi riesce questa storia continuerà per altri capitoli, anche se non sarà molto lunga... ma forse dovrete aspettare 1-2 cap per qualcosa di più yaoi diciamo >.<
ringrazio di cuore musa07, Maki Chrome, Isle e Kyoite per aver commentato lo scorso capitolo <3 e tutti voi che leggete e seguite la mia storia ;D vi abbraccio tutti e vi auguro buone vacanze (anche se quest'anno il tempo è proprio pazzo...)
un saluto e alla prossima XOXO

 

 
  
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